venerdì 14 febbraio 2020

Sulla “Genealogia” del capitalismo (un frammento da Wallerstein)























Di “genealogia” del capitalismo si è detto in un vecchio post[[1]], tra l’altro citando proprio Wallerstein.
Ma proseguiamo il discorsetto.
Non è vero che il “razzismo” non si sia già visto, e in tempi molto recenti: all’interno della crisi degli anni Novanta – con l’ascesa delle “nuove destre” (1994) – si vide già[[2]]: invece quel che oggi sta succedendo è che tali “nuove” destre (vecchissime, in realtà) vincono, e cioè hanno il consensus. Ecco il punto. Il 1994 svolse il ruolo di “anno pivotale”, ma – ed ecco al differenza – quel che chiesero in quegli anni, lo stanno oggi ottenendo.
Quanto al nazionalismo – da non confondersi con i “fascismi”, senz’alcun dubbio ricollegabili direttamente ai “nazionalismi”, ma non completamente identificabili con questi ultimi – esso ha svolto un ruolo molto importante nel sistema capitalistico: “Il «nazionalismo» […] ha implicato direttamente, e con una certa frequenza, il razzismo. Ma, ovviamente, nel divenire storico, ad appropriarsi dell’ideologia del nazionalismo son stati i movimenti antisistemici nella loro lotta contro il razzismo – quelli che chiamiamo «movimenti di liberazione nazionale». Nondimeno, nel complesso e nel corso del tempo, il nazionalismo – quale principale legittimazione del sistema-mondo – ha costituito una forza che ha contribuito a stabilizzare il sistema-mondo moderno più di quanto non lo abbia destabilizzato”[[3]].
In altre parole: “razzismo” e nazionalismo sono parte basilare del sistema capitalistico, e non li si può eliminare, per quanto vi sia stato il “riformismo incrementale” (Wallerstein [[4]]) che ha sempre teso ad “ammorbidire”, ad “oliare” la durezza del meccanismo fondante del sistema capitalistico: lo scambio diseguale. Quest’ultimo fa parte del nucleo fondamentale del sistema capitalistico e, inoltre, il “riformismo incrementale” non ha mai intaccato questo nucleo fondante: non poteva, non può né mai potrà. Era solo il “lubrificante” del sistema.
Cercare di far capire certe cose, il motivo di tali puntualizzazioni, non sta certo nel tentare di “convincere” chicche e sia – per usare un “totoismo” – quanto, piuttosto, quello di segnalare, di avvertire; dire, insomma: non si poteva non sapere, perché si poteva sapere, da parte di chiunque avesse avuto un minimo di buona volontà e di apertura mentale, un “mini minimo” di volontà di metter da parte i pregiudizi, con i quali s’identifica, per affrontare infine i problemi.
In altre parole: per prender, finalmente!, “il toro per le corna”[[5]] … o il topo … per i baffi!
Ma veniamo al punto: la “genealogia” del sistema capitalistico, secondo Wallerstein.
“Abbiam dedicato molto tempo a delineare il modo in cui il capitalismo storico ha operato in ambito strettamente economico. Siamo ora in grado di spiegare perché il capitalismo è emerso come sistema storico-sociale. Non si tratta, a differenza di quanto si ritiene solitamente, di una questione di facile soluzione. Innanzitutto, lungi dall’essere un sistema ‘naturale’, come ceri apologeti hanno cercato di sostenere, il capitalismo storico [quello reale, quello dimostrabile, quello effettivo, non quello dei testi e dei discorsi degli “apologeti del capitalismo”] è un sistema manifestamente assurdo. Si accumula capitale per accumulare ancor più capitale [ed è precisamente così, ne abbiam parlato altrove[[6]], la base del System è: A>B>A … ad libitum, non c’è fine, in teorie, per questa catena, che, tuttavia, sempre s’interrompe, con la “crisi di liquidità” che è il perenne, perennemente ricorrente “plot” sistemico[[7]]]. I capitalisti sono come dei topolini su una ruota dentata, che corrono sempre più veloce per correre ancora di più. In questo processo, senza dubbio, alcuni vivono bene, ma altri vivono in condizioni misere; e anche i più fortunati, quanto bene vivono davvero, e quanto a lungo?
[…] Non solo credo che la grande maggioranza dei popoli del mondo sia oggettivamente e soggettivamente in condizioni meno favorevoli, dal punto di vista materiale, rispetto ad altri sistemi storici [ed è così: le famose lacrime di coccodrillo sull’1% che ha la maggior parte della ricchezza mondiale non sono che l’effetto di premesse di base del sistema; piangere lacrime d’ipocrisia serve a sottozero: “That’s capitalism, baby”], ma […] penso si possa affermare che vi sia stato un peggioramento anche dal punto di vista politico [e questo pochi lo notano e lo sottolineano]. Siamo tutto così imbevuti dell’ideologia auto giustificatrice del progresso creata da questo sistema storico, che troviamo perfino difficile riconoscere gli enormi caratteri storici negativi del sistema [oggi questo riconoscimento è ancor più difficile che in altre epoche]. Persino un accusatore così risoluto del capitalismo storico come Karl Marx ha dato grande risalto al suo ruolo storico progressivo. Io non vi credo affatto, a meno che per ‘progressivo’ s’intenda semplicemente che è storicamente successivo, e che le sue origini possano essere spiegate da qualcosa che lo ha preceduto [e questo è l’ unico senso in cui la parola “progresso” ha senso, cioè quello etimologico]. Il bilancio del capitalismo storico […] è forse complesso, ma un primo calcolo in termini di distribuzione materiale dei beni e di allocazione delle energie è, a mio avviso, davvero assai negativo. Se le cose stanno così [e così stanno davvero], perché un sistema di questo genere è sorto? Forse proprio per raggiungere questo fine [esatto]. Che cosa potrebbe essere più plausibile di una linea di ragionamento che sostiene che la spiegazione dell’ origine di un sistema sia nel raggiungere un fine che in effetti è stato raggiunto [senza dubbio]? So che la scienza moderna ci ha dissuasi dalla ricerca delle cause finali e da ogni considerazione d’intenzionalità (in particolare perché esse sono così intrinsecamente difficili da dimostrare empiricamente [questo è vero, ma è del tutto errato “dedurre”, da una tale “difficoltà”, che tali cause “finali” non esistano …]). Ma, come ben sappiamo, la scienza moderna e il capitalismo storico sono stati stretti alleati; è lecito dunque sospettare della scienza [moderna] appunto su questa questione: le modalità di conoscenza delle origini del capitalismo moderno [molto giusto]. Mi sia dunque consentito semplicemente di delineare una spiegazione storica delle origini del capitalismo storico, senza però tentare di sviluppare qui la base empirica della mia argomentazione [quindi solo “delineare”].
Nel mondo del xiv e xv secolo, l’Europa era sede di una divisione sociale del lavoro che, a confronto con altre zone del mondo, era, in termini di forze produttive, di coesione del proprio sistema storico e dello stato relativo della conoscenza umana, una zona intermedia né avanzata come certe aree, né primitiva come altre. Va ricordato che Marco Polo, che proveniva da una delle sub-regioni d’Europa culturalmente ed economicamente più ‘avanzate’, rimase sbalordito da ciò che incontrò nei suoi viaggi in Asia.
Il contesto economico dell’Europa feudale stava attraversando una crisi radicale, le cui origini erano endogene [erano dentro il suo sistema sociale, cioè], che in questo periodo ne scuoteva le fondamenta sociali. Le sue classi dominanti si distruggevano a vicenda con grande velocità, mentre il suo sistema agrario (la base della sua struttura economica), si stava allentando, con una considerevole riorganizzazione orientata in direzione di una redistribuzione assai più egualitaria di quanto non fosse stata fino allora la norma. Inoltre, i piccoli coltivatori stavano dimostrando una grande efficienza come produttori [punto non secondario, questo]. Le strutture politiche stavano diventando nel complesso più deboli e, concentrando la propria attenzione sulle lotte intestine tra chi era politicamente potente, finivano con l’aver poco tempo da dedicare a reprimere la crescente forza delle masse della popolazione [consideriamo, tuttavia, come la durissima repressione della rivolta dei contadini, la “jacquerie”, avesse un grosso successo nella Germania del XVI secolo, con l’appoggio di Martin Lutero: segno evidente di un recuperato controllo]. Il cemento ideologico del cattolicesimo era sottoposto a forti tensioni, e movimenti egualitari nascevano nel seno stesso della Chiesa. Le cose stavano davvero precipitando. Se l’Europa avesse continuato sul sentiero che stava percorrendo, è difficile credere che i modelli dell’Europa feudale medievale, con il suo sistema di ‘ordini’ fortemente strutturato, avrebbe potuto essere riconsolidato [punto molto importante questo]. Assai più probabile è che la struttura sociale dell’Europa feudale si sarebbe sviluppata in direzione di un sistema di piccoli produttori relativamente uguali, che avrebbe ulteriormente livellato le aristocrazie e decentrato le strutture politiche [e cioè il caso migliore per l’Impero del quale Federico II è stato rappresentante: ben lungi dall’aver costituito il precursore dello stato moderno, borghese, nazionalistico, l’Impero era latore di una “struttura di strutture” che, unica, poteva reggere al processo di decentralizzazione, in un esito “para” cinese, per così dire, mentre la crisi del modello “imperiale” ridava alle varie aristocrazie – che Federico II sempre combatté!! – il loro ruolo; Post Scriptum: le combatté – le aristocrazie – non in nome dello stato “moderno”, ecco ciò che tanti non riescono (perché non possono) a capire]. Se questo sarebbe stato un bene o un male, e per chi, è una questione speculativa e di scarso interesse [non son d’accordo, per le ragioni appena dette nel commento precedente questa questione non è irrilevante; condivido, però, che oggi essa sia solo e soltanto “teorica”, questo ]. Ma è chiaro che una simile prospettiva deve aver spaventato gli strati superiori europei [nessun dubbio al riguardo]; deve averli spaventati e atterriti, in particolare quando avvertirono che anche la loro armatura ideologica si stava disintegrando [idem]. Senza giungere ad affermare che qualcuno abbia consapevolmente formulato questo progetto [e se l’avesse sviluppato inconsapevolmente?, o, meglio, semi consapevolmente?, in tal caso: sarebbe stato possibile …], paragonando l’Europa del 1650 con l’Europa del 1450, possiamo osservare il verificarsi di alcune cose [queste cose qui, però, sono verificabili …]. Nel 1650 le strutture di base del capitalismo storico [quello reale, non i “modelli astratti” degli “economisti”], come sistema sociale realizzabile [di nuovo, realizzabile, concreto non teorico od astratto], erano state fondate e consolidate [e qui sta la mia critica, molto radicale, ad ogni “destra” possibile, anche “tradizionale”, anche Evola, che vede, in sostanza, nella Rivoluzione francese e poi, peggio ancora, in quella bolscevica il “male assoluto”, alla prima assegnando il ruolo di costruzione della “deviazione moderna”: l’ha fatta esplodere, ma senza il capitalismo, la democrazia borghese non avrebbe mai conquistato l’intero globo: e il capitalismo era già divenuto adulto prima della Rivoluzione francese; prima[[8]]]. La tendenza in direzione di una maggiore eguaglianza delle ricompense era stata drasticamente invertita. Gli strati superiori disponevano nuovamente di un saldo controllo politico e ideologico [in mezzo c’è stata la Riforma, la Controriforma e la costruzione dello stato moderno: si prenda nota; senza prender nota di questefondamentali peraltro – trasformazioni, ogni possibile discorso sulla genesi della modernità come, in parallelo, qualsiasi discorso che si pretenda “critico” dello sviluppo che la modernità ha, di fatto, imposto all’intero globo, si equivale a zero, a chiacchiere inutili, che, poi, per niente stranamente, di “critico” non hanno niente; anzi: chi, senza la comprensione di tali “anelli della storia”, parli o creda di parlare “criticamente”, non potrà che mancare il bersaglio ed essere usato dai “guardiani del sistema” per il raggiungimento di fini loro e sui quali fini questi pretesi “critici” (fra i quali ci sono i cosiddetti “complottisti”) non hanno proprio alcuna “voce in capitolo”, per la semplice ragione che nemmeno li possono vedere, per la semplice ragione che neanche li concepiscono lontanamente]. Vi era un livello di continuità notevolmente elevato tra le famiglie che avevano costituito gli strati alti nel 1450 e quelle che li costituivano nel 1650. Inoltre, se si sostituisce il 1900 al 1650, si scoprirebbe che la maggior parte dei confronti con il 1450 restano validi [incredibile, non è vero …], anche se nel xx secolo vi sono alcune tendenze significative in una diversa direzione [ed ecco le rivoluzioni novecentesche, portate avanti da dei gruppi marxisti con idee sbagliate, “operaiste”, ma che, in realtà, si sono risolte in gigantesche “jacquerie”; in altre parole, esse sono state “rivolte delle campagne contro le città”, questo sono state!!], segno, come vedremo, che il sistema storico del capitalismo [storico eh, non iniziamo a parlare di esso come “dovrebbe” essere, ch’è solo mera ideologia giustificatoria: come c’è stato solo il socialismo “reale”, con i suoi fallimentari “piani quinquennali”, c’è solo – e soltanto – il capitalismo storico, quello che c’è, quello che fa funzionare le cose che sto usando, quello che vedo quando esco, se compro un pezzo di pane o firmo un “prodotto finanziario”, se viaggio o sto fermo: quello; non ve n’è altri], dopo quattro-cinquecento anni di splendore [perché è stato anche questo, va detto, e ciò senza uscirsene con sciocchezze “marxiane” sul “ruolo progressivo” del capitalismo, che, al contrario, segna un’ enorme regressione per l’ intera umanità, e tuttavia, nessun dubbio che abbia raggiunto i suoi splendori, non come “il” bene dell’ “umanità”, ma come sistema storico e solo tale], è infine entrato in una crisi strutturale [crisi strutturale che, per Wallerstein, comincia con lo shock petrolifero della prima metà degli anni Settanta del secolo scorso, ma che ha provocato varie risposte interne al sistema stesso: attenzione a questo punto, preciso; sia detto solo en passant, il ritorno al “nazionalismo” contro le varie forme di “globalismo”, e cioè quel che ha sostituito, di fatto, la pseudo alternativa “destra” / “sinistra” – sostituito, sì, senza però abolirla –, perché di fatto le “destre” han cavalcato il “neonazionalismo”, ed il “razzismo” (le destre più “estremistiche”), molto meglio delle “sinistre”, legate al riformismo incrementale” (Wallerstein) in irreversibile crisi].
Può darsi che nessuno abbia formulato esplicitamente l’obiettivo, ma certo sembra esser accaduto che la creazione del capitalismo storico come sistema sociale abbia drammaticamente capovolto una tendenza che gli strati superiori temevano, e al suo posto ne abbia determinato un’altra che serviva ancor meglio i loro interessi. E’ così assurdo? [No] Solo per coloro che en furono vittime [che pure ci sono stati, e non pochi: essi sono stati rimossi dalla storia]”[[9]].

























Andrea A. Ianniello














[2] Cf. I. Wallerstein – T. Hopkins, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2025, Asterios Delithanassis Editore, 1997, pp. 164-165.  
[3] Ivi, p. 8, corsivi miei.  
[5] Anche se, in tempi di Urano in Toro, tal “toro”, le cui corna si dovrebbero “prendere”, rischia di essere … un bufalo! … imbizzarrito! Ed è chiaro che un tale bufalo non è molto “salutare” da “prendersi per le corna”, diciamo così. Cf.
[8] Soprattutto sul ruolo delle “aristocrazie” nella “deviazione moderna” (Guénon, al quale la comprensione di questo punto – nelle sue basi “tradizionali” – non era per niente lontano ed estraneo) Evola sbaglia gravemente. Vedono assai più giustamente gli autori del libro: Mémoire du sang … “Chi ha orecchie per intendere, intenda” …  
[9] I. Wallerstein, Capitalismo storico e civiltà capitalistica, Asterios Editore, Trieste 2000 (ben vent’anni fa, ormai), pp. 36-38, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.  






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