Si è svolta, il
pomeriggio del 9 aprile scorso, martedì, nella libreria Feltrinelli di Caserta,
la conversazione organizzata da Liberalibri dal titolo “Karl Marx
contemporaneo”, con Paolo Broccoli, Salvatore Del Prete, Pasquale Iorio, Mario
Nocera, Alfredo Omaggio, Sergio Vallante, moderatore A. A. Ianniello.
Avrei dovuto fare un
intervento anch’io ma, poiché il Coordinatore dell’Associazione Liberalibri,
Enzo De Rosa, per impegni vari non poteva esser presente sin dall’inizio, ho
fatto il moderatore.
Nella presentazione
iniziale, ho posto l’attenzione su due punti: come prima cosa, niente incontri
fra “combattenti e reduci”, cioè il punto centrale è cosa possa interessare di
Marx oggi; e, secondo punto, il ritorno d’interesse per Marx dopo gli effetti
della crisi cominciata negli anni 2007-2008, per effetto dei mutui “subprime” –
che non ne sono stati la causa, ma solo il detonatore. Ribadivo – ma
l’osservazione in pratica è passata inascoltata – che Marx era, in ogni caso,
un uomo dell’Ottocento. Con ciò volevo dire che non si può seguirlo
letteralmente, per questo motivo, peraltro chiaro ed ovvio. Altra mia
osservazione: le crisi sono legate strutturalmente alla natura del capitalismo,
ed è quest’aspetto di Marx quello che è tornato al centro dell’attenzione dopo
l’inizio della Seconda Grande Crisi del capitalismo (crisi non ancora del tutto
passata), dopo il 1929, quella degli anni 2007-2008 e seguenti. Scopo di Marx
era d’individuare la ragione “scientifica” – non alla Saint Simon, non
“desiderata” o perché il capitalismo è “cattivo” ed “amorale” – per la quale il
capitalismo dovesse finire.
Quindi la domanda
diventava: che aspetti di attualità, di contemporaneità ci son ancora in Marx?
Oggi?
Ed ecco la domanda
iniziale.
In breve, riassumiamo
gli interventi.
Iniziava Paolo
Broccoli, che sottolineava la natura “rivoluzionaria” del capitalismo, secondo
Marx (il Marx de Il Manifesto), che sostituisce
sempre la sua fase precedente, che ha raggiunto il consenso globale ed è
l’unico sistema che sussista. E che, da un po’ di tempo, ha iniziato a produrre
i bisogni per poter funzionare. Questo è un punto decisivo. Ha poi precisato
che la gran parte degli scritti di Marx sono stati editi dopo la morte, ed
anche nel corso del XX secolo, mentre in vita era noto soprattutto per Il Manifesto e il Primo Libro de Il Capitale.
Inoltre, occorre distinguere con attenzione fra Engels e Marx. Faceva poi dei
riferimento a Machiavelli per il Marx politico, considerando Machiavelli, per
certi aspetti, più radicale di Marx. Quanto alla “lotta di classe”, così famosa
che spesso la s’identifica con Marx, in realtà Marx n’è stato come il
divulgatore, ma non è una categoria interpretativa da lui costruita. L’ottica
di Marx è, e rimane, critica, vagliare le cose, sottoporle a critica, era
proprio al centro del suo pensiero, per tutta la vita.
Seguiva Pasquale Iorio che
si limitava a dare due esempi di testi recenti su Marx, proprio per attestare
questo ritrovato interesse, anche da parte di non maristi, precisava. Personalmente,
direi soprattutto da parte di non marxisti, perché troppo spesso i marxisti
residui o ex tali, si limitano a citare
Marx, senza un discorso critico,
inevitabile invece.
L’intervento del
professor Vallante si riassumeva nel porre il problema del capitale variabile,
nel quale andrebbe posto anche la natura, gli animali, ecc., per cercare
d’impedire che la logica stringente del capitalismo continui nel saccheggio
della natura. Precisava tutto ciò con esempi concreti, sul plusvalore che si
forma in una ricercata commercializzazione di un prodotto agricolo a paragone
di bottiglia di vino imbottigliato “fai da te” da un contadino, questo per dare
un’idea di cosa sia il plusvalore. Precisa inoltre, efficacemente, che il problema che si era evidenziato dall’epoca di
Marx era che il ciclo M>D>M>D (merce > denaro > merce) di Marx
era divenuto, nel prosieguo del sistema capitalistico, D>D>D>D … ad libitum. Il problema del fallimento
della tesi marxiana della “caduta tendenziale del saggio di profitto” nasce
appunto dal postulato di Marx per il quale il capitale era, appunto, “fisso”,
si poteva moltiplicare solo per mezzo della merce, la merce necessitava la sua trasformazione
in denaro e, per far questo, il capitale aveva la necessità della forza-lavoro.
Quando si è passati da M>DMD a D>D>D>D, aggiungo io questo, la
necessità sulla quale si basava la coerenza scientifica di Marx pian piano si è
persa.
Del Prete invece
ribadiva la visione marxiana come ancora valida: capitale fisso, capitale
variabile e il plusvalore, sull’individuazione del quale vi era, per lo stesso
Marx, forse il suo maggior contributo da studioso. Il capitale variabile è il
lavoro (che è legato alla determinazione di una cosa molto importante per Marx:
il valore lavoro, la determinazione del valore passa per il lavoro, ma è qui,
forse, una delle più grosse cantonate di Marx). Ad obiezioni che gli facevo, cioè
la tendenza alla sparizione del lavoro, lui diceva che non può darsi una tale
eventualità perché rimane il capitale variabile, il capitalismo non può
sostituire il lavoro. Gli rispondevo che questa è tuttavia la tendenza, che
Marx, appunto, non è in grado di
spiegare. A latere si può dire che vi
son limiti fisici nel raggiungere
tale scopo, ma non concettuali.
Detto con secca
esattezza: per il capitalismo il “lavoro” non esiste come tale, esso si riduce
ad una condizione che occorre “pagare” e che si può cercare di ridurre sempre
di più. Ovviamente Achille non raggiunge mai la tartaruga, ma vi si avvicina
sempre più. Sono cose un po’ difficili d’accettare, lo so … Tutto il problema
nasce dalla distinzione fra capitale fisso e variabile, nemmeno questa
inventata da Marx, ma da lui resa centrale, dalla quale deriva la sua idea d’
“inchiodare” il sistema ai suoi limiti, dalla quale deriva, in senso logico e
dunque “scientifico”, che tale sistema possa – ed anzi debba – esser superato
da qualcosa di superiore: la società senza classi. Che il sistema debba
incepparsi va dimostrato, se si vuol fare “scienza” e, purtroppo, non è
dimostrato.
Terminava facendo
riferimento al famoso “esercito di riserva” di marxiana memoria, come necessità
del sistema per avere manodopera a basso costo.
Mario Nocera poneva il
problema delle diseguaglianze così enormi, e si chiedeva se Marx potesse dare
un contributo, pur con i suoi limiti, alla diminuzione del problema. Gli
rispondeva Broccoli con una frase di Marx, per il quale finché non c’era una
necessità impellente di risolvere un problema, quel problema non si poneva
proprio. Detto in altri termini: finché c’è consenso sistemico, il problema non si pone.
Detto – da me,
ovviamente – in modo brutale: il capitalismo funziona benissimo con il massimo
di disuguaglianza e con la gente che muore di fame. Che ci sia questa gente qui
non è un problema per esso come sistema. Può essere un problema per determinati
individui che vivano in regime capitalistico ed abbiano altre idee per le quali
non possano accettare una tale diseguaglianza, davvero enorme, la massima della
storia.
Il professor Omaggio discuteva
sostanzialmente, del Marx filosofo, allievo della sinistra hegeliana, ed in
rapporto “dialettico” con Hegel. Marx è un maestro di critica, soprattutto,
concetto che qui ritorna, e come tale va ricordato. Altri aspetti da lui
ricordati son più vicini a Engels, ha poi ricordato A. Del Noce, per il quale
(come G. Gentile, peraltro) la filosofia centrale di Marx è una filosofia della
prassi, in ciò diversamente da
Engels, che al contrario era più vicino al positivismo. Ed è questo Marx
positivista quello che, poi, è venuto fuori ed ha riscontrato successo, con il
germe della sua stessa fine, una volta che il “meccanicismo” positivistico
della “fasi” à la Auguste Comte per
una qualche ragione si fosse “inceppato” o bloccato. Rimane, a suo avviso, la
lezione del Marx critico.
Veniamo al mio
intervento, che avevo preparato, ma che non è stato detto. Qui di seguito non vi è quel che avevo pensato, cioè
l’intervento preparato, ma semplicemente traggo spunto dall’incontro per
inserire alcune delle considerazioni
che avevo pensato di dire.
Il capitalismo si basa
sullo scambio diseguale, che
costituisce dei “cerchi” attorno ad un centro, sempre molto ridotto e composto
da pochi. Fra i cerchi vi è quello della “classe media” (secondo Wallerstein,
mai più del 15%) che, se cresce nei paesi detti oggi “emersi”, deve recedere
nei paesi di più antico sviluppo capitalistico. In altre parole: trattasi di
una parte fissa, così come lo è l’1% che ha sempre
dominato il sistema capitalistico. Questo è un fatto strutturale. Marx non ne
comprendeva pienamente la natura, però non
errava nel postulare la natura fissa del gruppo dominante – che possiamo anche
chiamare classe – il sistema. Si può entrare, a rotazione, in un tal gruppo, ma
la sua quantità rimane fissa. Questa è la differenza con i domini
aristocratici: che c’è una tale rotazione, non facile eh, non semplice, ma, per
lo meno teoricamente, possibile.
Ma ciò dimostra che trattasi di sistema, perché la quantità è fissa. Detta in
altro modo: le basi non possono cambiare.
Capitale fisso o
variabile: esiste solo il capitale, punto. Dal punto di vista del capitale, così
è; e se tu fai i soldi producendo merce oppure producendo “prodotti”
finanziari, cioè solo denaro che si moltiplica, la finalità rimane identica. Il
problema è la finalità.
Né c’è differenza tra
lavoro “produttivo” e non produttivo, la corvée
per esempio, il lavoro “servizio”, caratteristico degli ordinamenti pre-capitalistici,
secondo Marx. Quel che si vede anzi è la progressiva trasformazione del lavoro “produttivo”
in lavoro “servizio”. Al limite – ma è un limite fisico, non concettuale, va ribadito – il lavoro sarà del tutto sostituito,
sappiamo che è impossibile la totale sostituzione (che peraltro era il sogno
dei Babbage), ma rimane che quella è la tendenza. Perché? Perché il lavoro non
esiste per il capitalismo, la distinzione fra capitale fisso e variabile è
stata usata da Marx per il suo fine, la dimostrazione scientifica del fatto che
il capitalismo s’incepperà, ma il capitalismo non l’ha mai accettata. Tutto è
capitale fisso, tutto è capitale variabile; dal variabile al fisso al
variabile, questo dev’essere il ciclo. Nel quale il lavoro non ha posto: esso è
solo una condizione da “pagare” per poter massimizzare i profitti. Se se ne
potesse fare a mano, lo si farebbe. Ciò è fisicamente impossibile, ma rimane
come tendenza. Lo scopo rimane l’eliminazione del lavoro, la sua sostituzione
con delle macchine, un tempo, quello di Marx, meramente meccaniche; da un bel
po’ di tempo elettroniche ormai, cambiamento non solo quantitativo, ma
qualitativo.
L’esercito di riserva. Temo
debba rimanere esercito, che non esercita né mai eserciterà. Tranne una parte
che viene a far parte del cerchio che sta dopo quello della “classe media” e
tuttavia prima dell’ultimo cerchio – che chiamo gli “esclusi” – il resto è
appunto escluso, fuori. E non succede
nulla? E non succede nulla, nessuno organizzerà mai – per lo meno con modalità politiche (e moderne, clavis …) – gli esclusi.
Non nel capitalismo e nemmeno ciò accadrà da parte dei “critici” del capitalismo.
La ragione è molto interessante, ma ci porterebbe troppo lontano, aprendo un altro fronte di discussione, mentre qui
vorrei almeno dire qualcosa di non confondente chi, eventualmente, si ritrovi
disperso fra queste sparse paginette digitali, digitali ma non da bere (un tempo il “digitale” era tipo un “cicchetto” o uno “shottino”
di oggi). Diciamo che il sistema ha il consenso, anche perché sa mutare, tuttavia
senza mai perdere le sue finalità,
punto importante, che Marx accettava in teoria (ecco il senso che il
capitalismo è “rivoluzionario”), ma non in pratica. Perché, ci si potrebbe
chiedere. Perché in sostanza era un uomo dell’Ottocento, ecco perché: cioè gli
mancavano fatalmente delle esperienze
di mutazione concreta del sistema. Ecco perché semplicemente riportare delle
frasi di Marx non ha senso. Diverso è riflettere su di lui perché è stato
quello che ha cercato, pur non riuscendoci, una visione complessiva del sistema
capitalistico, cosa che rimane il suo merito fondamentale.
Basta il capitale,
fisso o variabile che sia. Il capitale diventa denaro e il denaro diventa altro
denaro. Quando il ciclo s’intasa, ecco la crisi, necessaria per eliminare degli attori dal mercato e sostituirli re-iniziando
a fare la stessa cosa, sempre la stessa cosa, l’unica che il sistema sa e può
fare. Stop. Tutto ciò basta. Marx ha complicato
le cose, occorre invece semplificarle.
Basta il lavoro,
produttivo o servizio che sia, anzi meglio la continua trasformazione del lavoro
da produttivo (ed operaio, perché questo era, per Marx) in lavoro servizio,
ulteriormente sostituibili, il più che ci sia, dalle macchine elettroniche e
digitali.
Basta il valore di scambio.
Anzi, il capitale non riconosce il valore
d’uso – anche “rivoluzionario” delle “classi oppresse” – dunque la “natura” non ha posto in esso, salvo come materia
prima per farne altro. Se tu hai un bel terreno, che dal punto di vista della
“natura” è ottimo, ciò nel sistema capitalistico vale zero. Se lo trasformi in un’attività – per esempio, un agriturismo –
tu hai la possibilità di accumulare un profitto: sei nel capitalismo.
E tu puoi vedere paesaggi,
libri sacri, benessere, o automobili o cacciaviti: è lo stesso per il
capitalismo, dunque l’inserire i dati naturali nel suo interno non ne può
cambiare in niente le finalità di fondo.
Si potrebbe dire: ma
pure prima c’era la ricerca del profitto. Vero, ma non era l’unica finalità,
ecco la differenza. Vi era il valore di scambio e quello d’uso, quest’ultimo
essendo qualitativo, per cui l’acqua è diversa dal petrolio, l’acqua serve alla
vita, mentre il petrolio non serve alla vita. Ma la prima ha un basso valore,
le trasformazioni che puoi fare del petrolio, in benzina o altro combustibile,
lo rendono ben più adatto dell’acqua allo scambio, che è l’unica cosa che conta
nel capitalismo, lo scambio diseguale,
per principio, per struttura, non dimentichiamocene.
Il consenso è globale. La
globalizzazione non è altro che l’estensione a tutto il globo di questo
sistema, “potentizzato” da questa semplificazione di cui s’è detto proprio in
termini estremi, giusto per farsi capire. Meglio semplificare per farsi capire
che complicare, facendo non capire del tutto.
Ora Paolo Broccoli
aveva fatto un’osservazione en passant nel suo interevento iniziale:
cioè che, in questa lunga fase di consenso totale
al sistema capitalistico, il vero problema è proprio l’assenza di una resistenza
che rischia di enfatizzare le debolezze strutturali del sistema.
Se n’è parlato dopo la
fine dell’incontro, e gli ho detto che non vi è nulla che possa controllare la
crisi del sistema una volta che la sua natura del tutto e completamente auto
referenziale si inceppasse, cioè una volta che la crisi – strutturale nel capitalismo – venga poco o mal gestita dal “pilota
automatico” che lo (il capitalismo, intendo) dirige.
Possiamo dire qui, al
di là di tutto, che lo scopo di quel che rimane dei “critici” del capitalismo
ha “deciso” – mettiamola così, ma senza “complottismi”, per favore – di spingere
il “sistema” nella e sulla sua china fatale … mettiamola così …
Andrea A.
Ianniello