“Le armate dello scià non sono che ombre
e le
ombre non combattono” [1].
L’articolo cui ci si riferisce è a firma
di Jacob Olidort, “Theology in
Foreign Policy. ISIS in Context”, Foreign
Affairs, 29 marzo 2016.
In esso si argomenta, piuttosto
seriamente, a riguardo della vera e propria totale incomprensione da parte americana - e direi anche europea (i soliti
“europoidi” che vogliono i vantaggi della “protezione” americana, ma senza
pagarne il prezzo, e senza dare dei segni di effettiva politica diversa, costitutivamente
differente, pensata diversa e che parta da diverse basi) - delle radici della
presenza teologica nella politica medio-orientale, dalle radici della
Rivoluzione iraniana del 1979 in poi. Tra l’altro, e fa specie leggerlo -
perché la fonte è in America, non
perché la cosa non sia più che chiara
-, si dice chiaramente che è stato un grosso errore, da parte americana, quello
di scambiare i mujahidîn afghâni per
“combattenti per la ‘libertà’” (qualunque cosa si voglia intendere con
quest’ultimo termine, ma proprio qualunque).
In effetti, è così, è stata un’allucinazione.
Peccato, però, che sia stata ben seguita e completata
da una serie di allucinazioni: per esempio, la Seconda Guerra del Golfo fatta
per motivi errati, ideologicamente fasulli, quelli della “diffusione della
democrazia” e che, non stanchi di ciò, si è tolto di mezzo degli incontestabili
dittatori che, però, fungevano da “filtro”, sporco e mal funzionante, rispetto alla “risalita gastrica”
dell’Islamismo integralista e, ormai, divenuto pienamente “jihadista”, di deriva in deriva successiva.
Tu puoi togliere di mezzo i dittatori,
nessun problema, ma non è che poi puoi dire: “Eh fate voi, vi abbiamo dato la
‘democrazia’” e aspettarti che accada qualcosa di diverso da ciò che è
successo.
Il solo pensare che ci sia stato - e vi
sia ancor oggi - chi l’abbia pensato fa capire la totale “bolla speculativa”
mentale in cui - e di cui - l’
“Occidente” ha vissuto (e, ahinoi continua, purtroppo, a vivere, male
peraltro).
“L’approvazione dell’imam ad azioni che
apparivano agli occhi degli altri ayatollah manifestamente ingiuste e, quindi,
non islamiche, non era, in ogni modo, completamente motivata da considerazioni
di ordine tattico. Khomeini aveva sempre creduto che l’Islam doveva essere
imposto sia con l’esempio sia con la coercizione
collettiva. La vita terrena, sosteneva, consiste di fugaci episodi che
devono accordarsi con l’eterna verità rivelata nel Corano. Ciò che importa è
che ognuno si comporti secondo i princìpi
dell’Islam, sia che vi creda
personalmente, o che non vi creda per
nulla. Invece di creare una società islamica da una comunità che già
professava la religione maomettana, qui il processo era invertito: una società
islamica doveva essere imposta dall’alto, in modo da rendere gli individui
buoni musulmani” [2].
La “lotta interna all’Islâm” è stata -
ed è - proprio questa: chi, contro la
sfida della modernità - e la crisi dell’Islâm ch’essa inevitabilmente implica -,
ha voluto ricorrere all’imposizione statale, ed ecco il punto, e chi, al
contrario, vuol combattere con le armi del convincimento, non troppo dissimile
a quel che facevano i partiti cattolici qualche decennio fa. In tal senso, si
può dire che è l’ Occidente che è cambiato, e non presenta quasi più
tali fenomeni.
In Occidente, infatti, la fine del
“comunismo” è stata un pessimo affare per i partiti di stampo religioso, perché,
improvvisamente, è venuta così a mancare la “giustificazione” per l’esistenza di
tali stessi partiti religiosi. L’errore è stato compiuto al principio,
“all’inizio”: quello di costruire quel genere di aggregazioni “contro”
qualcosa; ma ormai è troppo tardi,
le società occidentali son irreversibilmente mutate, ed esse
più non accettano certe aggregazioni politiche su basi religiose, come invece facevano
un tempo, peraltro non tanto lontano.
Tutto questo, questo comportamento
apparentemente “particolare” dell’Islamismo a rispetto di altre religioni che -
tutte - registrano comunque la presenza di un’ “ala
integralista”, nasce dal fatto che “la comunità islamica non è una Chiesa, è uno stato” [3].
Questa è una differenza sostanziale fra Cristianesimo e
Islamismo, e che spiega tante cose. L’Islamismo nasce come stato; il Cristianesimo lo diventa, per mezzo
dell’Impero Romano, verità storica, quest’ultima, che pochi amano ricordare.
Quel che ci rimane dell’Impero ci rimane, in effetti, per mezzo della religione
cristiana, cattolica e ortodossa, non
protestante, che ha “tagliato” quei legami, cosa significativa. Quei legami,
tuttavia, sarebbero rimasti, ma “laicizzati”, in Inghilterra, che avrebbe diffuso
una parte del retaggio antico-romano
al mondo intero.
Succedevano gli Stati Uniti d’America,
la cui Costituzione e i “Padri fondatori” si modellarono sulla Repubblica romana, così come l’Impero
britannico si modellò sull’Impero
romano di una certa sua fase.
Quest’ultimo libro, citato su, è uno dei
pochi sulla storia del jihàd in
italiano: “In Italia, al di là di saggi che magari utilizzano il termine jihad
per introdurre vicende a carattere regionale o tematiche più specifiche, gli
unici approcci introduttivi sul significato del termine si devono a Biancamaria
Amoretti Scarcia con il suo Tolleranza e
guerra santa nell’islam, ricco di testi in traduzione, e a Giorgio
Vercellin” [4].
E quest’ultimo scritto, di Cook (non la
Premessa all’edizione italiana, appena citata), così termina, in relazione al
“jihadismo” militante, ormai a tutti noto (si ricordi che lo scritto è pubblicato
in Italia nel 2007, edizione inglese
originale dell’anno prima, cosa rara una tale spedita traduzione …), dopo aver introdotto questa parte citando
fonti islamiche che parlano del Mahdì in senso islamistico stretto, che poi è la base fondante del “mito” cui si
richiamano i “jihadisti”:
“In definitiva, la
visione che del jihad hanno i musulmani radicali globali esige il dominio del
mondo. L’islam deve pervenire al suo dominio nella sua totalità, conformemente
all’interpretazione fornita dal radicalismo musulmano del versetto del Corano 8:39: ‘Combatteteli, dunque,
finché non vi sia più scandalo e l’unica religione sia quella di Allah’. Una
visione assolutistica che non vale certamente per tutti i musulmani ma
fa vibrare l’animo di molti” [5].
Difficile parlar più chiaro, non è vero …
Ma “chi” davvero ascolta, ecco il punto
…
Ricordiamoci sempre: “l’Occidentale”
critica molto la religione che ha predominato nella sua storia, perché detesta la sua storia, in sostanza non si è riconciliato con essa.
In altri climi culturali e in altre zone
del mondo questo non esiste. L’Occidente,
roso dalla crisi fiscale, l’Occidente della dittatura fiscale che caratterizza
gli stati sull’orlo della dissoluzione, ormai perso completamente come visione,
come fiducia in se stesso, come senso di missione, come tutto - che ormai non crede
a nulla, in una parola, se non nei sempre transeunti e mutevoli ritrovati
tecnologici -, “l’ ‘Occidente’” è del
tutto ed assolutamente “impari”
(= dispari) alla sfida “generale” che
gli viene lanciata. Questo vien detto anche dai partiti “populisti” di oggi ma
che ne danno la colpa agli “immigrati” e sottacciono quando anch’essi
sostenevano la via che ci ha, inevitabilmente
e necessariamente, portato qui dove siamo.
Il rimedio è peggio del male, come si suol
dire …
In ogni caso, non è un rimedio, perché è
sempre la stessa malattia in altre, mentite
spoglie.
Tornando a “chi” ascolta, è chiaro che
il sistema occidentale divenuto globale porti alla distruzione e alla
dissoluzione il centro stesso da cui è partito. Dunque, un cambiamento che si
risolva nel chiudersi in quell’errore o nell’intervenire altrove, e non nel
cambiare all’ interno quel sistema
stesso, è solo un’illusione che si aggiunge ad un’altra, e la segue; in una
parola: è solo un’altra guerra di ombre, e “le ombre non combattono”.
NOTE
[1] A. Taheri, Lo spirito di Allah. Khomeini e la rivoluzione islamica, Ponte alle
Grazie, Firenze 1989, p. 160. Il titolo, “Lo spirito di Allah”, allude al nome
di Khomeini, piuttosto raro in terra islamica, “Ruhollah”, letteralmente “lo
spirito di Allah”. L’idea di fondo è che “l’Islâm possa risolvere ‘tutti’ i
problemi del ‘mondo moderno’”, e che la “Crisi del mondo moderno” (Guénon)
nasca dall’allontanarsi dalla religione.
Un esempio di tale tendenza, in abito
cattolico, è questo link: http://antoniusaquinas.com/2016/03/20/holy-week-and-the-decline-of-the-west/. Ora, però, questo
modo di pensare confonde una fase
della modernità, quella del “secolarismo”, con la modernità tout court: vi è stato un tempo in cui l’Occidente
era indiscutibilmente moderno e tuttavia religiosissimo.
Questa fase, per tutti costoro, è semplicemente incomprensibile: si deve non
vederla, sennò l’assunto base del pensiero loro va in crisi. In base a quest’assunto, per tanti l’epitome della modernità
era il “comunismo”: l’han fatto fuori e la loro sorte non è che sia radicalmente
ambiata, si potrebbe anzi dire che senza dubbio è peggiorata, l’Occidente sta
peggio, da tutti i punti di vista, ed è in una crisi sociale irreversibile, che
le tirannie fiscali non potranno che peggiorare, che i populismi xenofobi non
potranno che ampliare. Ma l’errore sta come sempre a monte: ascrivere al “comunismo”
un qualcosa che è proprio alla modernità in se stessa. E, tra le altre cose, le
“paure” di ciò che il comunismo avrebbe fatto son la nostra cronaca quotidiana:
con la scusa dei problemi di “fiscalità generale”, le famose, fumose “libertà
individuali” son sempre più intaccate, se non cancellate.
Secondo punto: quella fase è passata. Fa parte, cioè, del passato, e non di pomodori.
[2] A. Taheri, Lo spirito di Allah …, cit., p. 236, corsivi miei. E aggiungeva i
gradi di avvicinamento all’ “eterna verità dell’Islâm”, che dovevano portare al
tasdiq: “Ora, il termine ‘tasdiq’ è
difficile da tradurre. Esso significa la realizzazione pratica in questo mondo
dell’eterna verità rivelata da Allah a Maometto nel Corano. Il regno dell’Islam
è di questo mondo e deve essere
costruito con la forza, la violenza e lo spargimento di sangue, se necessario. Quelli che son obbligati
ad obbedire alle leggi dell’Islam, pur se a malincuore, finiranno per vivere
secondo quelle leggi come se fossero una seconda natura. Molti si smarrirebbero
e sarebbero perduti se venissero lasciati soltanto alle proprie risorse
intellettuali e alla propria forza morale: sarebbe perciò crudele sottoporre
quelle anime deboli alla tentazione costante e pretendere che infine non
soccombano. Soltanto una piccola minoranza eccezionalmente forte può rimanere
pura in un mondo di peccato e corruzione. L’Islam è la corda che impedisce allo
scalatore di precipitare nell’abisso, la boa che salva le anime naufraghe
dell’universo (ossia la maggioranza dell’umanità) dall’annegamento. E non si tratta di una serie di norme che
si possono seguire discrezionalmente; persino quelle opzionali […] non possono
essere violate” (ivi, pp. 236-237,
corsivi miei). Questo genere d’idee, molto diffuso, però sottovaluta sempre un
punto: e se Dio volesse proprio “selezionare” quella “piccola minoranza
eccezionalmente forte”? Perché quest’eventualità vien sempre tolta dal novero
delle possibilità? Che debba essere,
ovvio, è opinabile; ma che possa
essere è, semplicemente, logicamente ineccepibile.
Dunque, ammesso che così non sia, ammesso - e non concesso - che Dio non voglia
selezionare la “piccola minoranza eccezionalmente forte”, la religione si può
rifare stato, soprattutto laddove non ha
mai cessato, in realtà, di esserlo: l’Islamismo è il massimo rappresentante di tale corrente, che, però, in forme assai
più blande, esiste sotto tutti i
climi. Ma è fondamentale l’esser consapevoli della vera distinzione, della vera
posta in gioco.
[3]. B. Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell’Islam, Sansoni,
Firenze 1974, p. 14, corsivi miei. Si osservi la data: 1974. In un altro passaggio, la Scarcia Amoretti scriveva illo tempore: “Perché l’Islam venga
considerato, in ambito musulmano, un’opzione personale, bisogna arrivare alla
Turchia di Atatürk, che fissa limiti fra stato e religione, e più generalmente
fra sacro e profano, senza che tuttavia
la Turchia odierna si presenti in ciò con caratteristiche vistosamente diverse
da altri paesi islamici: il che fa supporre, nel migliore dei casi, un’incomprensione di fondo delle masse nei
confronti della ‘riforma’ del Padre della Patria” (ivi, p. 24, corsivi miei).
[4] Premessa
all’edizione italiana di R. Tottoli in D.
Cook, Storia del jihad. Da
Maometto ai giorni nostri, Einaudi, Torino 2007, pp. IX-X.
[5] Ivi, pp. 242-243, corsivi miei.