Di “genealogia” del
capitalismo si è detto in un vecchio post[[1]], tra
l’altro citando proprio Wallerstein.
Ma proseguiamo il
discorsetto.
Non
è vero
che il “razzismo” non si sia già visto,
e in tempi molto recenti: all’interno
della crisi degli anni Novanta –
con l’ascesa delle “nuove destre” (1994)
– si vide già[[2]]:
invece quel che oggi sta succedendo è che tali “nuove” destre (vecchissime, in realtà) vincono, e cioè hanno il consensus. Ecco il punto. Il 1994 svolse il ruolo di “anno pivotale”,
ma – ed ecco al differenza – quel che chiesero in quegli anni, lo stanno oggi
ottenendo.
Quanto al nazionalismo
– da non confondersi con i “fascismi”, senz’alcun dubbio ricollegabili direttamente
ai “nazionalismi”, ma non completamente identificabili con questi ultimi – esso ha svolto un ruolo molto importante nel sistema
capitalistico: “Il «nazionalismo» […] ha implicato direttamente, e con una certa frequenza,
il razzismo. Ma, ovviamente, nel
divenire storico, ad appropriarsi dell’ideologia del nazionalismo son stati i
movimenti antisistemici nella loro
lotta contro il razzismo – quelli che chiamiamo «movimenti di liberazione
nazionale». Nondimeno, nel complesso e
nel corso del tempo, il nazionalismo – quale
principale legittimazione del sistema-mondo – ha costituito una forza che ha contribuito a stabilizzare
il sistema-mondo moderno più di quanto non lo abbia destabilizzato”[[3]].
In altre parole:
“razzismo” e nazionalismo sono parte basilare del sistema capitalistico, e non
li si può eliminare, per quanto vi sia stato il “riformismo incrementale”
(Wallerstein [[4]])
che ha sempre teso ad “ammorbidire”, ad “oliare” la durezza del meccanismo fondante
del sistema capitalistico: lo scambio
diseguale. Quest’ultimo fa parte del nucleo fondamentale del sistema
capitalistico e, inoltre, il “riformismo incrementale” non ha mai intaccato questo nucleo fondante: non poteva, non può né mai
potrà. Era solo il “lubrificante” del sistema.
Cercare di far capire
certe cose, il motivo di tali puntualizzazioni, non sta certo nel tentare di “convincere”
chicche e sia – per usare un
“totoismo” – quanto, piuttosto, quello di segnalare, di avvertire; dire,
insomma: non si poteva non sapere, perché si poteva sapere, da parte di chiunque avesse avuto un minimo di buona
volontà e di apertura mentale, un “mini minimo” di volontà di metter da parte i
pregiudizi, con i quali s’identifica, per affrontare infine i problemi.
In altre parole: per
prender, finalmente!, “il toro per le corna”[[5]] … o il
topo … per i baffi!
Ma veniamo al punto: la
“genealogia” del sistema capitalistico, secondo Wallerstein.
“Abbiam dedicato molto
tempo a delineare il modo in cui il capitalismo storico ha operato in ambito
strettamente economico. Siamo ora in grado di spiegare perché il capitalismo è
emerso come sistema storico-sociale. Non si tratta, a differenza di quanto si
ritiene solitamente, di una questione
di facile soluzione. Innanzitutto, lungi
dall’essere un sistema ‘naturale’, come ceri apologeti hanno cercato di sostenere, il capitalismo storico [quello reale, quello dimostrabile, quello effettivo, non quello dei testi
e dei discorsi degli “apologeti del capitalismo”] è un sistema manifestamente assurdo. Si accumula capitale per accumulare ancor più capitale [ed è precisamente così, ne abbiam parlato
altrove[[6]], la
base del System è: A>B>A … ad
libitum, non c’è fine, in
teorie, per questa catena, che, tuttavia, sempre s’interrompe, con la “crisi di
liquidità” che è il perenne, perennemente ricorrente “plot” sistemico[[7]]]. I
capitalisti sono come dei topolini su
una ruota dentata, che corrono sempre più veloce per correre ancora di più. In
questo processo, senza dubbio, alcuni
vivono bene, ma altri vivono in condizioni misere;
e anche i più fortunati, quanto bene vivono davvero, e quanto a lungo?
[…] Non solo credo che
la grande maggioranza dei popoli del mondo sia oggettivamente e soggettivamente
in condizioni meno favorevoli, dal punto di vista materiale, rispetto ad altri sistemi storici [ed è così: le famose lacrime di coccodrillo
sull’1% che ha la maggior parte della ricchezza mondiale non sono che l’effetto
di premesse di base del sistema; piangere lacrime d’ipocrisia serve a sottozero:
“That’s capitalism, baby”], ma […]
penso si possa affermare che vi sia stato un peggioramento anche dal punto di
vista politico [e questo pochi lo notano e lo sottolineano].
Siamo tutto così imbevuti dell’ideologia
auto giustificatrice del progresso
creata da questo sistema storico, che
troviamo perfino difficile riconoscere gli enormi caratteri storici negativi del sistema
[oggi questo riconoscimento è ancor più
difficile che in altre epoche]. Persino
un accusatore così risoluto del capitalismo storico
come Karl Marx ha dato grande risalto
al suo ruolo storico progressivo. Io non
vi credo affatto, a meno che per ‘progressivo’
s’intenda semplicemente che è storicamente
successivo, e che le sue origini possano essere spiegate da qualcosa che lo ha preceduto [e questo è l’ unico senso in cui la parola “progresso” ha senso, cioè quello
etimologico]. Il bilancio del capitalismo storico
[…] è forse complesso, ma un primo calcolo
in termini di distribuzione materiale
dei beni e di allocazione delle energie è, a mio avviso, davvero assai negativo. Se le cose
stanno così [e così stanno davvero],
perché un sistema di questo genere è
sorto? Forse proprio per raggiungere
questo fine [esatto]. Che cosa
potrebbe essere più plausibile di una linea di ragionamento che sostiene che la
spiegazione dell’ origine di un sistema sia nel raggiungere un fine che in effetti è stato raggiunto [senza dubbio]?
So che la scienza moderna ci ha dissuasi dalla ricerca delle cause finali
e da ogni considerazione d’intenzionalità (in particolare perché esse sono così
intrinsecamente difficili da dimostrare empiricamente [questo è vero, ma è del tutto errato “dedurre”, da una
tale “difficoltà”, che tali cause “finali” non
esistano …]). Ma, come ben sappiamo, la
scienza moderna e il capitalismo storico sono stati stretti alleati; è lecito dunque sospettare della scienza [moderna]
appunto su questa questione: le modalità di conoscenza delle origini del
capitalismo moderno [molto giusto].
Mi sia dunque consentito semplicemente
di delineare una spiegazione storica delle origini del capitalismo storico,
senza però tentare di sviluppare qui la base empirica della mia argomentazione [quindi solo “delineare”].
Nel mondo del xiv e xv
secolo, l’Europa era sede di una divisione sociale del lavoro che, a confronto
con altre zone del mondo, era, in termini di forze produttive, di coesione del
proprio sistema storico e dello stato relativo della conoscenza umana, una zona intermedia – né avanzata come certe aree, né
primitiva come altre. Va ricordato
che Marco Polo, che proveniva da una
delle sub-regioni d’Europa culturalmente
ed economicamente più ‘avanzate’, rimase
sbalordito da ciò che incontrò nei
suoi viaggi in Asia.
Il contesto economico
dell’Europa feudale stava
attraversando una crisi radicale, le
cui origini erano endogene [erano dentro il suo sistema sociale, cioè],
che in questo periodo ne scuoteva le fondamenta sociali. Le sue classi dominanti si distruggevano a vicenda con grande
velocità, mentre il suo sistema agrario (la base
della sua struttura economica), si stava allentando,
con una considerevole riorganizzazione orientata
in direzione di una redistribuzione assai più egualitaria di quanto non fosse
stata fino allora la norma. Inoltre, i piccoli
coltivatori stavano dimostrando una grande efficienza come produttori [punto non secondario, questo]. Le strutture
politiche stavano diventando nel complesso più deboli e, concentrando la propria attenzione sulle lotte intestine tra chi era politicamente potente, finivano con l’aver poco tempo da dedicare a reprimere la crescente forza delle masse della
popolazione [consideriamo, tuttavia, come la durissima repressione della rivolta dei contadini, la “jacquerie”,
avesse un grosso successo nella Germania del XVI secolo, con l’appoggio di Martin Lutero: segno evidente di un
recuperato controllo]. Il cemento
ideologico del cattolicesimo era
sottoposto a forti tensioni, e
movimenti egualitari nascevano nel seno stesso della Chiesa. Le cose stavano davvero precipitando. Se
l’Europa avesse continuato sul sentiero che stava percorrendo, è difficile credere che i modelli dell’Europa feudale medievale,
con il suo sistema di ‘ordini’ fortemente strutturato, avrebbe potuto essere
riconsolidato [punto molto
importante questo]. Assai più probabile è che la struttura sociale dell’Europa
feudale si sarebbe sviluppata in direzione
di un sistema di piccoli produttori relativamente uguali, che avrebbe ulteriormente livellato le aristocrazie e
decentrato le strutture politiche [e
cioè il caso migliore per l’Impero del quale Federico II è stato rappresentante:
ben lungi dall’aver costituito il
precursore dello stato moderno, borghese, nazionalistico, l’Impero era latore di una “struttura di strutture” che, unica, poteva reggere al processo di
decentralizzazione, in un esito “para” cinese,
per così dire, mentre la crisi del modello “imperiale” ridava alle varie
aristocrazie – che Federico II sempre combatté!! – il loro ruolo; Post Scriptum: le combatté – le aristocrazie
– non in nome dello stato “moderno”,
ecco ciò che tanti non riescono (perché
non possono) a capire]. Se questo sarebbe stato un bene o un male,
e per chi, è una questione speculativa e di scarso interesse [non son d’accordo, per le ragioni appena dette nel commento precedente
questa questione non è irrilevante; condivido, però, che oggi essa sia solo e
soltanto “teorica”, questo sì]. Ma
è chiaro che una simile prospettiva deve aver spaventato gli strati superiori europei [nessun dubbio al riguardo]; deve averli spaventati e atterriti, in
particolare quando avvertirono che anche
la loro armatura ideologica si stava disintegrando [idem]. Senza giungere ad affermare che qualcuno abbia
consapevolmente formulato questo progetto [e se l’avesse sviluppato
inconsapevolmente?, o, meglio, semi consapevolmente?, in tal caso: sarebbe stato possibile …],
paragonando l’Europa del 1650 con l’Europa del 1450, possiamo osservare il verificarsi di alcune cose [queste cose qui,
però, sono verificabili …]. Nel 1650 le strutture di base del capitalismo storico [quello reale, non
i “modelli astratti” degli “economisti”], come sistema sociale realizzabile [di nuovo, realizzabile,
concreto non teorico od astratto], erano state fondate e consolidate [e qui sta la mia critica, molto radicale, ad ogni “destra” possibile, anche
“tradizionale”, anche Evola, che
vede, in sostanza, nella Rivoluzione francese e poi, peggio ancora, in quella
bolscevica il “male assoluto”, alla prima assegnando il ruolo di costruzione
della “deviazione moderna”: l’ha fatta esplodere, ma senza il capitalismo, la democrazia borghese non avrebbe mai conquistato l’intero globo: e il
capitalismo era già divenuto adulto prima della Rivoluzione francese; prima[[8]]]. La tendenza in direzione di una maggiore
eguaglianza delle ricompense era stata drasticamente
invertita. Gli strati superiori disponevano nuovamente di un saldo controllo
politico e ideologico [in mezzo c’è stata la Riforma, la Controriforma e la costruzione dello stato moderno: si
prenda nota; senza prender nota di queste
– fondamentali peraltro –
trasformazioni, ogni possibile discorso sulla genesi della modernità come, in
parallelo, qualsiasi discorso che si pretenda “critico” dello sviluppo che la
modernità ha, di fatto, imposto all’intero globo, si equivale a zero, a chiacchiere inutili, che, poi, per niente
stranamente, di “critico” non hanno
niente; anzi: chi, senza la comprensione di tali “anelli della storia”,
parli o creda di parlare “criticamente”, non potrà che mancare il bersaglio ed
essere usato dai “guardiani del sistema” per il raggiungimento di fini loro e
sui quali fini questi pretesi “critici” (fra i quali ci sono i cosiddetti “complottisti”)
non hanno proprio alcuna “voce in capitolo”, per la semplice ragione che nemmeno li possono vedere, per la
semplice ragione che neanche li concepiscono
lontanamente]. Vi era un livello di
continuità notevolmente elevato tra le famiglie che avevano costituito gli strati alti
nel 1450 e quelle che li costituivano nel 1650. Inoltre, se si sostituisce il 1900 al 1650, si scoprirebbe che la maggior parte dei confronti
con il 1450 restano validi [incredibile, non è vero …], anche se
nel xx secolo vi sono alcune tendenze significative in una diversa direzione [ed ecco le
rivoluzioni novecentesche, portate avanti da dei gruppi marxisti con idee sbagliate, “operaiste”, ma
che, in realtà, si sono risolte in gigantesche
“jacquerie”; in altre parole, esse sono state “rivolte delle campagne contro le
città”, questo sono state!!], segno, come vedremo, che il
sistema storico del capitalismo [storico eh, non iniziamo a parlare di
esso come “dovrebbe” essere, ch’è solo mera
ideologia giustificatoria: come c’è stato solo il socialismo “reale”, con i suoi
fallimentari “piani quinquennali”, c’è solo – e soltanto
– il capitalismo storico, quello che c’è, quello che fa funzionare le cose che
sto usando, quello che vedo quando esco, se compro un pezzo di pane o firmo un “prodotto
finanziario”, se viaggio o sto fermo: quello;
non ve n’è altri], dopo
quattro-cinquecento anni di splendore
[perché è stato anche questo, va
detto, e ciò senza uscirsene con sciocchezze “marxiane” sul “ruolo progressivo”
del capitalismo, che, al contrario, segna un’ enorme
regressione per l’ intera umanità,
e tuttavia, nessun dubbio che abbia raggiunto i suoi splendori, non come “il”
bene dell’ “umanità”, ma come sistema storico e solo tale], è infine entrato
in una crisi strutturale [crisi strutturale che, per Wallerstein,
comincia con lo shock petrolifero della prima metà degli anni Settanta del
secolo scorso, ma che ha provocato varie risposte interne al sistema stesso: attenzione a questo punto, preciso; sia detto solo en passant, il ritorno al “nazionalismo” contro le varie forme di “globalismo”, e
cioè quel che ha sostituito, di
fatto, la pseudo alternativa “destra” / “sinistra” – sostituito, sì, senza però abolirla –, perché di fatto
le “destre” han cavalcato il “neonazionalismo”, ed il “razzismo” (le destre più
“estremistiche”), molto meglio delle “sinistre”, legate al riformismo
incrementale” (Wallerstein) in irreversibile crisi].
Può darsi che nessuno
abbia formulato esplicitamente l’obiettivo, ma certo sembra esser accaduto che la
creazione del capitalismo storico come
sistema sociale abbia drammaticamente capovolto una tendenza che gli strati superiori temevano, e al suo posto ne abbia determinato un’altra che serviva ancor meglio i loro interessi.
E’ così assurdo? [No] Solo per coloro che en furono vittime
[che pure ci sono stati, e non pochi: essi sono
stati rimossi dalla storia]”[[9]].
Andrea A. Ianniello
[1] Cf.
[2] Cf. I. Wallerstein
– T. Hopkins, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2025,
Asterios Delithanassis Editore, 1997,
pp. 164-165.
[3] Ivi, p. 8, corsivi miei.
[4] Cf.
[5] Anche se, in
tempi di Urano in Toro, tal “toro”, le cui corna si dovrebbero “prendere”,
rischia di essere … un bufalo! … imbizzarrito! Ed è chiaro che un tale bufalo
non è molto “salutare” da “prendersi per le corna”, diciamo così. Cf.
[6] Cf.
[7] Cf.
[8] Soprattutto sul
ruolo delle “aristocrazie” nella “deviazione moderna” (Guénon, al quale la comprensione
di questo punto – nelle sue basi “tradizionali” – non era per niente lontano ed estraneo) Evola sbaglia gravemente. Vedono
assai più giustamente gli autori del libro: Mémoire
du sang … “Chi ha orecchie per intendere, intenda” …
[9] I. Wallerstein, Capitalismo storico e civiltà capitalistica, Asterios Editore,
Trieste 2000 (ben vent’anni fa, ormai),
pp. 36-38, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
Nessun commento:
Posta un commento