In relazione al vecchio
post
(‘Sul “Trittico dell’Epifania -
L’Adorazione dei Magi” di Jeroen Bosch - Museo del Prado, Madrid’, su questo blog al link: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/01/sul-trittico-dellepifania-ladorazione.html),
al punto in cui – la parte finale del passo relativo alla nota
(3) – si dice che i Magi torneranno (“forse”)
“ad adorare il falso Messia,
l’Anticristo”: qui occorre dire che la leggenda si sarebbe impadronito della figura dei Tre Re Magi,
ricollegandone il “lato d’ombra” all’Anticristo, la cui miglior raffigurazione
rimane quella di Luca Signorelli nella Cappella di San Brizio del Duomo d’Orvieto
(in nota un particolare).
“L’intimismo spirituale
di queste opere [qui l’a. citato si riferisce a Botticelli, Perugino e la “Pietà”
di Michelangelo]. A Orvieto, nel 1499, viene commissionato a Luca Signorelli il
completamento di una cappella del duomo, iniziata cinquant’anni prima dal Beato
Angelico ma ancora quasi tutta da fare. Il tema apocalittico, che si sviluppa in
scene raffiguranti la Predicazione dell’Anticristo,
la Risurrezione dei morti, il Giudizio Universale [che influenzerà, si
sa, lo stesso “Giudizio Universale” di Michelangelo della Cappella Sistina] e i
Dannati consegnati all’inferno,
permette al pittore di evocare la coeva drammatica situazione dell’Italia, dive
invasioni, guerre interne e abusi della chiesa sembrano preannunciare la fine
del mondo. Commissionata ad appena un anno dalla condanna a morte di Savonarola
(arso al rogo a Firenze nel maggio del 1498), la Predicazione dell’Anticristo potrebbe alludere all’accusa d’eresia
rivolta al celebre predicatore domenicano, ma è anche possibile che alluda agli
eccessi e agli scandali della Roma papale. Le figure concitate a destra e a
sinistra dell’Anticristo e il grande tempio sullo sfondo sembrano derivare dall’affresco
di Perugino per la Cappella Sistina [voluta da Sisto IV], di diciassette anni prima, la Consegna delle chiavi a San Pietro (che Signorelli conosceva bene,
essendo stato anche lui membro del gruppo chiamato a decorare la cappella). Ma al
posto dell’ordine sereno del tempo di Sisto IV, qui, in pieno papato Borgia,
vediamo un mondo sull’orlo del baratro e una chiesa affascinata dal delegato di
Satana. Era la fine di un’epoca”.
Se uno volesse porre
una data della fine – chiaramente symbolica
– del Medioevo, sarebbe il 1498 e non
il 1492, in quanto termina l’uso medioevale del parlar chiaro, dell’attacco
diretto anche ai pontefici: d’allora in poi, in nome della famosa “libertà dei
moderni”, la libertà diminuì e regimi sempre più accentrati, anche per far
fronte alla crisi, presero forma. Tra l’altro, vi è la “Salita dei Borgia” a
Roma e porta vicino a San Pietro in Vincoli, dov’è la tomba di Giulio II Della
Rovere, con il “Mosè” di Michelangelo. La Salita dei Borgia, tra l’altro luogo
di leggende popolari,
facendola in senso discendente (in senso ascendente porta alla piazza
antistante San Pietro in Vincoli, appunto), porta ad una via che. Svoltando a
destra per prendere la fermata “Cavour” della metro B di Roma, si giunge ad un
posto molto famoso ultimamente: la “Subburra”, con in un lato lo stemma proprio
di Alessandro VI Borgia, e la scritta “Subura”, con una “ere”.
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Copertina di un libro
di venti anni fa, relativo ai Re
Magi:
M. Centini, La vera storia dei Re Magi. Dall’Oriente alla ricerca del Re Bambino,
Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997.
Cf. ivi,
pp. 60-61, sulla vexata quaestio
del
Mons Victorialis.
Cf. vi,
pp. 62-63, sempre sulla stessa quaestio.
Sempre di vent’anni fa,
ricorderei quest’altro testo, soprattutto dove parla della “peste spirituale”che
“infetterà l’Europa” e ricorda qualche passo dell’articolo “Sul significato
delle feste carnevalesche” di Guénon (oggi cap. XXI di R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi
Edizioni, Milano 1975, pp. 132-135, ripubblicato nella collezione “Gli Adelphi” (quarta edizione) sempre
vent’anni fa, nel 1997):
G. Meyrink, Il Domenicano bianco, Tre Editori, Roma 1997.
Qui si parla di “larve”
– come Guénon nell’articolo già citato – ed è interessante che in “Gremlins 2.
La nuova stirpe”, di Joe Dante, del 1990, l’imprenditore della “torre” sia
Daniel Clamp, chiaro riferimento a Donald Trump, oggi presidente degli USA. Una
serie di “larve”, per l’appunto, invade N. Y. City, salvata da Clamp alias Trump. L’humour del film è quasi una parodia, a differenza da “Gremlins”, il
primo della serie (sembra dovesse essercene un terzo episodio, ma che non ha
mai visto la luce), ma le “larve” sottili sono ben meno “parodiche” di quel che
quel vecchio film faceva intendere. Diciamo che rifletteva un’età meno cupa …
Copertina edizione di Simboli della scienza sacra ne “Gli Adelphi”, vent’anni fa:
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Un testo dell’anno
scorso, interessante – che traduce in italiano due racconti di London per l’anniversario
(passato sotto silenzio) della scomparsa, 1916),
rispettivamente del 1912, il primo, e del 1910, il secondo, è:
J. London, La peste scarlatta, Edizioni di AR, Padova 2016.
Nel primo racconto (“La
peste scarlatta”, che dà il nome a tutto il libretto) s’immagina una malattia
che, nel 2073, pone termine alla civiltà come la conosciamo e pochi salvano
qualcosa della precedente civiltà, mentre il grosso dei sopravvissuti regredisce
ad uno stato selvaggio così come la stessa natura. Interessante l’immagine
della società poco prima della “fine”, dominata da un’aristocrazia del denaro
composta di “magnati”: diciamo che ciò era visibilissimo all’epoca di London,
nei primi decenni del XX secolo, poi si è mascherato, per esplodere poi all’inizio
del XXI secolo, che si dimostra ben più l’anagramma del XIX che il superamento
dei problemi del XX. Il “governo dell’1%” di Trump non è altro che la piena
emersione di tutto ciò. L’1% dimostra di saper ascoltare i lamenti delle classi
medie impoverite e della classe operaia divenuta marginale ben più di ogni “sinistra”
di “sinistrati” mentali, ormai fuori del mondo e che non capiscono nulla essendosi
allineati sul neoliberismo ma mai immaginando che gli stessi neoliberisti
potessero dar loro il ben servito qualora n fossero più utili. L’1% sa dare latorem et circenses, a variante attuale
del classico panem et circenses … E
lo sa dare sul serio, ma lo scopo è mantenere
il consenso attorno all’1% …
Il secondo racconto,
invece, è notevole: vi s’immagina la Cina divenuta potente, e in un anno non
casuale, il 1976 – tra l’altro, anno
della scomparsa di Mao Zedong [Tse-tung], altro anniversario passato sotto
silenzio -, la tensione fra Cina e resto del mondo raggiunge un livello
estremo. London immaginava due cose: che l’Impero cinese restasse in piedi, e
fosse occidentalizzata sull’esempio del Giappone, come poi non è stato, e il
percorso è stato tortuoso perché ciò accadesse.
Tuttavia, l’esecutore testamentario di quelle cose è stato . in un contesto ed
in un’epoca radicalmente differenti –
Deng Xiaoping, tra l’altro del Sichuan.
Un passo dal detto
libro di London parrebbe essere stato preveggente: “La rapida e notevole ascesa
della Cina fu conseguenza, forse più di ogni altro fattore, della qualità eccellente della sua forza-lavoro. Il cinese era il tipo perfetto del lavoratore industriale e lo
era da sempre. Quanto alla pura e
semplice capacità lavorativa nessun altro lavoratore al mondo poteva stargli
alla pari. Il lavoro era l’aria che respirava. Per lui era l’equivalente di ciò
che, per altri popoli, rappresentavano i viaggi e i combattimenti in terre remote
e l’avventura spirituale. La coltivazione della terra e il lavoro incessante
erano tutto ciò che egli chiedeva dalla vita e dalle potenze che ne avevano il
controllo. E il risveglio della Cina aveva consentito alla sua enorme
popolazione di poter disporre senza limiti di mezzi di produzione, anche di
quelli più avanzati e scientifici. La Cina era ringiovanita! Ancora un passo e
sarebbe divenuta incontrollabile” (J. London,
La peste scarlatta, cit., p. 83,
corsivi miei).