sabato 29 marzo 2014

Sul libro di M. Liverani (“Oltre la Bibbia”), recentemente ripubblicato


Sul libro di M. Liverani (“Oltre la Bibbia”), recentemente ripubblicato

E’ stato recentemente ripubblicato il libro di M. Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza, Roma-Bari 2013 (ed. or. 2003, dieci anni prima cioè).
Il libro si compone di Tre Parti: Parte Prima, “Una Storia normale”; Parte seconda, “Una Storia inventata”, cui segue l’Epilogo “Storia locale e valori universali”, che è una riflessione su questo tema, piuttosto interessante d’altro canto. Le due Parti son separate da un Intermezzo che è la “chiave” del libro stesso.
Diciamone qualcosa in breve.
L’idea di fondo è che la storia d’Israele sia, in realtà, una storia del tutto comparabile a quelle di coevi regni semitici. La strada di Liverani è quella della “de-mitologizzazione”, strada comprensibile, anche se, diciamo, tende a spingersi troppo in là, in quanto tende quasi a negare del tutto che la storia d’Israele sia diversa da quelle di popoli semitici coevi, mentre, parrebbe di notare, che, se ad Israele è avvenuto quel che altrove non è avvenuto, evidentemente ve n’erano le basi, per meno potenziali e nascoste, basi assenti altrove.
Anzi Liverani, nella seconda parte, afferma chiaramente che, quella posteriore – cioè post esilicanon è solo (o meramente) una “rilettura” del passato, ma quasi una invenzione dello stesso passato. Direi che va troppo oltre, pur essendo la sostanza senza dubbio giustissima. Si è trattato non di mera “rilettura”, ma di vero e proprio cambiamento; tuttavia, non si è trattato di “invenzione” tout court, poiché vi erano delle basi precedenti, le quali basi, comunque, non era affatto detto potessero dare quell’esito che sappiamo, o soltanto l’esito che conosciamo: la storia biblica cioè.
Qualcosa è intervenuto nel frattempo. E qui, a mio avviso, vi è l’elemento più interessante di Liverani, nell’Intermezzo ricordato qui sopra, il cui titolo è tripartito: “L’età assiale”, titolo molto significativo; poi viene: “La diaspora” ed infine: “Il paesaggio desolato”.
Vorrei attirare sul primo titolo dell’Intermezzo: “L’età assiale”, perché, a mio avviso, costituisce la “chiave di volta” di ciò che è “intervenuto”, trasformando la storia, tutto sommato locale, del mondo ebraico, in qualcos’altro, in qualcosa di più e di oltre. E possiamo affermarlo senza problemi, perché l’epoca assiale, termine coniato da Jaspers nel 1949 – e che andò dal 800 al 200 a.C.1 -, ha influito profondamente su tutti i “cosmi religiosi” della erra, al punto di esser la “chiave di volta” delle basi del pensiero religioso ovunque sulla Terra, fatte eccezioni pochissime sperdute aeree, particolarmente lontane dai flussi basici di civiltà.
Ebbene, vorrei attirare l’attenzione su di un punto: qual è il senso basilare dell’epoca assiale. Il senso di base dell’epoca assiale è mettere al centro la responsabilità individuale rispetto a quella sociale o generale, che dominava prima. Per esempio, la teologia “assiale”, nella Bibbia, è quella di Ezechiele. Che cosa fa Ezechiele? Insiste sul fatto che la responsabilità degli atti è del singolo, non è una sorta di “miasma” che impesta l’aria, concezione, quest’ultima, che tuttavia perdurò tantissimo, anche nell’antica Roma ed in Etruria, tant’è che solo il Cristianesimo, per lo meno in Occidente, essa fu superata. In Cina, per esempio, vi fu Confucio, il quale insisté sulla possibilità del singolo di migliorarsi, divenendo “gentiluomo”, al di là dei legami rituali o meramente sociali.
Si trattava, in ogni caso, di fuoriuscire dai concetti di colpa e meriti generali, non individuali che, come “miasmi”, colpivano e “passavano” senza tener conto dei diversi individui e dei loro ruoli diversi, rispetto a quel merito, a quella colpa.
Nessun dubbio che tale “rivoluzione culturale” abbia fatto un gran bene all’umanità. Ma oggi noi dobbiamo chiederci: è tale mentalità ormai sufficiente?
Se osserviamo, infatti, tutti i problemi che, qual pietra al collo, portano giù l’umanità intera, noteremo immediatamente che la loro natura è sovraindividuale. E che non si possono risolvere nell’ambito di una mentalità focalizzata sulla colpa e sul merito dei singoli, essendo, invece, sia le colpe che i meriti ormai meriti e colpe di gruppi; e sono questo tipo di cose quelle che portano l’umanità al disastro. Non a caso, dunque, le religioni attuali non riescono a fornire una soluzione, rispetto a problemi la cui sostanza è sovraindividuale. Vi son tendenze che potremmo chiamare di “allargamento” di concetti già noti, per far sì che “comprendano” anche questo genere di problemi, per esempio: la “salvaguardia del creato”, ma son sempre allargamenti del noto, e non emersioni di altro.
Stiamo dunque parlando di uno “strato” molto profondo, precedente alle differenziazioni religiose e culturali. Sarebbe interessante focalizzare l’attenzione su tali questioni. 


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1 Cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_assiale.

martedì 25 marzo 2014

Il concetto basilare dell’ “Imperium” medioevale

Il concetto basilare dell’ “Imperium” medioevale



Come ho detto qui [http://associazione-federicoii.blogspot.it/2014/03/nazionalismo-etnicistico-e.html] e qui [http://associazione-federicoii.blogspot.it/2014/03/europa-dallatlantico-agli-urali-il.html], non si può passare dallo stato nazionale a quello sovra-nazionale, salvo in senso economico soltanto. E quando sia solo economico, non può essere altro se non dissolvente. Piaccia o non.

La qual cosa implica che si abbia un “modello”, che non può essere lo stato nazionale nato nel XIX secolo. Vero è che il XXI secolo appare sempre di più un ritorno al XIX piuttosto che un superamento del XX: sostanzialmente, le lezioni del XX secolo non sono state capite, né apprese. Temo vadano ripetute, in forma diversa, ovviamente, in forma da XXI secolo, ma con la stessa sostanza e lo stesso significato.

Il “modello” non può essere che l’ “Imperium” medioevale, più che quello romano, per la semplice ragione che era in grado di far coesistere organizzazioni politiche differenti e, cosa ancor più importante, non era una mera organizzazione politica, ma era un’idea: aveva, cioè, qualcosa di più.

venerdì 21 marzo 2014

“Europa dall’Atlantico agli Urali”, il sogno di De Gaulle impossibile con una Germania unita ed una Russia potente

“Europa dall’Atlantico agli Urali”, il sogno di 


De Gaulle impossibile con una Germania unita


ed una Russia potente



I sognatori impenitenti, che si risvegliano “a giorni alterni”, stanno sostenendo che ciò che la Russia sta facendo, il revanscismo para-zarista e lo storico espansionismo, mai davvero terminato, sia il nucleo per poter poi giungere all’idea, di De Gaulle, dell’ “Europa dall’Atlantico agli Urali”, poiché il principale nemico di questa “Europa dall’Atlantico agli Urali” sarebbero gli Usa, cosa vera ma si dimenticano due questioncelle: son solo gli Usa (e Gedda) il “nemico” di tale idea? 

E: l’attuale stato delle cose sarebbe quello giusto per raggiungere tale obiettivo? In altri termini: tale obiettivo - l’“Europa dall’Atlantico agli Urali” - si può raggiungere con l’Europa così com’è ora? 

O richiede una ripensamento radicale, profondono? Ricordiamoci che le cose stanno esattamente all’opposto, l’Europa dall’Atlantico agli Urali, secondo De Gaulle, doveva basarsi sulla lotta sia contro l’imperialismo americano e sia contro “i nostalgici di Mosca”, come li chiamava: De Gaulle già nei Sessanta e Settanta si rendeva conto di dove la Russia stava andando. 

I primi germi di “eurasismo” sono prima di Brezhnev, ma nell’epoca Brezhnev, anni Settanta, l’eurasismo prende forma. Solo che, per poi poter effettivamente avere spazio, l’“eurasismo” doveva distruggere il bolscevismo, mantenendo delle parti, che gli sono necessarie; ed ecco il nazional-bolscevismo di Zhirinovskij, di cui quello di Putin è una forma più moderata e “presentabile”1 nelle ottuse, stolte capitali europee impestate da torme di bottegai privi di qualsiasi forma di visione, la cui ossessione son solo i conti a posto e nulla di più, nulla di oltre. 

 
1 Cfr. http://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2014/03/05/il-libretto-nero-il-caffe-30-dicembre-2003-anno-vi-n-48-274/.

martedì 18 marzo 2014

“NAZIONALISMO ETNICISTICO E GLOBALIZZAZIONE”

“NAZIONALISMO ETNICISTICO E GLOBALIZZAZIONE”





Il nazionalismo “etnicistico”, à la russe, eurasista, non è un’alternativa alla globalizzazione, anzi le due cose vanno di pari passo. 

E l’amicizia fra Putin e Berlusconi è un segno chiaro, come a dire che il dominio più che ventennale delle forze dellaglobalizzazionein Occidente, e poi nel mondo, e il risorto nazionalismo nelle sue più camaleontiche becere forme non sono affatto contrari, come invece potrebbe apparire agli osservatori superficiali. 

Né si dica della Germania, ché se solo Berlusconi avesse fatto qualche cambiamento nel Secondo Ventennio, alla Germania non sarebbe stato consentito di agire come cavallo di Troia, cavallo di Troia che la Germania è stata per l’intera Europa, Europa che ha indebolito da dentro e dall’interno, e dunque ha svolto questo suo ruolo non solo per l’Italia o la Grecia. 

Il che non significa per nulla che “la Russia” ed il suo risorto revanscismo nazionalistico – da me individuato già ben 11 anni fa1 – sia “nel giusto”, come troppi oggi, scopertisi improvvisamente “legalisti”, amano pensare. 
 
Questo mondo si è retto sull’Occidente globalista mente i “Bric” (à brac) si nazionalizzavano e, con l’aiuto delle forze religiose, prendevano la via del nazionalismo “etnicistico”, “trono ed altare” in salsa diversa, un po’ “à l’iranienne” ma molto meno violentemente: negli anni Settanta la situazione non era ancora matura per un pieno “ritorno al passato”, una “restaurazione” come si dice in politica, solo che il vero “Ritorno” è ben altra cosa: ma si deve aver vista lunga per capirlo, e star poco appresso alle tonnellate di parole che svolazzano, tanto più imperiose quanto più impotenti, per il mondo del “segui la tua passioncella”. 

Insomma, in due parole: senza la globalizzazione il nazionalismo etnicista non sarebbe apparso come una soluzione all’evidente dissoluzione cui ha portato la globalizzazione stessa.   Se, peraltro, la Russia crollasse o ricattasse economicamente, se lo scopo fosse quello, Obama intereverrebbe bloccando le Borse - e si passerebbe alla parità aurea - è un piano già scritto2
 
Allora il “Che fare” (Cto deljat’) rimane importante, ma passa per un “mythos”. 
Il “mythos3 non può essere altro che quello che sa porre insieme delle differenze4. Quindi non si passa dallo stato-nazione in crisi a strutture sovranazionali tranne che di tipo economico. Il nodo è oggi che pienamente internazionali sono le grandi concentrazioni finanziarie

Esse, di fatto, sono le sole internazionali oggi, dunque godono di un vantaggio strategico fondamentale, e, per quanto il loro dominio sia necessariamente dissolvente, il vantaggio non per questo sparisce, perché si manifesta sul campo, non nelle belle teorie. Non nei desideri. 

Da un lato un sol gruppo è internazionalista ed internazionalizzato, e dall’altro tanti - per non dir tutti - sono chiusi nei loro interessi e tentano di affermarsi nel sordo, glaciale mercato globale. 
 
Questo è il meccanismo di pensiero, che quindi fa inevitabilmente apparire le varie forme di nazionalismo - che non possono che essere in conflitto poiché portatrici d’interessi contrari - come una apparente soluzione alla dissoluzione in atto, dissoluzione nata dal fatto che un sol gruppo è internazionalizzato pienamente e dunque non trova nessun argine alla sua azione

Quel che quindi accade è che l’unico gruppo che è davvero internazionalista, con il “divide et impera”, pone i vari nazionalismi in conflitto, ben sapendo che nessuno di essi ha la visione sistemica
 
Partiamo, invece, dalle “regioni storiche”, non le costruzioni fasulle come la “Padania”, che non esiste, esiste la regione storica dell’Italia del Nord, questo sì, ma non la “Padania”. Dalle regioni storiche allo stato sovranazionale, le regioni storiche sono inserite in vere Federazioni, che possono essere le eredi degli ex-stati nazionali. Ma non si passa dallo stato nazionale a quello sovra-nazionale, salvo in economia; si passa invece dalle regioni storiche allo stato sovra-nazionale. 

Quel che tutti i cosiddetti “autonomisti” non han capito – non possono a causa delle basi del loro “pensiero”, ammesso che ve ne sia – è che una regione storica può trovare il suo posto solo e soltanto in un organismo sovranazionale. Com’era nel Medioevo.

Non esiste il passaggio nazione sovra-nazione, esiste solo il passaggio, dissolvente e discensivo, dalla nazione alle grosse organizzazioni economiche sovranazionali senza volto, ovvero la globalizzazione. Poi questo va applicato al mondo intero
 
In tal modo, nazioni troppo grosse come Russia, Usa, Cina, India, Iran, Germania in Europa, saran divise secondo le loro regioni storiche costitutive, in un ambito realmente federativo manterranno lo stato nazionale, ma saranno le regioni storiche che eleggeranno i Parlamenti o altre forme che costituiranno lo stato sovra-nazionale

In tal modo, si superano divisioni etnico-religiose, come quella che impedisce ad India e Pakistan di unirsi perché lì la vera questione è religiosa. 

Chiaro che il Medio Oriente si dovrà interamente ristrutturare e la Russia dovrà in qualche modo cambiare, infatti mantiene lo status quo assieme agli Usa. 

Cioè per fare una cosa, ne devi fare un’altra prima, ed anche per fare la prima – quella che dà inizio alla serie di eventi – ne devi porre in moto altri. La cosa è dunque complessa. 
 
Per concludere: nell’epoca della globalizzazione la società ha seguito le sue passioni e si è disfatta. Le forze stesse che hanno guidato la globalizzazione hanno distrutto il legame sociale in Occidente e sono le stesse che stimolano il nazionalismo come falsa risposta

Non vi è una globalizzazione utopica, c’è solo la globalizzazione reale.  

Essere contro il nazionalismo imperante implica dover liberarsi dei gruppi di potere che han gestito e generato la globalizzazione. Tra le due cose ci è contiguità diretta. 

 Il legame sociale è stato distrutto in Occidente più che altrove, con la complicità delle masse5, il cui ruolo usurpato è stato portato avanti da quelle stesse forze che hanno distrutto dall’interno l’Occidente, divenuto indecente, per mezzo della globalizzazione, classica “vittoria di Pirro”, la quale ha aperto le Porte del cosiddetto vincitore. 




NOTE
 
1 Cfr. http://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2014/03/05/il-libretto-nero-il-caffe-30-dicembre-2003-anno-vi-n-48-274/. Putin ha assicurato all’Occidente una Monaco 1938, ma non per un paese islamico (anche se, in effetti, questo è già successo), ma per uno slavo. Chi mai farebbe guerra per l’Ucraina? Soprattutto quando ci sono interessi economici giganteschi? Eppure, a “naso” le cose andranno diversamente da ciò che tutti gli attori e “decisori” in campo credono e pensano. 
 
2 Lo si legge, come mera “ipotesi” (ma non è detto non sia un “insider” che lasci trapelare le cose, il che accade più spesso di quel che non si pensi), in L. Ciarrocca, I padroni del mondo. Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei governi e delle popolazioni, Chiare Lettere edizioni, Milano 2013. Naturalmente l’autore citato non manca di lasciarsi andare a tutto l’armamentario d’ipotesi e di proteste cui ci si dà oggi, tutte cose nate da un punto di vista errato, che pretende di “criticare” e pure di far parte dello stesso sistema. Il che non toglie che la “dritta” sia interessante. 
 
3 Crf. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2014/03/la-sinistra-divina-baudrillard-ed-il.html. 
 
4 Una “traccia” - da non interpretarsi letteralmente, ma solo un modello – è quello dell’ Imperium medioevale, che sapeva porre insieme forme politiche molto differenti ed autonomie, tenute insieme da un’idea non da una struttura politico-statale. Direi “Kaisertum ohne Kaiser”, Imperium sine Imperatore, Empire without Emperor, Empire sans Empéreur, Impero senza imperatore, così si va contro anche la “destra rattrappita” ed il suo vieto risibile anti-mito del “capo”, in Italia sempre un individuo mediocrissimo, che “gode” di quella bassa sottomissione servile, tipicamente italiana peraltro. Rimane sempre decisivo questo: se si è in grado di rispondere alla domanda contenuta nell’intervista di Marco Capuzzo Dolcetta qui, http://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2013/09/11/breviario-di-metapolitica-con-un-prologo-su-federico-ii-di-svevia/, dopo il Prologo su Federico II di Svevia, di conseguenza – di conseguenza – si può pensare ad una “posizione” cosiddetta “politica” e non polli-ti-ca, si può essere politici senza esser polli. In ogni caso contrario, si prende posizione su di una tavolozza già costruita, e costruita “ad arte” per preservare “certe” forze ed il loro “globale” dominio. Spiace dirlo ma così è, e a nulla valgono gli stimoli “all’impegno”, che ci sono perché i “manipolatori della mente collettiva” ben sanno che sempre di più han “mangiato la foglia”, come suol dirsi, e cioè, nel subconscio, noi non siamo convinti, nessuno è davvero convinto. I conti non tornano, troppo manipolato è il gioco. E quindi la tendenza è, in assenza di soluzioni proposte, il chiudersi in se stessi. Ed allora tutta ‘sta manfrina della partecipazione laddove non c’è posta in gioco. Ed ecco il social network, “grossa” grassa invenzione perché vi fosse un simulacro di partecipazione. Una interessante riflessione su questi temi è in questo link: http://www.scribd.com/doc/171819787/Tre-Sfumature-di-Blu-Trafalgar-Square.

5 Cfr. http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/01/enrico-fortuna-leta-delle-masse.html. Si vedano anche molte cose scritte, anche sulla Germania, da Fortunia stesso (si tratta di E. Fortunia, non di Fortuna, è un refuso dunque nel link appena riportato): ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. Fortunia, infatti, ci parla della “lotta spirituale” che sta dietro le lotte di “questo mondo”, ma la cosa implica tutta una visione che non si può né dire né dare in due parole. Al contrario, qui chi scrive si pone su di un piano squisitamente pratico
 




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lunedì 17 marzo 2014

LA “SINISTRA DIVINA” (BAUDRILLARD) ED IL “MITO”

LA “SINISTRA DIVINA” (BAUDRILLARD) ED IL “MITO”

In relazione all’articolo di A. de Benoist, dove quest’ultimo scrive una recensione sull’ultimo libro di Michéa1, ricordo che Michéa ha citato un vecchio libro: J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli, Milano 1986, edizione orig. Francia 1985. Ma è incredibile come rimanga viva ancor oggi la carica polemica di tale agile pamphlet, arte nella quale i francesi eccellono, e Baudrillard in particolare era un maestro2. Quel che, a me, “personalmente”, mi lascia esterrefatto è che son passati (all’anno prossimo) ormai trent’anni, dico trenta lunghi anni, e pare “come se” questo libro non fosse mai stato scritto. Questi lunghi trent’anni caratterizzati dall’“indignazione a giorni alterni”, come qualcuno ha efficacemente scritto, ma sempre per ragioni polemiche ed immediate, come quasi tutto oggi: e sulle polemiche a me interessa non zero, ma sottozero d’entrarci. Dopo che hai vinto in una polemica, cos’è cambiato? Se non è cambiato nulla, se la situazione rimane statica, la polemica è stata inutile. Questo libro è molto utile anche per i tanti “protestatori” dell’ultima ora che, scusatemi, a me ricordano, tantissimo, la “rivolta senza scopo” di cui parlò, in illo tempore, lo stesso Evola.
Ed allora esaminiamo, in breve, questo pamphlet. Vi è una “vis polemica” in senso buono, non le “incazzature” à l’italienne, veri “attacchi d’orso” ciechi e distruttivi, ma la precisa enucleazione, con linguaggio rapido ma sapido, dei punti deboli della sinistra che si pretende “divina” ed entrata nel “Gotha” del “sistema”: e già allora, quasi trent’anni fa! Ma ci rendiamo conto! E poi c’è il passo, detto en passant, che spiega l’“arcano” della vicenda, il perenne fallimento della “sinistra” che, come Poulidor, sta sempre lì lì per vincere, e poi, sotto al traguardo, perde sempre. La sinistra, sostiene Baudrillard, vuole liberarsi nei termini dei valori della borghesia, e dunque inevitabilmente fallisce, per una sua ragione intrinseca. La borghesia sì, al contrario, continua Baudrillard, instaura una cesura sul piano dei valori, quando ha sostituito i valori della casta e della nascita con quelli dello sviluppo e della produzione. Ed allora perché la sinistra ha oggettivamente avuto una sua fase di successo, seguita dal nulla in cui versa da più d’un decennio? Perché la sinistra opponeva al mito dello sviluppo – sì, quello cui oggi tutti rendon omaggio, pur essendo febbraio, lo sviluppo che tutti vogliono “rimettere in moto” ma che il “sistema” stesso ha annullato, ed oggi non è altro se non un simulacro di sviluppo -, la sinistra opponeva, si diceva, al mito dello sviluppo senza fine il mito della fine: ed era la “rivoluzione”, fatto mitico, non storico.
Qui Baudrillard centrò, senza rendersene conto davvero, e portato soltanto dalla sua notevole, ma sapida ed intelligente, “vis polemica”, il nocciolo della situazione, l’essenza del problema. Senza un “mito non si va da nessuna parte! A ben poco portano le “incazzature”, in nulla si risolvono le critiche della situazione attuale se basate solo su fattori politici ed economici3. No, senza un mito fondante non si va da nessuna parte. E noi viviamo di ed in tali “miti fondanti”, taluni molto aggressivi e per nulla miti. Quello della razionalità tecnico-scientifica, che domina il mondo, è anch’esso un mito. Attenzione: non sto proponendo di abbandonare la razionalità, ma equiparare ogni forma di razionalità a quella tecno-scientifica dominante è un mito, una narrazione fondante. Non è una verità storica. Ma la storia, da sola, non spiega se stessa. La storia implica e necessita di una meta-storia che dia senso ad essa. Né voglio pensare che il mito possa essere la realtà tout court, infatti Jünger sottolineava che il mitico può essere solo come una eruzione temporanea nella struttura del reticolo storico e, per di più, nella forma del “puer aeternus”, piuttosto che in quella dei “padri fondatori”. Accetto, concordo e sottoscrivo: solo una espressione temporanea del mitico e in quelle forme da lui dette (il “puer aeternus”, cioè) può impedire di ricadere nelle aberrazioni del “ritorno pieno e completo al mitico” che il nazionalsocialismo, più di altri, tentò, fallendo4. E tuttavia questa giusta osservazione di Jünger ed il fatto che un ritorno pieno al mitico sarebbe oggi senza dubbio regressivo, non toglie il fatto che noi abbiam bisogno della dimensione mitica per poter operare una opposizione con un senso. Dunque ristretta tale dimensione, indirizzata verso solo certi suoi aspetti, però assolutamente necessaria. Il nostro tempo, schiavizzato dal mito della razionalità tecno-scientifica, è al tempo stesso il tempo delle fughe nell’irrazionale più becero: fra i due fenomeni vi è correlazione diretta. Non è assolutamente un caso che le due cose coesistano.
Oggi sia il mito della “rivoluzione” sia quello della “razza” sono sviliti, chimerico richiamarcisi, nonostante le poche forze che resistono alla “Grande Mutazione” sistemica in atto si richiamino a tali ferrivecchi. Ma di un mito abbiam bisogno. Quale? Taluno ha proposto l’“euroasismo” à la Dugin, che ricordo leggevo una ventina d’anni fa: lo trovo ancora troppo moderno. Non si esce con forme moderna dalla “fine del mondo moderno”5, così come la febbre a trentanove non è una cura della febbre a quaranta ma solo una sua forma più blanda. Solo un mito che tragga le sue origini da qualcosa di non moderno ha oggi una possibilità di realmente incidere sulla e nella situazione. Per “realmente incidere” non intendo strillare o esprimersi o parlare: questo ne abbiamo a iosa, ma nulla cambia nella sostanza. E davvero questa emulsione di parole impotenti è silenzio: non porta che al nulla in cui già viviamo e siamo.
A la recherche du mythe perdu.

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NOTE

1Sul blog idee/inoltre: http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/01/alain-de-benoist-michea-basta-con-la.html. 
 
2Ricordo, sempre di Baudrillard, Dimenticare Foucault e All’ombra delle maggioranze silenziose
 
3Peraltro direi che sono venti o trent’anni di “critiche” che in nulla hanno scalfito il consenso verso un sistema che, come il Saturno del mito (mo’ ce vo’), ormai divora i suoi sottoposti (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Saturno_che_divora_i_suoi_figli). 
 
4Su ciò cfr. http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/02/roberto-franco-giorgio-galli-e-il.html. Si tratta di quel genere di cose che i nostri cari amici della “destra rattrappita”, degni compari della “sinistra auto-divinizzatasi” ed entrata nel “Gotha” delle anti-élite al governo del mondo, trovano così difficile ed indigesto da ammettere, forse perché mette in questione certe loro convinzioni. Ma mettere in questione delle convinzioni che, alla prova dei fatti, hanno fallito è la cosa più sana del mondo. Purtroppo viviamo il tempo delle parole che, quali nere arpie svolazzanti, strombazzano ed attraversano il mondo come delle armi e cioè senza quasi più nessun legame con il significato delle parole stesse. E dunque i simulacri della “destra storica” oggi sono usati per sostenere l’esatto contrario di ciò che quelle parole dovrebbero significare e chi, come Haider, ha tentato una qualche attualizzazione di certe tematiche fuori dalle solite retoriche è stato fatto fuori, per lo meno politicamente (qualcuno anche fisicamente, si dice). Ci si è scordati che le parole devono il loro valore al loro senso. Non devono il loro valore all’essere usate strumentalmente, ma noi viviamo in un mondo di simulacri e del “falso radicale”. 
 
5Cfr. http://ideeinoltre.blogspot.it/2014/01/andrea-ianniello-la-fine-del-mondo.html.