L’interpretazione
del “Giorno del Signore” (Ap. 1, vs. 9) come della
domenica, è ampiamente riduttiva, ma diffusissima tra gli
interpreti.
Ho
controllato i seguenti tre testi: G. Biguzzi, Gli splendori di
Patmos. Commento breve all’Apocalisse,
Paoline Editoriale Libri, Milano 2007; Apocalisse di
Giovanni, Introduzione, traduzione e commento di D. Tripaldi,
Carocci editore, Roma 2012; Tripaldi, pur essendo autore di una buona
traduzione, davvero letterale, del testo, segue sostanzialmente
Biguzzi; infine, last but not least, S. Grasso, Apocalisse,
Città Nuova Editrice, Roma 2011. Riguardo al primo problema, quello
del “Giorno del Signore”, tutti interpretano la locuzione
“kyriakè êmèra” come afferente alla domenica,
che è un “rimpicciolimento” palese, sul quale non
mi diffondo perché chiaro ed evidente.
Le
altre due interpretazioni sono: il Giorno di Pasqua, altamente
possibile – il che aprirebbe all’interpretazione dell’
Apocalisse di Giovanni come di una sorta di “liturgia”
cosmica – e poi l’interpretazione di detto “Giorno” (“êmèra”)
come del Giorno del Giudizio, anch’essa possibile.
Sulla
incompatibilità fra il Giovanni del Vangelo e quello dell’
Apocalisse, non mi diffondo perché, per chi ha letto il testo
greco, molto sgrammaticato rispetto al bel greco (anche
se della koinè) del Vangelo secondo Giovanni, la cosa
risulta semplicemente chiara ed evidente. Il Vangelo secondo
Giovanni è anche bello a
leggersi in lingua originale, il greco dell’ Apocalisse,
invece, è davvero ostico
pur essendo ambedue greco della koinè,
dunque pieno di “semitismi”, argomentano gli studiosi.
–
Passiamo
al secondo problema, quello dei 144.000.
Veniamo
a Biguzzi
(sempre il testo qui sopra citato, lo
stesso
dicasi per Tripaldi e per Grasso):
per lui sono, indeterminatamente, i “cristiani”, e, in relazione
ad Ap.
14,1-5, quelli che “non si sono maculati di idolatria”, il
“sommo” peccato, dunque non il non aver carità, paolinamente ma
l’idolatria, e siamo in pieno Antico Testamento.
Biguzzi
apre qua e là all’idea
che i 12 al quadrato per mille siano un gruppo speciale all’interno
comunque dei cristiani, cristiani giudaizzanti, come abbiam visto
però, ma non v’insiste in particolare.
In
linea generale, Biguzzi dà poca importanza ai numeri, in linea
conla sua esegesi minimizzante.
–
Biguzzi
non
afferma esplicitamente la
“differenza qualitativa” dei 144.000,
salvo un accenno, dove per lui tutti i “credenti” vanno al di là
dei famosi simbolici dodici al quadrato per mille, che sono un gruppo
all’interno. Si
tratta
di una
cosa da lui accennata solo “en
passant”
nel suo
Commento.
E
lo stesso è solo un cenno fugace nel suo libro al passo Ap.
7, 4-8 dice che i 144.000 sono i credenti in gesù, punto e basta.
Al
passo di
commento di Ap.
14, 3-4 invece lascia intendere che i 144.000 abbiano un qualifica in
più, ma
niente
di più di
questi accenni.
–
Allora
ho avuto modo di controllare anche
D.
Tripaldi, poco
tempo, ma è bastato: ha **esattamente** la stessa posizione di
Biguzzi, al cap. 7, ed
anche
al commento
cap.
14 la
pensa come
Biguzzi; tra
l’altro, Tripaldi
cita, in Bibliografia,
tutti i libri di
Biguzzi.
Quindi
nulla di nuovo. Nihil
sub sole novum.
–
Dunque
veniamo, “dulcis
in fundo”,
a Santi Grasso. Si è visto che Grasso stesso “glissa” sulla
questio del “Dì del Signore” (“kyriakè
êmèra”),
ma sui 12 al quadrato per milla non
lo fa. A
testimonianza di un esegeta “puro”, che ama confrontarsi col
testo tout
court,
senz’ambagi né giochi di parole.
Dopo
aver chiarito che la numerologia nell’ “Ap.”
de Giovanni è qualitativa
e non
quantitativa, Grasso esamina la questione (il cap. VII), cui dedica
tutto un capitoletto (pp. 88-93).
In
particolare le pp. 92-93, e **riconosce** che il gruppo dei 144.000 è
un gruppo privilegiato.
Esso
dunque non può in alcun modo essere equiparato ai “credenti”
semplici o ai cristiani senza nessun’altra qualificazione
aggiuntiva.
Scopo
vero
della storia – nell’
Apocalisse
–
è quello
di “accumulare” questi 144.000: quando saranno compiuti
(terminati, raccolti tutti), la storia terminerà.
Riprende
il concetto nell’esaminare il cap. XIV, commentato dalla p. 144
alla p. 151.
A
p. 144, manco a farlo apposta...., ribadisce che è un gruppo
“speciale”, “eletto”, “scelto” cioè.
A
p. 145 sottolinea che sono “vergini”, e dice a chiare parole che
l’ottica è quella maschilistica, si direbbe oggi, ebraica del
tempo.
Più
volte, infatti, Grasso ha sottolineato
gli aspetti veterotestamentari, senz’alcun
dubbio
presenti
nell’ “Ap.”
di Giovanni.
A
p. 146 Grasso cita sia delle scritture di Qumràn, sia il “Documento
di Damasco”
della Genizah cairota, e sia il “Libro
di Henoch”,
evidentemente ben
noto
all’autore dell’ “Ap.”,
a proposito del fatto che, mentre i 144.000 “élite”
si ”astengono da donna”, gli angeli “caduti” di Henoch (e di
Gen.
6) invece non l’hanno fatto.
Per
riassumere: per Grasso i 144.000 sono un gruppo speciale,
non sono
meramente
i credenti, che son la moltuitudine indeterminata,
la
quale
riconosce che nella storia vi è un fine divino.
Ma
questi ultimi – che
riconoscono che c’è un “fine divino”, che non
conosconono -
**non sono** i compagni dell’Agnello né stanno al cospetto di Dio.
Importante
differenza, che nota chiunque legga l’ “Ap.”
di G. senza paraocchi o pregiudizi.
"Ma questi ultimi – che riconoscono che c’è un “fine divino”, che non conosconono - **non sono** i compagni dell’Agnello né stanno al cospetto di Dio."
RispondiEliminaIntendi dire che i 144.000 di Ap 7 sono diversi dai 144.000 di Ap 14, oppure che il passo di Ap 14 si riferisce a "processo compiuto", e che quindi durante la fase di "accumulo" questi non saranno al cospetto di Dio (cosa effettivamente chiara)?
L'"accumulo" dei 144.000 come è collegato alle sfide di questo tempo? Mi sembrerebbe qualcosa di particolarmente centrale.
Al punto 1, evidentemente parliamo della fase di “accumulo” e, dunque, al momento i **symbolici** - simbolici … - “144.000”, non son “ancora”, per quel che possiamo dirne **ora**, “al cospetto” del’Altissimo.
RispondiEliminaMa pure l’altra interpretazione “non è campata per aria”, come suol dirsi, anche se meno basata sul testo, per lo meno apparentemente (l’ “Ap.” di G. è un testo complesso e scritto in un **pessimo** greco della “koinè”, pieno di “semitismi”; molti interpreti attribuiscono il “Vangelo secondo Giovanni” effettivamente a Giovanni, ma **non** l’ “Apocalisse di Giovanni”, per causa del buon, bel greco del “Vangelo secondo Giovanni” e del pessimo greco dell’ “Apocalisse di Giovanni”; essi dicono: o uno ha scritto l’uno, o ha scritto l’altro, la stessa persona non può scrivere in maniere così opposte, questo essi van sostenendo).
Al punto 2, che invece è **decisivo** e ci riguarda direttamente, perché l’altro punto si riferisce a realtà “dell’ ‘altro’ mondo”, e dunque è ammissibile una certa “indeterminatezza”, e una diversità di vedute tra i vari interpretati è **più** che normale, a quest’importante punto si può rispondere che si ricollega al fatto del “tempo che verrà abbreviato grazie agli ‘eletti’”, di cui si dice in “Mt.” cap. 24, vs. 22 “E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati”.