Alcune considerazioni –
in margine – dell’Anticipazione dell’ultimo
libro di R. Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi
Edizioni, Milano 2017, da poco uscito, che segna il ritorno di Calasso a delle
tematiche trattate in un testo su questo blog ricordato più volte[1]:
La Rovina di Kasch, tra l’altro
l’espressione “l’innominabile attuale” proviene proprio da quest’ultimo libro[2].
L’Anticipazione la si
può leggere al link:
http://www.corriere.it/cultura/17_settembre_26/libro-adelphi-roberto-calasso-l-innominabile-attuale-da4facf2-a2c8-11e7-82cf-331a0e731b92.shtml.
In quest’ultimo
articolo online, è l’autore stesso, Calasso, che parla del suo nuovo libro, chi
meglio di lui può dunque riassumerne il senso? Ed infatti è sull’articolo che
qui ci si tratterrà un po’, non ho letto
il libro, ma, in ogni caso, mi pare che l’articolo stesso ponga comunque
sul tavolo dei temi non certo privi d’interesse. Anche di questi ultimi,
tuttavia, si farà qui un’inevitabile cernita, focalizzandosi soltanto su
alcuni, e la cosa è inevitabile qui. Per esempio, su Burckhardt, dove le
osservazioni di Calasso sono molto giuste: è infatti assai significativo che quei passi, da lui segnalati, siano stati
espunti. Ci sarebbe da dire, però si andrebbe troppo oltre. Ma veniamo a noi.
La tesi iniziale di
Calasso, nella sostanza, riprende
quella alla base de La Rovina di Kasch:
la società, senza più alcun “numinoso” cui poter far riferimento, ha “il culto
di se stessa”, e questo è verissimo. Per Calasso, in ogni caso, è il
“numinoso”, per così dire comunque presente (quali che siano le condizioni interne alla e della società), è il
numinoso che sconquassa il mondo con la sua domanda inevasa: di qui, tante
guerre di religione senza però “alcun dio” a combattersi, non dunque “lotta nei
cieli”, ma solo sulla Terra, tra i “simulacri degli dèi”.
Invece, a mio avviso, pur essendo quanto sostenuto da Calasso vero, è la debolezza strutturale di quest’autoreferenzialità il nodo vero, pesante, scorsoio, e non solo perché quel che Calasso chiama il “sollievo psichico”, dato radicalmente dalla società secolarizzata non può essere che temporaneo. Non è soltanto questo, ma è invece proprio la debolezza della struttura portante, dovuta sostanzialmente alla super prevalenza del diritto privato e dell’ottica privatistica su ogni altra ottica, che si sta manifestando sempre più evidentemente. Insomma, è “l’autoreferenzialità radicale”, che è caratteristica della società contemporanea, società che trascolora inevitabilmente nella sua contrazione su ed in se stessa, e di conseguenza nel suo inevitabile collasso su se stessa. Si definisce collasso quel cedimento della struttura portante di qualcosa, nel nostro caso, cedimento della struttura portante della società.
Invece, a mio avviso, pur essendo quanto sostenuto da Calasso vero, è la debolezza strutturale di quest’autoreferenzialità il nodo vero, pesante, scorsoio, e non solo perché quel che Calasso chiama il “sollievo psichico”, dato radicalmente dalla società secolarizzata non può essere che temporaneo. Non è soltanto questo, ma è invece proprio la debolezza della struttura portante, dovuta sostanzialmente alla super prevalenza del diritto privato e dell’ottica privatistica su ogni altra ottica, che si sta manifestando sempre più evidentemente. Insomma, è “l’autoreferenzialità radicale”, che è caratteristica della società contemporanea, società che trascolora inevitabilmente nella sua contrazione su ed in se stessa, e di conseguenza nel suo inevitabile collasso su se stessa. Si definisce collasso quel cedimento della struttura portante di qualcosa, nel nostro caso, cedimento della struttura portante della società.
Tale fase, va detto con
chiarezza, segue ad una fase precedente, di “coalescenza”, fenomeno nel quale
accade che particelle di un liquido, disperse nell’aria, si uniscano per
formare brevi, passeggere entità relativamente più grandi, ma sempre, comunque,
disperse in un mezzo.
In altre parole, fase nella
quale si è verificato una sorta di “pompaggio”, di “bolla” non solo economica, ma pure mentale,
di opinioni e di modi di vivere, di pensare, tutti dovuti proprio alla cosiddetta globalizzazione. Le due fasi,
e non certo per caso, si ricollegano,
necessariamente, s’implicano reciprocamente
tra di loro, pur se, in apparenza, possano sembrare
contrarie od opposte.
Per cui, giunti qui, possiamo
così rispondere a Calasso: la società secolarizzata crede solo a se stessa. Vero. Essa è del tutto e radicalmente
autoreferenziale. Anche questo è pur
vero.
Ma ci crede ancora? Questo bluff della società secolarizzata sembra essere minato alla radice.
Ma ci crede ancora? Questo bluff della società secolarizzata sembra essere minato alla radice.
Non più, dunque, crede
in se stessa, o, per lo meno, non con la stessa forza, senza il trasporto,
senza sogno che non sia una costruzione virtuale, un simulacro; insomma: c’ha
creduto, sì, ma ora non
più. La società secolarizzata, dunque, credeva
in se stessa. Questo “credere” non è più dunque un modello cui tendere, ma è
invece un procedere che si perpetua per inerzia.
Che non implica più alcun credere. Che può “funzionare”, senza che vi sia
bisogno di alcun “credere”. Ma che, poi, è divenuto un “dogma” inespresso, e
per questo inattaccabile, intangibile perché invisibile, un dato di fatto, un
dato cosiddetto di “natura”, pur essendo invece un dato sociale, cioè storico.
Questo fatto – del non più credere “in se stessa”, ma del perdurare
in questo stato indefinitamente, per inerzia
– è, a sua volta, avvenuto per molte
cause, ma una è stata quella implosiva
– non esplosiva –: la
proliferazione di regole reciprocamente in contraddizione, che sanzionano, ma
che, tuttavia, non sono sanzionabili; manca – in questa congerie confusa di
norme tra loro escludentisi –, di un principio
comune.
E se manca questo
principio comune, ciò accade proprio a causa del fatto che la società secolarizzata
non riconosce alcun valore fondante che non sia “situazionale”, vale a dire che
sia una mera regola di
funzionamento, e non un qualcosa che faccia riferimento ad una sostanza “non umana” (apaurusheya)
di un qualsiasi genere – sulla cui natura nemmeno mi metto a discutere
perché qui non è la natura in questione, ma il suo semplice, mero darsi –; e, a sua volta, questo mero
fatto è una semplice conseguenza
dell’anti-utopia alla base, alla radice, della scienza-tecnica
moderna: la manipolazione totale,
che, in tedesco, si può dire con due
parole: Die Totale Verarbeitung, che
vuol dire manipolare nel senso di elaborare,
sì nel senso elettronico, e questo è molto
calzante;
ma si può usare questo stesso termine anche
in relazione al petrolio (Erdöl, di genere neutro), altra cosa significativa non poco. Ma
in tedesco si può dire “manipolazione” con un
altro termine: Machenschaft, femminile
anch’esso, che, tuttavia, significa soprattutto “manipolazione” come intrigo, in una parola: il famoso complotto.
Dunque, “Verarbeitung” è la manipolazione di un qualcosa di dato, di una sostanza o di data elettronici, mentre il termine di “Machenschaft”
si riferisce al manipolare gli uomini.
Come sempre, se il
tedesco è molto più preciso, l’italiano è caratteristicamente
ambiguo, per cui lo stesso termine
si usa per la manipolazione di sostanze,
come per la manipolazione di persone,
cosa che si distingue, invece, in
tedesco in modo chiaro.
Di conseguenza: Die Totale Verarbeitung ist Die Totale
Machenschaft. Vale a dire, in italiano: “La manipolazione totale è l’intrigo totale”. Messa in altri
termini, ancor più chiari: La manipolazione
totale è il complotto totale.
Noi ci viviamo dentro
in questo “qualcosa” qui, ed è fondamentale non
cadere nella trappola di considerare questa costruzione, quest’emulsione,
come “natura”, come uno stato naturale. Parlando poco tempo fa con amico che se
n’intende di elettronica sui nuovi mezzi, ho sunteggiato il punto con una
battuta: Hitler doveva mandare la Gestapo ad acchiapparmi, invece oggi sono io
stesso che dico al sistema dove sto e che percorsi ho fatto. Tramite il
telefonino si può, infatti, sapere dove sto e pure che percorsi abbia fatto sin
ora. Il sistema “Safety Tutor” delle autostrade può memorizzare tutte le targhe
che siano passate sotto uno dei suoi archi elettronici metallici. E questo è
ancor niente, rispetto a quanto è già possibile.
Tutto questo i famosi “cantori
della democrazia” e della “libertà” individuale di altri tempi l’avrebbero
denunciato scendendo nelle piazze,
avrebbero protestato contro il totalitarismo, detto “fascismo” o “comunismo” a
seconda dei gusti, ma sarebbero stati concordi nel denunciare tutto ciò opponendocisi
con tutte le loro forze. Oggi:
silenzio tombale, anzi, proprio i “cantori della democrazia” e delle “libertà”
individuali stan qui a spiegarci che è tutto per il nostro bene, per la nostra
sicurezza. Se non si è consapevole di tali cose, si rischia davvero di
fare solo chiacchiere[3]
(ed è chiaro che, qui, non mi riferisco al libro di Calasso, ma si parla in generale, su certe “denunce” sulla “libertà”,
denunce che, tuttavia, non essendo
consapevoli della deriva in atto da decenni, approdano poi al nulla di fatto).
Non vi è nulla di dato,
si postula in base alla pratica – non
è una teoria – della “manipolazione totale”, ed ovviamente tale postulato è tanto non razionale quanto il postulato
contrario; tutto è positum, vi si
sostiene, di fatto eh, non è una teoria. Tale pratica, in una prima fase, si è
sviluppata per mezzo di organismi collettivi ed al loro interno; nella seconda fase, poi, per mezzo di “gruppi”
d’individui, e, infine, anche per mezzo di singoli
individui.
Tutto è positum da
un soggetto, collettivo prima,
di gruppo poi, singolo per finire.
La conseguenza è il disordine
globale, inevitabile, oltre che strutturale. In tal senso, la nostra è tutto
fuorché un’età di decadenza, con
la “saggezza”, che “guarda
dall’alto”, caratteristica di tali epoche, saggezza che anche Calasso non riesce a riconoscere, nel “nostro”
mondo attuale: non ve n’è, infatti.
Questo perché, in realtà, non
trattasi di decadenza, ma di un processo
di dissoluzione, dissolutio, che è qualcosa
di ben altro, rispetto al processo
della mera decadenza.
Questi temi sono riassunti in un passo, tratto da un libro
ripubblicato più di dieci anni fa (nel 2003),
ma che qui si riporterà nella vecchia edizione.
La data della
pubblicazione della vecchia edizione
la dice lunga sulla profondissima radice di queste cose; per tornare
all’osservazione fatta in nota nel post precedente, e cioè che non si son fatti, davvero, i “conti” col
pensiero negativo, che si è creduto, Cacciari tra gli altri, di poter superare
per passare, poi, ad una fase positiva, senza
però aver esaurito quei conti. Accade, non casualmente, che quei nodi rimangano
lì.
E che si ripresentino, con un bel conticino, piuttosto ben salatino …
“Stati di crisi si possono soltanto eliminare, non refutare. E’ stolto voler
refutare il nichilismo. Soltanto ingenui o opportunisti si assumono questo
compito. […]
Non
conosco un testo che descriva più incisivamente
lo stato di crisi del nichilismo
della seguente ‘favola didascalica’ che tolgo da una molossica ‘Introduzione ai
problemi del nichilismo’. ‘Una nave gigantesca attraversa la costellazione di
Orione, ha le luci schermate, non è
voluta da nessun Dio, ma nemmeno non
voluta; non è accompagnata da nessun
Dio, ma nemmeno ostacolata –
diciamo pure: non è nota a nessun Dio.
Nemmeno noi sappiamo di dove viene,
ammesso che venga da qualche parte; verso quale meta si diriga, ammesso che si
diriga verso qualche meta. Ci sono svariati motivi che inducono a pensare che
sia superfluo nominare la nave,
perché, presto o tardi, si sarà dissolta
nelle tenebre, come tutte le sue simili, e dunque sarà stata soltanto come se non fosse mai stata. Tuttavia – e ciò che è l’ unica cosa della nave che ci è nota con sicurezza – tuttavia le pareti
delle cabine sono tappezzate di regole
che costituiscono l’ordinamento di bordo, cioè di regole che sono state sanzionate
da qualcuno che a sua volta non è stato sanzionato; ma non si può negare che sono queste regole
a permettere che a bordo la vita brulicante si svolga assolutamente senza
intoppi. Si domanda: Queste regole sono
vincolanti?’”[4].
No
che non lo sono … Ah, che la vita “sulla nave” si
svolga “senza intoppi” è oggi tutt’altro che vero, ed è del tutto falso. Ma ciò nasce proprio dal fatto
che le regole non sono vincolanti. Né
possono esserlo, lo sarebbero se e solo
se ci fosse un “valore” superiore cui far riferimento, e se tale valore fosse riconosciuto
socialmente: mancano ambedue le
condizioni. Ed è questa, per l’appunto, la “caduta senza rumore”[5],
processo nel quale siamo dentro.
Una nave ignota ad
alcun Dio, in una parola, non può che perdersi. Vero che “il Dio” può anche
ostacolare, vero, ma, come diceva
Thoreau, “non si guadagna mai qualcosa senza perder qualcos’altro” …
Andrea A.
Ianniello
PS.
Sulla Germania del ’33 (1933, ovvio).
Infatti, ricordiamoci
come può accadere il cosiddetto –
cosiddetto … – “impensabile”: “‘Se dichiarerò guerra, Forster, allora nel bel
mezzo della pace farò comparire a Parigi delle truppe. Indosseranno uniformi
francesi. Marceranno in pieno giorno per le strade. Tutto è pronto fino
all’ultimo particolare. Marceranno fino al quartier generale del comando
supremo. Occuperanno i ministeri, il parlamento. Nel giro di pochi minuti la
Francia, la Polonia, l’Austria, la Cecoslovacchia verranno private dei loro
uomini guida. Un esercito senza stato maggiore. Tutti i capi politici saranno
eliminati. Regnerà una confusione senza
precedenti. Ma io mi sarò messo già da tempo in contatto con gli uomini che
formeranno il nuovo governo. Un governo che andrà bene a me. Troveremo questi uomini,
li troveremo in ogni paese: spinti ed accecati dall’ambizione, dalle liti di
partito e dalla presunzione. Avremo un
trattato di pace, prima che scoppi la
guerra.
Ve
lo garantisco io [e,
senza offesa per nessuno, era esattamente nella posizione di poter garantirlo, in quanto
poi almeno in parte l’ha fatto: voglio dire che non erano mere parole o minacce nel
vuoto; nota mia], signori, che l’impossibile
si avvera sempre. L’improbabile è la
cosa più sicura. Avremo volontari a sufficienza, uomini come le nostra SA,
silenziose e pronte al sacrificio. In tempi di pace porteremo i nostri uomini al di là del confine.
Gradualmente,
nessuno vedrà in loro nient’altro che
pacifici viaggiatori. Oggi,
signori, non ci credete. Ma lo farò, una mossa dopo l’altra. […] Nessuna
linea Maginot ce lo impedirà. La nostra strategia,
Forster, consiste nel distruggere il
nemico dall’interno, fare in modo che
venga sconfitto da se stesso”[6].
Ovvio che la cosa poi non si è
verificata nei termini letterali
delle confidenze ricevute da Rauschning prima
del Secondo Conflitto Mondiale, e, però,
si è verificata.
[1]
Cf. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/07/linnominaile-attuale-da-la-rovina-di.html;
anche cf.:
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/la-legittimita.html,
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/arcana-imperii-atque-legitimitas.html,
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/12/la-rovina-del-cash.html.
[2]
Cf. R. Calasso, La Rovina di
Kasch, Adelphi Edizioni, Milano 1983,
qualche annetto fa, o – come diceva qualcuno in vena di facezie – qualche “nanetto”
fa.
[4]
G. Anders, L’uomo è antiquato, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 314-315, corsivi miei.
[6]
H. Rauschning, Colloqui con Hitler, Tre Editori, Roma
1996, pp. 11-12, corsivi miei. Ancora diceva: “‘Quando il nemico è
demoralizzato, quando è prossimo alla rivoluzione, quando i disordini sociali incombono, allora è giunta l’ ora’”,
ivi, p. 14, corsivi miei. Rauschning
è stato molto criticato, nulla vieta però che vi siano anche delle “confidenze”
reali di Hitler a Rauschning.