APPENDICE AL POST PRECEDENTE
(per chi vuol approfondire)
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Nel postulare la natura
“rivoluzionaria” del “proletariato” Marx prese un abbaglio di non piccola
entità, le cose non stanno così, le “classi subalterne” una volta entrate nel
sistema, intendono rimanervi e lottano per questo, non per il cambiamento sistemico. Non si danno rivoluzioni senza
condizioni estreme, condizioni estreme che sono nelle responsabilità delle
classi dirigenti divenute digerenti e proprio per nulla nella natura
“rivoluzionaria” delle classi “subalterne”: questo dimostra la storia, “oltre
ogni ragionevole dubbio”, come dicono nei gialli americani (e gatti). Inoltre
ha sottovalutato profondamente la potenza tecnica del capitalismo, e dunque la capacità di produrre merci senza troppo gravare sulla classe lavoratrice, che è
stata, tutto sommato, meno schiacciata di quanto Marx credesse. Il fatto è che
Marx “proiettava” lo stato di una determinata fase sistemica sulla natura generale del sistema stesso: grossissimo errore.
Dove invece Marx ebbe ragione
è su tre punti: 1) che le crisi sono
ineliminabili dal sistema capitalistico; 2)
che il sistema non può cambiare le sue
finalità; 3) che la “caduta
tendenziale del saggio di profitto” è il
tallone d’Achille del tremendamente potente sistema capitalistico, che ha
livellato usanze, tradizioni, ha schiacciato civiltà ed uniformato il più
possibile e si è dimostrato la più terribile forza distruttiva storica che si
sia mai vista, altro che Mongoli o Tartari o “Invasioni barbariche” cosiddette …
Non si tratta, infatti, di un singolo tornado, ma di un annacquamento che
“spugna” le cose in modo irreversibile.
Sul punto 1 vi è poco da dire: a quanto pare,
“lor signori”, gli “illustrissimi strologa tori” e grandi cantori delle “magnifiche
e progressive sorti” del sistema vigente cominciano ad ammetterlo, ma come un
epifenomeno. Il punto 2 già è ben
più difficile che si ammetta: la tendenza attuale è quella della riforma che
mantenga il quadro generale di riferimento; i “delusi” abbondano ed anche gli
“orfani della fase espansiva” del sistema.
Veniamo al punto 3. Marx portò avanti la teoria del
valore-lavoro, sulla quale non ci si può soffermare salvo brevemente dire che
problema decisivo dell’economia è come si misura e costruisce e determina il
“valore” delle merci. Marx lo ricollegava quindi al lavoro, secondo me sbagliando
in parte (ma sarebbe lungo discorso). Come che si determini, di certo c’è il
valore. Il valore ha due volti: d’ “uso” (l’acqua, bene abbondante che vale
poco), e di “scambio” (tipo un rolex d’oro). Cose rilevanti per la vita valgono
poco e cose del tutto irrilevanti per la vita valgono tantissimo è il
“paradosso del valore” (del quale parlò un abate di Chieti, ma napoletano
d’adozione, nel XVIII sec.: l’abate Galliani).
Ora dice Marx: il capitale è
“dynàmei”, “in potenza”, deve – deve -
diventare altro ed accrescersi. Deve accrescersi, è il suo “imperativo
categorico”. Poiché il capitale è solo potenziale,
se non si accresce allora decresce.
Deve - deve – accrescere il suo profitto/i suoi profitti, o rassegnarsi al
suo termine, cosa che nei sistemi pre-capitalistici era normale: nel capitalismo è anormale.
Il capitalismo non è in grado di cambiare questo suo “imperativo categorico”.
Il resto son parole al vento, bla bla bla. La gente che si “sorprende” di
pagare per il sistema vive nei suoi sogni, crede alla giustificazione che tale
sistema si auto dà e fornisce ogni volta.
Ora il sistema ha vinto Marx,
il quale sosteneva – giustamente
peraltro – che per seguire il suo “imperativo categorico” il sistema
capitalistico deve trovare un modo per accrescere costantemente – per accrescere
costantemente (quest’ultimo termine è decisivo)
- il saggio di profitto. Se non lo fa, va in stallo. Lo stallo si chiama “crisi
capitalistica”. La crisi non può non esserci, giusto, ma la natura della crisi e del meccanismo di scarico delle contraddizioni: qui è dove Marx ha sbagliato
perché lui sosteneva che tale imperativo categorico lo si potesse conseguire
solo affamando la classe lavoratrice.
Eh no, non è andata così. Si può conseguire in altro modo lo stesso scopo, la stessa finalità (sulla finalità Marx non errava, invece) – e Marx lo intravide nel III Libro de Il Capitale (“Das Kapital”, gen. neutro) – ovvero accrescendo la capacità di produrre beni, merci, che poi è com’è andata effettivamente. Ma, ed ecco il punto, questo fa sorgere la necessità di chi compri le merci: ed ecco il “consumismo” e la necessità di dare denaro alle classi subalterne perché divengano consumatori, divenire consumatori vuol dir essere omologati ed uniformizzati da e per prodotti “standard”. In tal senso, la crisi del ’29 è l’anima del capitalismo, è il suo punto nodale (come notava illo tempore J. Baudrillard, che notava che non ne siamo mai davvero usciti, ed è una considerazione attualissima); fu crisi di sovrapproduzione ma la gente non comprava le merci: OGGI!
Eh no, non è andata così. Si può conseguire in altro modo lo stesso scopo, la stessa finalità (sulla finalità Marx non errava, invece) – e Marx lo intravide nel III Libro de Il Capitale (“Das Kapital”, gen. neutro) – ovvero accrescendo la capacità di produrre beni, merci, che poi è com’è andata effettivamente. Ma, ed ecco il punto, questo fa sorgere la necessità di chi compri le merci: ed ecco il “consumismo” e la necessità di dare denaro alle classi subalterne perché divengano consumatori, divenire consumatori vuol dir essere omologati ed uniformizzati da e per prodotti “standard”. In tal senso, la crisi del ’29 è l’anima del capitalismo, è il suo punto nodale (come notava illo tempore J. Baudrillard, che notava che non ne siamo mai davvero usciti, ed è una considerazione attualissima); fu crisi di sovrapproduzione ma la gente non comprava le merci: OGGI!
Per ovviare a tale stallo, in
parte, ma – soprattutto – per accrescere l’imperativo categorico, ma categorico
davvero, si è visto lo sviluppo della finanza, sia per fornire credito per
acquisti, sia per moltiplicare a dismisura le possibilità di profitto per mezzo
di “prodotti” finanziari cosiddetti, che sono delle catene di crediti su crediti su
crediti.
Ora qua il punto è che il
fatto che l’economia finanziaria ecceda di molto quella “reale” (reale in senso
capitalistico perché, dal punto di vista marxiano, la merce stessa è una
costruzione sociale dunque “irreale”
e non “naturale”) è notissimo a chi segua tali tematiche, anche se
pubblicamente se ne ha in pratica consapevolezza uguale allo zero. Quel che
spesso si sente dire, a giustificazione, è che l’economia “reale”, supposta
“buona” (ma è solo una supposta …), deve prender forza a fronte della “cattiva”
economia dei bit, quando invece quel che abbiamo visto è il necessario sviluppo
dell’imperativo categorico una volta che, su di una determinata merce, il
saggio di profitto che ci puoi far su necessariamente – necessariamente – è destinato a decrescere. Per questo,
nell’informatica, ci son sempre nuovi prodotti, perché giunge fatalmente un punto
a partire dal quale i profitti che ci fai su di un determinato ritrovato
tecnico iniziano a diminuire. Non è dunque così: una buona economia cosiddetta “reale” a fronte di una economia finanziaria dei bit detta “irreale”; si tratta, invece, dell’inevitabile
applicazione del problema di base della “caduta tendenziale del saggio di profitto”, sulla quale non ci puoi far nulla, dopo una fase di accrescimento è matematico che avvenga una di saturazione con conseguente diminuzione del saggio di profitto.
Capiamolo bene. Tu fai sempre
nuovi ritrovati tecnici e pompi credito nella parte di società che t’interessa,
mai tutta - i subalterni li seduci e
gli dici che possono entrare e non faranno mai nulla di sostanziale -, sei
allora in una botte di ferro, ma le botti di ferro affondano … In altre parole,
il saggio di profitto che fai anche in questa maniera, è destinato a scendere, come suol dirsi: “non ci sono santi che
tengano”. Se però dai vita a “prodotti” finanziari che moltiplichino esponenzialmente il saggio di profitto,
l’imperativo categorico sarà soddisfatto. E’ fondamentale capire che il sistema
non può cambiare le sue finalità, può esser cambiato solo dall’ imposizione di logiche altre da fuori del sistema stesso.
Sennonché la catena di
Sant’Antonio di crediti su crediti su crediti ad libitum non può durare per
sempre e si rompe da qualche parte: ha conseguenze imprevedibili. La fiducia
nel sistema dev’essere ristabilita nell’unico modo che oggi esiste: pompare liquidità
nelle vene sclerotiche sistemiche.
Ma nemmeno questo dà certezza
assoluta. Perché? Per un fatto sostanziale: il meccanismo del credito. Se tutti
i risparmiatori del mondo in un momento chiedessero indietro quanto dato al
sistema di credito, comunque quest’ultimo funzioni, che sia onestamente o
disonestamente, scoprirebbero che NON CI SONO MAI STATI, il sistema crea e
distrugge valuta, e presta ciò che NON ha.
E questo non nella nostra
“cattiva” economia iper-finanziaria, ma sin dall’inizio del sistema
capitalistico, si veda com’è nato il debito pubblico inglese nel sec. XVII
(diciassettesimo). Solo che un tempo la distanza tra la capacità produttiva e
il moltiplicatore finanziario non aveva raggiunto gli estremi dei “nostri”
tempi, estremi raggiungibili grazie alla tecnica. Senza tecnologia questo
moltiplicatore non poteva divenire così enorme, questo è proprio evidentissimo.
“Ha fatto più il capitalismo per la tecnica che la tecnica per il capitalismo” (Anonimo).
Ed allora, come se ne vien
fuori, da un pasticcio di un tale gigantesca entità? Sostanzialmente, non se ne vien fuori, e le
contraddizioni accumulatesi devono potersi “liberamente” esprimere per
stabilizzare nuovamente il mondo. Ma, nell’ottica che oggi va per la maggiore –
e nulla più di questo ci fa capire che un ciclo è terminato -, e cioè cercare
di risolvere le cose all’interno di un quadro che non può che produrre determinate conseguenze, occorre dire
che ci vuole una nuova Bretton Woods e che la valuta cinese deve far parte del
paniere dell’FMI a determinate precise – conseguenti e precise – condizioni. Questo in vista di un passo decisivo: la moratoria del debito sovrano globale – globale
eh – sia detto a chiare lettere. Perché tale debito NON E’ PAGABILE, “onorabile” né ora né MAI.
Se questo non sarà fatto, il
mercato si auto-regola nel senso della auto-riduzione. Il che implicherà quelle
conseguenze dette in un post precedente e il tentativo di porre “un argine”
alla serie di crediti su crediti su crediti che è lo sbocco necessario – necessario vale a dire inevitabile poste certe determinate finalità,
non dunque un fenomeno casuale, non una “cattiveria” (salvo interrogarsi sull’eticità
dell’imperativo categorico sistemico, che non è affatto etico) – dell’imperativo
categorico del capitalismo. Se tu poni un argine – c’han tentato in tanti nel
XX sec., senza riuscirci, e da posizioni opposte – all’imperativo sistemico, tu
ne stai mettendo in questione le finalità.
Se ne deve necessariamente
dedurre che, a questo punto, saremmo fuori del capitalismo storico, quello reale,
quello che c’è, non quello dei modelli economici fasulli, che postulano una “razionalità”
dell’azione umana e delle finalità sistemiche che si ritrova solo nei cervelli
di chi le pensa e di chi è stato educato ad accettarle come dato “naturale” ed indubitabile.
A. Ianniello
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NOTA
Riferimento, cfr. ANDREA A. IANNIELLO: Baudrillard, la "sinistra divina" e il mito (http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/05/andrea-ianniello-baudrillard-la.html).
Anche: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/12/di-una-crisi-passata-che-si-e.html.
Ed: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/12/di-cose-gia-passate-che-hanno-avuto.html.
Infine, recente: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/liberi-di-non-scegliere-1995.html.