Interessante questo passo, perché vien citato l’autore del futuro – per l’epoca – affaire … Si parla dell’interessantissima “leggenda” degli imperatori “mai morti”, questo è il contesto, e poi si legge la seguente osservazione:
“Gli elementi più antichi ed esatti dimostravano una sorprendente capacità di sopravvivere e di ricomparire in luoghi inaspettati [il materiale “mythico” di solito fa così, non è una sorpresa]. Loomis (Arthurian Literature, 1959, pp. 70 e sgg.) scrive: «Intorno al 1190 Goffredo da Viterbo, segretario di Federico Barbarossa, accenna a una versione della sopravvivenza di Artù [l’altra, di origine normanna, narra che la “montagna” dove sarebbe “in sonno” (termine anche iniziatico) Artù sarebbe l’Etna] non riscontrata altrove. Merlino predice che il re morirà per le sue ferite [che sono spesso anche simboliche, nel Ciclo arturiano …], ma non completamente e rimarrà preservato nelle profondità del mare [chiaramente non necessariamente si tratta qui del mare “corporeo” dove “la gente” va per fare i bagni …] e regnerà per sempre [clavis] come prima [meglio di prima …]», come avrà fatto il segretario di Federico Barbarossa – un imperatore destinato anch’egli al luogo ove dormono le età trascorse e i loro sovrani [ricordiamoci che, in origine, trattavasi di Federico II di Svevia, il “mai morto” …] – a mettere le mani sulla versione ‘giusta’? (Saremmo inoltre lieti di sapere da dove l’archologo Pierre Plantard – citato da de Sède, 1962, p. 280 – ha tratto la seguente notizia: «Conopus, l’oeil sublime de l’architecte, qui s’ouvre sous 70 ans pour contempler l’Univers»)”, G. de Santillana – H. von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio , Adelphi Edizioni, Milano 1983(ed. orig. Ingl. 1969, il libro di de Sède (Les Templiers sont parmi nous) è, a sua volta, del 1962: da lì sarebbe nata tutta la storia, l’ affaire, di Rennes-le-Chateau e di Plantard, detto qui “un archeologo”), p. 357, corsivi in originale, nota a pie’ pag., miei commenti fra parentesi quadre. L’accenno a Canopo è importante: la nave che fa fare il “viaggio cosmico” – come quello dell’Ulisse dantesco – sul “mare di stelle” che, però, è anche “la nave dei morti” (su questo legame Canopo-nave dei morti, cf. ivi, p. 337), da non confondersi con la “nave dei folli” (The ship of fools), di Boschiana memoria …
In linea generale, gli accostamenti fatti dai due autori citati son spesso assai ben fatti, e non v’è dubbio – non v’è dubbio – che spesso son segni d’un sapere “cosmologico” ignoto ai moderni: i molti – e molto giusti – rilievi fatti dai due autori alla cecità dei moderni son assai calzanti, solo che non si deve andare ad un eccesso contrario: non è che ogni mito rifletta di un quadro “stellare” per la semplice ragione che tutto quanto è “symbolico” s’interpreta su ed in piani diversi, non escludentisi fra loro. Ed allora perché capita spesso che – davvero ed effettivamente – vi siano riferimento “stellari” o “astrali”? Perché l’uomo più vicino all’ “archè” guardava il cielo come l’uomo moderno non sa più fare, per cui che un “mito” abbia un aspetto fortemente “astrale”, in quel tempo, era per così dire “ovvio” … E niente più di questo ci consente – in modo pratico ed “oggettivo” – di “misurare” la distanza fra noi e loro, anche con gli uomini del XIII secolo, i quali “Le menti degli uomini del XIII secolo erano ancora molto sensibili alla struttura arcaica”, ivi, pp. 239-240. ecco i moderni – ma non da un momento all’altro (i riferimenti a Newton son chiari, da parte dei due autori, che citano le famose frasi di Lord Keynes a riguardo di Newton, come Keplero, non si può tacere né il riferimento ad A. Kircher – però già “tardo” – come l’ammirazione per Michele Scoto1). Detto tutto ciò, rimane l’imponente opera fatta dai due autori, per collazionare, non solo, ma pure per confrontare il vasto materiale mitografico da loro raccolto.
Andrea A. Ianniello
1 Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/11/una-leggenda-celtica-su-michael-scot.html.
Peraltro, vi è un raro accenno a Gessar Khan anche nel libro citato di de Santillana e von Dechend: “Altrettanto strano a dirsi, questa strana insostanzialità [stan parlando della catena “insostanziale” che lega Fenrir (il “Lupo della Fine”) e che si rompe nel ragnarök] (cui vanno aggiunte il latte di Madre Aquila e le lacrime degli aquilotti) dovette procurarsela il tibetano Bogdo Gesser Khan, il quale catturò pure il Sole”, ivi, p. 191, in nota a pie’ pagina.