sabato 5 novembre 2022

“100 anni fa” – **e un** giorno, ovvero: “NEMO ME IMPUNE LACESSIT” –

 

 

 

 

 

 

 

Per conoscere le ragioni di questa perversione della spiritualità, bisogna per un momento lasciare la tradizione celtica e rivolgersi all’antica tradizione egizia, e meditare su una lettera dal Cairo, datata 22 aprile 1932 [90 anni fa!, si noti quanti due …!], in cui Guénon parla della sopravvivenza d’una magia molto pericolosa e d’ordine infero, d’origine egiziana, che sembra essersi rifugiata principalmente in certe regioni del Sudan. Non si può far a meno di stabilire una relazione fra queste tenebrose influenze — la cui terra d’elezione divenne la ‘remota regione del Sudan, cui allude ancora Guénon nel Regno della Quantità (cap. XXVI) — e il ‘crepuscolo degli dèi’ che, oscurando la tradizione celtica ed egizia, ridussero gli antichi santuari abbandonati a luoghi di rifugio di questi ‘residui psichici’, i soli che permangono allorché lo Spirito si è ritirato. Vedremo più avanti che ci sono delle ragioni ben precise per cui si associano i destini pervertiti del Celtismo con quelli della tradizione egizia [e qui – qui – si pone il tenebroso “affaire” di Rennes-le-Château …]. in ogni caso, il Belen gallico non fu maggiormente risparmiato del suo omologo greco […] e il Cristianesimo fece scadere il luminoso Apollo al rango di demone. Fu l’ Apollion dell’ Apocalisse (IX, II) … Non ci sarebbe nulla d’inverosimile nel fatto che, in terra celtica, il dio dalla testa di lupo, dopo l’occultamento del suo aspetto solare e propriamente apollineo, abbia ceduto il posto a questo dio dalla testa d’asino, d’origine egiziana, ma destinato ad un ‘impero’ universale”.

J. ROBIN, René Guénon. Testimone della Tradizione, Edizioni “Il Cinabro”, Catania 1993, p. 43, corsivi miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

 

Si considera generalmente la maschera che copre i volti delle mummie egiziane come un ritratto stilizzato del defunto; ma ciò è vero solo in parte, benché questa maschera divenga realmente, verso la fine dell’antico mondo egiziano e sotto l’influsso dell’arte greco-romana, un vero proprio ritratto funebre. Prima di questa decadenza la maschera non mostra il defunto com’egli era, ma come sarebbe dovuto diventare: è un volto umano che si avvicina in qualche modo alla forma immutabile e luminosa degli astri. Ora, questa maschera svolge un ruolo ben determinato nell’evoluzione postuma dell’anima: secondo la dottrina egiziana, la modalità sottile inferiore dell’uomo — quella che gli Ebrei chiamano ‘il soffio delle ossa’ [detto in ebraico “OB”, da R. GUÉNON, L’errore dello spiritismo, cap. VII] e che si dissolve di norma dopo la morte — può essere trattenuta e fissata dalla forma sacra della mummia. Questa forma — o questa maschera — svolgerà dunque, in rapporto a quest’insieme di forze sottili insieme diffuse e centrifughe, il ruolo d’un principio formale [che dà “forma”, cioè limite]: essa sublimerà [passaggio dal fisso al gassoso senza passare per lo stato liquido: è un paragone, ma rende l’idea] questo ‘soffio’ [stesso termine che in Cina] e lo fisserà [punto decisivo], facendone un legame fra questo mondo e l’anima stessa del defunto, un ‘ponte’ attraverso il quale le incantazioni e le offerte dei vivi raggiungeranno l’anima, e la benedizione del defunto potrà raggiungere i vivi [in buona sostanza, “il culto degli antenati” è questo scambio, symbolico, e cioè reale]. Questa fissazione del ‘soffio delle ossa’, d’altronde, si produce spontaneamente alla morte di un santo [è un fenomeno alchemico, infatti], da cui la virtù specifica delle reliquie [fatto ben noto ma, di solito, non spiegato]. Nell’uomo che ha raggiunto la santità, la modalità psichica inferiore [“OB”] — o la coscienza corporea [due cose collegate …] — è già stata trasformata nel corso della sua vita terrena: essa è diventata veicolo d’una presenza spirituale, che verrà poi fissata alle reliquie ed alla tomba del santo. È probabile che, in origine, gli Egiziani consacrassero soltanto le mummie di uomini d’alto rango spirituale, poiché non si può trattenere senza pericolo la modalità psicofisica di chicchessia. Per tutto il tempo in cui il quadro tradizionale restò intatto, questo pericolo poteva esser neutralizzato; esso si manifesterà quando uomini di una civiltà affatto diversa, completamente ignari delle realtà sottili, infrangeranno i sigilli dei sepolcri”

T. BURCHARDT, Simboli della scienza sacra, Archè, Milano 1979, pp. 19-20, corsivi e grassetti miei, miei commenti fra parentesi quadre.[1]

 

 

 

 

100 anni fa (4 novembre 1922) – e un giorno –, la scoperta della famosa tomba di Tut-ankh-Amòn – in origine: Tut-ankh-Atòn –, dove ankh è la “vita”, ma in un’accezione superiore, cioè non bìos ma zoê.

Peraltro in greco bìos, vita biologica, e bìos, arco (quello di Apollo), si dicono uguale …

 

 

 

Hesy aveva perso completamente la bussola: […] esclamò:

Maestro, non avevamo mai sentito nulla di simile! Se tale verità è nascosta sotto un’erronea apparenza, perché non rivelarla?’

Non è ciò che sto facendo qui per alcune persone? La massa non può comprender l’insegnamento di certe leggi causali; in tal caso, è meglio il silenzio che la profanazione.’

Maestro, questo silenzio non ha fatto giudicare l’opera di Akhenaton come una violenza blasfema, come la creazione arbitraria d’un culto eretico?’

Solo gl’ignoranti hanno accettato quest’interpretazione umana.’

Gli ignoranti sono la maggioranza: perché lasciarli nell’errore?’

È meglio un errore nelle cose umane che una divulgazione che profani le Leggi divine.’ [typicamente egizio]

Hesy, dopo aver riflettuto, rispose:

Tuttavia è evidente che c’è stata una volontà di distruzione dei monumenti e dei simboli Amoniani!’

Il Saggio replicò:

Se la rivoluzione di Akhenaton avesse avuto come origine un odio personale contro un certo clero o un certo principio, egli avrebbe raso al suolo il tempio di Apet-Sut che era il cuore del culto di Amon, anziché scalpellarne semplicemente i simboli. In tal modo si sarebbe realizzata una distruzione definitiva, ben più semplice che il martellare le pietre con tanta precauzione da far sì che le forme restino spesso percettibili … E che traspaiano certi attributi o certe parti del corpo necessarie alla funzione ch’esse contribuivano a svolgere nelle scene in cui sono rappresentate. Pensate quale doveva essere stato il lavoro dei sorveglianti iniziati che han controllato i minimi tratti di tutti quei monumenti, muri, steli, obelischi, per preservare i segni che dovevano esser rispettati! Io posso mostrarvi una stele dove un certo aspetto di un Neter è stato eliminato, mentre l’altro è rimasto per adattare il simbolo al “momento” caratteristico. Chi desidera altre prove, può trovarne innumerevoli. La regina madre Tii non aveva il suo palazzo nella città di Akhenaton? Avrebbe forse dimorato presso suo figlio, se ci fosse stato conflitto fra lui e suo padre Neb-Maât-Re, i quale addirittura si stabilì per qualche tempo a El-Amarna? Tut-ankh-Amon non visse in un primo tempo ad Amarna con il nome di Tut-ankh-Aton, facendo così d’anello di collegamento tra il periodo Atoniano e il periodo di Amon-Râ?’

Hesy scuoteva la testa in riprovazione”, I. SCHWALLER de LUBICZ, Her-Bak (Cecio), L’Ottava Edizioni, Milano 1985, pp. 334-335, corsivo in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

[1] “La maschera sacra non suggerisce sempre una presenza angelica o divina; essa può costituire anche l’espressione ed il supporto di una presenza ‘asurica’ o demoniaca, senza che ciò implichi necessariamente una ‘deviazione’; poiché questa presenza è in sé malefica, essa può essere domata da un’influenza superiore e captata per scopi espiatori, come accade in certi riti lamaisti. Ricordiamo anche, come esempio ben noto, il combattimento del Barong e della strega Rangda nel teatro sacro di Bali; il Barong, che ha la forma di un leone fantastico ed è comunemente considerato come il genio protettore del villaggio, è in realtà il leone solare, simbolo della luce divina, come indicano i suoi ornamenti dorati. Egli deve affrontare la strega Rangda, personificazione delle potenze tenebrose. Ambedue queste maschere sono supporti di d’ influenze sottili che si comunicano a tutti coloro che partecipano al dramma, fra i quali si svolge un reale combattimento. Ad un certo momento, dei giovani in trance si gettano contro la strega Rangda per pugnalarla; ma il potere magico della maschera li spinge a rivolgere i loro kriss contro se stessi. Alla fine il Barong respinge la strega Rangda. Quest’ultima è, in realtà, una forma della dea Kali, della potenza divina considerata nella sua funzione distruttrice e trasformante; ed è in virtù di questa funzione implicitamente divina della maschera che il suo portatore la può assumere impunemente”, ivi, p. 16, corsivi in originale, grassetti miei.

NEMO ME IMPUNE LACESSIT