lunedì 28 febbraio 2022

“Trent’anni dopo” (ovvero: verso dove andiamo)

 

 

 

Il lettore deve prepararsi ad assistere alle scene più sinistre.

E. SUE, I misteri di Parigi”.

In A. PÉREZ-REVERTE, Il Club Dumas, Editoriale Diario S.p.a., Milano 2006 (edizione originale spagnola: 1993), p. 11, corsivi in originale.

Le scene sinistre che abbiamo esperito in tre decenni. E ne vedremo di PEGGIORI ancora … nessun dubbio al riguardo!

 

 

Era una notte lugubre.

P. DU TERRAIL, Rocambole”.

In ivi, p. 314, corsivo in originale.

Una notte che, senza dubbio, **NON** passa …

 

 

 

«Una cosa s’impara bene in questo mestiere: che, per quanto si possa essere all’altezza dei savi di codesto mondo, sempre finisce che il momento appresso ci si ritrovi come bambini nel buio», scriveva Bismarck alla moglie meno di due anni dopo l’assunzione dell’incarico di primo ministro prussiano”.

L. GALL, Bismarck. L’uomo che ha fatto grande la Germania, Garzanti Editore, Milano 1993, p. 54, corsivi miei.

 

 

Giudizi analoghi venivano anche dagli ammiratori e adoratori autentici, […] e più passava il tempo, più Bismarck stesso se ne rendeva conto. Codesto «genio del presente», come lo si è chiamato, avvertiva del pari dolorosamente con quanta rapidità il tempo non solo lo sopravanzasse, ma lo relegasse in secondo piano. Il «freddo alito della caducità storica», da Max Weber ravvisato nella «visita di riconciliazione» berlinese del gennaio 1894, soffiava sempre più forte contro l’uomo dell’oggi, contro il combattente accanito”.

Ivi, p. 122.

 

 

Era giunto il tempo delle acque d’autunno e i cento fiumi si riversavano nel Ho […] — Alla rana del pozzo — disse il Genio del Mar settentrionale — non si può parlare del mare poiché è circoscritta dal suo buco”.

Chuang-tzu, TEA Editori Associati, Milano 1989, p. 126, corsivo mio.

 

 

 

L’intervista di Cacciari per “La Stampa”, del 18-02-2022, si chiude con una discussione sulla scelta su alcuni referendum proposti, questione che qui poco c’interessa. In compenso, tutta la prima parte mi ritrova pienamente d’accordo, senza che ci sia necessità di “distinguo” vari. Come infatti non esser d’accordo con Cacciari quando afferma: “«Questo sistema è morto»”, ivi? Intende il sistema politico dei partiti. Aggiunge, di seguito, che ci vuole un “ripensamento completo dell’agire politico” che “tenga conto della mutata situazione in cui viviamo da oltre 30 anni”, ibid.: ed anche qui, direi che si può solo esser d’accordo, ma il problema rimane sempre inchiodato sul fatto che il sistema di oggi è auto replicantesi – come un virus –, per cui la sua crisi è SYSTEMICA, crisi di sistema, ben oltre le deficienze, altrettanto gravissime ma insufficienti a spiegarci la potenza della deriva in atto, delle individualità della stragrande maggioranza del ceto politico di BASSISSIMO livello che gli elettori han mandato alle rispettive cariche pubbliche. Lui penserebbe a “devoluzioni” verso il decisionismo di strutture tecniche ed economiche sovranazionali. Non pensa, invece, a derive “novecentesche”, quanto, piuttosto, a “conglomerati tecnici” che decidano: “amministrazioni, non necessariamente totalitarie, centrate su competenze tecniche che si muovano in accordo con potenze economiche e finanziarie”, sostiene. Io direi che, in gran parte, già ci siamo in questo stadio. Almeno in parte.

Cosa ci attende, davvero, dunque?

Poi conclude – sul problema in esame (non sulla questione dei referendum) – così: “«Questo sistema è morto. E l’allargamento della forbice tra ceto politico ed opinione pubblica può essere foriero di qualsiasi avventura. Non penso a sconquassi novecenteschi, ma a pesanti crisi economiche e sociali»”, verso le quali si veleggiava già con l’inevitabile forte aumento delle materie prime (oltre a quello fisiologico post pandemia), in un sistema che ha subito un collasso (quello pandemico), acuito – ma non generato! – dalla guerra in Ucraina. La quale guerra però attenta alla globalizzazione: come si disse qui (“in tempi non sospetti”), che il NWO era finito, ora si può dire che sta finendo anche la “globalizzazione”: il virus nazionalistico – il virus democrazia trova degli ostacoli, dei “sistemi immunitari”, ma quello nazionalistico non ne trova –, il virus nazionalistico sta “mettendo a terra” la globalizzazione, signori: non so se qualcuno se n’è accorto (boh). E, su questo punto, la guerra in Ucraina sta dando una spallata non da poco. E non parlo qui di alcun “Reset”, altra figura solo retorica cui si dà una classe dirigente ben oltre la frutta (rimane solo il dolce, ma temo sarà piuttosto amaro …). Il potenziale della crisi attualmente in atto, giova ripeterlo, è infatti davvero enorme. Enorme. Un sommovimento tellurico. Uno smottamento tellurico sistemico.

Abbiamo di fronte, dunque – com’era prevedibile, tranne che per le dirigenze occidentali, che vivono in un mondo autoreferenziale –, una “GRANDE crisi”: non solo economica, ma pure politica E sociale, cioè una crisi DI MODELLO, una crisi di sostanza, una crisi di struttura, una crisi di base, che non si lascerà “risolvere” (leggi: metterci una pezza) con i metodi che sinora HAN FATTO FINTA di “funzionare”. E ciò per causa della natura qualitativa di tale crisi. E cioè a causa di ciò che tale crisi È IN SÉ STESSA: “…. ma il fatto è che, per una serie di ragioni, i sistemi politici occidentali non producono leader con la creatività, l’energia e il fascino che la crisi mondiale urgentemente richiede”, L. CAVALLI, Carisma. La qualità straordinaria del leader, Laterza & Figlio, Bari-Roma 1995, p. 98: dal 1995 han continuato a NON PRODURNE …! Si noti la data (peraltro ho già riportato questo testo in un passato post), e – dal lontano 1995 ad oggi – NON È STATO FATTO NIENTE in “Occidente”! NIENTE! Nulla è cambiato, anzi: si è solo peggiorato, e di molto, la situazione rispetto alle possibilità, residuali certo, di “aggiustamento” che ancor all’epoca (1995) esistevano. Si poteva “fare” ancora qualcosa in quel tempo, infatti. E Cacciari lo sa bene. Ricordo quei tempi, dal 1992 al 1998, tempi che si aprono con Mani Pulite e terminan con l’entrata dell’Italia nell’area Euro (poi la valuta circola effettivamente a partire dal 2002, ma l’accordo è del 1998: a tal proposito si può legger qui, su questo blog, il vecchio post, del 1997 ma qui riportato nel 2014 con i vecchi caratteri un po’ ciclostile, che fu scritto nel 1997, “in vista” del fatidico 1998). Tra l’altro, in quel tempo seguivo la tumultuosa scena politica della CSI per capire se il revanscismo russo poteva ritornare sulla scena, come poi è successo, ma era una pagina scritta già in quel tempo. Purtroppo bisognava (tempo passato) conoscere quella scena per capire quella gente, quel modo di pensare, deviato quanto si vuole ma che sta provocando conseguenze.

Ho qui sopra citato Cavalli, il più noto studioso italiano del carisma, “weberianamente” inteso: dunque dati pubblici, a tutti noti, che tutti possono vedere; risultato: zero. Dal 1995 n’è passata d’acqua sotto i ponti, ma solo a livello individuale, da un punto di vista più generale rimaniamo “inchiodati” ad un sistema sempre più inerziale, ad una “macchina celibe”, per dirla col dadaista Duchamp. E, a furia di metterci una pezza, come ho già detto, qui finisce che finiamo tutti a pezzi

Ci son tanti modi di “finire a pezzi”, è vero, lasciatemi dire, però, che non apprezzo queste disquisizioni di “modalità”. Ma non c’è stato – letteralmenteniente da fare, il caso di Cacciari lo attesta “oltre ogni ragionevole dubbio”. Sordità. Sanno solo dire “democrazia” ad ogni pie’ sospinto. La democrazia non si diffonde “di per sé”, i nazionalismi, al contrario, sì! Ecco perché i “populismi” alla fine vincono sempre “in democrazia”. Trump dice: ma queste cose che hanno fatto per anni cosa significano **per te**? Niente: le loro vittorie non sono le tue, anzi, tu paghi sempre tutto, e di più, qualsiasi cosa tu fai. Ed è semplicemente vero. Trump non è un’alternativa, vero, ma il problema rimane. E, per favore, niente “reductio ad Hitlerum”, Hitler è un fenomeno molto particolare nella storia: non basta esser dittatori per esser Hitler. Ci son dittatori nell’est Europa oggi? Sì. Non sono Hitler, però. Son solo dittatori, sono solo regimi autoritari che si diffondono perché i regimi democratici liberali hanno aperto un così gran spazio, uno vero e proprio iato, con le pubbliche opinioni che la tentazione del cosiddetto “uomo forte” ci sta, tanto lì, dove s’è già presentata, che, soprattutto, qui. E in un modo o nell’altro si ripresenterà, man mano chela crisi si dimostrerà sempre più sistemica e non episodica.

 

Ed è proprio quest’ultimo tema che ci porta, direttamente, alla domanda che ci si poneva qui sopra: Cosa ci attende, dunque?

Quel che pensa Cacciari, cioè regimi autoritari “misti”, o “democrature”, anche qua in Occidente, è un’ipotesi ogni giorno più certa, vista la pessima “perfomance” della varie dirigenze occidentali, e da molti punti di vista tutti convergenti nell’attestarne il non essere all’altezza della “crisi della globalizzazione”, cui siamo giunti dopo la crisi del NWO, qui attestata già nel 2018, un tempo a noi vicino come numero ma ben lontano come “atmosfera sociale”. E ricordo qui tutti quelli che tanto davano addosso ai Bush, e cioè l’ultimo tentativo da parte del patriziato Usa – che ha compiuto grossissimi errori e tuttavia era l’ “ultimo ostacolo” – ed han portato ai Trump della situazione, cioè a forme che si svilupperanno man mano che la crisi si allargherà toccando l’economia e le società occidentali. In un gioco, dialettico (che i “complottisti” non riescono neanche ad immaginare, mi pare il solo A. C. Sutton ne dichiarò il ruolo), di spinte e contro spinte, si giungerà necessariamente al controllo dell’economia mondiale. Qui allora, effettivamente, qui allora per davvero, il “numero della ‘bestia’” (cosiddetto) potrà esser veramente implementato. Un qualcosa, cioè, che unisca transazioni, ormai sempre più digitalizzate, con identità (e con in più un segno, un simbolo, che “risacralizzi” la moneta: ecco una cosa che i moderni non sanno pensare, perché devi tornare indietro ai vecchi imperi premoderni per vederne qualche esempio, tipo le monete con le effigi di sovani e con un motto; e tuttavia Putin ha come modello il vecchio impero: e sappiamo tutti benissimo che non può aver successo a tornare allo stato precedente, ovvio, e tuttavia è un segno anch’esso, segno di un “mutamento di direzione” della storia: una cosettina da poco?, non direi …).

Naturalmente sappiamo tutti benissimo cosa diranno: che stanno facendo qualcosa, che si “riavvicineranno” a “laggente”, ma tutto questo sta finalmente cambiando di segno ai processi ormai trentennali di allontanamento e di chiusura a riccio da parte delle – pessime – classi dirigenti dell’Occidente, blindatesi dentro la tecnica e il suo predominio? Perché, se tutto continua ad andare nella direzione dell’ allontanamento, sono solo parole, parole che vengono accettate perché il sistema ancora funziona, senza dubbio male, ma funziona. “Laggente” si ritrova concretamente più soldi in tasca? Le merci, la disponibilità del credito, come vanno in concreto? Le istituzioni sono realmentenon a  chiacchiere – più vicine al famoso “cittadino” – figura sociale che ci deriva dalla Rivoluzione francese, assieme a quella della “nazione” (si ricordi questa duplice struttura portante della modernità) – ovvero avviene il contrario? La digitalizzazione riavvicina il “cittadino” famoso alle istituzioni o, al contrario, lo allontana? Si dà il caso che questa si chiama: “crisi della rappresentanza”. Si dà il caso che ci siamo dentro da trent’anni. E si dà pure il caso che il brodo non si può allungare all’infinito.

Qual è la causa, vera, dunque della crisi? Che fino ad un certo punto, fin quando il patriziato Usa aveva il dominio pieno del mondo, la democrazia sopravanzava il nazionalismo (i nazionalismi). Poi, da un certo punto in poi, da quando le classi dirigenti si sono chiuse a riccio, il nazionalismo (i nazionalismi) si son sempre più importi, de facto, alle democrazie: sono la forza forte, le democrazie seguono i nazionalismi scatenati, sempre più ingovernabili in uno scenario da XIX sec. (da spettro del XIX sec.!), ed esse non tentano più di deviarli a favore della stabilità del sistema economico, il qual sistema economico globale, dunque, accusa colpi crescenti dalla deriva in atto. Questa incapacità delle democrazie liberali, a sua volta, ha la sua causa nella crisi di rappresentanza che le assedia da dentro (dunque tale crisi si riconferma come il punto decisivo). Il vuoto di classe dirigente, per trenta lunghi anni, si paga: esso ha un costo. Non solo, ma quel che dicevano negli anni Novanta i già più volte citati Wallerstein e Hopkins, in uno studio tanto “topico” quanto fondamentale quanto del tutto disatteso dalle classi dirigenti occidentali (che se ne sono per niente curate: non potevano curarsene), si è che le possibilità di “riaggiustamento sistemico” non ci sono! Ecco il punto vero. La crisi la conosciamo bene, ma cosa ci si può fare, di vero, che tocchi le forze dissolventi ed implosive in atto? Niente, le cose vanno per inerzia, le forze interne di dissoluzione sistemica si sono poste in moto. Non solo, ma quel che loro aggiungevano, illo tempore, si è che loro sostenevano che era da tempo che “non ci si poteva far niente”, solo che tale cosa non appariva, veniva coperta da tante altre cose (che io chiamo: simulazioni di programmi e di azioni). Ora però appare sempre di più. Come reagiranno i cosiddetti “popoli”? E come reagiscono? Non cercano il primo “salvatore della patria”? Che però la patria non può salvarla. Ma ne cercheranno uno sempre più sesso, con sempre più necessità. Ed è la sensazione di “tempo che scade”, la sensazione di necessità che, diffondendosi per ogni dove nel sistema internazionale, la “variabile” folle che loro ponevano sotto la lente, che osservavano con particolare attenzione. Tale variabile non ha, però, ancora sviluppato il suo vero, grande potenziale.

Un potenziale davvero enorme.

 

 

Andrea A. Ianniello