“Iside
e il rito longobardo. Janare antiche e maghi moderni tra fatture, misture
e guaritori”
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“La simbologia
dell’albero nelle religioni nordiche ritengo essere la più
accreditata traccia storico-leggendaria per seguire il fenomeno delle
streghe e della stregoneria la cui patria, è assodato, fu Benevento.
I fatti, gli episodi, i personaggi e gli eventi ben sostengono questa
ricerca. Altri, invece, hanno scritto preferendo far ‘discendere’
dal culto d’Iside e della sua magica egizianità il Sabba delle
Streghe nel Sannio beneventano” (Alberto Abbuonandi, Le streghe
di Benevento e il simbolo dell’albero, Edizioni il
chiostro 2003, p. 77). In realtà, però: “tra i riti notturni
d’Iside, dea della luna, ed il rito religioso ed orgiastico di
Wothan [sic] e dei Longobardi c’è differenza, eccome! Il “De
Nuce Maga” del Piperno (1640) parla di maledetti riti dai ‘sozzi
gusti con Satanasso che solea comandare balli e danze’ e che presa
forma d’uomo pecca carnalmente con le meretrici di turno sotto
frondosi alberi. Riti, appunto, troppo pagani e molto differenti dal
culto d’Iside. Anzi, in proposito si continua a discutere sulla
questione della mariolatria cristiana nel culto d’Iside ma, anche
Piperno, (…) si fermò a considerare il solo rito sotto l’albero
magico così com’era stato tramandato. Non aggiunse, né tolse
molto, né diede una giustificabile origine o derivazione” (ibid.,
p. 79).
“Il rito longobardo
sopravvisse grazie al folklore contadino che lo ‘mescolò’ alle
proprie usanze, quasi ad esorcizzarle dal maligno. Rito che partì
dal Mediterraneo e giunse un po’ dapperutto. E, dal basso Medioevo,
si propagò la storia e la leggenda del Noce di Benevento: luogo di
convegni stregonici e demoniaci. Storia e leggenda che continuarono a
produrre, nell’immaginario, donne e uomini che s’ispirarono al
rito longobardo: preparatori di fatture e capaci di sortilegi e cure
medicamentose. Si moltiplicò la fama delle janare cattive e delle
janare buone, capaci cioè di fare e disfare una fattura e crebbe il
numero delle inciarmatrici (…). (…) Per il raffreddore, per
esempio, bastava ‘respirare’ acre fumo di paglia; per togliere i
porri bisognava strofinarcisi con la schiuma di lumache; per
l’itterizia ci voleva un bel decotto a base di polvere di marmo e
ceci neri. Oppure, per seminare zizzania ed inciuci si consigliavano
ortiche, zolfo e pepe, mentre la menta e il ricino servivano per il
malocchio” (ibid., pp. 80-81). Né, poi, è facile spiegare la
natura della “fantastica scopa delle streghe di Benevento” (p.
82).
“Nella cosiddetta ‘Langobardia Minor’, nel Mezzogiorno, i Longobardi fecero di Benevento la loro capitale politica e qui, lontano dalle mura di questa bellissima città, continuarono i loro culti dell’albero con un rito molto particolare. Rito che, la storia dice, si svolse nella città sannita per l’ultima volta e che tanta fama stregonica diede al sinistro luogo che poi diventò il posto del Sabba. Benevento diventò tanto famosa per la nomea di ‘città stregata’ che nel mondo allora conosciuto, in Europa cioè, ben tre territori le dedicarono città con lo stesso nome. In Francia si chiamò Benevent; in Spagna Beneventa; in Inghilterra Benevenna. Correva l’anno 663…” (ibid., p. 63).
“Nella cosiddetta ‘Langobardia Minor’, nel Mezzogiorno, i Longobardi fecero di Benevento la loro capitale politica e qui, lontano dalle mura di questa bellissima città, continuarono i loro culti dell’albero con un rito molto particolare. Rito che, la storia dice, si svolse nella città sannita per l’ultima volta e che tanta fama stregonica diede al sinistro luogo che poi diventò il posto del Sabba. Benevento diventò tanto famosa per la nomea di ‘città stregata’ che nel mondo allora conosciuto, in Europa cioè, ben tre territori le dedicarono città con lo stesso nome. In Francia si chiamò Benevent; in Spagna Beneventa; in Inghilterra Benevenna. Correva l’anno 663…” (ibid., p. 63).
Fuor di dubbio che sia
“il rito longobardo”, come lo chiama l’autore testè riportato,
ad essere il “milieu” di base di quel mondo di streghe
cattive e fate buone, janare ambedue, ma di segno diverso, a
testimoniare il fatto che asseriva Gurdjieff: la “magia” è una
sola in quanto conoscenza delle relazioni sottili tra cose,
uomini, animali. Ma resta da spiegarsi il perché di questo legame.
Allora, la teoria sostenuta in Pietre che Cantano. Suoni e
sculture nelle nostre chiese, Appendice (A. Ianniello, Vozza
editore 2007), che, cioè, i Longobardi – ai quali senza nessun
dubbio risale il rito vero e proprio – però abbiano rivitalizzato
e modificato un sostrato però già presente, del culto
d’Iside ma degenerato, non può esser esclusa a priori.
“O anima mia,
non desiderare
la vita immortale,
ma esaurisci
il campo del
possibile!”
(Pindaro)
“La successione dei
Longobardi, l’esodo e il sito del loro regno, cioè la loro
origine, e come, usciti dall’isola di Scandinavia [così si credeva
all’epoca], migrarono nella Pannonia [attuale Ungheria], e poi
dalla Pannonia in Italia e ne abbiamo preso il regno, Paolo [Diacono,
Paolo Varnefrido in realtà], che n’era profondo conoscitore, lo
narrò con ragionata riflessione e in una densa sintesi (…). Non
senza motivo, però, la sua età lo trattenne...”...
Che lingua parlavano i Longobardi della "Langobardia Minor"? O meglio, come si è evoluta la loro lingua attraverso i secoli?
RispondiEliminaProblema complesso, che senza dubbio ha attraversato fasi successive di mescolanza, nelle quali reciproci influssi si sono avuti fra conquitati e conquistatori.
RispondiEliminaNelle fasi iniziali dovette esser difficile, in quanto la toponomastica attesta come i LOngobardi tendessero a mantenersi separati dal resto degli utalici, anche per cause religiose, da non sottovalutarsi. La conversione dei Longobardi al Cristianesimo cattolico dovette costitiruire il momento topico di un volgimento della Ruota e delle sorti nelle relazioni fra i due popoli, dove la grande maggiroanza erano italici (a loro vota più mscolati di quale che oggi non si possa pensare).
Il culto di San Michele - oggi è il suo giorno - costituì il mezzo principale dell’assimilazione longobarda del Cattolicesmo. Tra l’altro, fu l’ “interpretatio langobarda” per cui l’Arcangelo Michele prese il posto di Wotan (Odin) costituì un mezzo principale per la cristianizzazione dei Longobardi. E qui il simbolismo ebbe a sua volta un posto non secondario: non è certo casuale che sia Michele sia Odino abbiano come arma principale la lancia.
In questo post http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/09/sulle-ciance-sull-identita-sulle.html, vi è un link che a sua volta dà su di un’immagine di S. Michele da una grotta di San Michele, nel salernitano: splendida immagine davvero.
Quanto alla lingua parlata dai Longobardi, essa era parte delle lignue germaniche del gruppo **centrale** (vi era l’orientale, tipo il goto, sparito, quello occidentale, tipo il franco, e il nordico, il norreno, dal quale, a sua volta, sarebbero venute le lingue scandinave attuali, pur modificatesi nel tempo). Alcuni linguisti argomentano che il longobardo era simile all’anglo e al sassone.
Grazie anche e soprattutto per le note su San Michele, di cui conoscevo l'importanza per il Sud dovuta al santuario sul Gargano e non invece anche per il Longobardi.
RispondiEliminaDi niente. Infatti, la relazione Longobardi > San Michele è precisa, decisa, e nelle pietre incisa.
RispondiEliminaInteressantissimo sottolineare come i santuari di San Michele debbano stare in grotte o comunque sempre presentare qualcosa di “naturale”, di “non toccato da mano umana”, che sia una caverna oppure una roccia. Anche questo evdentemente favorì l’accoglimento, da parte longobarda, della figura del noto Arcangelo.
Di più, furon i Longobardi a sottolinearne l’aspetto guerriero, presente sin dall’origine - ovviamente -, della figura di San Michele. Ma il San Michele originale, bizantino nel Süd, non solo era guerriero ed apotropaico, ma soprattutto era **guaritore**. Sul Gargano probabilmente vi era un santuario mitraico, il “mythos” del ritrovamento della grotta e dell’apparizione micaelica (mica mica elica eh) si ricollgea con la visione di un **toro**, e il motivo “symbolico”, come noi ben sappiamo, è ben più stabile, infinitamente più duraturo di tutte le dottrine teologiche, e spesso passa da una religione ad un’altra.
I tempi cambiano, le forme religiose pure, ma certi “symboli” e certi “temi” di fondo rimangono inalterati nel corso dei **Millenni**, come infatti notò “illo tempore” lo stesso Guénon.
Da loro, dai Longobardi, questo aspetto guerresco si diffuse in **tutto** l’occidente, il che dà la misura della rilevanza di questo culto.
I Normanni scesero giù per andare a far un pellegrinaggio a San Michele sul Gargano, ma il culto micaelico si può seguire per tutto l’Appennino mentre risale verso Nord, per giungere a Mont St.-Michel - in Normandia, dal qual santuario i Normanni vollero scender giù al santuario **originario** in Gargano, passando per l’Umbria meridionale, il Lazio e la Campania.
Havvi difatti un percorso micaelico.