lunedì 14 marzo 2022

Ho già una volta condiviso questa frase, ma … “REPETITA JUVANT” …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono frasi del 1916: vi era in atto la Prima Guerra Mondiale.

«Ad una delle riunioni seguenti si parlò ancora una volta delle vie.

Per un uomo di cultura occidentale, io dicevo, è naturalmente difficile credere o accettare l’idea che un un fachiro ignorante, un monaco ingenuo o uno yogi separato dal mondo possano essere sulla via dell’evoluzione, mentre un europeo colto, armato della sua ‘scienza esatta’ e degli ultimi metodi d’investigazione, non ha alcuna possibilità e gira in un cerchio dal quale non può sperare d’uscire”.

Sì, e perché la gente crede nel progresso e nella cultura, disse G. Ma non vi è nessun progresso di nessun genere. Ogni cosa è esattamente com’era migliaia e decine di migliaia di anni fa. La forma esteriore cambia. L’essenza non cambia. L’uomo resta esattamente lo stesso. Le persone colte e civilizzate vivono con gli stessi interessi dei selvaggi più ignoranti. La civiltà moderna è basata sulla violenza, la schiavitù e le belle frasi; ma tutte le belle frasi sulla civiltà ed il progresso non sono che parole”.

Questo naturalmente produceva un’impressione particolarmente profonda su di noi, poiché veniva detto nel 1916, quando l’ultima dimostrazione della ‘civiltà’, una guerra quale il mondo non aveva mai visto, non faceva che crescere ed ampliarsi trascinando milioni di uomini nella sua orbita.

Mi ricordavo di aver visto, alcuni giorni prima, sulla Liteyny, enormi camion, carichi fino all’altezza di un primo piano di stampelle di legno nuove e neppure ancora verniciate. In quella montagna di stampelle per gambe che non erano ancora state falciate, vi era un’ironia particolarmente cinica su tutte le illusioni in cui la gente si culla. Mio malgrado, immaginavo che camion esattamente simili stavano attraversando Berlino, Parigi, Vienna, Londra, Roma e Costantinopoli. E adesso tutte queste città, che io conoscevo e che amavo, proprio perché erano così diverse e contrastanti, mi erano diventate ostili, come erano ormai ostili le une alle altre, separate da nuove muraglie di odio e di crimini.

Un giorno, in cui eravamo riuniti, parlai di questi camion carichi di stampelle e dei pensieri che erano sorti in me.

Ma che volete, disse G. Gli uomini sono macchine. Le macchine sono obbligatoriamente cieche, incoscienti, non possono essere altrimenti, e tutte le loro azioni devono corrispondere alla loro natura. Tutto accade. Nessuno fa nulla. Progresso e civiltà, nel senso reale di queste parole, possono apparire soltanto al termine di sforzi coscienti. Non possono apparire come risultato di azioni incoscienti e meccaniche. Quali sforzi coscienti potrebbe fare una macchina? E se una macchina è incosciente, cento macchine lo sono pure, e mille e diecimila e milioni di macchine. Ora, l’attività incosciente di milioni di macchine deve necessariamente concludersi in sterminio e rovina. È precisamente nelle manifestazioni incoscienti e involontarie che sta tutto il male. Voi non capite ancora e non potete immaginare tutte le conseguenze di questo flagello [e lo è davvero]. Ma verrà il giorno in cui comprenderete», P. D. OUSPENSKY, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976, pp. 60-61, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Come ho detto, ho già condiviso questi passi, forse, poi, saranno stati cancellati. Credo però che nessun momento sia più di questo adatto a condividerli di nuovo. Giusto? Mah!

Soprattutto l’episodio del “tradimento dei chierici”, che avvenne durante la Prima Guerra Mondiale – e da me ricordato citando un passo di chi l’aveva detto, in un vecchio post [*] – viene incredibilmente a proposito. Si vede, allora, il cumulo d’illusioni, si vede se la “cultura” è in grado davvero di “fare” qualcosa o sono solo parole. “La civiltà moderna è basata sulla violenza, la schiavitù e le belle frasi; ma tutte le belle frasi sulla civiltà ed il progresso non sono che parole” (Gurdjieff, che di disastri, guerre, rivoluzioni, ne sapeva giusto “qualcosina” …), verissimo.

 

Poi comunque venne il tempo in cui Ouspensky capì, cf. ivi, pp. 294-296. Vide che il mondo è del tutto addormentato, che “laggente” vive nelle sue proiezioni, nei suoi sogni.

Il “risveglio” è sempre “duro” ma non serve a niente, si ritorna – bellamente, saporitamente – al sonno … Avevo scritto, in un commento passato: è inutile che ci siano altri disastri – e intendevo quelli **naturali** – visto che, tanto, mica si svegliano; temo non sia così e che il non svegliarsi non arresti il flusso dei disastri (naturali)

 

In ogni caso, benigno (si spera …) lettor, se – per caso – ti fosse capitato di aver già letto codesto passo, l’avrai letto in tutt’altra temperie mentale rispetto ad oggi. Ed or lo rileggi. Il passo è lo stesso. Chi è cambiato? tu. Questo voleva dire Gurdjieff con “comprensione”, che le cose non cambiano, sei tu che cambi e le vedi, forse per la prima volta, per ciò che sono, per ciò che sono davvero, per ciò che sono sempre state, per ciò che sempre saranno, ma eri tu (“io”, tutti) che avevi il velo sugli occhi: questo si chiama “tornare a se stessi”, questo si chiama “risvegliarsi a se stessi”, “un giorno … mi risvegliai a me stesso …”. In tal caso, devi riguardar quel giorno come se fosse il primo vagito d’un neonato. Forse per qualcuno è venuto il tempo in cui “comprenda”, comprenda davvero, non l’assenso esteriore che lascia il tempo che trova, che sarà cancellato da un altro assenso, da un altro dissenso: assenso e dissenso, se inconsapevoli, non han senso …

In ogni caso, il “vedere” quanto siano “addormentati”, il mondo e l’umanità, può esser shockante, oggettivamente. Questo è quel genere di consapevolezza che, se fatto col “fai da te” (“Do It Yourself”), porta inevitabilmente chi sia troppo sensibile verso qualche forma, se non d’impazzimento, di “esaurimento nervoso”, come suol dirsi. Quindi, per fortuna che, per il lettore medio – la stragrande maggioranza –, questa è, rimane, rimarrà – e deve restare –, un’idea solo “teorica” … Non lo fu più, però, per  Ouspensky …

 

 

 

Per NON CONCLUDERE.

Le illusioni nelle quali la gente usa cullarsi si sostengono solo quando la madia è piena, quando le cose – pur minate sempre, nel profondo – mediamente vanno abbastanza bene, quando gli affari, bene o male, “funzionano”, ma, non appena il flusso cominci ad interrompersi, non appena il meccanismo così labile s’inceppa, per una ragione qualsiasi, il vecchio volto riviene fuori: non è mai passato.

La civiltà è una patina molto sottile.

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 [*]

Cf.

https://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2017/07/09/sulla-prima-guerra-mondiale-rivisto/,

pp. 17-18.

 

 

 

 

 

 

3 commenti:

  1. Dunque il vecchio post - nel quale si è citato questo passo qui sopra - è stato cancellato, era cf.
    https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/ma-tutte-le-belle-frasi.html

    Se a qualcuno fosse capitato di leggerlo, può allora esprire quanto detto qui su. E “misurare” la “comprensione”, come questa dipenda da “chi” si è, dalla crescita della cosapevolezza cioè.







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    1. Cf.
      https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2021/03/scritti-nel-m-1.pdf
      Alle pp. 43-44 vi sono le stesse frasi del post:
      https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/03/ma-tutte-le-belle-frasi.html

      Alle pp. 196-197, in nota finale (la xvii[ii]), vi è “l’apologo del mago e del gregge” di Gurdjieff.
      A p. 196, nota finale (la xvi[i]), vi è il passo di Satprem, del **1986**, sul petrolio: ed oggi leggerselo è interessante . . .




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  2. Come detto “in tempi non sospetti”, questo sistema è sbilenco, debole, l’ “ultimo impero della storia”, ferro misto ad argilla (il che ci porta all’illusione che la sola iper tecnica digitale porti alla “fine”, non è così, fa implodere le società, che oggi puoi “mettere in riga” solo e soltanto per mezzo delle emergenze a ripetizione, dunque acuisce il processo d’ “implosione sociale”, ma non è che provochi, di per sé, la fine: “ergo” – come si è detto e ridetto – ci vuol “altro”). Ma le cose procederanno lo stesso, acuendo il processo implosivo sociale, nondimeno del tutto insufficiente. Finché, nella temperie attuale, che rivede il – **sempre** presente, **MAI** passato – volto ferino dell’ “homo homini lupus”, RIPRESENTARSI quasi dicendo: “vi credevate non c’ero?”, la “domanda” di “pace”, quindi anche di CONDIVISIONE, si presenterà sempre più pressante.

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