“Ma nei silenzi dei ventosi altipiani di steppe digradanti verso il deserto del Gobi, nella squallida solitudine di fossili che stanno lì a coprirsi di tempo che passa, si respira il retaggio di tanta potenza passata”.
F. ADRAVANTI, Gengiz-Khan, Rusconi Libri, Milano 1984, p. 337.
“Peccato che la gloria sovrumana del suo secolo,
Gengiz-Khan,
abbia solo curvato il suo arco contro le aquile …
[Mao Tse-tung]”.
Ivi, p. 331.
“L’individuo come illusione
Che cos’è l’individuo, un albero, un animale, un uomo? Nulla di assoluto, […] nulla di autonomo, di elementare; tutt’al più esso ripercuote qualcosa che, tradotto in una categoria dell’astrazione, può dirsi un molteplice. L’individuo è un gruppo di rappresentazioni connesse nel tempo e nello spazio, che appaiono unificate da un principio interno. Ma nessuna rappresentazione ha un principio interno, e quindi neppure l’avrà un gruppo di rappresentazioni. Una rappresentazione, difatti, o è condizionata da un’altra rappresentazione, o lo è metafisicamente (da un principio esterno). Gli Indiani e i Greci non concedevano una vera realtà all’individuo. I discorsi orfici sull’ «anima» alludono ad un archetipo pre-individuale, nonostante che certe intemperanze essoteriche di Platone abbian contribuito ad intorbidare le acque. […] Del resto è pacifico che il pitagorismo, Parmenide e Platone guardano dall’alto all’individuazione. In seguito si pensò diversamente e si rivendicò la realtà dell’individiuo. Oggi più che mai l’individuo è il dato primario, andare al di là del quale è […] futile. Manca però una giustificazione teoretica della preminenza concessa all’individuazione: anche se un po’ stantia, la migliore dottrina rimarrebbe ancora quella aristotelica del sinolo. […] Ma Aristotele non ha detto che l’individuo abbia una realtà oggettiva: ha detto semplicemente che la categoria dell’individuazione è la più vicina all’immediatezza, ma non coincide affatto con questa” (1).
“Ambigutà di un problema
Che il principio dell’individuazione sia un qualcosa di radicale, costitutivo della realtà, Nietzsche sembra spesso contestarlo, mediante esili argomentazioni, con cui tende a minimizzare l’unità dell’individuo in un’aggregazione di componenti elementari. Ma il rifiuto del principium individuationis è soltanto apparente: viene contestata l’unità complessiva, la figura plastica dell’individuo, la sua fissità o permamanenza, e tuttavia gli ingredienti elementari che la sostituiscono non hanno natura differente. L’individuo è risolto in individui più piccoli. Ciò che appare a noi come individuo è costituito da una pluralità di esseri animati […] Sembra dunque che Nietzsche abbia criticato la realtà del soggetto, dell’individuazione, della volontà stessa, ma nella fase matura del suo pensiero non abbia saputo evadere da quella sfera, ed abbia in definitiva considerato l’individuo come qualcosa di essenziale. Più consistente era stata la sua dottrina in gioventù, quando il principium individuationis era illustrato da Apollo, mentre Dioniso significava l’annientamento di tal principio. L’antitesi rifletteva la matrice schopenhaueriana, e la sua contrapposizione tra apparenza e volontà. Allora l’illusorietà dell’individuazione discendeva dalla natura stessa di Apollo, in seguito, quando la frattura metafisica e il concetto di apparenza vennero rifiutati da Nietzsche, fu naturale concedere un peso sostanziale al principium individuationis. Se il mondo apparente è l’unico mondo, è il mondo reale, il suo principio, che, secondo la suggestione di Schopenhauer, coinciderebbe con quello dell’individuazione, sarà l’unico reale. […] Ma quale spazio rimane allora per la realtà ulteriore di Dioniso? Anche questo dio vien contagiato dall’individuazione […] Eppure la maschera, questo simbolo legato così intrinsecamente al culto di Dioniso, significa proprio il contrario, cioè l’infrazione del principium individuationis” (2).
Dunque che un individuo “ritorni” è semplicemente impossibile, in quanto l’individuo è tale – vale a dire individuo, e il principium individuations (ricordato con chiarezza nei passi di Colli) è il principio che CAUSA l’individuazione – l’individuo è tale (cioè individuo) solo “per UNA VOLTA SOLA”. In altre parole: l’individuo non è “causa di sé” ma è una modificazione temporanea nel mondo delle apparenze. Quest’ultimo è il mondo del cambiamento: vi saranno dunque indefiniti individui possibili.
Da distinguere, a questo punto, sono due cose: la “metempsicosi” e la “trasmigrazione”, quest’ultima però qui non si tratterà se non en passant.
Il grosso della confusione nasce dal credere che la metempsicosi sia la ripetizione dello stesso individuo – nel qual caso sarebbe, letteralmente, un virus, e cioè una clonazione (il virus infatti non può riprodursi, cioè dar nascita ad un altro individuo, ma solo replicarsi, e cioè ripetere – clonare – indefinitamente il codice manchevole che lo costituisce, perché questo è il virus: un frammento di vita che parassita delle altre forme viventi, in pratica è come un programma per computer, ma NON È il computer) – mentre la metempsicosi È ALTRO.
Che cos’è, dunque, la metempsicosi?
Il “compost” umano è complesso, è “fatto” di vari “strati” che si estendono sia sul piano orizzontale sia su quello verticale. Il nocciolo qui sta nel credere che quel qualcosa che chiami “io” sia “tutto ciò” che “c’è” in, appunto, un individuo.
NON è così, c’è dell’ ALTRO.
La parte psichica è complessa, come quella cosiddetta “sottile” ovvero “vitale”, che dir si voglia, parte psichica della quale “l’astrale” costituisce, a sua volta, una zona rilevante, importante in modo particolare, per lo meno nel nostro “eone”. Ora: alla fine del corpo FISICO non è affatto detto che “tutto quanto” c’era “in quell’individuo” sparisca del tutto: NON è affatto detto. Se si è – come diceva Gurdjieff – “cristallizzato” qualcosa, ecco che la parte sottile (o una sua “sezione”, per così dire, ovviamente quella spaziale È SOLO UNA METAFORA) può sopravvivere alla “morte fisica”, e, in tal caso, “incarnarsi” IN un ALTRO individuo, ovvero “reincarnarsi”! Ed ecco la reincarnazione famosa!
Ma non è che “ritorni” lo STESSO individuo, cosa IMPOSSIBILE. Pertanto il termine “reincarnazione” non può esser altro che fuoriviante; più corretto è il termine metempsicosi.
Vi son vari casi del genere, trattarne diffusamente, oltre che pubblicamente, ci porterebbe su terreni scivolosi, per cui non lo si farà.
Come che sia, rimane certo che l’individuo non può “tornare” a “rinascere”, secondo quel che afferma la fede POPOLARE; ed ecco la cosa che ha potuto generare molte confsioni e depistare: in molti paesi d’Oriente, questa è fede popolare, fede che, però, le loro stesse autorità non sostengono, parlando, queste ultime, o di metempsicosi oppure di trasmigrazione. Quest’ultima è, molto semplificando, il passaggio di stato nel Cosmo (tipo: fra stato umano ed altri stati del Cosmo), la metempsicosi essendo, invece, solo il passaggio di “qualcosa” OLTRE la morte corporea ma RIMANENDO NELLO STATO UMANO, e, proprio per tal motivo, questo “qualcosa” necessita di “reincarnarsi” – e mo’ ce vo’! – per potersi “sviluppare” (eufemismo). Quest’ultimo termine (“svilupparsi”) è, in realtà, NON calzante: in effetti, il “qualcosa” necessita di “ritornare” – ma NON È un individuo, conviene ripeterlo … – per “rilegarsi” allo “stato umano” (CORPOREO, e, quindi, al corpo di un ALTRO individuo!), legame dal quale non è mai definitivamente uscito, per “completare” lo “sviluppo”, in quanto lo sviluppo “solo” cosiddetto “astrale” ha il suo tempo “di scadenza” poiché ancor sottoposto al Tempo, non più, però, allo spazio. Infatti, la “cristalizzazione” (Gurdjieff) avviene, per procedimento “alchemico” NEL CORPO, che dunque si necessita per poter sussistere. Ed avvenendo NEL CORPO, essa può avvenire tanto in senso “buono” quanto “cattivo”: «“La cristalizzazione è possibile su qualsiasi base. Prendete per esempio un brigante di buona razza, un brigante autentico. Ne ho conosciuti io stesso nel Caucaso. Un tal brigante resterà sul ciglio d’una strada, fucile alla mano, dietro una roccia, per otto ore senza fare il minimo movimento. Potreste fare altrettanto? A ogni istante, cercate di capirlo, una lotta si scatena in lui. Egli ha caldo, ha sete, le mosche lo divorano; ma non si muove. Un altro è monaco; ha paura del diavolo; batte la testa contro il suolo e prega tutta la notte. Così la cristalizzazione si compie. In tal modo è possibile generare in se stessi una forza enorme; si possono sopportare torture; si può ottenere tutto ciò che si vuole. Questo significa che in questi uomini, a partire da un certo momento, vi è qualcosa di solido, di permanente. Persone di questa fatta possono diventare immortali. Ma con quale vantaggio? Un uomo di questa specie diventa una ‘cosa immortale’, ‘una cosa’, benché una certa quantità di coscienza sia conservata in lui. Però, occorre ricordarlo, si tratta di casi eccezionali”», P. D. OUSPENSKY, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Editore, Roma 1976, p. 40.
Ci si deve fermar qui, poiché occorrerebbe spiegare molte altre cose per capirsi meglio; basti però, per gli scopi di questo modesto post, affermare che il ritorno dello stesso individuo in vita, dopo la morte, NON È possibile: quelli che “ritornano” son fantasmi, ovvero parti, cioè “cadaveri psichici” (secondo l’espressione di Guénon), oppure son anche dei corpi cosiddetti “astrali”, ovvero la sopravvivenza – ma NON come “LARVE”!, cioè NON “fantasmi”, ovvero NON come “cadaveri psichici” (Guénon) – di una PARTE, più o meno “vasta” – quest’ultimo termine in realtà è, DI NUOVO, SOLO UNA METAFORA (poiché “lì” NON vi è “luogo” NÉ vi è alcuna “estensione”) – dell’ “insieme psichico” che FACEVA PARTE di un determinato individuo QUANDO ERA IN VITA. Quando era in vita, si badi bene a questo punto.
Tal insieme psichico, in realtà, “eccede” ciò che si conviene chiamare l’ “io”. Ed è proprio questo il punto difficile da far capire, la modernità essendo l’esaltazione del “SOGGETTO”, vale a dire dell’ “io”, ovvero dell’ INDIVIDUO.
Chiaro che un fenomeno del genere necessita di particolari condizioni, e cioè non può esser proprio di tutti gli individui presenti sulla Terra, e nemmeno va confuso con la “vita oltre la morte”, cioè negli stati post mortem, paradisiaci e/o infernali e/o purgatoriali ch’essi siano, perché questi ultimi, pur permanendo legati in qualche modo alla Terra, non “ritornano”, NON SONO, cioè, dei fenomeni di metempsicosi.
Per esempio, il t’ülku tibetano È, in realtà, un fenomeno di METEMPSICOSI, questo sì. E Pitagora, in realtà, parlava della METEMPSICOSI, e NON della cosiddetta “reincarnazione”.
Come si vede, ci son casi diversi e vi sono eventualità differenti, per cui non si può fare “d’ogni erba un fascio”, come suol dirsi.
La metempsicosi è ciò che, VOLGARMENTE, viene chiamata “la reincarnazione” – ma s’è visto che quest’ultima è una semplice impossibilità derivante dall’impossibilità di una “ripetizione” dello stesso individuo (la clonazione si avvicina moltissimo alla “ripetizione” ma NON la tocca MAI: Achille NON raggiunge MAI la tartaruga) –; e la metempsicosi, si diceva, È – in SÉ stessa – del tutto amorale: “Da non confondere [Schuon sta parlando della trasmigrazione] con la metempsicosi dove elementi psichici in teoria perituri d’un morto s’inseriscono nell’anima di un vivo, cosa che dà l’illusione di una «reincarnazione». Il fenomeno è benefico o malefico a seconda che si tratti di uno psichismo buono o cattivo; d’un santo o d’un peccatore”, F. SCHUON, Sulle tracce della religione perenne, Edizioni Mediterranee, Roma 1984, p. 96, in nota a pie’ pagina, corsivi e grassetti miei. E ciò conferma quel che diceva Gurdjieff, in un altro linguaggio, ma ciò accade solo perché trattasi di un “sapere”, una conoscenza, che, IN SÉ, può essere volta tanto al bene quanto al male, una conoscenza, in sé, dunque, “amorale”.
Si dirà: ma i “ricordi” famosi, ma il famoso déja vu, e i famosi “ricordi” sotto stato ipnotico, ecc., ecc.?
Ebbene qui occorrerebbe veder bene cosa possa, in qualche modo, appartenere a passati individui legati a quello presente (DAL KARMA: eccolo qui!), oppure non è altro che il “discendere” negli stati cosiddetti “subconsci” ovvero nel mondo sottile inferiore a due passi – ancorché il mondo moderno nol vegga – dal presente (“nostro”) mondo, e che tanto influenza – lo vediamo dalle cronache quotidiane, dalle reazioni apparentemente “senza motivo”, per esempio – il mondo quotidiano, tanto di più influenzandolo quanto meno vien visto. E NON È affatto semplice operare la necessaria “discriminazione degli spiriti” che si manifestano, ma proprio PER NIENTE LO È … Per questo quell’ambito è così “scivoloso” ed infido, e, di solito, le autorità tradizionali, residuali su questo pianeta, sconsigliano vivamente d’interessarsene.
E poiché siamo nella “stagione dei morti” (3) – cioè sub signo Scorpionis –, ecco che si deve trattare un altro tema: quello dei “cadaveri psichici” (Guénon); in altri termini: cosa n’è delle “rimanenze” cosiddette “astrali” – e “vitali” – degli individui una volta che “la morte”, fenomeno complesso ridotto ad una sola parolina!, sia successa, o avvenuta, che dir si voglia.
E qui si può fare un’osservazione: se questa parte qui può, più o meno, “rimanere legata al ‘nostro’ mondo”, ciò significa che tal individuo non sia “andato” – metafora eh, solo metafora – nel cosiddetto “altro mondo”, quello degli stati post mortem?
Ma nient’affatto!
Infatti quell’individuo è “andato” (sempre metafora!) nell’ “altro mondo”, ma non completamente (una “parte” è “rimasta” nel “nostro” mondo, e qui occorrerebbe porre le mummie e la parte di ka “vitale” che vi rimane “attaccata”, sempre che i riti siano stati compiuti come si deve, chiaro).
E qui, per capire queste cose, con Schuon, occorre ricordare che la “parte inferiore” dell’ “anima umana” è “peritura”, salvo casi “metempsicotici” o “larvatici”: è cioè peritura, ma può essere “fissata” (“CLAVIS” di TUTTA la questione).
Questi ultimi due fenomeni (cioè quello della metemspicosi e quello delle “larve”, a sua volta quest’ultimo causa talvolta d’ “infestazioni”, di qui anche il nome col quale lo si designa: “larve”, cioè parassiti) nascono da cause diverse, dunque dan luogo a DIFFERENTI EFFETTI. Dottrina diffusa, tra l’altro (ed è interessante ricordarla nel presente contesto!), è che le cause delle epidemie derivino anche da questi “frammenti sopravviventi” in forma di “cadaveri psichici”, per chiamarli come li chiamava Guénon (4).
Questi “frammenti” son appunto i “lemuri” – sì, proprio come gli animali omonimi del Madagascar, così chiamati non per caso (per gli occhi, tra l’altro) –, altresì detti “larve”, sui quali Paracelso scrisse varie cose; ne riporto qui di seguito una soltanto, per completezza informativa e per nessun altro motivo particolare: “Lemures. Elementali dell’aria [quelli di cui parla Vallée …]. Elementari dei defunti [non sepolti, uccisi (da guerra o epidemie) senza riti (le cosiddette “fosse comuni”, per intenderci, in due secoli ormai un numero spaventosamente alto), o suicidi]. Spiriti «battitori» che producono manifestazioni fisiche [QUESTO è IL punto: le manifestazioni “fisiche”]”, F. DE HARTMANN, Il mondo magico di Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma 2011 (edizione orig. 1982), pp. 54, corsivo in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.
Questi “frammenti” d’ “insepolti” senza “riti”, o con nessuno che li ricordi (di qui la presenza, per i cinesi, fra tali morti, dei “morti senza discendenza”, perché non vi è, allora, alcun discendente a fare i necessari riti, ed anche le pietre sanno quanto sia importante in Cina il culto dei defunti; sia detto per inciso: quel che conta davvero è la famosa “tavoletta degli antenati”), son detti, nella tradizione popolare cinese, i “fratellini”, ed è un chiaro eufemismo. Anche ad essi si brucia il famoso “denaro degli spiriti” (5) (le credenze popolari cinesi sono assai vicine a forme di “spiritismo”), quello che si vede tante volte bruciare nei riti popolari cinesi: quello.
Chiaramente non trattasi di denaro “vero”, non ha “corso legale” insomma, ma imita il denaro corrente: è composto di yuan, in altre parole (la carta moneta si dice in cinese yuan”, dal nome della dinastia mongola, appunto gli Yuan, parola che, a sua volta, significa “origine”, sono in pratica la prima dinastia che prende come nome un qualcosa d’astratto, prima prendeva nome dal luogo, dalla cosiddetta “provincia” dalla quale la dinastia regnante originava; in giapponese “yuan” si pronuncia “yen”, è la stessa cosa).
Il “denaro degli spiriti”, cosiddetto, “sta per” altro, in realtà, cioè “sta per” delle vittime reali un tempo immolate ai “morti senza sepoltura” per “ricordarsi di loro” acciocché non “ritornino” predando i viventi (anche con epidemie, per esempio). E’ una credenza diffusissima in Cina, e in tutta l’Asia orientale in realtà, con forme diverse, quella cinese, ovviamente, molto più “istituzionalizzata” ed elaborata, ma la sostanza è precisamente identica ovunque nell’area.
Per esempio, i famosi “360 ‘spiriti’ [kuei] delle epidemie”: “Le anime dei suicidi, degli annegati e di chi è morto per infortuni, possono sfuggire alla loro infelice esistenza futura solo trovandosi delle sostitute. L’anima dell’annegato resterà un demone dell’acqua fino a quando non attirerà qualcun altro facendolo annegare. Qesto prenderà il suo posto permettendogli di lasciare la sua prigione acquatica per proseguire il ciclo della trasmigrazione. Lo stesso accadrà per i suicidi e per i morti d’incidenti stradali. Secondo i Cinesi, la veridicità di questi concetti è dimostrata dal fatto che gli incidenti si verificano sempre nello stesso luogo e che un suicidio ne provoca sempre un altro. I morti per ingiustizie, coloro che son stati assassinati, ecc., possono, al contrario, ottenere dal cielo la possibilità di vendicarsi per metter fine alla loro condizione di dèmoni. Essi diventano, così, agenti della giustizia e della retribuzione divina. Per ricordare un solo esempio, i 360 dèmoni delle epidemie furono, in origine, soltanto illustri letterati uccisi ingiustamente dalle magie del Maestro Celeste, capo dei taoisti. Per vendicare questo torto e rendere difficile la vita ai sacerdoti, furono investiti del ruolo di dei-dèmoni delle pestilenze”, AA.VV. Geni, Angeli e Demoni, Edizioni Mediterranee, Roma 1994, pp. 343-344, corsivi in originale, grassetto mio (dall’articolo a firma di K. Schipper: la traslitterazione è “alla francese”; qui la si è mantenuta per mera comodità).
Tra l’altro, sia detto en passant, i Giochi Gladiatori son nati per questo, per la sostituzione di morti reali, di sacrifici umani un tempo reali: un tempo – etrusco ritu – sacrificavansi ai morti proprio individui umani, con un senso, però, un po’ diverso: mentre il rito cinese (e varianti) è un rito esorcistico (trattasi di evitare che i “morti” diventino dei “lerevenant”, DEI “DYBBUK”, quel “dybbuk” – spettro – che, per Marx, son sia il comunismo sia il capitalismo), qui si trattava di onorar morti speciali ed appartenenti alla parte superiore, aristocratica, della società, un po’ come fu fatto in Cina per Qin Shi Huangdi [Ch’in Shih Huang-ti], o per altri regnanti. Un po’ come fu fatto per Gengis Khan, con modalità diverse, però: si narra che, durante il corteo funebre che doveva portarne le spoglie dov’è sepolto ancor oggi (località precisa che ancor oggi risulta ignota), i guerrieri, che ne scortavano le spoglie, dovevano uccidere chiunque avessero incontrato lungo il tragitto. NON ERA solo per impedire che si sapesse l’esatta localizzazione della tomba, ma era anche per accrescere i “‘compagni del khan’ nell’ ‘altro mondo’”.
Hanno saccheggiato tante tombe egizie (non sempre gli ha portato bene a chi l’ha fatto, ma i moderni credono tutto ciò non esistere), però la tomba di Qin Shihuangdi nessuno si permette di toccarla: ne han portato fuori, però, parti del famoso “Esercito di terracotta” che doveva difenderla: i suoi “guardiani”. Il “tabù”, per gli abitanti della zona, è ancor oggi fortissimo, per quanto se ne conosca bene la localizzazione.
Si dice che la Russia fu attaccata nello stesso giorno in cui fu scoperchiata la tomba di Tamerlano, che lui aveva lasciato scritto di non aprire: vero o non vero, importa poco.
Quanto a quella di Gengis Khan, non si sa neanche di preciso dove sia … Si dice vi sia una tribù mongola posta di guardia: vero o non vero, importa poco.
Cosa importa, invece? Che non si toccano queste tombe perché una parte del complesso “compost” animico vi permane legato. Ma cosa vuol dire tutto ciò? Che la “persona” sta – metafora spaziale di fatto NON spaziale – “lì”? NO di certo. La “‘persona’ ‘sta’” nell’ “altro mondo”, ma vi è UNA PARTE del complesso “compost” animico che permane legata COL (e quindi AL) corpo: QUELLA “parte” permane legata con queste TOMBE importanti. Ed è quella “parte” che non vogliono risvegliare. I moderni “non si ritrovano” in queste cose perché per loro, anche ammesso che ci “sia” un’ “anima”, essa, per loro, è l’ “io”; ma non è affatto così, poiché il mondo “animico” è un insieme MOLTO complesso di “strata” e livelli DIFFERENTI. Per loro, come c’è un’ “unità” dell’ “io” (e cioè dell’ “individuo”!!), così vi sarebbe un’ “unità” dell’ “anima” quando anche Aristotele, per esempio, parlava di “tre anime”, o, per dir meglio: tre “STRATA” dell’anima, sarebbe più corretto dir così.
Non ci s’inventa un bel niente qui, sono cose che dovrebbero essere BEN conosciute.
Comunque le tombe di questi tre personaggi qui sopra ricordati son fra i rarissimi casi di persone che – per davvero – hanno comandato quasi da sole, non le pretese o le illusioni di farlo, ma farlo davvero; è un caso rarissimo nella storia: la volontà di UNO SOLO È anche la volontà di MOLTI, unite, come un fascio di frecce, difficili da spezzare.
Andrea A. Ianniello
NOTE
(1) G. Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1979, pp. 101-102, corsivi in originale.
(2) Ivi, pp. 107-109, corsivi in originale.
(3) Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/10/link-in-qualche-modo-legato-al-tema-di.html.
Va precisato che la festa di Lemuria passò dal 13 maggio alla festa “di tutti i santi” con papa Bonifacio IV nel 609, poi papa Gregorio III portò tale festività, nel 732, al 1 novembre, data del “Samhain” e, comunque, dei “morti” (che possono tornare, i “revenant”, appunto) in vari culti precristiani.
(4) Di due fonti diverse, a tal proposito, parlo in uno “scrittino” (ma il passo preciso dovrà esser cercato da chi vi fosse interessato), cf.
https://www.lulu.com/en/en/shop/andrea-a-ianniello/appunti-sparsi-di-metapolitica/paperback/product-j2zq2d.html.
(5) Si vede un esempio di riti funebri cinesi nelle foto in TCHAO YUN-KOEN, Il Confucianesimo, Rizzoli Editore, Milano 1984, pp. 72-73. La didascalia recita: «Riti (a sinistra) e simboli funebri (a destra), a Hong Kong e Chengtu; sebbene Confucio e la sua scuola “ortodossa” fossero molto reticenti riguardo alla sopravvivenza dell’uomo, tuttavia non vi si opposero; sulla base di tali elementi si formò una dottrina per cui, come il cosmo è costituito dalle due forze primordiali yang e yin, così anche l’uomo è composto dallo yang individuale e dallo shen (corrispondente al concetto di “anima”) e da una forza vitale, il kuei (letteralmente dèmone); solo lo shen sopravviverebbe dopo la morte», ivi, p. 72, corsivi in originale. Ma, se qualcosa interrompe il ciclo, lo shen – nelle credenze popolari – rimarrebbe “bloccato”, ed ecco i “morti ‘non morti’”, che, secondo le dottirne ortodosse, invece, non son che dei gui [kuei, è lo stesso, solo diversamente traslitterato: ed oggi la vera e propria “babele” delle traslitterazioni almeno è stata fortemente semplificata, un tempo ogni “lingua nazionale” ne aveva una]. Delle “anime bloccate” vi son i due tipi ricordati da Schipper nella nota precedente: quelli per “destino” e quelli per “punizione”, I secondi possono chiedere al “dio del Daishan” giustizia per le malefatte subite: ed ecco “I 360” ricordati sopra. Gli altri fanno invece parte dei “fratellini” cosiddetti. In realtà, sono la forza più PERICOLOSA perché strutturalmente INSTABILE (facendo parte delle “influenze erranti”, come le chiamava Guénon). Una foto, inoltre, proprio di questo “denaro” la si può vedere in G. PARRINDER, Storia universale delle religioni, Mondadori Editore, Milano 1984, pp. 176-177. La didascalia recita: «Nelle pagine seguenti: due pellegrine bruciano, all’interno della Grotta volta a mezzogiorno, secondo un antico rito, il simbolico “denaro di carta” destinato ai defunti. Il Monte Tai, considerato sorgente di vita, presiedeva pure agli Inferi», ivi, p. 174, corsivi in originale. Si tratta del Tai-shan [Daishan], il Monte Tai, cioè il centro della religione cinese originaria, di prima della tripartizione in: Confucianesimo-Taoismo-Buddhismo.