“MIGRAZIONI
DI POPOLI E NUOVI CONFRONTI SUL
PIANO
DEL DIALOGO
TRA MONOTEISMI
TRA MONOTEISMI
MEDITERRANEI”
1.
L’epoca delle Migrazioni di massa. E’ un
chiaro segno dei tempi questa serie di movimenti d’individui in
gran numero, in numero tale che davvero si possono chiamare
“migrazioni” per cui questa stagione della storia si può
denotare come la stagione storica delle migrazioni di popoli, come
nella fase finale dell’Impero romano, naturalmente con differenza
molto grandi e sostanziali, però. Questo processo ha senza dubbio
alterato, ed ancor più altererà, sia la composizione sia la qualità
delle società interessate, tanto quelle di partenza quanto quelle di
arrivo. Si pensa sempre di solito alle società d’arrivo ma pure
quelle di partenza sono pesantemente modificate dal fenomeno.
La
prima osservazione che si può fare è che questo processo si attua
in prevalenza dai paesi poveri a quelli ricchi, da quelli del Sud e
dell’Est – parzialmente – del mondo a quelli del Nord e
dell’Ovest. E’ il senso inverso della fase del colonialismo, che
da Ovest e Nord andò a Est e Sud.
La
seconda osservazione riguarda cos’è il fascismo. Sbagliatissimo
confonderlo con il militarismo degli anni Trenta del secolo scorso,
dove la caratteristica militaristica era propria sia dei regimi
fascisti sia di quelli comunisti, e, dunque, non ci consente né di
caratterizzare il fascismo – o una sorta di “proto-fascismo” –
né il suo attuale ritornare, con ed in forme molto ma molto diverse
da quelle degli anni Trenta e dunque gli oppositori di tale crescente
tendenza si trovano a non sapere, letteralmente, che pesci pigliare,
come suol dirsi. Possiamo definire il fascismo come la tendenza a
costruire delle comunità chiuse, dei gruppi chiusi, e, in tal senso,
si tratta di un nazionalismo portato alle sue conseguenze estreme. E’
dunque un’ideologia “particolarista” mentre il comunismo,
almeno tendenzialmente, è un’ideologia “universalista”, che
vedeva la salvezza dell’umanità nella fine o almeno nel controllo
della proprietà privata dei mezzi di produzione. Ripeto, il problema
della violenza nella politica, o dell’uso politico della violenza,
è un altro problema. Anche il capitalismo ed il liberismo l’hanno
usata, e non solo nel Sud America del XX secolo, si ricordi il
“Bloody Code”, il
codice di sangue della prima parte dell’Ottocento inglese, dove
chiunque, lavoratore, attentasse alla proprietà dei mezzi di
produzione poteva essere fucilato senza mezzi termini. Solo quando la
classe lavoratrice e gli artigiani giunsero ad accettare, volenti o
nolenti, la svolta capitalistica quel codice fu sempre più moderato.
Sgradevole dirlo, ma la violenza ha sempre
fatto parte della politica, in modi espliciti o impliciti.
La
realtà vera è che le civiltà si sono sì combattute, ma si sono
anche influenzate, più o meno fermamente.
L’idea di civiltà come gruppi chiusi non è comprovata dalla
storia. Vero è che ognuna, pur accettando influssi esterni, li ha
sempre saputi accogliere nel suo modello, per così dire “tradurre”
quasi fossero un’altra lingua, ma ciò non toglie che pensare alle
relazioni tra civiltà come sempre e necessariamente di lotta e
contrasto è riduttivo.
Quindi,
la risposta che, in un modo o nell’altro, si attua nei paesi
ricchi, che coincidono in gran parte – ma non solo – con
l’Occidente (il Giappone non è in alcun modo un paese occidentale
nelle sue strutture profonde) è quella di chiudersi, paradossalmente
però avendo bisogno delle forze che giungono dall’esterno. Direi
di più: provocandole, chiamandole. Quindi c’è questa
contraddizione davvero esplosiva nella situazione attuale del mondo,
ma, d’altro canto, l’ideologia del dialogo è debole per natura,
è un succedaneo che ha preso il posto dell’ideologia
universalistica senza però averne né la forza né, tantomeno, il
fascino. Perché un’ideologia senza fascino è come una di queste
famose attrici senza il trucco, manca dell’attrattiva.
Un’ideologia, infatti, si diffonde al di là ed oltre del suo
contenuto di “verità” e, difatti, spesso si applica un’ideologia
fascinosa ma che non ha che ben poco rapporto con la natura delle
cose. La gran parte delle cose che oggi sentiamo si caratterizzano
per quest’inefficacia profonda. Respingere tutti gli immigrati non
si può, ma nemmeno accoglierli tutti. E dunque? Da queste brevi
osservazioni si evince un quadro ideologico che non funziona perché
sottace tanti altri aspetti che però esistono.
Fra
questi, senza nessun dubbio, vi è la dimensione religiosa, perché,
dopo queste osservazioni generali, ci si confronterà con il tema
della migrazione di popoli oggi dal punto di vista religioso,
che poi è quello che qui c’interessa.
La
questione di fondo, difficile d’affrontare, è questa: è interesse
pratico degli uomini dialogare per cercare una miglior comprensione,
però il punto vero è che noi le religioni le ereditiamo, con i loro
aspetti positivi tanto quanto con quelli negativi. Sono questi ultimi
il problema, ed essendo ereditati, non sono facilmente modificabili.
Si giunge, così, con un insieme d’idee non adatto alla situazione
concreta, a dover necessariamente affrontare quest’ultima.
Veniamo
allo svolgimento storico della divergenza tra monoteismi che sta
dietro, non
nell’apparenza, a tutta la questione dell’immigrazione, e che non
si vuol vedere. Per lo meno, non si vede molto chiaramente questo
problema nel senso che non appare. Poi, passeremo attraverso la fase
medioevale, brevemente perché non si può se non sunteggiare degli
argomenti così complessi sui quali sarebbe opportuno ritornare, per
giungere ai nostri tempi. In base alla situazione com’è oggi,
allora si tratterà del tema del dialogo, che non può essere mero
“bon ton” e buona educazione e, allo stesso tempo, non può
neppur essere una mera mescolanza, una “notte in cui tutte le
vacche sono nere” perché le vacche hanno colori diversi, tanto per
fare una battuta.
Il
problema di fondo è che la natura stessa delle religioni cristiana
ed islamica è differente1.
Inoltre, le stesse modalità per mezzo delle quali le due religioni
son giunte ad imporsi come forze storiche fondamentali sono diverse.
Mentre il Cristianesimo si è imposto lentamente, attraverso
un’operazione tutto sommato “culturale” lato
sensu intesa, per, poi,
giungere a controllare il potere, l’Islamismo, al contrario, nasce
come stato, sin dall’inizio. La dimensione politico-sociale è
connaturata alla religione islamica come nessun’altra. Diversa,
poi, la condizione del Giudaismo, che, diversamente da Cristianesimo
ed Islamismo, stavolta considerati assieme, si limita ad un popolo
particolare, pur permettendo ai “timorati d’Iddio” una forma
minore d’appartenenza alla comunità giudaica. Dunque: Giudaismo
“particolarista” ed Islamismo e Cristianesimo “universalistici”,
ma quanto diversi, nelle modalità, questi ultimi due!
Su
tale differenza “fondante” si sono, poi, andate a compattare
tante differenze storiche, che si sono sedimentate su quella
originaria. Di conseguenza, in effetti solo in tempi assai recenti
l’Islamismo si può considerare come “opzione personale”, nella
realtà storica ciò non è mai avvenuto. Qui, al contrario,
Giudaismo e Cristianesimo si riuniscono, mentre qui è l’Islamismo
che si differenzia profondamente dalle altre due forme di monoteismo.
“Il fatto culturale (…), tanto nel Giudaismo quanto nel
Cristianesimo, rimane di competenza della comunità, che esprime al
suo interno una categoria di persone a questo destinate. Perché
l’Islàm venga considerato, in ambito musulmano, un’opzione
personale, bisogna arrivare alla Turchia di Atatürk, che fissa
limiti tra stato e religione, e più generalmente tra sacro e
profano, senza che tuttavia la Turchina odierna si presenti in ciò
con caratteristiche vistosamente diversa dagli altri paesi islamici
(…). La ragione d’esistere dell’Islàm
consiste esclusivamente nella realizzazione d’uno stato islamico
che, secondo quanto si è detto, si strutturi in un modo piuttosto
che un altro, ed esplichi così sulla terra
l’ordine ed il logos
divino”2.
Questa differenza ha un valore decisivo, perché, su questa base, è
chiaro che non vi possono essere due autorità, seppur una
subordinata all’altra, non vi può essere un diritto statale come
cosa separata. Non esiste il “Date a Dio quel ch’è di Dio ed a
Cesare quel ch’è di Cesare” secondo il noto adagio evangelico.
E’ una differenza che pone un macigno nelle relazioni religiose.
Certo, le correnti moderne ultime dell’Islamismo han tentato di
porre un limite a tutto ciò, ma, nell’insieme, il loro progetto è
rimasto parte della borghesia di quei luoghi, sostanzialmente
incapace di diffondere il suo messaggio alle maggioranze diseredate
e, al tempo stesso, deboli nei confronti del potere. Sempre trattando
di tali correnti “riformistiche” lato
sensu intese, la tendenza alla riscoperta dei
dati coranici è importante laddove si pone attenzione alla natura
della religione islamica ed al fatto che lo stato islamico originario
era naturalmente plurireligioso. E questo è un punto decisivo,
sostanzialmente andato perduto nel successivo sviluppo storico di
questa religione. “Plurireligioso” non vuol dire
“multiculturalista”, laddove il multiculturalismo accetta tutto
perché indifferente a tutto, ma vuol dire che, ognuno rimanendo se
stesso, pure s’interagisce, quindi si comunica, dunque si cambia.
2.
Crociate. A questo punto, occorre dire qual è
il contributo delle Crociate a tutto ciò. Se la causa remota è ben
più antica, la fase delle Crociate è sopravvalutata, come
conseguenze nei confronti di ciò che si è convenuto chiamare
“incomprensione” tra Occidente ed Islàm. Come stanno le cose?
Stanno così: le conseguenze politiche della stagione delle Crociate
sono state grosse, ma l’incomprensione esisteva già da molto tempo
prima, senza contare che quella stagione portò con sé anche molti
stimoli culturali senz’alcun dubbio positivi. Sebbene dal punto di
vista religioso vi fosse competizione, non era così da quello
culturale. Il cavaliere che andava in Medio Oriente sostanzialmente
aveva in comune con il combattente islamico una certa concezione
della cavalleria, tant’è che l’arte dell’araldica ebbe un
nuovo impulso in quell’epoca e non sarebbe oggi ciò ch’essa è,
con quei colori, senza l’influsso islamico. Ma che dire del campo
filosofico? Beh, lì l’influsso fu fortissimo. Occorre, dunque,
sfumare il giudizio su quell’epoca.
Le
Crociate, poi, costituirono una sorta di risposta occidentale
all’espansione islamica, che aveva toccato persino il continente
europeo, attraverso l’invasione – massiccia – della Spagna
[rimando all’immagine n°1, Islamici che invadono la Spagna], e
quella, invece più a fasi e correnti, della Sicilia. Quest’ultima
invasione, però, non doveva essere, dal punto di vista culturale,
meno importante dell’altra, perché, se in Spagna l’influsso sarà
soprattutto politico-filosofico, in Sicilia – oltre alle
inevitabili conseguenze politiche – vi sarà un’influenza di tipo
culturale lato sensu
intesa, che si eserciterà sul gusto anche del cibo per esempio,
sull’arte dei giardini, e via dicendo. Tante cose che noi
giudichiamo “europee” o “mediterranee” oggi non lo erano in
quei tempi e si sono stabilite massicciamente nell’Italia del Sud,
e da questa diffuse all’Europa, solo per mezzo della conquista
sicula. Qui è concesso solo accennare brevemente a questi temi.
Allora,
fuor di dubbio che le Crociate abbiano questa caratteristica
dell’Occidente che invade, militarmente, l’Oriente, fuor di
dubbio che questo, in termini storici più lontani, abbia alterato le
relazioni tra Islamismo e Cristianesimo, ma le Crociate furono
qualcosa di assai più complesso. Difatti, una parte della forza
delle Crociate fu scaricata sull’Impero Bizantino, così, di fatto,
indebolendolo ed aprendo la porta alla seguente ondata turca che,
dall’Asia Centrale, si andò indirizzando verso il Mediterraneo.
Senza contare le Crociate per la conquista dei Paesi baltici, quella
contro gli Albigesi. Insomma, il fenomeno delle Crociate è più
complesso di quanto non sembri, per quanto – semplificando – qui
si prende in considerazione solo il suo aspetto storico generale di
Occidente cristiano contro Oriente islamico.
Quanto
alle atrocità dei Crociati, non furono certo i soli a commetterle,
per esempio le truppe turche erano famose per questo [figura n°6,
Ingresso trionfale di Tamerlano a Samarcanda. Tamerlano ebbe un ruolo
importantissimo, poiché fu solo grazie a lui che l’Impero
Bizantino continuò per del tempo ancora, Tamerlano, infatti, sul
quale Franco Cardini ha scritto un libro divulgativo interessante,
combatté contro Bayazìd la Folgore, che stava prendendo
Costantinopoli]
Un
posto a parte vi ha Federico II di Svevia. Perché il suo caso
dimostra precisamente la tesi di fondo: nonostante le lotte vi fu un
travaso culturale importantissimo e notevole, che avrebbe modificato
per sempre la civiltà dell’Occidente medioevale. Federico II
partecipò a due Crociate, quella nell’est Europa, con
l’istituzione dell’Ordine teutonico, e quella a Gerusalemme.
[immagine
n°3, cavalieri teutonici, sviluppare a voce brevemente la storia di
quest’Ordine]
[immagine
n°4, Federico II e il Sultàn di Gerusalemme al-Kàmil, sviluppare
le circostanze della Crociata dello “scomunicato” imperatore]
In
realtà, però, il caso di Federico II fu particolare: si da giovane
parlava l’arabo ed era stato allievo di un sapiente arabo,
ricordiamo che all’epoca Palermo era una città islamica, ne
rimangono molte testimonianze anche oggi. All’epoca la sua
dimestichezza con il mondo islamico era considerata con sospetto,
come una nascosta “conversione” all’Islamismo che invece non ci
fu mai da parte sua.
In
realtà, Federico II di Svevia simbolizza una relazione differente
con il mondo islamico, una relazione di contiguità e comprensione,
che non implica la mera accettazione. Non solo a livello culturale
era influenzato dal mondo islamico, ma pure dalla sua cultura
iniziatico-religiosa, come si evince dal simbolismo di Castel del
Monte, per esempio.
Con
la battaglia di Lèpanto in realtà si chiude la lunga stagione delle
Crociate, si è nel secolo XVI e ormai la civiltà mondiale si va
lentamente ma inesorabilmente spostando verso l’Atlantico. Le
scoperte del Nuovo Mondo hanno alterato tutto. [riferimento
all’immagine n°5, la Battaglia di Lepanto]
3.
Islamismo radicale. Tutto cambia con la
modernità. Infatti, non si deve considerare la lotta che è avvenuta
nel mondo moderno come la riedizione delle Crociate: questo è un
falso storico, usato per scopi di propaganda dai jihadisti e dalle
correnti neocon occidentali. La differenza è profonda e
fondamentale: nell’epoca delle Crociate, pur combattendosi, i
due contendenti avevano una cultura comune,
cosa che nel mondo moderno non esiste più. E’ una differenza
radicale cui pochi pensano o sulla quale ben pochi si soffermano.
Quali
sono le cause dell’Islamismo radicale, che non è immediatamente la
stessa cosa che il jihadismo. Le sue origini sono negli anni tra le
due guerre mondiali, soprattutto in Egitto, ma vi sono documentate
relazioni con l’Iràn, per esempio al-Afghâni. [immagine n°9
degli anni Sessanta] E’ una tendenza profonda del mondo islamico,
ma che non aveva mai avuto l’exploit degli ultimi tempi, grazie al
petrolio saudita ed alle armate americane…
La
radice profonda della deriva radicale si trova nel fatto che il
Corano non è mai
stato la fonte immediata e completa della teologia musulmana, come
dimostrato da Van Ess3.
4.
Jihadismo. Il “jihadismo” è una forma
d’Islamismo radicale che predica il
“jihàd”, la
guerra “legale”, cioè “giusta” secondo il concetto cattolico
dello “justum
bellum”, come unica
risposta ai problemi del mondo islamico, nel quadro di un progetto
che vede in un – impossibile
– ritorno al Califfato lo scopo vero ed ultimo della comunità
islamica.
Come
si pone questa corrente, così aggressiva, rispetto all’insieme
della comunità islamica? Perché, al di sotto ed al di là di tutte
le polemiche del momento o di questo o quell’evento più o meno
“shockante”, il punto nodale è precisamente questo. Qual è la
capacità concreta d’influenzare la comunità islamica da parte di
questi gruppi? Ricordiamo che l’Islamismo è plurale
per definizione e che mai
queste correnti potranno conglobare tutte le forme d’Islamismo,
nondimeno questo è il quesito-chiave, un quesito che, sin ora, non
ha mai avuto una vera risposta, per errori, attuali come pregressi,
da ambedue le parti.
Risponderò
brevemente a questa domanda, perché una risposta più articolata ci
porterebbe molto lontano, con il passo di un noto studioso: si tratta
di una “visione assolutistica [dell’Islamismo] che non vale
certamente per tutti i musulmani, ma fa vibrare l’animo di molti”4.
5.
Dialogo o qualcosa di più. Ideologie a confronto.
A questo quadro di forze che si sono andate strutturando nel corso
della storia e che devono interagire senza poter cambiare se stesse,
si oppone la necessità del dialogo. Ora, questa necessità è
sentita fortemente da chi, nel mondo dell’associazionismo e del
volontariato, ha concretamente a che fare con questo problema.
Tuttavia, si tratta pur sempre di un’ideologia debole, per molti
motivi. Il primo è proprio di tipo storico, questa breve panoramica
– sulla quale sarebbe opportuno ritornare – dimostra come la
questione sia sedimentata nel corso del tempo e, dunque, assai
difficile da modificare. Può solo essere “ammorbidita” e
smussata, in effetti il “dialogo” questo è.
Il
secondo punto per il quale l’ideologia del dialogo non va e troppo
spesso si risolve in una buona educazione ma non un confronto serio,
per il quale i due dopo si ritrovino diversi da prima, è che lo
status epistemologico del “dialogo” è diverso nei due contesti.
In quello occidentale, permeato di cultura greca – che l’Islamismo
ha rifiutato da una certa epoca in poi – il “dialogo” è cosa
in se stessa “buona” mentre nel mondo islamico non è così.
Fondamentalmente, basicamente, all’essenza delle cose, l’Islàm
non è interessato a dialogare se non come fatto episodico e cosa
strumentale. Dialogano sul serio solo quelle correnti che hanno
sottoposto critica certi punti fondanti del messaggio islamico e son
giunti – in un modo o nell’altro – a distinguere, seppur non
separando, la parte religiosa “strictu
sensu” e quella politica.
Solo
queste correnti – che esistono – son
davvero interessate. Tali correnti esistono davvero, però, oggi, a
causa di una situazione politica che ha esaltato la componente
distruttiva delle correnti radicali o/e, peggio, jihadiste, le
correnti che davvero dialogano sono una parte minoritaria del mondo
islamico, minoranza pur presente e che sarebbe sbagliato non
considerare. Tal è la situazione al momento, vista in modo
realistico. Il problema rimane quello delle scelte generali e
fondanti, se, cioè, la via presa dalla deriva tanto “jihadista”
quanto neocon sia quella giusta, se non sia il caso di riconsiderare
l’intera questione.
La
questione ebraica in tutto ciò ha un ruolo legato a quella islamica:
si tratta di un cambiamento non da poco rispetto al passato
cristiano, dove il Giudaismo è sempre stato visto come nemico del
Cristianesimo. E questa è un’altra novità piuttosto rilevante…
Giunti
a questo punto, vi sono tre opzioni possibili.
La
prima è continuare come ora, cioè vi è un dialogo di facciata, per
problemi concreti o politici, nell’ambito di una differenza
sostanziale che si fa finta di non vedere, e che viene allargata dai
gruppi radicali di ambo le parti, seppur con metodi molto ma molto
diversi, uniti, però, nel punto centrale: l’incompatibilità fra
Islamismo e modernità, perché di questo si tratta più
profondamente.
La
seconda strada è quella di approfondire il dialogo, perché non sia
solo né buona educazione – “bon ton” come dico – e neppure
una mera tolleranza, ma piuttosto un confronto sincero però
amichevole, che porti le due parti a comprendersi accettandosi come
differenti e tuttavia capaci di vivere assieme, perché questo sarà
il nodo decisivo.
Infine,
last but not least, vi
è una possibilità del tutto incompresa oggi, e cioè di andare
oltre il solo dialogo nel senso appena detto, cioè una comprensiva
ed intelligente accettazione delle differenze, comprensione senza
mescolanza, accettazione senza commistione. La terza possibilità è
che esiste “un punto di tangenza” e di sintesi, che, però,
sarebbe in tal caso diverso da tutt’e due i componenti
l’opposizione che vediamo sotto i nostri occhi. Tale punto non può
essere la mera mescolanza ma neppure la sola affermazione delle
differenze. in realtà, questa sorta di parola che va oltre
i limiti ma che non li abbatte,
fu quel che cercò una parte recondita del Medioevo, fu quel che
cercò Federico II ed anche quel che consentì ai Templari di poter
interagire con taluni settori del mondo islamico senza mescolarvisi.
Che
questa possibilità esista è una possibilità concreta,
teoricamente. Che debba e possa manifestarsi è, invece, forse una
delle più grandi scommesse dell’umanità. Di certo, sarebbe
qualcosa di trasformante all’estremo e sulla e della quale non ha
senso dare delle immagini, poiché sarebbe davvero “una cosa nuova”
sotto il Cielo.
Andrea A.
Ianniello
Bibliografia
Atlanti Universali
Giunti, Crociate, Giunti 1999
Atlanti Universali
Giunti, Islamismo, 2001
Franco Cardini, Il
Signore della paura. Tre cavalieri verso la Samarcanda di Tamerlano,
Mondatori 2007
David Cook, Storia
del jihad. Da Maometto ai nostri giorni, Piccola Biblioteca
Einaudi 2007
Riccardo Redaelli,
Fondamentalismo islamico, Giunti 2007
Biancameria Scarcia
Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell’Islam, Sansoni 1974
Josef Van Ess, L’alba
della teologia musulmana, Piccola Biblioteca Einaudi 2008
Slavoj Zizek, In
difesa delle cause perse, Ponte delle Grazie 2009
NOTE
1
Rimando all’immagine n°7,
pagine del Corano.
Difatti, come per il Cristianesimo la Manifestazione del Divino è
il Cristo, per l’Islamismo lo è il Corano,
“Corpo” della Rivelazione e “parola d’Iddio”,
Kalimat-ul-Lâh.
2
Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza
e guerra santa nell’Islam,
Sansoni 1974, p. 24.
3
Cfr., Van Ess, L’alba
della teologia musulmana,
Piccola Biblioteca Einaudi 2008, pp. 108-109 [immagine n°8, passo
da Van Ess] Sul concetto di “eresia” nel mondo islamico, cfr.
ibid., 28.
4
D. Cook, Storia del
jihad. Da Maometto ai nostri giorni,
Piccola Biblioteca Einaudi 2007, p. 243 [immagine n°10, passo da
Cook]
IMMAGINI SCELTE (non presenti qui)
Immagine 1, Islamici
invadono la Spagna
Immagine 2, Crociati
invadono Gerusalemme
Immagine 3, Cavalieri
teutonici
Immagine 4, Federico II
e il Sultano al-Kamil a Gerusalemnme
Immagine 5, la
Battaglia di Lepanto
Immagine 6, Ingresso
trionfale di Tamerlano a Samarcanda
Immagine 7, Pagina dal
Corano
Immagine 8, Passo da
Van Ess, libro citato in Bibliografia
Immagine 9, Gruppi
armati pakistani
Immagine 10, Passi da
Cook, libro citato in Bibliografia
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