Lo diceva già illo
tempore Baudrillard: non c’è più “il
potere” cui opporsi, oggi “il potere” ha cambiato paradigma, si è iniettato **nella** società, nei suoi interstizi: e la società langue,
muore dissanguata.
Per cui, con la “crisi economica” o non, la società è “glaciata”,
e rimane tale.
Rimane il moto caotico di parti senza più alcuna volontà
direttiva generale. Non esiste più la voluntas
omnium dei giuristi antichi, perché non può esistere, ma solo lo specchio
di interessi specifici, più o meno grandi, più o men buoni (e, da un tal punto
di vista, che siano interessi della residua “classe media” o delle “banche” non
fa molta differenza, fuorché il numero degli interessati da tal interesse
specifico).
La democrazia, come specchio d’interessi specifici, è stata
storicamente vincente in Europa, però ha comportato, effetto non collaterale – ma sostanziale – l’ eclissi definitiva della visione generale.
Per questo, in democrazia, qualsiasi problema generale non ha
soluzione d’alcun tipo. L’unica cosa che si può “fare” si è quella di lasciar
fare (laissez faire) ad interessi
specifici perché o uno predomini, oppure si mettano d’accordo fra di loro.
A tal proposito, in senso esegetico e ricreativo, si
riportano di seguito delle frasi “preveggenti” di un libro cui già mi è
capitato, qualche anno fa, di far riferimento. Quel
che segue rientra nella serie “togliersi il sassolino dalla scarpa” …
“L’informatica non è una rivoluzione né nel modo di via (che
cos’è poi il modo di vita?) né nei ‘rapporti sociali’. […] In questo senso essa
segna indubbiamente la fine della società dei consumi [frasi della metà degli anni Ottanta: e dov’è stata la
“sinistra” nel frattempo, e dove gli
“alternativi” presunti, oggi in gran parte di “destra”? eran persi nei loro sogni], nella misura in cui essa era ancora un gioco a
grande spettacolo (come la scena politica), una dolce follia degli oggetti e
dei bisogni. La società dei consumi aveva ancora il fascino discreto dell’alienazione
e la rivolta ne faceva parte, la sovversione per eccesso di tutti questi valori
d’uso, la loro derisione, anch’essa spettacolare [e gli “alternativi”, quelli
non di “destra”, di oggi sostanzialmente s’ispirano a questo “situazionismo”,
non comprendendo che stan lottando contro una simia philosophiae, contro un
simulacro: già da tempo la società non
è più così, non è più quella]. La nuova società promette di funzionare in
un modo ben altrimenti glaciale e non spettacolare [società che, in quel tempo,
era agli albori, ed oggi è stramatura: ma oggi si pensa che la spettacolarità
sia la chiave di questa società: non è più così, nel senso che ci son tanti
spettacolini ma nessun “grande” spettacolo, con l’inevitabile delusione dei
perenni gonzi che cercano “guerre mondiali” quando ce n’è giù una, solo che non
funziona spettacolarmente, appunto]. L’operazionalità ha sostituito l’uso,
mentre il contatto, l’inserimento, la promiscuità dell’informazione sostituiscono
le illusioni della trascendenza (cui apparteneva l’analisi teorica e critica).
Promiscuità assoluta, eccessiva [negli anni Ottanta non c’erano ancora i
social, ma già Baudrillard l’intravedeva]. Simultaneità di tutti i punti dello
spazio, del tempo, degli uomini sotto il segno dell’istantaneità della luce:
niente più linguaggio. Niente superficie […], niente distanza […], niente
apparenze, niente dimensioni: [solo] interfaccia e trasparenza. […]
Si dovrebbe […] parlare di prossemica dell’informazione, dei flussi, dei circuiti, che
istituiscono una prossimità di tutti i luoghi, di tutti gli esseri umani tra
loro [il sogno (incubo) tecnologico
in sostanza è questa prossimità “totale”, una forma “ultima” di “mobilitazione
totale”, anzi la sua forma “ultima”], la circolarità [cioè: A > B
> A > B …] delle domande e delle risposte [perché “A”? risposta: perché
B; e perché “B”? risposta: perché “A”], dei problemi e delle loro soluzioni [= “no solutions” = dyssolution]. Scatologia dell’informazione: il sogno di una
conducibilità assoluta non può che essere escremenziale. In tutto questo ci
sarebbero nuovi spazi di libertà? Solo la programmazione è libera. Un tempo si
pensava che l’individuo fosse alienato perché altri (lo stato, il potere)
detenevano tutta l’informazione su di lui. E’ questa la figura terrificante del
mito di Orwell in 1984. Ma le cose
hanno preso un’altra piega. Oggi ci è possibile d’intravedere questa verità: l’individuo
non sarà mai tanto alienato dal fatto che si saprà tutto di lui quanto dal
fatto che lui sarà costretto a sapere
tutto di sé. L’informazione, l’eccesso d’informazione su noi stessi è una
specie di esecuzione per via elettrica. […]
Ciò che vale per l’individuo vale anche per l’intero sistema.
Il punto omega di un sistema è quello di una circolazione pura delle energie e
dell’informazione, che vengono così ad essere vitate all’indifferenza e alla
morte. In un sistema del genere gli scambi vengono così ad essere impossibili
in virtù di una circolarità […] sempre più ravvicinata ([…] abolizione delle
distanze). […] Al di là di una certa fase, caratteristica di questa fine degli
scambi, tutto il sistema tende vero questo punto fatale [in questi decenni ci
siamo, assai lentamente invero (paradosso nel paradosso dell’eccesso di velocità
d’informazione, che rallenta le
cose, se va oltre un certo livello), avvicinati al “punto fatale”]. Ed è in
questo momento che la reversione del sistema intero si fa imminente (sarà
questo il punto alfa di un altro dispositivo? [questo si chiedeva Baudrillard
33 (o 34) anni fa: ed il “prossimo momento” sarà il “punto ‘α’” di un altro
sistema, che si potrebbe chiamare Regnum
Antichristi, dove l’instabilità sarà somma in un tentativo di dominare
l’instabilità sistemica (e climatica)
che cresce ogni giorno di più man mano che ci avviciniamo al famoso “punto ‘α’”,
cui siam sempre più vicini, ma
che, come Achille e la tartaruga, non raggiungiamo mai: come dimostrò Guénon
nel suo Principi del calcolo
infinitesimale, l’integrazione “finale” si ottiene sempre in modo
“sintetico”, cioè non per “accumulo
analitico”].
Comunque stiano le cose per ciò che riguarda questa fatalità
dell’informazione, di cui son presenti tutti i sintomi [lo vedeva già nella
metà degli anni ‘80!!], semplicemente contro-interpretati da una visione
ottimista e delirante di buona volontà, ad essa siamo votati, a quanto pare,
senza ritorno. E non serve a nulla piangere. Tutt’al più dobbiamo evitare di
condannare in anticipo […] l’angoscia che può prenderci di fronte a questa
meravigliosa [ironico] cultura informatica e cibernetica del cambiamento che
impone a ciascuno di noi di rivalutare ad ogni istante non tanto le sue possibilità di giocare e di vivere (è
questa la libertà) ma le sue probabilità
di sopravvivere in un mondo aleatorio e in continuo movimento. Gioco
estremamente eccitante per i privilegiati […] ma non necessariamente […] per la
massa degli altri, che […] si sfinirà a trovare un’autonomia ideale nella
gestione dei suoi affari – perché questa è la forma che la ‘libertà’ assume in
un universo indeterminato [e di tutto ciò, di quest’angoscia, con annessi e
connessi di patologia, fisiche come mentali, se ne sarebbe vista tanta, da quel
tempo in poi, ed oggi è un oceano, di qui la richiesta – cui rispondono (malissimo, perché è solo “torniamo al
XIX secolo”) le “destre”, e solo loro
– di “protezione” da parte delle masse, soprattutto dell’ex ceto medio]. Questa
forma moderna, ‘postmoderna’, della libertà è attualmente inaccettabile [già illo tempore lo sottolineava]. La
responsabilità di ciascuno di fronte alla gestione probabilistica della propria vita, di fronte al proprio
riciclaggio permanente [interessante frase], è attualmente inaccettabile. E non
si tratta, come vorrebbero farci credere i cantori di questa nuova società
dell’anno 2000, di una resistenza nostalgica. Certo tutti sono estasiati [e lo sono ancora!, quello è il bello
(brutto e ridicolo), lo son ancora!] al pensiero della scomparsa delle forme
arcaiche di potere burocratico, della ‘liberalità’ (ma appunto non della libertà)
di una società decentralizzata. Ma in questo si può anche leggere una sorta di
rivincita dello stato che sta per colare a picco, una rivincita che annulla la
società civile, o ciò che ne resta [interessante frase], iniettandosi in essa,
che neutralizza ogni molecola di questa società programmandola e
responsabilizzandola sui propri obiettivi. Lo stato traslucido, transfuga,
politicamente assente, vigila ancora sulla società civile trasparente,
mediatizzata, socialmente assente.
Certo ci si guadagnerà sempre a sbarazzarsi poco a poco
dell’abominio del politico e dello stato (se le cose vogliono proprio evolvere
in questo senso, perché le megastrutture della tecnologia, della finanza, della
scienza e dell’esercito resistono allegramente a questo alleggerimento in
scioltezza e parrebbero piuttosto rafforzarsi [ed anche su questo punto, vide
giusto]), ma ciò porterà probabilmente ad un altro abominio [idem ] – quello del cambiamento, della
comunicazione, dell’informazione e della prestazione ad ogni costo [oggi]”.
In una parola: non possono esistere sistemi indeterminati e
stabili sotto lo stesso livello e nello stesso tempo e spazio. Men che meno se
uno dei due fattori – fra indeterminatezza e stabilità – cresce a dismisura
rispetto all’altro: ad un certo punto, la curva dell’uno si allontana
irreversibilmente dall’altro.
Irreversibilmente significa che devi buttar giù l’ intero
sistema se vuoi ritornare ad una maggiore congruenza dei due fattori. E non si
sfugge da tale paradosso, solo apparente,
peraltro.
E – in tempi di riaffermazione della potenza russa (che
dunque non russa) – queste frasi
dello stesso autore forse potrebbero mostrare un certo interesse, forse … per non dire che sono state preveggenti
e ci parlano dell’ Oggi.
“E l’angoscia di cui parliamo non è vana [anzi, nel futuro,
rispetto alla data di pubblicazione (metà anni ’80), ce ne sarebbe stata sempre
di più, in particolare sarebbe proprio esplosa a partire dal 2007 e 2008], […] di
fronte alla fine delle conquiste sociali, alla decolonizzazione [interessante
termine] del sociale, può cogliere intere popolazioni e indurle, a breve o lungo termine, a darsi a qualunque costo a
qualcuno che se ne faccia carico [perfetto,
è così – ci si ricordi: nel 1985
in Francia uscì questo libro, in Italia l’anno dopo, cosa rara per l’Italia –
quindi il Brexit, Trump o l’Italia post 2018, ma prim’ancora i piccoli paesi
dell’est Europa: tutto rientra in questo meccanismo, che solo la “sinistra” cosiddetta, che rimane fissata
nel credere nel sociale, stagione ormai finita[i], non
riesce ad accettarlo proprio]. Può così porsi il problema di una nuova
schiavitù volontaria a livello mondiale [in parte c’è già, ma parziale, “a
pezzi” per cui deve stabilirsi e, per quanto temporaneamente possibile,
stabilizzarsi un “nuovo dispositivo” perché ciò – la schiavitù volontaria
globale – possa essere, possa darsi per davvero] […]. Il 1984 è una buona data
per ripensare a tutto ciò e Orwell ha probabilmente ragione, anche se in un
senso inaspettato e non comune. Perché la visione comune è quella dell’ imperialismo dei sistemi totalitari. In
questa prospettiva, si dice o che Orwell ha in certa misura fallito […], o che
trionfa un po’ dappertutto […] – il che ancora una volta è falso. Ora, il vero
pericolo per le ‘democrazie’ occidentali non è quello dei carri o dei missili
russi e del loro impiego eventuale, non è quello di un rapporto di forze
militare e neppure quello di un irradiarsi della rivoluzione. Il modello
totalitario, corpo freddo senza irradiazione propria, è profondamente difensivo: fa già fatica a conservare il
suo blocco e a raffreddare le sue stesse energie [di lì a poco, non ce la fece
più (ed anche qui Baudrillard intuì ben la direzione degli eventi)]. Non ha mai
avuto grandi successi sul piano dell’esportazione, con la violenza o
l’infiltrazione [e su questo dovrebbero riflettere le torme ottuse degli
anticomunisti (ve n’è qualche dinosauro rimasto)]. La sua potenza
d’irradiazione è nulla [idem], la sua
strategia politica pesante e antiquata e il suo vero problema è piuttosto
quello della sua interna fragilità […]. E’ nella seduzione collettiva che può
cominciare ad esercitare, anche in Occidente, la struttura totalitaria [ed ecco il fenomeno Putin, una volta
che si sia staccata tale struttura dal vecchio, refrattario “comunismo”[ii]]. Questa
è la vera realizzazione mondiale della profezia di Orwell, la tentazione latente
di un universo nello stile 1984, quasi
inavvertibile ai giorni nostri [e cioè nella metà degli anni ’80, ma gran
merito di Baudrillard è stato vederlo trent’anni
prima] m capace di rafforzarsi sotto la pressione stessa del liberalismo
[ed anche qui, vide giusto] – qualcosa come uno slittamento delle preferenze
della libertà verso un schiavitù volontaria [idem]. Per paura? [lo sentiamo ogni giorno, è la cosiddetta
“spiegazione” che viene data ogni dì da parte di chi “crede”, ancora, nel
“sociale”] Paura di che? [gli “immigrati”, o le “banche”, insomma altre cose
che si sentono al giorno d’oggi praticamente ad ogni pie’ sospinto]. Tutte le
interpretazioni in termini di passività e d’impotenza, pronte a piangere
sull’annientamento dei diritti dell’uomo e sulla mistificazione di cui
sarebbero vittima le masse sono sospette [merito assoluto – assoluto – di Baudrillard è stato smascherare questo genere di scemenze,
che, peraltro, hanno libero corso ancor oggi eh].
Questa schiavitù volontaria si tratterebbe appunto di non
prenderla per una schiavitù involontaria,
indotta con la forza, riproponendo il vecchio argomento del complotto di una
burocrazia contro la volontà popolare [usatissimo dai “populismi”, ora, a parte
che le “sinistre” un tempo usavano quest’argomento oggi usato dalle “destre”
(ma rimane falso lo stesso), a quest’argomento debole si riduce il
“complott®ismo”, alla fin fine], dello stato cono la società civile [altra cosa
ch’è stata detta e ridetta in tutte le salse!!] – argomento quanto mai miserabile
dal momento che consacra la miseria oggettiva e soggettiva dei popoli, nel momento stesso in cui la deplora [oh
oh, piccola conseguenza involontaria, ah ah: ma non credo siano in grado di
capire tale contraddizione]. Invece di piangere sull’annientamento delle
libertà occorrerebbe porsi, appunto in piena libertà di spirito, la seguente
domanda: ci potrebbe essere una ragione
di non scegliere la libertà? [e porsi queste domande rivela la vera “libertà di spirito”] E la ragione
sarebbe questa: tutto si annulla nell’ambiente omogeneo del liberalismo e del
cambiamento. Non soltanto le protezioni offerte dalla società statalistica e
burocratica, protezioni materiali e ideologiche d’ogni genere, cedono di fronte
all’alleggerimento delle strutture e delle mentalità – e vediamo così risorgere
il neo-religioso anche in Occidente, con la benedizione del nostro papa
televisivo, azzimato e agghindato a immagine del cambiamento – ma ogni
determinazione personale e collettiva sparisce in questa ‘liberalità’ che
corrisponde piuttosto alla velocità di liberazione di un corpo nel vuoto. Non
si può esser candidati alla sicurezza ad ogni costo e rifiutare tuttavia l’autonomizzazione
forzata [eh, ma proprio questa specifica contraddizione nutre l’ Oggi!!].
si tratta forse di un modello più avanzato di regolazione sociale, di un
modello ‘soft’ che secerne però
u’allergia e un’angoscia specifiche, e quest’angoscia delle società liberali
indeterminate, delle società a basso potere ma anche a bassa speranza, rafforza
continuamente il modello di Orwell – il fascino, non più diretto come quello
staliniano ma indiretto e a lungo termine [ed anche qui, di nuovo, chapeau], di questo
modello”.
Basta uscire per strada: di cosa parlano in tanti … Di
questo, signori, di questo … fenomeno che ha dunque delle cause ben più
profonde di quel che non sembri.
Questa è la reazione de “laggente”, ma non risolve niente:
per cui la situazione – che rimane instabile, cioè dinamica – sfocia in
“altro”, perché due più due fa quattro.
Altra osservazione che Baudrillard faceva, dopo il passo
appena citato (il secondo) era che il paesi dell’est sarebbero stati una sorta
di “frigorifero” con energie forti, tenute bloccate, come poi è stato.
Naturalmente, i paesi (dell’allora) Europa dell’est
propriamente detti, non appena han potuto, sono andati verso forme più o meno
forti di nazionalismo, come poi era del tutto prevedibile: la resistibile “riascesa” dei nazionalismi
…
Andrea A.
Ianniello