“CACCIARI
ALLA CATTEDRALE DI CASERTA”
“Non
siate sicuri che il grande disordine non possa
ritornare
in Cina”.
(M.
Sotgiu, La coda del
drago. Vita di Deng
Xiaoping,
Baldini&Castoldi 1994, p. 101)
“Segni
connotati in senso escatologico percorrono
anche
l’intero regno di Giustiniano”.
(Da.
M. Meier, Giustiniano,
il Mulino –
Universale
Paperback, 2007, p. 25)
“L’essere vissuta in un mondo in disfacimento
mi aveva fatto capire l’importanza del Princeps”
(Marguerite Yourcenar, Taccuini di Appunti, in:
Memorie di Adriano, Einaudi, Torino 1988, p. 286).
Il 4
ottobre, festa di San Francesco, si è svolta la “lectio
magistralis” di M. Cacciari nella cattedrale di Caserta,
inizio dell’anno accademico del locale Istituto di Scienze
Religiose, con la presentazione di don Nicola Lombardi, rettore
dell’Istituto, del vescovo di Aversa, Msgr. Spinillo, che ha svolto
l’introduzione all’incontro, e la conclusione, “a braccio”,
svolta dal vescovo emerito di Caserta, Msgr. Raffaele Nogaro. Il
momento non poteva essere più significativo, sia per la ricorrenza,
S. Francesco protettore d’Italia, sia per i noti eventi del giorno
prima. Dopo il minuto di silenzio per i fatti del giorno prima,
Spinillo inizia nella sua breve introduzione, dove sostanzialmente
sostiene la visione “classica” ecclesiale del tema, per cui il
“tempo apocalittico” - che è il tema della conferenza di
Cacciari – è in ogni momento tale, è ogni tempo della vita e
della Chiesa, così come è il tempo di ogni vera ricerca
della verità, ovvero ciò che cerca il filosofo. Il tempo
apocalittico è il “tempo forte”, delle scelte, e dell’incontro
con Cristo, concetto ribadito dallo stesso Nogaro al termine
dell’incontro, dove Nogaro si è anche spinto su considerazioni su
temi spinosi come il dolore nella storia e la potenza della
preghiera, come la relazione con Dio e la visione finale che prende
la forma della “morte”, ovvero l’incontro “definitivo”, la
nostra “piccola apocalisse”, il nostro disvelamento finale
personale.
Cacciari
si ritrova sostanzialmente nella visione classica del “tempo
apocalittico”, espressa da Spinillo, ma v’introduce delle
sfumature ed una visione “laica”. Lo “snodo” cruciale della
visione di Cacciari è la differenza e la consonanza fra le
“apocalissi giudaiche” e quelle “cristiane”: si tratta di un
“genere letterario”, quello apocalittico, caratteristico di una
certa epoca, e che va calato – per il “sitz im
leben” - nella sua epoca: la crisi del giudaismo dei secoli
immediatamente precedenti e seguenti a Gesù; dunque vi è contenuta
anche la tematica del messianismo, dove le due diverse visioni
apocalittiche, quella giudaica e quella cristiana, inevitabilmente
divergeranno, pur partendo da una base comune, da un “sentire”
profondamente consonante. La consonanza sta nella visione del mondo,
nella centralità della “anomìa” ed “apoleìa”,
la dissoluzione e la devastazione, l’esplosione delle
contraddizioni del mondo sociale, termini che pure hanno un ruolo
certamente ben reale, secondo Cacciari, tuttavia parziale. Quel che è
l’essenza è la visione del divenire storico: questo è il punto
decisivo. Nella visione apocalittica vi son due punti
caratterizzanti, sia per quella giudaica, sia per quella cristiana:
1) vi è un fine nella storia, un “tèlos”, e
questo era qualcosa di lontano dalla mentalità cosiddetta “pagana”,
diciamo “ellena”, dei primi secoli prima e dopo Cristo; 2)
la storia, ma proprio tutta la storia, non è altro che
l’esprimersi del demoniaco nell’uomo, è tutta un “peggior
andare”, con la differenza che, sin “dal principio”, vi è una
“dimora” per i “giusti”, nonostante il male dominante,
sconquassante la Terra tutta. Dunque, dice Cacciari, questo
pessimismo di fondo di ribalta in un ottimismo di base. Direbbe
Tolkien, che trattasi di una “eucatastrofe”, un
rivolgimento improvviso sì, ma positivo. Ed allora, ciò che
conta non è più “quando” avviene la “catastrofe buona”,
l’irruzione immediata del Divino nella storia, fatto che pone
termine alla storia stessa (si ponga bene a mente questo fatto), ma
il fatto che “l’Ora” - di cui si dice, con accenti assai
diversi, sia nel Vangelo di Giovanni che nell’ Apocalisse
di Giovanni – è in ogni ora. In pratica, la vera “apocalisse”
è questo rivolgimento interiore che fa sì che tutta la vita la si
veda nell’approssimarsi “all’Ora” ultima, al fine “ultimo”
- “tòn èschaton” – della storia, che è, nel
Cristianesimo, il Cristo, la Parusia.
Rimane da
dire che questo rivolgimento interiore come può divenire un fatto
sociale, collettivo, senza una tensione verso il “fine ultimo”? E
come questo può questo avvenire senza che ci si chieda il “quando”?
Dovremmo gettare secoli di tradizione alle ortiche, assurdo. Pur
considerando non “gesuano” (cioè non detto direttamente da Gesù
ma, quindi, già opera della tradizione)
il passo del “discorso apocalittico” di Mt 24 (e passi
simili della tradizione sinottica), perché, secondo Cacciari, la
stessa questione del “quando” non interessava Gesù, Cacciari,
pur asserendo questo, non considera uno scandalo il chiedersi il
quando. Si tratta per lui di un qualcosa di “accessorio” sì, ma
non illegittimo: il che è un “unicum”, come posizione, in
ambito “laico”, almeno a mia conoscenza. In ambito “laico”
prevale il disinnesco di questo tema, per mezzo della sua condanna
senz’appello con metodi altamente “razionali”: chi si chiede il
“quando” è uno stolto (se questo è “razionale”...). Per
Cacciari, al contrario, la cosa è legittima, ma è accessoria
rispetto al nucleo fondamentale della concezione apocalittica,
che è l’essere “prossimo”, “l’approssimarsi” al vivere
ogni ora come fosse “l’Ora”. Solo questo disinnesca la
contraddizione della visione apocalittica: “alla fine” ci sarà
l’ “apokàlypsis”, che significa non
disastro, ma “dis-velamento”: e ci sarà rivelato il fine
ultimo. Ma se è Cristo questo fine, noi non lo conosciamo già? Come
la mettiamo? Solo l’attenzione all’Ora, la centralità dell’Ora,
secondo Cacciari, riesce a disinnescare la contraddizione e tenere
assieme l’ Apocalisse di Giovanni con il “discorso
apocalittico” di Matteo 24, che si chiede il quando.
Se questa
è la visione apocalittica, la differenza tra l’apocalittica
giudaica e quella cristiana si opera su di un punto decisivo: s’è
già detto del legame forte tra l’apocalittica giudaica e la
figura del Messia. Nelle apocalissi giudaiche il Messia deve ancora
venire, egli non sarà il “disvelamento finale”, ma sarà il suo
annuncio, mentre nel Cristianesimo il Messia è già venuto.
Era semplicemente inevitabile che questo imponesse una
riconsiderazione, anche, se non soprattutto, in ambito apocalittico.
Nota a
margine, rispetto a ciò che dice Cacciari. Se la storia è un male,
allora la storia della Chiesa? Cosa pensarne? Risulta chiaro ed
evidente il potenziale sommovimento che l’ Apocalisse di
Giovanni, ma tutto il genere apocalittico, ha per le autorità
costituite, anche, per non dire soprattutto, per quelle
religiose. Così, non è un caso che gli unici due libri apocalittici
canonici, il Libro di Daniele – Antico Testamento – e l’
Apocalisse di Giovanni – Nuovo Testamento – siano stati
quelli che con più difficoltà sono entrati nel Canone, non senza
lunghe, complicate discussioni, vincendo fortissime resistenze
all’interno della Chiesa cristiana e del Giudaismo, per Daniele.
Riprendiamo
il discorso di Cacciari. Lui dice che – per la mediazione di
Gioacchino da Fiore – tutta la teologia politica moderna (ed il suo
ultimo libro, presentato nel corso della “lectio”, è di
teologia politica in effetti) condivide con la visione apocalittica
l’idea di “tèlos”, il “fine ultimo” della storia,
ma ne è la secolarizzazione: si accoglie il fine ultimo ma lo si
umanizza, non è più l’emersione del Divino nella storia, ma si
mantiene comunque l’idea di un fine. Non più così oggi, dopo la
fine delle grandi narrazioni ideologiche politiche moderne, oggi non
vi è “progresso” ma solo un procedere, senza un fine ben
preciso, e l’ansia del “quando” apocalittico, dice Cacciari,
diventa la mania della previsione a breve, dai sondaggi ad ogni altra
manifestazione di questa mania. Tutto ciò, paradossalmente, segna la
nostra totale incapacità di decidere, il perenne “rimandare” che
è la “cifra”, per nulla nascosta, caratteristica dei nostri
tempi. Questo perché non vi è alcun fine, tutto è in un tempo
dilatato, dove le date non hanno senso: non vi una fine al tempo
radicalmente senza nessun fine. Su questo ha senza dubbio ragione. Eh
beh, ma serve a ben poco lamentarsene: questi i tempi e le genti, cui
non pareva felicità bastevole crogiolarsi nel loro “raggiunto
stato” di supposta perfezione e compiacersi della fine di ogni fine
politico. Poi, è venuto il pagamento, e qualcosa mi dice che non
abbiamo ancora finito di pagare... Nulla in questi anni è stato più
stucchevole, più immondamente superficiale di questa sicumera da
pancia soddisfatta, e del compiacimento generalizzato dello
pseudo-paradiso tecnologicamente realizzato.
Vi è un
punto che Cacciari non tratta: facendo riferimento al Libro di
Daniele, che poi è il riferimento del Giovanni dell’
Apocalisse, ed alle figure della “bestie”, il potere
politico solo umano che è potenzialmente contro Dio – però tale
potere demoniaco ha effettivamente successo nella storia (cosa che,
nella visione apocalittica, conferma che la storia è, in se
stessa, demoniaca: questa è la vera visione apocalittica)
– si vede che il simbolismo è discendente. Dalla
testa d’oro, che è Nabucodonosor, dunque Babilonia (ed è
chiaro che il riferimento, nell’ Apocalisse di Giovanni,
alla Grande Prostituta di Babilonia si rifà direttamente
a Daniele) si giunge all’oggi, dove predomina un misto di
ferro ed argilla: la massima forza e la massima fragilità
presenti assieme, direi che una migliore metafora dello
strapotere ed insieme della totale impotenza ed incapacità di
decisione del nostro mondo “tecnologicamente” realizzato non la
si poteva trovare.
In tutto
ciò, vi è la tematica della teologia politica, che Cacciari tratta
estesamente nel suo libro sul “katèchon”, ciò che
trattiene, secondo l’Apostolo Paolo, l’Anticristo dal mostrarsi
perché l’Anticristo è già presente, “sin dall’inizio”: sin
dalla presenza del Cristo quest’ombra, nascosta, attraversa,
secondo Paolo, tutta la storia umana in se stessa, e sono quelle
“venature” di visione apocalittica che attraversano le Epistole
paoline. Nella storia si sono sprecate le accuse di “anticristo”
a destra e a manca, il Papa dice a Lutero di essere l’Anticristo,
Lutero lo “gratifica” dello stesso aggettivo senza peli sulla
lingua: ed era solo l’inizio dell’abuso di tale termine,
applicato a qualsiasi dittatore o a “chi-non-mi-piace”. Ma se
questo fosse tutto, la storia umana è già demoniaca di per sé, che
bisogno, infatti, vi sarebbe dell’Anticristo allora? Domanda
retorica. Vi è qualcosa d’altro, di qualitativamente
diverso, in tutto questo tema.
Ecco, il
sentire generale dei primi secoli del Cristianesimo sostiene che è
l’Impero – romano – l’ostacolo (il famoso katèchon) al manifestarsi del
potere, ora nascosto ancora, dell’Anticristo. Occorre dunque
“acquistare” l’Impero – che è un “estratto distillato”
del demoniaco della storia umana, con i suoi aruspici, il suo
sacrificio all’ Imperator – per “giocarlo” sul
palcoscenico della storia contro il demoniaco presente sin
dall’inizio, sin dall’inizio, radicalmente, nella storia
umana. Di questo Cacciari non sembra particolarmente consapevole nel
suo ultimo libro: è indubbiamente una contraddizione che ha
attraversato tutta la storia del Cristianesimo; tale contraddizione
appare, in questi ultimi tempi, terminata nel senso che l’assenza
di un fine, di prospettive – di questo, al contrario, Cacciari
appare invece ben consapevole e v’insiste su – rende ogni potere
“imperiale” semplicemente impossibile. In base a quale
fine, infatti, fermare il caos? L’ultimo potere imperiale è stato
la Russia sovietica, perché non si dà potere imperiale senza un
fine superiore che si dice di voler realizzare, per falso che sia.
L’ultimo “gran vecchio” della Cina è stato Deng Xiaoping, e
quindi dopo nessun “impero”, solo tecnocrati: quando scomparve,
taluno disse che con lui era sparito “l’ultimo imperatore”, non
ci sarebbe stato più “uno”, alla fine, a decidere, ma dei
gruppi; ecco la ragione della citazione iniziale. Quanto all’America,
alle presidenze “imperiali” di Bush padre e di R. Reagan e, in
parte, di Clinton, son successe quelle di Bush figlio e di Obama che,
per vie diverse ed anche opposte, non sono per nulla
“imperiali”, totalmente incapaci come sono di combattere il
“piccolo caos” della storia.
Non vi è
più alcun impero, oggi, nonostante quel che ne pensino taluni; forse
vi è imperialismo, ma non più “imperium” nel senso di
ciò che ferma il caos. Né si sente necessità di impero; se così
fosse, questo sarebbe qualcosa di decisivo. Nessuno si opporrà più
al grande caos, al grande disordine, e non certo solo in Cina, ma nel
mondo, tutto. Decidere sarà sempre più difficile. Trattare i
problemi sempre più esaurirà le energie, senza che alcuna vera
soluzione sia trovata, ed elefanti partoriranno sempre topolini. “La
novità passerà per miracolo”, avrebbe detto un cronista
medioevale. Ma non lo sarà, aggiungeremmo noi, di questo tempo.
Di
piccolo caos in piccolo caos, infine si arriverà al Grande Caos.
Trovo
infine sottovalutato,
da Cacciari, il tema della dissoluzione, che lui dice essere
accessorio al tema apocalittico: non son d’accordo; come trovo
sottovalutato quello del carattere profondamente, irrecuperabilmente
maledetto, ed irreversibilmente discensivo della storia umana,
tutta: ma questi son due anelli fondamentali ed irrinunciabili
della visione apocalittica, che, per questo, non coincide con quella
della “Ecclesia militans” e della “Ecclesia
triumphans”. Di qui tutti i problemi che la storia ci
ricorda riguardo alla concreta accettazione, da parte delle autorità
costituite, sia religiose sia laiche, della visione apocalittica: non
si può espellere questo “datum” dall’equazione
generale.
Rimane
che il nostro è il tempo del rimando definitivo, dove
rimandare ad un domani che mai sorgerà è il tema di un oggi
perenne: in questo “schiacciamento temporale”, è come se i
circuiti cronologici della storia si fossero fusi. Ora, in questo
schiacciamento temporale si deve vedere il profumo dell’Ora?
Domanda complessa, dai molti risvolti e dalle tante conseguenze,
domanda impossibile a rispondersi in due parole.
Ma rimane
questo tema, pressante, del nostro presente e del nostro futuro
prossimo: chi
si opporrà al “Gran Caos” che cresce? Chi si opporrà
all’impossibile decidere? E, soprattutto, come
opporsi, se opporsi ha un senso ancora, se
l’orizzonte-senza-nessun-orizzonte di un presente dilatato senza
fine non debba essere l’unico orizzonte possibile? A me pare che
Cacciari, nel suo libro, più suggerisca di vivere nelle tempeste
artificialmente generate (alla “Truman Show”) tentando di
salvare il salvabile, piuttosto che “cercare” di “opporsi” e
quindi pensare a “come” opporsi. Tuttavia, tutta la tradizione
apocalittica considera questo “opporsi” la sua essenza. Anche qui
vi sarebbe da riflettere.
Anche qui
vi son contraddizioni che attendono scioglimenti e soluzioni, che non
siano dis-soluzioni.
La
visione apocalittica, per non concludere, su temi che richiederebbero
ben altri spazi e tempi, è una visione radicale, tremendamente
radicale. E le chiese, le filosofie, gli stati, non han potuto se non
tentare di disinnescarla, ma permane, sullo sfondo della
storia, quando quest’ultima s’inceppa, a risvegliare gli animi
dei tiepidi.
Note.
Non
sarebbe parte di ciò che si usa chiamare gli “ipsissima
verba Jesu”,
le parole pronunciate da Gesù, lui
même.
Riferimenti.
Si tratta di uno scritto di tre anni fa, “au lendemain”,
al limitare, ai confini, dell’estensione della Grande Crisi l’anno
successivo (2011), in Italia. Interessante riandarci su col pensiero,
alla luce di quest’ultimo intervento di Cacciari stesso. Che cos’è
cambiato? Quali processi si sono acuiti? Temi davvero molto
interessanti.
Forse un po’ troppo lungo, ma vi si
dice: “Verrà un tempo della Verità e Giustizia” ….