domenica 8 novembre 2020

DUE “PS” …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

PS. Si vedono, talvolta, degli Occidentali con un’ inconfessabile invidia[1] verso il successo della Cina nella pandemia (e non solo), un successo che per loro non può che derivare dal mentire, che ci sta eh: i Cinesi non son certo famosi per la loro sincerità … ma tutto ridurre a questo è davvero riduttivo.

Di più: è chiudere gli occhi sulle proprie debolezze, dunque perpetuarle.

 

 

a. I dirigenti cinesi – avendo avuto spesso contatto con gli Occidentali –, pur ben consapevoli delle proprie (**cinesi**) debolezze, col tempo han capito quanto deboli fossero anche gli Occidentali, da loro sempre considerati “tigri vere” ma rivelatisi “tigri di carta” (seconda la ben nota espressione di Mao: in Cina la tigre di carta è uno che mena vanto, ma non ha vera forza).

Soprattutto gli USA si son rivelati tigri di carta[2].

La loro “soluzione” (americana)? Una: usare le armi … Società in piena implosione, strutturale

Ora tentano negli USA una fase di resipiscenza (ben venga), ma la spaccatura del corpo sociale ormai è una realtà, come in Italia ed in Europa, del resto, in Italia in modo particolare: tale spaccatura è dovuta proprio ai frammenti di modernità nel mondo tardo moderno, frammenti che agiscono per la sovversione della modernità stessa, con apparente paradosso.

Perché agiscono in tal senso?

Perché non possono ricostituire uno stato passato del sistema (“il più gran criminale della storia: la chimera”), ma possono – volendo ciò che non possono – spaccare “quel che rimane” della modernità.

Ecco il perché. Dunque accrescendo il processo che, a parole, dicono di voler arrestare.

Ognuno va quindi a “ruota libera” in Occidente, pensando di salvare solo se stesso e la propria famiglia = constatazione che non c’è più una “società”, che nasce solo e soltanto quando si vada oltre gli interessi individuali e familiari (il famoso “familismo”, così forte in Italia).

Ora: in base a cosa tu imponi un disciplina sociale in Occidente? Non c’è niente in base a cui farlo, e non parlo di categorie, di parti della società: no, parlo de “la” società come un “intero, la società tout court. In realtà, la crisi Covid 19 dimostra, con un fatto, che una parte rilevante dell’Occidente ormai è fuori controllo: non puoi controllarlo.

Puoi proporre il sogno di un “nuovo” patto sociale, cioè una riedizione – in formato ridotto (“digitalizzato”, “zippato”) – del “patto sciale” di dopo il Secondo Conflitto Mondiale, patto sociale andato in definitivi frantumi. Questo non potrà che mascherare che la società – “Quel che resta della società” – continuerà per il suo cammino di digitalizzazione spinta e di sovvenzione dei settori più deboli, in una riedizione di panem et cicrcenses. Non è questo, tuttavia, il Regnum Antichristi, del quale alcuni straparlano senza mai neanche lontanamente chiedersi se possa oggi riaversi una replica di Hitler o Stalin (e la risposta è: No); la digitalizzazione spinta è solo la sua conditio sine qua non. Si ponga ben attenzione a codesta distinzione tra la condizione perché un qualcosa possa manifestarsi, e la cosa che si manifesta: seppur ricollegabili fra loro, son due fenomeni differenti. Tanti neanche immaginano debba esserci tale differenza …

 

Niente unisce le società occidentali, dunque: questo è “il” punto.

Ed ecco perché son finiti, nel profondo. Dice: pure la Cina lo è (finita); vero, nessun dubbio, però ad un grado diverso, in uno stadio relativamente meno avanzato; essa, dunque, ha un vantaggio posizionale importante.

Come “il caso del Covid 19” ha dimostrato, per quanto la mortalità sia rilevante (ma non rilevantissima), l’infettività è tale da travolgere le difese. Non conta quanto alta sia l’onda, ma la sua potenza, cioè la sua capacità di esercitare una pressione nell’unità di tempo. L’infettività è troppo veloce. Non è detto che sia sempre l’artiglieria pesante a far danni: la cavalleria, se veloce, può esser di grave danno, come le campagne dei Mongoli attestano al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ricordo che a Fukushima (2011) l’onda non era veramente altissima, ma era, però, molto forte, molto potente, quindi capace d’esercitare una pressione forte nell’unità di tempo; inoltre, molto veloce: la combinazione ideale per conseguire la vittoria: potenza nell’unità di tempo, più velocità.

Un nemico di tutto rispetto questo Sars-CoV-2, che, per di più, ha goduto di una sottovalutazione, di un pressapochismo, di una superficialità collettiva folli; e ritorniamo alla stato incredibilmente degenerato delle società umane tutte, senz’alcuna eccezione, ma quelle occidentali degenerate in un modo molto particolare. Diciamo: in un modo molto “avanzato” … in avanzato stato di decomposizione, letteralmente, delle società, che si scompongono nelle loro categorie, nei gruppi d’opinione, di pressione, di depressione, di appartenenza, le più varie, ma mai che riescano a mettersi assieme, o, se lo fanno, lo fanno con grandissima macchinosità e difficoltà, così attestando uno stato sociale, disperso e frammentato, ch’è ormai un clima diffuso e stagnante, quasi strutturale.

E questo accade in Italia – paese noto per le sue rissosità e “di visività” caratteristiche, strutturali ed endemiche – accade in un modo particolarmente forte.

 

 

b. Si ricordano, ancora (in Cina), del saccheggio del Palazzo d’Estate di Pechino, quello “vecchio”, distinto dal nuovo – ricostruito, e a sua volta bruciato, nella rivolta dei Boxer nel 1900, dall’ “Alleanza delle Otto nazioni” contro l’Impero cinese (tutte cose che, in pratica, in Occidente, sono state del tutto dimenticate, non altrettanto in Cina, dove se le ricordano molto bene), poi nuovamente ricostruito nel 1902, se non ricordo male –, vecchio Palazzo d’Estate saccheggiato per ordine di Lord Elgin nel 1860[3].

Era la Seconda Guerra dell’Oppio, altra umiliazione nazionale per la Cina: ricordo come Mao Zedong considerasse le Guerre dell’Oppio sempre come una sorta d’umiliazione nazionale, certo dimostrazione che la Dinastia Ch’ing – cioè i Mancesi (che son Manciù, cioè non “Han”, cioè non “cinesi” …)[4] – avevano perso, definitivamente ormai, il “mandato del Cielo” a governare. Agli Occidentali entra con difficoltà in testa che un tempo, non tanto lontano, prima del XIX sec., il commercio che t’arricchiva davvero era quello con l’Oriente, con l’India Mogol e con la Cina Ch’ing [Qing] (prima Ming, ma meno), e che la “scoperta” dell’America nacque “per errore” in vista della via più breve per andare in Oriente, per commerciare in spezie e cose preziose, cioè quel che rendeva ricchi i mercanti dell’epoca, i **borghesi**, quelli che avrebbero sottomesso l’intero Occidente alla loro tirannia democratica[5] (e che oggi hanno grossi problemi e nessuna possibilità di venirne fuori, salvo darsi ancor più alla tecnologia, e cioè peggiorare la malattia che già li sta uccidendo).

Da ciò, da una tale ricerca delle “spezie dell’Oriente”, è nata la “prima globalizzazione”, come la chiama qualcuno. L’ “America” è stata il trampolino per la dominazione dell’Occidente sul mondo, dominazione in grave crisi oggi, per colpa non certo solo dei cinesi, ma pure degli occidentali. Il motivo profondo è uno: la borghesia non ha mai saputo che cos’è, davvero, la “politica”, fuori dall’imposizione di determinati interessi (come dice, giustamente, Thuiller nella citazione a pie’ pagina di qui sopra). Non esiste il “tutto”, o l’ “insieme” nella politica “borghese”, per principio. Una determinata, e lunghissima invero, “congiuntura storica” li ha lungamente favoriti, per un “conundrum” di ragioni. E ora questa circostanza storica sta svanendo, per lo stesso “conundrum”, per causa proprio del successo avuto, che non sanno – né possono, in alcun modo – dominare, che non “signoreggiano” in alcun modo. Infatti, la “politica” borghese non è provvista di strumenti per “ridurre” quest’effetto – necessario ed inevitabile – del successo della tecnica, il cui scatenamento nasce dal “punto cieco” della politica borghese. Tutto questo rende zero, se non sottozero, tutto quest’ “ambaradan” di “popolo” o riproposte di vecchi “patti” sociali. Dovresti rivedere le basi della politica borghese. Ma non puoi farlo nei termini della politica borghese, cioè dell’ unica politica che la modernità è mai stata in grado di esprimere dalla fine del XVIII secolo in poi, particolarmente dal XIX secolo, per poi protrarsi nel XX ed ora, nella sua fase gravemente calante, replicarsi nel XXI, come un virus.

 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 


PSS. Ricordo che Guénon amava spesso citare il detto – attribuito al cardinal nipote di Paolo IV Carafa – di Vulgus vult decìpi.

Ed amava pure citarne un altro: Corruptio optimi pessima

 



[1] Cf.

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[2] “C’è sempre stato bisogno di spiriti forti […] e in questo senso la frase di Mao La bomba atomica è una tigre di carta’ rientra tra le poche frasi geniali della nostra epoca. Avrebbe potuto pronunciarla Lao-Tse”, E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, Multhipla Edizioni, Milano 1982, p. 71.  Cf. Mao Tse-tung, Citazioni. Il «libretto rosso», Newton Compton (Tascabili Economici), Roma 1994, tutto il cap. VI, pp. 31-33, è dedicato alle “tigri di carta”. “Dato che non vi è al mondo una cosa che non racchiuda in sé una duplice natura (questa è la legge dell’unità degli opposti), anche l’imperialismo e i reazionari hanno in sé una duplice natura ― sono al tempo stesso tigri vere e tigri di carta”, ivi, p. 31. “Mao Tse-tung e Žirinovskij hanno […] un elemento in comune: nessuno dei due teme la potenza distruttiva delle armi nucleari, o, per esser più precisi, entrambi hanno voluto dare l’impressione di non averne paura. […] Da quel vecchio saggio cinese dell’era moderna qual era, Mao Tse-tung ebbe a dire nel 1955: «Il bluff atomico degli Stati Uniti non può certo spaventare il popolo cinese. […] Quel po’ di armi nucleari che gli Stati Uniti posseggono non possono distruggere il popolo cinese. Se anche gli Stati Uniti possedessero bombe atomiche più potenti e le usassero contro la Cina, se anche facessero un bel buco sulla Terra o la riducessero in frantumi, per quanto grandi possano essere le ripercussioni di un tal atto sul sistema solare, esso sarebbe pur sempre una vicenda di poco conto per l’universo». Mao aveva sicuramente idee molto originali”, Premessa degli autori a G. Frazer – G. Lancelle, Il libretto nero di Žirinovskij, Garzanti Editore, Milano 1994, p. 21. La fonte della frase citata è dalle Opere scelte di Mao, «A Conversation between Mao and Finland’s First Ambassador to China», ivi, p. 25, in nota. Tiranno e saggio assieme, attenzione, ambedue le cose: un’erma bifronte, come ci si poteva in effetti attendere da chi faceva della “contraddizione”, meglio dire: della duplicità, la natura della realtà … Ricordiamoci che il termine “mao” significa “gatto” (ed ovviamente “bau”, che non esiste in cinese in questa forma, non significa cane …).  

[3] “Tra le cose che leggevo in quelle settimane, vi era il Journal d’un interprète en Chine (1886) di d’Hérisson. L’autore accompagnava, circa cento anni [dall’epoca in cui scriveva Jünger, chiaro: oggi son cento quarant’anni circa fa], quando era un giovane soldato, il generale Montauban nelle operazioni che seguirono alla rivolta dei T’ai-Ping [1861-1864, contro la dinastia dominante dei Ch’ing]. Egli è un buon osservatore e il suo libro merita d’esser letto già solo per il fatto di aver riportato i particolari di uno dei più grandi saccheggi della storia mondiale, quella del palazzo d’Estate a Pechino, residenza imperiale colma dei più inauditi tesori. Il saccheggio fu simile a una fiera annuale durata più settimane e terminato con l’incendio del palazzo. In simili azioni si ripete l’irruzione i un’antica civiltà superiore, superiore almeno per quanto concerne lo stile d vita e il livello di raffinatezza. I palazzi in fiamme fanno parte dello scenario, come successe per quello di Dario a Persepoli e per quello di Montezuma in Messico. A proposito del rapporto tra suono e ora mi ricordo della descrizione di un’anguria, che d’Hérisson celebra come incomparabilmente superiore rispetto a quella italiana e persino a quella spagnola. Dai Cinesi sentì dire che essa è perfetta se la si raccoglie di notte, prima della rugiada. Il racconto deve avvenire nel più profondo silenzio, poiché proprio i frutti più delicati quando siano colpiti anche dal più leggero dei suoni scoppiano. Tra le macchinazioni di un cattivo vicino vi è quella di battere un colpo di gong nel giardino accanto durante l’ora del raccolto, provocando così grandi danni. E’ evidente che questa raffinatezza […] e i piaceri che l’accompagnano son divenuti impossibili. Un caccia a reazione distruggerebbe col suo passaggio il raccolto d’una intera provincia. Noi siamo minacciati da esperienze analoghe nella coltivazione della vita [oltre al suono, le radiazioni elettromagnetiche, per esempio]. […] D’Hérisson riferisce inoltre che erano soliti fare un buco in quei frutti prelibati per riempirli di madera o persino di kirsch; e sen vanta anche. Queste campagne in Cina di Stati europei, protrattesi per tutto il secolo XIX, si segnalano nel loro complesso per una mescolanza di arroganza, brutalità e stupidità”, E. Jünger, Avvicinamenti, cit., pp. 208-209, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. In generale, questo testo di Jünger è “notturno”, è legato, per me, sempre a letture notturne, a volte a notte fonda, quando si sente (o sentiva …) poco rumore per le strade (poi, col Covid un’altra volte le notti si sono placate, ma con una sorta di gabbia).  

[4] Quindi Fu Manciù non è cinese, cioè non è d’etnia “Han”. Tra l’altro, ultimamente – ma guarda caso … – stan facendo uno sforzo di ricostruzione degli splendidi giardini del Palazzo d’Estate “vecchio”, cf.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/21/Old_Summer_Palace%2C_Palace_Gates_of_Qichunyuan.jpg/800px-Old_Summer_Palace%2C_Palace_Gates_of_Qichunyuan.jpg.

[5] “Infatti, il borghese nel senso letterale del termine, s’identificava con l’uomo della città e più precisamente con l’uomo del ‘borgo’, cioè del quartiere dei commerci. Questo era il fatto cruciale: l’archetipo dell’Occidente moderno era apparso proprio all’interno della cristianità con la nascita delle città medievali. Un tempo l’ideale cristiano si era incarnato nel Santo; da allora in poi l’ideala moderno si sarebbe incarnato nel personaggio del Borghese. Quando il professor Dupin dichiarava che l’Occidente era nato e morto nelle città voleva dire almeno due cose. Innanzitutto, che la Grande Implosione è stato per lo più un fenomeno urbano. Miseria, disoccupazione, stress, delinquenza, droga e violenze si sono sviluppate in modo esasperato nelle città […] Questo potenziale di odio era stato generato da uno sviluppo urbano demenziale. Abbiamo capito perciò che il professor Dupin, parlando di città mortifere, faceva allusione a molteplici fenomeni di deterioramento visibili a colpo d’occhio nelle città e nelle periferie. […] Nel momento stesso in cui le periferie delle grandi città andavano in putrefazione non era raro costatare come il loro centro «ceduto agli affari e alle macchine» fosse stato privato d’ogni forma di via autentica […] Circolavano storie sinistre sulle città-dormitorio, sulle città-ghetto, le città della paura […] Sempre più prive d’anima, le città che avevano fatto la gloria dell’Occidente si decomponevano. Agli occhi del professor Dupin […] il disfacimento urbano simbolizzava perfettamente il disfacimento spirituale di una cultura agonizzante. Era chiaro che si doveva risalire più indietro, molto più indietro. C’era dunque un secondo messaggio: nelle città si erano creati i valori (o gli pseudo valori) della cultura borghese, della cultura moderna. Gli stessi borghesi, all’epoca in cui avevano ancora memoria, ne erano ben consci: sapevano che il loro vero atto di nascita risaliva al Medioevo e più precisamente alla Grande Mutazione, cioè al momento in cui le comunità urbane (i «comuni») si erano affrancati”, P. Thuiller, La Grande Implosione. Rapporto sul crollo dell’Occidente 1999-2002, cit., pp. 75-77, corsivi miei. Diciamo che, come date, Thuiller non è andato troppo lontano, la posizione del “2” doveva essere mutata, ecco tutto … Ma veniamo alla “politica” borghese, il che ci fa ben capire per qual motivo e per quale ragione la “politica moderna” è del tutto incompetente nel risolvere alcunché (se accade qualcosa di diverso in altri contesti culturali ciò accade, come s’è già detto, perché un certo sostrato rimane in quei contesti, per lo meno rimane in maggiore misura, quanto basta, dunque, ad assicurare a detti contenti non europei un “vantaggio posizionale”, per usare il linguaggio della strategia). “Fare politica, nel senso nobile, significa lavorare alla realizzazione di un progetto sociale e culturale; significa, dunque, far riferimento a una determinata concezione dell’uomo [corsivi miei]. Ora, il borghese strettamente inteso faceva politica [idem]? Il nostro gruppo di ricerca ha preferito dare una risposta negativa [idem]. La sola passione del borghese fino al 2002 [cambiare la posizione del “2”: 2020] fu quella di organizzare il suo universo sociale in funzione delle esigenze del commercio [corsivi miei]. I suoi ideali si chiamavano profitto e rendimento. Tutto ciò che egli poteva concepire come strettamente ‘politico’ era un insieme di pratiche di gestione o, se si vuole, l’arte di far funzionare dei mercati nel modo più lucrativo possibile. Produrre, vendere, investire, consumare: ecco a cosa si riducevano le sue competenze e le sue aspirazioni. Il borghese, fin dalle origini, ha concepito l’organizzazione sociale e giuridica della sua città con uno spirito essenzialmente utilitario. Questa caratteristica ci è sembrata degna, sul piano filosofico, della più grande attenzione: i padri fondatori dell’Occidente moderno hanno, fin dall’inizio, subordinato le iniziative cosiddette ‘politiche’ a considerazioni economiche. […] Si capisce bene come mai le lunghe lotte ch’essi avevano condotto contro i signori feudali fossero state […] presentate come ‘politiche’: perché, ottenendo l’emancipazione dei ‘comuni’ e facendo nascere i potenti ‘patriziati urbani’, i mercanti e i banchieri avevano effettivamente soffocato una certa forma d’organizzazione collettiva che a loro no conveniva. Le loro ambizioni […] erano assolutamente a breve termine. «Che tipo di uomo vogliamo creare?» Ai nostri occhi questa domanda è decisiva e dev’essere affrontata da tutti quegli uomini e quelle donne che pretendono di ‘fare politica’. L’Occidente moderno, […] fin dal’inizio della sua storia, l’aveva dimenticata e non era mai più riuscita a ridarle il posto che avrebbe meritato, cioè il primo. I borghesi, in questo senso, fin dal medioevo avevano fatto politica loro malgrado [idem]. Imponendosi sui nobili e sulle potenze ecclesiastiche […], molto banalmente, volevano ottenere condizioni favorevoli allo sviluppo dei loro commerci e dei lor traffici. Comprare e vendere liberamente, ecco che cosa desideravano prima di tutto, eco la profonda filosofia della ‘libertà’ a cui si richiamavano [e capendo ciò in relazione alla “libertà, libertà” di cui si sente oggi spesso, la cosa fa specie, soprattutto da parte dei pretesi ed autonominatisi “critici” della società attuale, cioè i suoi più strenui difensori]. La base del loro potere era il commercio e il loro fine ultimo il commercio. Non si sognavano neppure di creare lo ‘Stato moderno’ [alcuni recenti altri “difensori” della forma stato moderna dovrebbero rifletterci su ‘sto punto …] (per dirla in altri termini, uno Stato complice dei mercanti e dei maneggiatori di denaro, se non addirittura asservito alle loro esigenze). Un passo dopo l’altro, guidati dalla loro vocazione mercantile, si battevano semplicemente per avere il diritto di circolare e di scambiare, per pagare meno tasse, per sfuggire al controllo delle autorità del posto e per controllare in prima persona tutto ciò che riguardava la produzione dei beni, la sicurezza del commercio, i circuiti monetari ecc. [corsivi miei; si osserva che il leitmotiv sinora rimane lo stesso]. Se la borghesia, in genere, aveva sostenuto la monarchia, notava Jean-William Lapierre era perché «era suo interesse far rispettare la sicurezza necessaria alla libera circolazione delle merci su un grande mercato nazionale e alla regolarità della produzione». A volte i borghesi dovevano impugnare le armi, ma […] era per loro molto più comodo comprare […] i privilegi di cui avevano bisogno. Un po’ di oro ed ecco che venivano loro offerte  preziose ‘franchigie’”, ivi, pp. 84-85, corsivi in originale, miei corsivi indicati fra parentesi quadre, mie osservazioni sempre fra parentesi quadre.  

 

 

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