Il
dibattito attuale – sulla crescentemente destabilizzata relazione fra “il”
centro” e “le” periferie – non ha
alcun senso, salvo che lo s’inserisca dentro un capitolo ben preciso ed altamente
significativo: la “crisi della globalizzazione”,
alias la “fine del System della Grande Prostituta”.
Ma – si badi bene – può essere davvero la fine della “Grande Prostituta” (“G.P.”) se e solo se la “crisi della globalizzazione” diventi effettivamente la fine della globalizzazione.
Ma – si badi bene – può essere davvero la fine della “Grande Prostituta” (“G.P.”) se e solo se la “crisi della globalizzazione” diventi effettivamente la fine della globalizzazione.
Vi
son segni chiari di tutto ciò, manca però ancora il compimento di un movimento
in realtà nato nel 2008, lo si è detto – tra le righe – varie volte in e su cotesto blog.
Ed
allora, dentro questo quadro, vi è il sottocapitolo – soprattutto urbanistico –
della relazione fra “il” centro e “le”
periferie, per definizione plurali.
Questo
però, a sua volta, non fa un passo avanti se non si chiarisca un punto
decisivo: la confusione tra
periferie e marginalità. Quando e come le periferie sono diventate marginali?
E perché precisamente?
Vi son posti marginali – o a forte rischio di marginalità – per lunga consuetudine, divenuta abitudine, Caserta n’è un classico esempio, quello delle “città satelliti”, marginali per definizione, rispetto ad un grande centro, con la “grave aggravante”, però, di aver scelto e gradito ed abbracciato il ruolo della marginalità stessa, che diventa uno stato d’animo. Davvero è divertente – si fa per dire … - che piani di “sviluppo” siano dati a quei “ceti dirigenti” che hanno costruito la loro carriera sulla marginalità, e che solo e soltanto nella marginalità potevano prosperare.
E perché precisamente?
Vi son posti marginali – o a forte rischio di marginalità – per lunga consuetudine, divenuta abitudine, Caserta n’è un classico esempio, quello delle “città satelliti”, marginali per definizione, rispetto ad un grande centro, con la “grave aggravante”, però, di aver scelto e gradito ed abbracciato il ruolo della marginalità stessa, che diventa uno stato d’animo. Davvero è divertente – si fa per dire … - che piani di “sviluppo” siano dati a quei “ceti dirigenti” che hanno costruito la loro carriera sulla marginalità, e che solo e soltanto nella marginalità potevano prosperare.
Le
periferie – dunque – possono essere “centro” della storia?, del movimento
storico stesso?
Possibilissimo
senza dubbio, ed il caso di Gesù - “un ebreo marginale” recita il sottotitolo di un
noto libro su di lui (di Meyer) - lo dimostra senz’alcun dubbio e per sovrammercato.
Ma
solo e soltanto ad una condizione: quella di esser propositivi (e positivi) per
così dire “in proprio”, di rappresentare qualcosa di significativo “in quanto
tale”, ovvero di non essere “a ruota” di nessun altro.
Questo
è valido per i piccoli centri “marginali” – o “marginalizzati”, anche
volontariamente, il caso peggiore – così come per le periferie della grandi città,
Napoli o Roma o Milano; ed altrettanto ciò è vero per le “periferie del mondo”.
Finché seguiranno i passi altrui, finché cammineranno in orme più grandi di
loro, giocheranno ad un gioco nel quale son perdenti, per principio. Non ha
nessun senso fare cose che si fanno meglio altrove. Ha senso fare cose che
altrove non si fanno, allora sì.
Ma
si necessita di visione …
Piccolo
ed antipatico particolare …
Andrea A. Ianniello
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