sabato 11 ottobre 2025

Il 22 l’11

 

 

 

 

 

 

«Se la mente è in sintonia totale con il corso delle cose e lavora con perfetto raziocinio e logica, puoi varcare la porta senza porta. […] Non puoi comprendere quali valori e quali onori la mente umana può raggiungere in tutte le sue eterne possibilità d’esistenza. Si estende per le vastità dell’intero universo, che sono i quattro punti cardinali e le due direzioni: l’alto e il basso. D’altro canto, è stupefacente come, se scrivi le caratteristiche umane su un rotolo, queste rientrino in una categorizzazione molto limitata. La mente umana è meravigliosa e flessibile. […] Con il tempo comprenderai l’essenza delle cose e la comprensione sorgerà dal nulla. […]

I princìpi della tradizione trasmessi in questi capitoli finali son ciò che hai bisogno di comprendere […]. Dato che la parola scritta non è la rappresentazione fedele della comunicazione orale, e la comunicazione orale non è la perfetta rappresentazione del pensiero umano, devi usare la tua immaginazione e il tuo intuito per comprender e padroneggiare l’essenza».

NATORI MASAZUMI, Shonin-ki. L’insegnamento segreto dei ninja, Feltrinelli Editore, Milano 2019, pp. 149-150, corsivi miei[1].

 

Lo shinobi ha il controllo della sua mente quando non permette alle sue emozioni o ai suoi impulsi di sopraffarlo, e questo è essenziale per rafforzare il tuo ki.

Cerca sempre di preservare ed alimentare il tuo spirito e non logorarlo in futili cose. E’ fondamentale che tu renda forte la tua mente, il tuo spirito e il tuo ki. […] Dovresti essere consapevole anche che, se trascuri di alimentare in modo opportuno la tua mente autentica, la tua energia si esaurirà, diventerai stanco e finirai per fallire all’ultimo momento. Un cuore debole non potrà mai appartenere a uno shinobi.

Una mente imperturbata, dimora della pace interiore, p in grado di vedere cose di cui altre persone non si rendono conto. Così riuscirai senza sforzo ad avere il predominio sulla mente delle persone”, ivi, p. 151, corsivi in originale.

 

 

 

 

 

 

Questo è un tempo particolare. La ricorrenza di tal numero (22) è interessante: ricordo anche un post in cui vi erano 22 note a pie’ pagina. Questo ci porta ad un breve appunto sul numero 22. “Qui è il caso di far notare che si tratta naturalmente dell’alfabeto di 28 lettere, ma si dice che l’alfabeto arabo, originariamente, avesse 22 lettere, corrispondenti esattamente a quelle dell’alfabeto ebraico; da qui deriva la distinzione fra il piccolo jafr, che impiega queste 22 lettere, e il grande jafr, che impiega 28, tutte con valori numerici distinti. D’altronde, si può ben dire che le 28 lettere (2 + 8 = 10) sono contenute nelle 22 (2 + 2 = 4), come il 10 è contenuto nel 4 in base alla formula della Tetraktys pitagorica: 1+2+3+4 = 10 [Guénon fa riferimento all’attuale cap. XIV di Simboli della scienza sacra, Adelphi: ad esso si rimanda chi fosse interessatovi]; e in effetti, le sei lettere supplementari sono solo delle modificazioni di altre lettere originarie, derivata da queste ultime con la semplice aggiunta di un punto; e baste eliminare questo punto per ricondurlo immediatamente alle prima. Queste sei lettere supplementari sono quelle che compongono gli ultimi due gruppi [di angeli], degli otto di cui parlavamo prima [gli otto angeli che “sorreggono” il “Trono d’Iddio”], ed allora è evidente che se non le si considerassero come lettere a sé stati, questi stessi gruppi risulterebbero modificati, sia per il loro numero, sia per a loro composizione. Ne consegue che il passaggio dall’alfabeto di 22 a quello di 28 lettere, ha dovuto comportare necessariamente un cambiamento dei nomi angelici di cui si tratta, e quindi delle ‘entità’ che essi designano; ma, per quanto possa apparire strano a qualcuno, in realtà è normale che sia così, poiché tutte le modificazioni subite dalle forme tradizionali […] devono avere propriamente i loro ‘archetipi’ nel mondo celeste”, R. GUÉNON, L’esoterismo islamico e il taoismo. – La metafisica orientale, Arktos Oggero Editore, Carmagnola (TO) 1990, articolo intitolato «Nota sull’angelologia dell’alfabeto arabo», pp. 51-52, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 



[1]  E COS’È “L’ESSENZA”? È CIÒ DI CUI NULLA L’È SENZA …

 

 

venerdì 10 ottobre 2025

Frasi 9

 

 

 

 

Ho indossato la corazza trapunta di cuoio; ho impugnato stretta la sciabola; ho messo sulla corda la freccia incavata; son pronto a battermi fino alla morte contro gli Uduyt Merkiti []. Che il fratello maggiore Toghril Khan monti a cavallo e venga, davanti al Burkan Kaldun, a unirsi all’«anda»[1] Temucin.

Storia segreta dei Mongoli”.

M. Hoàng, Gengis Khan, Garzanti editore, Milano 1992, p. 91, corsivi in originale.

 

Gengis Khan fu grande, ma, se vogliamo, la nostra guardia municipale è ancor più grande”.

G. I. Gurdjieff, Incontri con uomini straordinari, Adelphi Editore, Milano 1977, p. 77, corsivi in originale. Questo è uno fra i detti del padre di Gurdjieff (un cantore di poemi antichi, che ricordava ancora, a memoria, le strofe sul diluvio, simili al Gilgamesh), che lui ricorda: questo detto ci fa capire la natura del consenso, ci riflettano gli occidentali (se ancora possono …), a chi han dato il loro consenso, continuano a darlo, e, senz’alcun dubbio, continueranno a darlo …

[Scritto nel 2020 – cinque anni fa – e, nel frattempo, nessuna ragione di cambiamento si è palesata …]

 

«Per me, non v’è alcun dubbio: fra tutte le cause delle anomalie esistenti nella civiltà contemporanea, la più evidente, quella che occupa il posto predominante, è proprio questa letteratura giornalistica, per l’azione demoralizzante e perniciosa che esercita sullo psichismo degli uomini. Peraltro son profondamente stupito che nessun ‘detentore del potere’ se ne sia mai accorto, e che ogni Stato consacri più della metà del proprio bilancio al mantenimento della polizia, delle carceri, dei municipi, delle chiese, degli ospedali ecc … e che paghi innumerevoli funzionari, preti, medici, agenti della polizia segreta, procuratori, agenti della propaganda ecc … tutto ciò con l’unico scopo di salvaguardare l’integrità fisica e morale dei suoi cittadini, senza spendere un sol centesimo né intraprendere una qualsiasi azione per distruggere fino alle radici questa causa evidente di ogni genere di crimini e di malintesi»”.

Ivi, p. 57, corsivi miei[2].

 

La miccia che accese uno dei roghi più immani entro cui bruciarono civiltà e culture fra le più grandi del mondo, fu poca cosa, e forse prese ad ardere proprio perché era di là e di fuori dal contesto stesso di queste civiltà e culture”.

G. Mandel, Gengis Khan. Il conquistatore oceanico, SugarCo Edizioni, Milano 1979, p. 143, corsivi miei.

Questo per rispondere a chi dice: ma com’è possibile che un piccolo virus abbia potuto mettere in ginocchio un gigante come il sistema tecnologico attuale; fatevene una ragione: Size does not matter

 

«I turchi sapevano tirare con l’arco, avevano frecce normali e frecce sibilanti, armature, spade.

Le loro armature erano decorate con un motivo in rilievo e sui loro vessilli spiccava una testa di lupo del coloro dell’oro. Le guardie del corpo del re erano chiamate “fuli”, cioè “lupi”, in segno di omaggio verso l’animale al quale il popolo dei turchi deve le proprie origini.

Libro dei Zhou, i turchi».

Jiang Rong, Il totem del lupo, Mondadori Editore, Milano 2006, p. 107, corsivi in originale[3].

 

«Che cosa succede se l’uccellino non canta?

Oda Nobunaga ordina: Uccidetelo!.

Hideyoshi dice: Fate in modo che abbia voglia di cantare.

Tokugawa Ieyasu dispone: Aspettate”». 

A. Fieschi, La maschera del Samurai, Edizioni Mediterranee, Roma 2009, p. 60, corsivi in originale.

 

Secondo il dizionario Shouwen (200 d.C.), delle 369 specie di rettili con scaglie (come pesci, serpenti, lucertole) il capo  il drago; ha in sé il potere della trasformazione e il dono di rendersi visibile o invisibile a proprio piacere. In primavera sale in cielo, e in autunno si nasconde nella acque più profonde. All’equinozio d’autunno si copre di fango, e riemerge solo in primavera. In questo modo annuncia il ritorno delle energie della natura”.

M. Sotgiu, La coda del Drago. Vita di  Deng Xiaoping, Baldini&Castoldi, Milano 1994, p. 9, corsivi miei, citazione in esergo[4].

La coda del Drago è Cauda Draconis, uno dei due Nodi della Luna, il Nodo Sud … quello che “viene dal passato” e che ha una grande potenza, ed è anche una figura geomantica molto forte ancorché negativa …[5] 

 

 

Le strutture sociali e politiche si sono dimostrate molto deboli, quasi sull’orlo dell’implosione. Esse sono pericolanti, oscillano paurosamente, e c’è chi sogna di epoche passate. Questo ricorda quella vecchia canzone: “Sweet dreams are made of this …” (canzone degli Eurhythmics). Naturalmente,  i sistemi EX comunisti – NON comunisti, **EX** comunisti, sia BEN CHIARO: oggi non esiste comunismo ed oggi non esiste fascismo; ci possono esser dei regimi **para** comunisti o **para** fascisti, ma siamo in un altro secolo e la storia NON si ripete –, i regimi EX comunisti si son dimostrati più “reattivi” delle soporifere (o comatose) democrazie; ma questo NON significa che abbiano “LA soluzione”, significa solo che sono MENO AVANTI sulla via dell’implosione, tutto qui.  Qua in occidente c’è stato **il narcisismo post ’89** che ha picchiato duro: “siamo i meglio”, abbiamo raggiunto uno “stato” dove gli “altri” – per loro degli emeriti cretini – non possono che, al massimo, cercare d’imitarci, ma proprio al massimo poiché  “siamo i meglio” … ed abbiamo visto! Intanto …[6] 

L’uomo civilizzato non crede nella realtà, crede nel credere” (F. Lauvret)[7]. E questo è ancor più vero per “il più civilizzato” dei “civilizzati”: l’uomo post moderno occidentale. E finché sarà così, finché SI CREDERÀ DEL CREDERE, non nella realtà, la realtà farà “maramao” all’uomo moderno che impazzirà sempre più nel render “perfetto” quel sistema tecnico che mai potrà diventarlo, la realtà quindi gli farà, di nuovo, “maramao” – e sarà qualche particolare, sarà qualche “possibile” cui non si era pensato, infatti è chiaro che sia impossibile pensare ad ogni eventualità[8], ma c’è sempre il rischio[9] –, ed è precisamente questo, la debolezza del “gigante” della tecnica, ch’è venuta fuori.

E si immergono ancor più nel “tecnottimismo” digitale spinto per dimenticare la – per loro – “terrifica” visione …

Non tutti si son così suicidati allo stesso modo nel mondo, per lo meno non nella stessa entità, in Europina c’è stato il suicidio di una civiltà, nil sub sole novum, eh[10].

 

@i

 

 

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/30-anni-fa.html

[cancellato]



[1] Il termine anda vuol dire: fratello di sangue, sì, come nei film con i “Pellerossa” cosiddetti: ci si faceva un taglio in una mano su coloro i quali volevano diventar “fratelli di sangue” – c’era sempre un motivo, ovvio – e poi si mescolava il sangue che veniva fuori dal taglio. Il legame durava per l’intera vita. Dramma della vita di Temucin – alias Gengis Khan, ch’è un titolo, non un nome proprio – fu che venne costretto ad uccidere il suo fratello di sangue Jamuqa, divenutogli ostile. Temucin voleva risparmiarlo, per il detto giuramento con spargimento e mescolanza del sangue (in senso letterale proprio), ma Jamuqa chiese di venir ucciso e chiese un’usanza della steppa: che il suo sangue – “blu”, nobile – non venisse “sparso sulla terra” (è “l’anima-sangue”, nel sangue v’è l’ “anima” nelle credenze mongole, chiaramente sciamaniche); in tal caso, il suo “spirito” avrebbe vegliato sulle sorti del suo “anda Temucin” come uno spirito benigno. Personaggio incredibile questo Jamuqa – che ricorda un po’, ma in ethnos ben diverso – Starkadhr Aludrengr, fratello di sangue di Temucin e poi suo nemico, e poi di nuovo amico: con le sue giravolte aiutò, però involontariamente, Temucin a divenir Gengis Khan. Ogni grandezza nasce dall’uccisione del fratello, ricordatevelo. Caino e Abele, Romolo e  Remo, Temucin e Jamuqa, Giacobbe ed Esaù, è sempre lo stesso tema. E perché sia così rientra tra  misteri nascosti – misteri: quelli veri = ciò che trascende l’umana ragione – divini. Dunque Jamuqa fu avvolto in una spessa coperta, poi i cavalli, al galoppo, gli passarono ripetutamente su; la coperta, mai però aperta, fu presa e sepolta sulla cima di un’altura, dove il suo “spirito” (la sua “anima-sangue”, cioè) ancor aleggia, proteggendo il clan di Gengis Khan.

Ho parlato di “usanze della steppa”, fra cui c’è il culto del cranio, sì, lo stesso degli Sciti (popolo indoeuropeo iranico), che continuava tra i mongoli e i popoli turchi, ed è riportato tra i Longobardi (popolo indoeuropeo germanico), il caso di Alboino è famoso in Italia. Perché quello della steppa non è un ethnos, ma è un modo di vita, che si è mantenuto per i secoli, ed è stato praticato da popoli anche molto diversi tra loro. Ed è un “modo di vita” che si è portato con sé una determinata mentalità ben specifica, con credenze caratteristiche, ben caratterizzate. Ma queste sono cose che gli europei hanno difficoltà enormi a capire, allora diciamo “fattore ‘X’”, vi è il fattore “X” … Il nome “Temucin”, simile a “Timur” (ferro) – come Timur-i-lenk, Timur lo zoppo: Tamerlano –  allude al (suo) mestiere di fabbro: il ferro e il suo simbolismo … E qui si può rimandare al testo di M. Eliade, Fabbri ed alchimisti

[2] Ricordiamo che Gurdjieff conobbe Stalin da giovane, quando quest’ultimo era seminarista, ed ovviamente – più che ovviamente – Gurdjieff non era certo “stalinista”, ma, di certo, non era nemmeno un “fan” della democrazia, come si è potuto leggere … In Caucaso, durante la fuga dalla Russia nella crisi post rivoluzionaria, Gurdjieff poté sfuggire a vari pericoli anche perché aveva conoscenze un po’ dappertutto, fra i zaristi, i bolscevichi e i socialisti rivoluzionari.

Per lui non contava il “partito”, per lui contava la natura umana

Un link, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/ma-tutte-le-belle-frasi.html.

«“L’umanità non regredisce e neppure evolve. Ciò che ci sembra essere progresso o evoluzione non è che una parziale modificazione che può essere immediatamente controbilanciata da una corrispondente modificazione nella direzione opposta. L’umanità, come il resto della vita organica, esiste sulla  terra per le necessità e gli scopi propri alla terra. Ed essa è esattamente ciò che dev’essere per rispondere ai bisogni della terra al momento attuale. Solo un pensiero così teorico e così separato dai fatti come il pensiero europeo moderno, poteva concepire che un’evoluzione dell’uomo fosse possibile indipendentemente dalla natura che lo circonda, oppure considerare l’evoluzione dell’uomo come una graduale conquista della natura. Questo è assolutamente impossibile. Che egli viva, muoia, evolva o degeneri , l’uomo serve egualmente le finalità della natura o, piuttosto, la natura si serve allo stesso modo, sebbene forse per differenti scopi, dei prodotti sia dell’evoluzione che della degenerazione. L’umanità, considerata come un tutto, non può mai sfuggire alla natura [ed è questa pretesa che oggi si è scontrata con la realtà], poiché l’uomo agisce in conformità agli scopi della natura, anche quando lotta contro di essa. L’evoluzione di grandi masse umane è opposta alle finalità della natura, mentre quella di una piccola percentuale di uomini può essere in accordo con tali finalità”», P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Editore, Roma 1976, p. 46, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.

[3]Toghril – «l’Astore» – ricoprirà un ruolo di primo piano nella nostra storia. Sarà proprio lui il «Prete Gianni» di Marco Polo, il protettore di Gengis Khan all’inizio della sua carriera. In realtà, bisogna ammettere che questo rappresentante del nestorianesimo in Alta Asia si aggiudicò il trono con espedienti tutt’altro che cristiani”, R. Grousset, Il conquistatore del mondo, Adelphi Edizioni, Milano 2011, ivi, pp. 50-51, edizione originale francese del 1944, ristampa del 2008. In nota, si legge (nota di Grousset), “In questo capitolo abbiamo menzionato la nota leggende del «Prete Gianni». In un contributo trasmesso alla Société Asiatique il 12 maggio del 1944, Pelliot sostiene la tesi che questa leggenda sia nata in Occidente in seguito a diversi attacchi che alcuni sovrani dell’Asia centrale mossero contro i musulmani: si segnalano in particolar modo le aggressioni di Qra-kitai, che 1140 ebbero la meglio sul sultano Sanjar, e del Naiman Küčlüg, persecutore dell’islam in Kašgaria negli anni 1211-1212 (si veda sotto, p. 237)”, ivi, pp. 52-53. La lotta fra Toghril, identificato col “Prete Gianni”, e Temucin, dove prima Toghril proteggeva Temucin e poi lottò contro di lui, è passata nello scritto di Marco Polo, probabilmente con qualche incomprensione, non nuova: per esempio, MarcPolo identificava i Mongoli con i “Tartari”, quando, invece, non ci fu gente che Temucin detestasse di più … In ogni caso, per la lotta fra Toghril e Temucin, cf. Marco Polo, Il Milione, Libritalia, Città di Castello 1998, capp. liii-lvi, pp. 56-58. Sul significato, più vasto e “tradizionale” – ma non “tradizionalista” – del Prete Gianni, cf. R. Guénon, Il Re del mondo, Adelphi Edizioni, Milano 1977, cap. ii (Regalità e pontificato), pp. 20-21, e la nota n°7 a pie’ pagina: “Si parla segnatamente del «prete Gianni», verso l’epoca di san Luigi,  nei viaggi di Pian del Carmine e di Rubruquis. Le cose sono complicate dal fatto che, secondo alcuni, vi sarebbero stati fino a quattro personaggi a portare questo titolo: in Tibet (o sul Pamir), in Mongolia, in India e in Etiopia (quest’ultima parola aveva allora del resto un significato assai vago), ma è probabile che si tratti solo di rappresentati diversi di un unico potere. Si dice anche che Gengis-Khan abbia cercato di attaccare il regno del prete Gianni [ed è da tali storie che nasce probabilmente la versione di Marco Polo ne Il Milione, nei capp. qui detti sopra], ma che questi l’abbia respinto scatenando la folgore contro i suoi eserciti [al contrario, nei capp. de Il Milione ai quali qui su s’è fatto riferimento è il “Prete Gianni” – ma in realtà è Toghril – ad aver scatenato la guerra contro Temucin – Gengis Khan, che invece n’era stato, sin a quel momento, fedele servitore, al punto che vi è una parte della Storia segreta dei Mongoli, il cap. “Il lamento del Khan”, dove Temucin si lamenta delle infedeltà di Toghril a fonte della sua ferma e continua lealtà: in ciò, tuttavia, Grousset vi vede una consumata, sottile abilità politica, della quale, poco ma sicuro, Temucin era grandemente dotato senz’ alcun dubbio]. Infine, all’epoca delle invasioni musulmane, il prete Gianni avrebbe cessato di manifestarsi [corsivi miei], e sarebbe rappresentato esteriormente [idem] dal Dalai-Lama”, ivi, p. 20, corsivi in originale, miei corsivi indicati fra parentesi quadre, mie osservazioni fra parentesi quadre. 

In effetti, non solo lo “spirito” di Jamuqa aleggia, ma quello di Gengis Khan ancor più, il primo protegge il secondo e il secondo la Mongolia: “Il decesso di Gengis Khan fu reso pubblico solo quando il corteo funebre giunse presso il grande accampamento imperiale vicino alle sorgenti del Kerülen. «Al che le spoglie mortali del Conquistatore vennero via via deposte all’interno dei vari ordos – vale a dire i palazzi di feltro – delle sue spose principali; lì su invito di Tolui, i principi, le principesse di sangue e i capi militari accorsero da ogni angolo dell’immenso impero per rendergli l’ultimo omaggio con lunghe lamentazioni. Coloro che venivano dalle contrade più distanti non giunsero a destinazione che tre mesi dopo». Lassù, da qualche parte, nella foresta … Allorché il «compianto» fu terminato, quando tutti i Mongoli ebbero sfilato davanti al feretro di colui che aveva regalato loro «l’impero del mondo», Gengis Khan fu sepolto. Aveva scelto lui stesso il luogo, sul fianco di una delle alture che formano il massiccio del Burqan-qaldun, l’attuale Kentei. Era la montagna sacra degli antichi Mongoli, quella che, nei giorni difficili della giovinezza dell’eroe, gli aveva salvato la vita offrendogli riparo nella sua boscaglia impenetrabile, quella dove lui, prima di ogni scelta importante, nei momenti decisivi della vita, era andato ad invocare il dio supremo dei Mongoli, l’Eterno Cielo Azzurro – divinità che risiede sulle cime tra le sacre fonti. Da lì sgorgavano «i Tre Fiumi» (Onon, Kerülen e Tula) che bagnavano la prateria ancestrale. «Un giorno, mentre era a caccia in quei paraggi, Gengis Khan si era steso a riposare sotto il fogliame di un grande albero isolato. Lì sostò qualche istante, come perso in un sogno ad occhi aperti, e alzandosi dichiarò che alla sua morte desiderava esser sepolto sotto quelle fronde». Dopo il funerale il luogo divenne tabù e si lasciò che la foresta lo ricoprisse fino a nasconderlo completamente. L’albero sotto cui l’eroe aveva scelto di riposare finì per confondersi tra gli altri, e oggi nessuno sarebbe in grado di ritrovarlo. E sotto quel manto di cedri, abeti e larici che il Conquistatore dorme il suo ultimo sonno. Da una parte, verso il Grande Nord, si allargano le distese sconfinate della taiga siberiana, la foresta impenetrabile, i due terzi dell’anno intrappolata nella neve e nel gelo. Dall’altra parte, a meridione, la steppa mongola srotola all’infinito le sue terre ondulate che in primavera si ricoprono di tutti i fiori della prateria ma che, procedendo verso sud, si perdono nel deserto senza fine del Gobi. Nei cieli, sfrecciando da una zona all’altra in un battito d’ali, l’aquila nera dagli occhi dorati, sovrana del cielo mongolo, emblema della carriera dell’Eroe, la cui corsa si era dipanata dalle foreste del Baikal all’Indo, dalle steppe dell’Aral ala Grande Pianura cinese. Altri conquistatori dormiranno sonni costantemente turbati dalle folle accorse sulle loro tombe a interrogare il segreto del loro destino. Lui invece riposa lassù, ignorato da tutti, protetto e celato da quella terra mongola che l’ha voluto per sé e con la quale è ormai una cosa sola”, R. Grousset, Il conquistatore del mondo, cit., pp. 327-329, maiuscoletti e corsivi in originale, grassetti miei. 

[4]Deng ha cambiato la Cina non meno di quanto abbia fatto Mao. Il denghismo è stato definito la somma tra thatcherismo e stalinismo: quindi anni di riforme hanno portato liberismo economico abbinato ad autoritarismo politico, lasciando così inalterati i problemi di fondo e i pericoli di disgregazione del paese. Una questione soprattutto rimane irrisolta: quando la parola democrazia avrà cittadinanza nel paese più popoloso della terra? Finché quest’interrogativo rimarrà senza risposta, è lecito aspettarsi un nuovo terremoto politico. Un’aspra battaglia per spartirsi le spoglie del denghismo si prepara alla morte di colui che, nato come rivoluzionario idealista, si è trasformato nell’ «ultimo imperatore» della Cina”, ivi, p. 108. L’ “aspra battaglia” non è che non ci sia stata, ma gli esisti sono stati ben diversi da quelli di cui parlava Sotgiu nel 1994. Questo fenomeno di disgregazione non è successo perché: “«Dopo di me, mai più il diluvio» Forse per la prima volta in un paese comunista, un leader indiscusso si pone il problema della successione, della creazione di una classe di successori. Deng aveva imparato sin troppo bene che alla morte dei grandi uomini del comunismo (da Lenin a Stalin a Mao) era seguita una durissima lotta per il potere, che spesso aveva rovesciato le sorti dei vari paesi. La democrazia per Deng significava garantire al proprio paese una transizione tranquilla”, ivi, p. 102, corsivi in originale. E, dopo l’ ’89, fondamentalmente, ce l’ha fatta: la transizione relativamente “tranquilla” c’è stata, va riconosciuto; mal che vada è riuscito a concedere al suo regime dell’altro tempo, altri vent’anni, sino ad oggi: ed ora c’è una sorta di nuovo “imperatore”, in Cina … Per quanto ancora, lo vedremo; ma è riuscito nel costruire una successione stabile: non è poco, di certo. 

[5] Le forze che stanno al comando del mondo di oggi – cioè del mondo “della fine del Kali-Yuga” – stanno usando questa inevitabile “reazione cosmica” ai continui abusi fatti sulla natura del pianeta Terra per procedere ancor più speditamente, risolutamente, sulla via della “tecnocrazia”, per usar tal termine. Verso la “dystopia” che, in se stessa, nella sua pienezza, è irrealizzabile, “perché al di sotto di ogni manifestazione” (avrebbe detto Guénon), ma che, continuandosi ad andare sulla via negativa, non potrà che accrescere la decadenza della civiltà e la dissoluzione, sia delle società che della natura stessa. E su ciò, si è già detto, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/una-interessante-dystopia-proxima.html.

Dunque non è finita, per niente: siamo solo alla parte finale della parte iniziale della “crisi finale” della “fine del Kali-Yuga”. Quella in cui, proprio perché il mondo sfugge ad una (sedicente) “Terza” Guerra mondiale (nel senso di una proiezione delle vicende della Seconda Guerra mondiale sulle vicende attuali, perché, se ci possono essere delle analogie tra la “terza guerra mondiale” però “a pezzi” ed eventi passati, le analogie ci sono con la Prima Guerra mondiale, non certo con la Seconda), il sistema s’inceppa. Non nel senso che si ferma, tuttavia. A livello minore, “sociologico” e non “cosmico”, la temperie attuale alcuni l’han vista “in tempi non sospetti”, come suol dirsi, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/04/il-crollo-delle-democrazie.html.

La data di quest’ultimo post era … esattamente sei anni fa! Le democrazie si stanno svuotando. 

[8] E’ un’osservazione di Schuon, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/04/e-non-nu-elirpa-decsep.html. [CANCELLATO]   

[10] Cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/in-attesa-di-peste-terremoti-eccetera.html.

Lo scopo è, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/08/una-interessante-dystopia-proxima.html.

Fatevene una ragione, non siamo in grado di “evitare” questo: siamo in grado di prepararci, di pensare “oltre” questo momento, d’inserirlo in un quadro più vasto che ci farà comprendere come non possa che fallire. Scusate s’è poco. Nessuno è in grado di offrire queste tre cosettine, oggi. Ma, per fare queste tre cose, c’è un pagamento da effettuare, prima … Voglio dire: non sono cose a costo zero. Devi cambiare il tuo modo di pensare cosa tutt’altro che facile, nel concreto della situazione attuale, non certo “a tavolino”, dove siamo tutti bravi: “Parlare di tori non è lo stesso che stare nell’arena”, dice un proverbio spagnolo … Il mio proverbio preferito nella vecchia community, chiusa nel 2008. Se qualcuno ha un po’ di buon senso, ancora, deve dunque fare due più due fa quattro: il “R. A.è questa distopia, che non può che fallire, che sarà portata però avanti dall’unione con la “condivisione” … ed il “‘vangelo’ della ‘condivisione’” NON potrà NON avere un brillante futuro prossimo a fronte di problemi giganteschi, che la tecnica non potrà che render ancor più irrisolvibili nel mentre che sembri risolverli: sembri …