venerdì 18 aprile 2025

Più volte condiviso parti di questo passo, Nettuno in Ariete, 4

 

 

 

 

 

Poi Alan-Qoa ammonì così i suoi figli: «Tutti e cinque siete nati da un unico ventre, il mio, e quindi siete simili a quelle cinque frecce. Se agirete e vi affannerete ciascuno solo per sé stesso sarete facilmente spezzati da chiunque come quelle cinque aste.

Ma se invece sarete unanimi e d’accordo, come quelle cinque frecce legate in fascio, come potreste diventare preda di qualcuno?»”.

Storia segreta dei Mongoli, a cura di S. Kozin, Introduzione di F. Maraini, Longanesi & C., Milano 1973, p. 55.

 

Il figlio del lupo chiazzato e della cerva fulva

[…] Così comincia la Storia segreta dei Mongoli, cronaca più o meno epica della vita del fondatore dell’impero mongolo […]. Secondo i bardi della steppa mongola, un lupo ed una cerva furono i progenitori dei clan principeschi prima di Gengis Khan. Il lupo è animale totemico dei grandi miti originari dei popoli turco-mongoli. Possiamo stupirci di trovare la cerva accoppiata al lupo, […] ma si tratta in tutta evidenza dell’unione simbolica delle qualità maschie del lupo […] e le virtù femminee della cerva […]. Così come esiste un’associazione simbolica fra carnivoro ed erbivoro (studiata dal turcologo Jean-Paul Roux […]), qui possiamo vedere un riferimento al totemismo animale. Tra gli altri miti d’origine degli antenati di Gengis Khan, troviamo una leggenda che si riferisce all’animale ed al sole: dall’unione del lupo e della cerva sarebbe nata una donna [N.B.] chiamata Alan Qoa; quest’ultima sarebbe stata fecondata poi da un raggio di sole [N.B.] che, passando per la bocca [N.B.] del fumaiolo della tenda [N.B.], le avrebbe toccato il ventre [N.B.] da cui sarebbero stati generati i progenitori del gran khan”.

M. HOÀNG, Gengis Khan, Garzanti Editore, Milano 1992, pp. 39-40, corsivi in originale, grassetti miei, miei commenti fra parentesi quadre. Ed è dalla discendenza FEMMINILE, dunque, che Gengis Khan avrebbe tratto “il sangue BLU” ovvero d’ “ASCENDENZA DIVINA” …

 

Gli xiongnu eran simili a lupi e il lupo era il loro totem […]. È noto che i turchi ed i mongoli riconducono le proprie origini ad un comune antenato mitico. Nella Storia segreta dei mongoli si sostiene, infatti, che i popoli della prateria discendono da un lupo del color della cenere, e lo stesso si legge a proposito dei turchi nelle Memorie storiche degli Oguz: “Un grosso lupo dal mantello completamente grigio uscì da un accecante fascio di luce”.

René Grousset, L’impero delle steppe”.

JIANG RONG, Il Totem del lupo, Mondadori Editore, Milano 2006, p. 318, corsivi in originale.

 

Nelle cacce […] l’uomo gode di un’assoluta superiorità sugli altri animali: le lepri, le marmotte, le gazzelle … […] Non c’è nessun combattimento, nessuna sfida.

L’uomo attacca e non può esser attaccato. Soltanto i lupi sono in grado di misurarsi con l’uomo, d’insidiare il suo schiacciante potere sulla natura. I vecchi libri di storia riconducono alla caccia l’eccezionale valore che le popolazioni nomadi dimostrano in guerra. MA SBAGLIANO. L’impareggiabile abilità bellica dei nomadi è frutto del lungo, brutale e ininterrotto duello che da sempre i mongoli ingaggiano i lupi nella lotta per il dominio della natura. La lotta millenaria di due forze bilanciate tra loro. La scienza militare È NATA dall’ *OSSERVAZIONE* di quest’eterno CONFLITTO.

Conosci il tuo nemico come te stesso, niente è più fondamentale della velocità, in guerra tutto è lecito, studia l’astronomia quanto la geografia, NON FARTI trovare impreparato, guardati dalle manovre diversive, concentra le forze, dividile se serve, proteggi le truppe scelte, COMBATTI quando hai la meglio e RITIRATI quando sei in difficoltà, spezza una vita PIUTTOSTO CHE ferirne dieci, stermina il nemico fino all’ultimo soldato, coglilo di sorpresa, indietreggia quando avanza, disturbalo quando è fermo, combattilo quando è stanco, inseguilo quando si ritira …

Sebbene i lupi proliferino in tutto il mondo, è NELLA PRATERIA che han trovato il loro habitat naturale. Perché qui non ci sono opere difensive, non ci sono le mura e le fortezze delle antiche civiltà agricole. La prateria è il principale campo di battaglia sul quale uomini e lupi si sfidano in una lotta senza fine, mettendo a confronto la la loro intelligenza ed il loro coraggio …”.

Ivi, pp. 126-127, maiuscole mie.

 

Il lupo GRIGIO, o più precisamente GRIGIOBLU (Börte-čino), proviene dalla leggendaria caverna dell’Ergüne-qun, che dobbiamo immaginare situata a nord, dalla parte delle catene montuose coperte di foreste […], dal momento che i MONGOLI, prima di diventare gente della steppa, erano in origine un popolo di montagna e di BOSCHI. Il gran lupo ANCESTRALE incontra la sua futura compagna, la Cerbiatta Selvatica (Qo’a-maral), e la loro corsa li conduce nel cuore del FUTURO paese MONGOLO. Partiti dalle rive del lago Baikal – anche detto «il MARE» (Tenggis), come racconta il bardo dell’epopea mongola –, si stabiliscono presso le sorgenti del fiume Onon, nelle vicinanze della MONTAGNA SACRA del Burqan-qaldun, cioè nell’attuale massiccio del Kentei. Son […] LUOGHI SACRI per eccellenza. Sopra le intricate foreste di pini che cingono la base del Kentei, si elevano fino a DUEMILA OTTOCENTO metri i blocchi di granito e di gneiss delle sue cime disadorne e delle sue cupole brulle; su questi picchi risiede il dio del CIELO azzurro – Kök Tengri – SUPREMA DIVINITÀ dei Mongoli. E infatti è proprio là che, in UN MOMENTO DECISIVO della propria carriera, dopo aver compiuto l’ascensione alla montagna sacra, Gengis Khan cercherà la protezione delle potenze celesti”.

R. GROUSSET, Il conquistatore del mondo. Vita di Gengis Khan, Adelphi Edizioni, Milano 2011, pp. 21-22, corsivi in originale, grassetti e maiuscole miei.

Peraltro lo stesso ultimo discorso di Gengis Khan ai suoi figlie ripeté – quasi parola per parola – quel che disse ai suoi figli Alan Qòa …[1] 

 

Un altro segno dei legami che dovettero esistere tra i gialli e gli Iperborei è lo swastika inciso sull’anello di Gengis Khan.

Si tratta in qualche modo di una legittimazione del Cielo attraverso il Nord”.

Ch. LEVALOIS, La Terra di Luce. Il Nord e l’Origine, Edizioni Barbarossa, Saluzzo (CN) 1988, p. 31, corsivi e grassetti miei. LO “swastika” e NON “la” svastica …

 

Franz Altheim nota che nelle canzoni  epiche di quasi tutte le tribù mongole, come pure tra i Turchi, il vocabolo “fabbro” (darkhan) significa anche “eroe” e “cavaliere franco”, cioè libero. Lo stesso autore mette in luce l’importanza militare del tamburo e del costume sciamanico, che è una sorta di corazza di metallo.

I fabbri raggiungono talvolta la dignità regale.

Secondo alcuni racconti, Gengis Khan era in origine un semplice FABBRO, e la leggenda regale dei Mongoli collega il mestiere del fabbro alla casa del re.

Nella tradizione iraniana, il fabbro Kavi era il fondatore della dinastia Kavya; un giorno “egli aveva fissato il proprio grembiule di cuoio sulla punta d’una lancia, ed aveva così drizzato lo stendardo della rivola contro il re drago. L’umile grembiule di cuoio divenne il vessillo regale dell’Iran”. Ricordiamo questa trama di solidarietà: “signori del fuoco”, sciamani, fabbri, eroi, re mitici fondatori di dinastie. Torneremo su alcune relazioni tra il “calore magico”, l’iniziazione eroica, cioè militare, ed il FABBRO”.

M. ELIADE, Arti del metallo ed Alchimia, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1997 (edizione originale: 1987), p. 74, corsivo in originale, grassetti e maiuscole miei.

Una nota: nella parte finale si tratta di Jung e dell’alchimia: Eliade – fra i suoi molti errori – tratta sin troppo bene Jung che, chiaro, qualche buona intuizione ce l’ha comunque, ma è la PROSPETTIVA di C. Jung del tutto ERRATA “il” punto, mentre, al contrario, sottovaluta B. J. Teeter Dobbs ed i suoi studi sull’alchimia in Newton. Va segnalato questo disguido. Purtroppo il XX secolo, pur al massimo del suo sforzo, non è mai riuscito – ma proprio MAI! – a liberarsi DAVVERO da “certi” profondi condizionamenti. E siamo dove siamo!

La fonte della citazione di F. Altheim è dal – di Altheim – libro dedicato ad Attila: ed IL CERCHIO SI CHIUDE …! La spada che Attila ritrovò era la spada del Marte “scitico” – degli Sciti (= “SCYTAE”) –, l’ “ÁRĒS” degli “Skýthoi” …[2]

 

 

 

 

Qui di seguito, condividerò delle frasi che si sono già riportate in altre occasioni, ma, stavolta, vediamo di riportarle più ampiamente.

Una serie di brevi note prima, tuttavia.

Prima cosa: il lupo **NON** È sempre negativo, ma – COME TUTTI i simboli! –, ha **DUE** lati: “Quest’aspetto del lupo, protettore e guida del Sole, è meno conosciuto di quello […] riguardante il lupo come animale infernale […]. Ma il lupo si rivela anche come essere luminoso, quanto l’altro suo aspetto è tenebroso. Si tratta, in certo qual modo, dell’altra faccia della medaglia, e […] deriva dall’ambivalenza della sua natura, Ch. LEVALOIS, Il simbolismo del lupo, Arktos Oggero Editore, Carmagnola (TO) 1988, p. 71. Anche cf. ivi, p. 31.

Voglio qui, ancora, segnalare quel che Levalois dice(va) sul “LUPO VERDE” (cf. ivi, p. 39 e sgg.) poiché su QUESTO punto – MOLTO probabilmente – le DUE correnti della “CONTRO”-iniziazione (cioè “ROSA-VERDI”) possono trovare un loro “componimento” …

A BUON INTENDITOR …”

Altro tema interessante: il legame fra il Lupo ed l’Ariete – anche inteso come segno zodiacale, cf. ivi, p. 34 e sgg. –, cioè un “tema” che, con il recente passaggio di Nettuno **IN ARIETE**, viene *molto* A PROPOSITO!

Vi è poi la sessualità dissoluta che spesso si ricollega con il lupo, e, in particolare, con “LA” lupa: cf. ivi, p. 59. Inoltre, anche vi era la dissolutezza nel comportamento “economico” per così dire, le razzie, l’avidità insomma: cf. ivi, p. 60.

Il legame di ambedue queste cose con la “Grande Prostituta” – ricordata pure da Dante – è palese: una dissolutezza di comportamento che porta pure una dissolutezza nel sacro, e nella “GESTIONE” dello stesso: ed era questo secondo punto – la dissolutezza nella “gestione” del sacro – quel che Dante sottolineava.

Ed ecco, per finire, dopo queste varie considerazioni di tipo introduttivo, quel passo – più volte ricordato – ma che, questa volta, si riporta dopo aver costruito una struttura precedente che ne amplia l’eco.

Ma veniamo al passo in questione. Il lupo simboleggia, in ultima istanza, l’uomo. Come lui può esser luce o tenebre, artefice o distruttore, servitore dello Spirito o del demone della materia, un santo, un eroe o un essere demonico. Presenta infatti queste due facce opposte. Da tutto ciò proviene […] questo fascino ed anche codesto rifiuto mortale dell’uomo moderno che, ipocrita, ha eliminato, o relegato ai margini, il lupo, testimone ed immagine imbarazzante, meglio, compromettente. Questo non impedisce che i lupi delle tenebre si moltiplichino, anzi, al contrario. Il mondo è contrassegnato dal simbolo del lupo, con le sue qualità e le sue cadute, con la sua grandezza e le sue bassezze. Sono gli uomini-lupo, oggi, a lacerare il mondo, poiché essi non sanno donare, ma arraffano con violenza, poiché essi non sanno servire bensì si servono.

Intanto un altro lupo, questa volta gigantesco, si sta preparando. Si approssima la sua ora all’orologio del mondo. Costui trasformerà l’oscurità in profonde tenebre e la favilla della luce in sole. È morto e vive, con tutto il vigore possibile di questa forza misteriosa, condanna e liberazione, crepuscolo ed aurora, fine ed inizio”, ivi, p. 75, corsivi e grassetti miei. Non solo “uomini-lupo” ma, pure, “cynocephali” (come li chiamo) … Sono intorno a noi: è il nostro presente. Non sanno donare; anche quando sembra lo facciano è un falso, è sempre solo sé stessi che ricercano.

Eh sì, “quel ‘lupo’” attende … ma prima di giungervi, vi è ancora un cammino; che sia lungo, che sia corto dipende da tanti fattori: il tempo si allunga come un “chewing gum” poiché “quel che vi ‘passa dentro’ ed attraverso” – e **quanto** ne passa … – è quel che fa “LA” differenza sul serio. Più cose accadono nello stesso fattore temporale – comunque computato –, più il flusso del tempo stesso PARE accelerare … Quando nelle tue giornate accadevano poche cose, i giorni parevano non finir mai; quando vi accadono un sacco di cose, ecco che il giorno par non bastare mai …

I “GIORNI SENZA FINE” tuttavia son sempre i MIGLIORI.

E sempre più rari.

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 



[1] Per qualche tempo il decesso di Gengis Khan venne tenuto segreto: l’essenziale era che la notizia non si diffondesse tra le popolazioni nemiche o assoggettate da poco finché non fossero state prese tutte le precauzioni del caso. Così, strada facendo, quelli della scorta uccisero tutti gli stranieri più o meno sospetti che ebbero la sventura d’incrociare il carro funebre. Si trattava del resto di un’antica usanza altaica con la quale s’intendeva procurare al morto dei servitori per l’aldilà. Insieme ai viaggiatori incontrati venivano sgozzati i loro cavalli e i loro buoi: «Andate a servire il khan nostro sovrano nell’aldilà!». Il decesso di Gengis Khan fu reso pubblico solo quando il corteo funebre giunse presso il grande accampamento imperiale vicino alle sorgenti del Kerülen. «Al che le spoglie mortali del Conquistatore vennero via via deposte all’interno dei vari ordos – vale a dire i palazzi di feltro – delle sue spose principali; lì, su invito di Tolui, i principi, le principesse del sangue e i capi militari accorsero da ogni angolo dell’immenso impero per rendergli l’ultimo omaggio con lunghe lamentazioni. Coloro che venivano dalle contrade più distanti non giunsero a destinazione che tre mesi dopo»”, ivi, p. 327. “Allorché il «compianto» fu terminato, quando tutti i Mongoli ebbero sfilato davanti al feretro di colui che aveva regalato loro «l’impero del mondo», Gengis Khan fu sepolto. Aveva scelto lui stesso il luogo, nel fianco d’una delle alture che formano il massiccio del Burqan-qaldun, l’attuale Kentei.

Era la montagna sacra degli antichi Mongoli, quella che, nei giorni difficili della giovinezza dell’eroe, gli aveva salvato la vita offrendogli riparo nella sua boscaglia impenetrabile, quella dove lui, prima di ogni scelta importante, nei momenti decisivi della vita, alla vigilia delle sue grandi guerre, era andato ad invocare il dio supremo dei Mongoli, l’Eterno Cielo Azzurro – divinità che risiede sulle cime tra le sacre fonti.

Da lì sgorgavano «i Tre Fiumi» (Onon, Kerülen e Tula) che bagnavano la prateria ancestrale. «Un giorno, mentre era a caccia in quei paraggi, Gengis Khan s’era steso a riposare sotto il fogliame d’un grande albero isolato. Lì sostò qualche istante, come perso in un sogno a occhi aperti, ed alzandosi dichiarò che alla sua morte desiderava esser sepolto sotto quelle fronde».

Dopo i funerali il luogo divenne tabù e si lasciò che la foresta lo ricoprisse fino a nasconderlo completamente. L’albero sotto cui l’eroe aveva scelto di riposare finì per confondersi tra gli altri, ed oggi nessuno sarebbe in grado di trovarlo. È sotto quel manto di cedri, abeti e larici che il Conquistatore dorme il suo ultimo sonno.

Da una parte, verso il Grande Nord, si allargano le distese sconfinate della taiga siberiana, la foresta impenetrabile, i due terzi dell’anno intrappolata nella neve e nel gelo. Dall’altra parte, a meridione, la steppa mongola srotola all’infinito le sue terre ondulate che in primavera si ricoprono di tutti i fiori della prateria ma che, procedendo verso sud, si perdono nel deserto senza fine del Gobi. Nei cieli, sfrecciando da una zona all’altra in un battito d’ali,

l’aquila nera dagli occhi dorati, sovrana del cielo mongolo,

emblema della carriera dell’Eroe, la cui corsa si era dipanata dalle foreste del Baikal all’Indo, dalle steppe dell’Aral alla Grande Pianura cinese. Altri conquistatori dormiranno sonni costantemente turbati dalle folle accorse sulle loro tombe ad interrogare il segreto del loro destino. Lui invece riposa lassù, inaccessibile, ignorato da tutti, protetto e celato da quella terra mongola che l’ha voluto per sé e con la quale è ormai una cosa sola”, ivi, pp. 327-329, corsivi in originale, grassetti miei. Non si poteva dirlo meglio: “protetto e celato da quella terra mongola che l’ha voluto per sé e con la quale è ormai una cosa sola”. Perché davvero “è ormai una cosa sola” con quella terra “che l’ha voluto per sé”. Lasciamo dunque che “il segreto del loro destino” resti tale … Tra l’altro, di un altro Gran Conquistatore il luogo della tomba è stata dimenticato, fino a divenir “mitico” in Occidente: Alessandro Magno, Alèxandros ‘o mègas. Nessuna folla ne interroga il mistero: ed è bene così, alla fin fine. Ci sono cose che non è bene sapere, altre che, al contrario, è bene non sapere …

In ogni caso, questo passo di Grousset ricorda un po’ “Dersu Uzala” di Kurosawa, ovviamente “in salsa” ben diversa … So bene che sono considerazioni molto lontane dall’ “uomo di oggi”! Ma che, nondimeno, sono vere. Noi non vogliamo interrogare “il segreto del loro successo” – neanche di Alessandro Magno – e men che meno di Gengis Khan: ci preme solo ascoltarne il senso, come vento tra i capelli.

[2] Parlando di Attila, ecco come uno storico antico ne descrive la scoperta della spada: Sebbene già per temperamento presumesse molto di sé, tale attesa gli venne accentuata dalla scoperta della spada di Marte, sempre ritenuta sacra dai re sciti. Ecco come Prisco racconta il fatto:

«Un pastore, notando una giovenca del suo gregge che zoppicava e non riuscendogli di trovare la causa di così grave ferita, si diede a seguire attentamente quelle tracce di sangue. Giunto infine sulla spada che la giovenca, pascolando, aveva calcato senza accorgersene, la raccattò per portarla subito ad Attila. E questi, per un dono che lo esaltava nella sua grandezza d’animo, ritenne d’esser destinato ad essere il signore dell’universo e che la spada di Marte ormai gli concedeva la sorte nelle battaglie»”, JORDANES, Storia dei Goti, TEA Editori Associati, Milano 1991, p. 85.


 

2 commenti:

  1. Anche interessante, vecchio post, cf.
    https://associazione-federicoii.blogspot.com/2023/11/naga-klu-kappa-iniziale-muta-quindi.html









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  2. Si parlava di sepolture ... altro esempio di sincronicità cosiddette ...

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