“Il ‘fuoco greco’ era
l’arma segreta dell’Impero Bizantino. Molto prima dell’invenzione della polvere
da sparo, il ‘fuoco greco’ permetteva alle navi bizantine di lanciare per mezzo
di lunghi tubi a sifone delle micidiali palle infuocate contro le navi nemiche.
Questi proiettili di fuoco non si spegnevano a contatto con l’acqua e perciò
vennero usati quasi esclusivamente nelle battaglie di mare. Il ‘fuoco greco’,
inventato nel 672 dopo Cristo da un ingegnere siriaco di nome Callimaco,
permise alla flotta bizantina di conquistare e conservare il dominio del
Mediterraneo per più di cinque secoli, dal 673 quando venne usato per la prima
volta dall’Imperatore Costantino
Pogonato contro la flotta araba, fino al 1221 quando i Mussulmani riuscirono
a impossessarsi del segreto di fabbricazione e lo usarono a loro volta contro
le navi dei Cristiani. Per cinque secoli si scatenarono intorno a questo
segreto le spie dei popoli nemici di Bisanzio, ma anche quelle degli alleati. La
formula venne custodita gelosamente, protetta da disposizioni severissime, per
cui anche i cronisti di quei secoli, ad eccezione di Anna Comnena nella Alessiade, fanno solo rari e brevi cenni
a quest’arma micidiale. Forse mai nella storia un segreto militare venne
conservato così a lungo come quello del ‘fuoco greco’ la cui composizione, nota
allora solo all’Imperatore e alle poche persone addette alla fabbricazione, non
è stata tramandata ai posteri”[1].
“Il nuovo Imperatore
sposò Teodora, figlia di Costantino VII e zia dei giovani Basilio e Costantino
Porfirogeniti, di cui divenne il tutore. Uno dei primi gesti di Zimisce
Imperatore, in cambio della solenne incoronazione nella Cattedrale di Santa
Sofia, fu la revoca delle leggi che limitavano le proprietà monastiche. Zimisce
concluse alcune campagne di guerra vittoriose. Combatté e sconfisse l’esercito
bulgaro di Svyatoslav in sanguinose battaglie di terra e lo annientò
definitivamente sulle rive del fiume Danubio usando, come aveva visto fare da
Niceforo Foca, i micidiali proiettili del fuoco greco.
Combatté
vittoriosamente anche in Siria e Terrasanta vincendo i Saraceni e stabilendo in
vaste regioni la sovranità dei Bizantini. Nonostante le frequenti aggressioni
dei barbari riuscì a conservare, e in qualche regione a estendere, i confini
dell’Impero senza ricorrere a nuove imposte, ma piuttosto cercando di favorire
i commerci e l’alleanza con Veneziani e Genovesi. Ristabilì buoni rapporti con
l’Occidente concedendo come sposa a Ottone II [Sassonia 955 ca. – Roma 953] una
propria cugina, bionda di capelli e con gli occhi eri come i suoi. Fu insomma,
dopo essere salito al Trono con la frode e la violenza, un forte e abile
Imperatore”[2]. La qual
cosa – questa “duplicità” – non era per nulla infrequente nella storia
bizantina.
“Di Zimisce Imperatore
ci sono state tramandate le vittoriose imprese militari, le leggi contro le
dogane commerciali e gli atti diplomatici che sancivano la pacificazione con
l’Occidente, ma solo poche parole sono rimaste di lui nella memoria dei
posteri.
A chi gli proponeva di
ripristinare i banchetti filosofici rispose che non basta pensare, bisogna
anche respirare.
E aggiunse che sono pericolosi i pensatori che nella vita
non hanno respirato abbastanza.
Il suo primo e forse
unico discorso Zimisce volle tenerlo, qualche settimana dopo l’incoronazione,
nella Sala del Triclinio di fronte a tutte le Alte Gerarchie dell’Impero. Il
Preposto dei Sacri Palazzi avrebbe preferito che la cerimonia avvenisse secondo
la tradizione nella Sala del Trono, ma aveva accolto senza scomporsi la scelta
di Zimisce e con ogni cura aveva predisposto tutto l’apparato inaugurale nella
Sala del Triclinio.
Gli invitati
parteciparono all’evento con l’emozione
che unisce i sopravvissuti a una bufera. Nella Sala erano convenute,
insieme alle Autorità della Corte, anche le Dame del Gineceo che avevano
approfittato di questa occasione per sfoggiare le loro sete, i loro gioielli,
le loro fantastiche acconciature. I rappresentanti di tutti gli Ordini avevano
occupato i seggi assegnati dal Preposto secondo un rigoroso ordine gerarchico e
i Domestici, in funzione di Guardia d’Onore, si erano schierati dotto il palco
dal quale Zimisce avrebbe tenuto il discorso che inaugurava ufficialmente il
suo Governo.
Finalmente il suono
fragoroso della simandra aveva annunciato l’arrivo dell’Imperatore e i
Silenziari avevano agitato le loro verghe d’oro per imporre il silenzio nella
Sala. Sennonché una mano ignota aveva strappato i sottili fili di seta che ne
avevano corretto l’acustica al tempo di Costantino VII. Zimisce pronunciò il
suo discorso senza dar segni di turbamento nonostante la confusione delle
parole che rimbalzavano contro le colonne e le pareti di marmo e si
diffondevano nella Sala trasformate in suoni disumani. Accompagnò anzi con
qualche gesto vigoroso del braccio i momenti culminanti di quel vano eloquio
corrotto dagli echi e dalle risonanze. Gli uomini della Corte e le Dame del
Gineceo, dopo qualche momento di sconcerto, seguirono il discorso con viva
attenzione e in reverente silenzio, ma senza capire nulla”[3].
Andrea A.
Ianniello
[1]
L. Malerba, Il Fuoco greco, Mondadori Editore, Milano 1990, p. 3, corsivo in originale. Si vede come questo libro appena
citato è di molti anni fa: usa troppo spesso le maiuscole … Di seguito, scrive “senonché” invece di
“sennonché”, con due “n”, come si fa oggi …
[2]
Ivi, pp. 251-252.
[3]
Ivi, pp. 252-253, corsivi miei. Il
potere – un tempo – era anche
silenzio, l’aura di “sacertà”che ammantava la “sovranità”. Sul potere, cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/05/shi-il-poterecircostanze-dallintro-di.html.
Sulla sovranità “occidentale”, cf. E.
H. Kantorowicz, I due corpi del Re, Einaudi editore,
Torino 2012; e J. Taubes, La teologia politica di San Paolo, Adelphi
Edizioni, Milano 1997 (comprata
usata pochi giorni fa, con tanto di sottolineature …). Tra l’altro, vi è un
passo su Lenin: “Esiste un libro di Hugo Fischer, nato come monografia su
Lenin, che nel Biedermeier [movimento romantico della prima metà del XIX
secolo, poi, di seguito, inteso in senso deteriore, come un romanticismo delle
svenevolezze, di sentimentalismi ed idilli, un’estetica piccolo borghese
insomma; nota mia] del secondo dopoguerra ha preso il titolo di Wer sind die Herren der Welt [Chi sono i
signori del mondo?]”, ivi, p. 154,
corsivi in originale. Due libro diversissimi,
convergenti, però, sul tema della sovranità, che sta al centro di un dialogo su
questo blog, cf.
Il primo autore,
Kantorowicz, interessa direttamente questo blog, in quanto fu autore di una
celebrata, ma talvolta mal intesa, famosa biografia di Federico II, cf. E. H. Kantorowicz, Federico
II, imperatore, Garzanti Editore, Milano 1981.
Il discorso su
Taubes ci porterebbe lontano, basti
dire, però, che, se alcune sue osservazioni son giuste (per es., quando
comprende bene che Paolo si opponeva a Mosè o come interpreta il Napoleone di
Hegel), altre del tutto errate o cose ben
note (come il fatto che Paolo si opponesse al culto imperiale, non però all’ “imperatore”
ed aver pensato quest’errore porta Taubes a commettere altri). Quel che conta –
spazio per approfondimenti eventuali
ce lo lasciamo avanti, se del caso
– è che la sua posizione si poneva “dialetticamente” di fronte a quella di C.
Schmitt e, dunque, della teologia politica”. Di quest’ultima, Taubes accettava
l’idea che l’uomo “La posizione di Schmitt […], legata anzitutto al concetto di
teologia politica, corrisponde al tipo della ‘rappresentazione’. A suo giudizio
non vi è alcuna categoria ‘immanente’ [la democrazia, la “volontà” popolare, il
“partito”, ecc., ecc.; nota mia] in grado di legittimare un qualsiasi
ordinamento politico. Su questo Schmitt e Taubes (nonché il Paolo presentatoci
da Tubes) sembrano d’accordo. Ma mentre Taubes (e Paolo) giungono alla
conclusione che non vi è alcun ordinamento politico rappresentativo legittimo (solo
legale) – ecco il punto di vista della ‘teologia politica negativa’ [quella di
Paolo, secondo Taubes; nota mia] –, Schmitt non abbandona il postulato di un
ordinamento politico rappresentativo legittimato dalla sovranità di Dio che esso rende visibile. Solo la verità, rivelatasi come volontà di Dio, è in grado di fondare che pretende di essere rispettata
[e il cristiano Imperium questo è,
nota mia]. E’ dunque possibile identificare
il concetto di teologia politica con il postulato di questa rappresentazione, come ha fatto Eric Peterson
nel famoso saggio”, Postfazione di W.-D. Hartwich,
A. e J. Assmann in J. Taubes, La teologia politica di San Paolo, cit. p. 229, corsivi miei. Il discorso
sarebbe davvero lungo, e, al momento, non vedo alcuna istituzione sulla Terra –
oggi, realisticamente – che possa consentire una discussione, vera, su questi
tempi, peraltro decisivi. E spieghiamo
perché siano decisivi: quel che
Taubes non può spiegare è Costantino, e cioè che cosa cambia – e può farlo perché già presente in nuce
in Paolo – dalla “teologia politica
negativa” a quella “positiva” esplicitata da Schmitt. Questo è rilevante, perché oggi, venendo da una
lunga fase di “secolarizzazione” di quella teologia politica – della quale
Federico II è stato un grande rappresentante,
ed ecco spiegato perché ho citato il libro di Kantorowicz, non certo per caso –, noi siamo giunti
allo smembramento della sovranità nell’attuale crisi esiziale della
rappresentanza, anche nella sua versione “secolarizzata”. Non stupisce, dunque, che questi temi oggi non abbiano alcuna
cittadinanza – mo’ ce vo’ ‘sta parola … – in alcuna istituzione sulla faccia
della Terra, oggi: se mai segno dell’
“esizialità” della crisi attuale si volesse cercare, questo sarebbe il più
grande. Questo perché attesta quella che chiamo crisi “al buio”, senza visione,
cioè totale: acido sulla carne viva, senza mediazioni di sorta. Ma pure
senza consapevolezza, però.
Per fare solo un’ultima
osservazione finale, su temi che ci porterebbero molto lontano, troppo
lontano, non è nemmeno un caso che Schmitt sia stato nazista, e cioè un
tentativo – del tutto distorto, è vero – di “rivendicare” la sovranità, in un mondo in
cui essa stava lentamente svanendo (era molto tempo fa, oggi essa sovranità è
quasi svanita, in eclissi come l’ultima
eclissi di pochi giorni fa, significativamente negli usa). Ora però, in
relazione al nazismo, Canetti, nell’ultimo libro di quest’anno – citato in un
post precedente – non riesce a comprendere la differenza tra i massacri
indiscriminati dell’inizio della campagna all’est e quelli “scientifici”dell’Olocausto:
questi ultimi non si spiegano con la sua teoria del “cacciatore” e del “sopravvissuto”
(in Massa e potere, teoria cui
accenna nel suo ultimo libro di citazioni e commenti). Significativo, a tal
proposito, che il nome Hitler, pur presente in almeno un passo, cf. E, Canetti,
Il libro contro la morte, Adelphi
Edizioni, Milano 2017, p. 299, se vai a vedere nell’Indice dei nomi per le
lettera “H”, non lo trovi, cf. ivi,
p. 399. Esempio classico di “rimozione”,
ma pure d’ incomprensione dell’Olocausto
“atto sacrificale diabolico” e non mero “rilascio” della “libidine di uccidere”
contro cui tanto si scaglia Canetti, e che, senza dubbio, esiste per davvero nell’uomo, ma che non può spiegare l’Olocausto. Ma in tale
incomprensione Canetti non è affatto solo, anzi, è in grandissima compagnia, e
non da ieri, già nell’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Sia detto en passant, uno solo capì davvero chi fosse Hitler: Churchill, e poté
farlo perché aveva accesso ad informazioni “classificate” o particolari, parte delle quali è stata resa pubblica in
seguito. Forse Canetti avrebbe fatto meglio a studiarsi Taubes, autore non presente
fra quelli da lui citati nel libro appena riportato, o anche Schmitt, che però
avrebbe probabilmente odiato …
Tornando a noi, il
“nodo” della sovranità e della sua eclissi rimane intoccato nel mondo contemporaneo, e questo è grave, perché non ci
consente di entrare in medias res, e
ci fa continuamente girare in tondo,
in pazzi giri inconcludenti. Ma tant’è,
questa è la scena contemporanea.