domenica 26 maggio 2024

Gemelli III – “Il passo - e il gioco - dell’oca” I – Serie cinquantenario 2 (libri), 1974-2024 – II

 

 

Gemelli III – “Il passo - e il gioco - dell’oca” I – Serie cinquantenario 2 (libri), 1974-2024 – II

 

 

L’astensione simbolica dalla farina fermentata non fu per altro prerogativa del solo Israele antico, giacché anche nella tradizione romana ai sacerdoti di Giove (flamen dialis) non era ‘lecito toccare farina impastata con lievito’, come ricorda, ad esempio, Aulo Gellio nelle sue Notti attiche, pur senza fornire alcuna spiegazione concettuale a questo rigido divieto. Il contesto generale delle norme di condotta del sacerdote di Giove – che comprendevano, tra l’altro, l’obbligo di seppellire le proprie unghie e i capelli recisi e la la proibizione di vedere, o nominare, carne cruda, di potare una vigna o di passar sotto i suoi tralci – sembra rientrare nell’ambito di una tutela dalle manifestazioni corrosive di fertilità o, all’opposto, dai segni della morte. La ragione prima del tabù religioso del lievito, tanto romano quanto ebraico, può dunque essere riferita ad un’autonomia del sacro, che rischierebbe di depotenziarsi a contatto con le forme minori,  e, per così dire, concorrenti e caduche, di energia vitale”.

G. BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi editore, Torino 1999, pp. 201-202, corsivi in originale. Solo in parte può esser quello che dice Busi.

 

Un sistema completo di demonologia  cabalistica fu esposto, dopo il periodo dello Zohar, in Sibbat Ma’aseg ha-Egel ve-Inyan ha-Shedìm (manoscritto Sassoon 56), che sviluppa motivi interni giudaici. Una combinazione dello Zohar e di fonti arabe caratterizza il libro Zefunei Ziyyoni di Menaham Ziyyoni di Colonia (fine del XIV secolo […]); include un lungo elenco di demoni importanti e delle loro funzioni, conservando i nomi arabi. Questo libro fu uno dei canali per il cui tramite elementi arabi pervennero ai cabalisti pratici tra gli ebrei tedeschi e polacchi [nel novero ultimi dei quali – ebrei polacchi – vi era “Max Théon”, come s’è accennato in un passato post in pdf], e ricorrono spesso, seppur con errori, nelle collezioni ashkenazi di demonologia in ebraico e in yiddish. […] Tra gli ebrei dell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente, elementi di demonologia cabalistica ed araba si mescolarono anche senza mediazioni letterarie […]. Un esempio notevole di mescolanza completa di elementi ebraici, arabi e cristiani si trova negli incantesimi del libro Mafte’ah Shlomo o Clavicula Salomonis, una raccolta del XVII secolo e pubblicata in facsimile da H. Gollancz nel 1914. […] Secondo la testimonianza di Nahmanides, era usanza degli ebrei ashkenazi “occuparsi di cose relative ai demoni, intessere incantesimi e scacciarli; ed essi li usano in molti casi” (Responsa d’Ibn Adret, attribuiti a Nahmanides, n. 283). il Ma’aseh Bukh (in yiddish, traduzione inglese di M. Gaster, 1934) elenca numerosi dettagli su questa demonologia ashkenazi-ebraica del tardo Medioevo. Oltre alle comuni credenza popolari, elementi dell’originaria della letteratura magica dotta, nonché i nomi appartenenti alla magia cristiana, vennero introdotti dalla demonologia cristiana; e si diffusero, non più tardi del XV secolo, tra gli ebrei della Germania. Demoni come Astarot, Beelzebub (in molte forme) e i loro simili divennero elementi fissi negli incantesimi e negli elenchi dei demoni. Un sistema cabalistico dettagliato di demonologia si trova al tempo dell’espulsione dalla Spagna in Malakh ha-Meshiv di Joseph Taitazak. In questo sistema la gerarchia dei demoni è capeggiata da Samaèl, patrono di Edom, e Ammòn di No (Alessandria), patrono d’Egitto, che rappresenta anche l’Islam. Hayìm Vitàl parla di demoni composti d’uno solo dei quattro elementi, in contrasto con l’opinione di Nahmanides menzionata più sopra. Questa concezione ha probabilmente origine nella demonologia europea del Rinascimento. La Cabala d’Isaac Luria menziona spesso varie kelippòt (“gusci”) che devono essere domate mediante l’osservanza della Torah e le mizvòt, ma in generale non assegna loro nomi propri e non ne fa autentici demoni. Questo processo raggiunse il culmine in Sefer Karnayìm (Zolkiew, 1709) di Samson di Ostropol[1], che assegna a molte kelippòt nomi che non figurano in nessuna fonte antica. Questo libro è l’ultimo testo originale della demonologia cabalistica[2]. Qualche particolare: Secondo Isaac di Acri i diavoli hanno soltanto quattro dita e son privi del pollice. Il libro Emek ha-Melekh (Amsterdam, 1648) menziona i demoni chiamati kesilìm (spiriti “ingannatori”) che guidano l’uomo fuori strada e si fanno beffe di lui. Da qui deriva probabilmente l’appellativo lezìm (“buffoni”) che ricorre nella letteratura più tarda e nell’uso popolare per indicare il tipo inferiore di demoni, quelli che lanciano in giro i vari oggetti d’una casa (poltergeist). Dall’inizio del XVII secolo viene menzionato il demone chiamato Sh.D. (שד) cioè Shomer Dappìm (“guardiano delle pagine”): egli colpisce l’uomo che lascia aperto un libro sacro. Secondo una credenza popolare degli ebrei tedeschi, le quattro regione dei demoni governano le quattro stagioni dell’anno. Una volta ogni tre mesi, al cambiare della stagione, il loro sangue mestruale cade nelle acque e le avvelena; e si dice che questa fosse l’origine dell’antica usanza (geonica) che vietava di bere acqua al cambiare delle stagioni. Un posto speciale nella demonologia è assegnato alla regina di Saba, che era considerata una delle regine dei demoni e talvolta viene identificata con Lilith, per la prima volta nel Targum (Giobbe, cap. 1), e più tardi nello Zohar e nella letteratura successiva. Il motivo della lotta tra il principe e un drago, o rettile demoniaco, rappresentante il potere della kelippah che imprigiona la principessa, è diffuso in varie forme nella demonologia dello Zohar. Drago è il nome del re dei demoni, che è menzionato anche in Sefer Hasidìm. Secondo Hayyìm Vitàl, quattro regine dei demoni regnano su Roma (Lilith), Salamanca (Agrath), Egitto (Rahab) e Damasco (Na’amah). Secondo Abraham Galante, fio alla confusione delle lingue, n’esistevano due soltanto: la lingua sacra (l’ebraico) e la lingua dei demoni. La credenza nei demoni rimase una superstizione popolare presso alcuni ebrei, in certi paesi, sino al presente. La ricca demonologia di I. Bashevis Singer rispecchia il sincretismo di elementi slavi e giudaici nel folklore degli ebrei polacchi”.

G. SCHOLEM, La Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1982 (edizione originale: Gerusalemme 1974), pp. 325-327, corsivi in originale, grassetti miei.

 

La coscienza della forza immediata che promana dalle parole è ben presente ad Abulafia […]. Egli respinge però con assoluta fermezza ogni forma di magia e di teurgia pratiche. […] La magia intesa come qualcosa di non comunicabile, che prue s’irradia dalle parole, è per lui un dato di fatto. Una dimensione di magia interiore che non ricorre nell’anatema che colpisce l’incantesimo, la magia pratica. È questa una magia esercitata dai profeti. I ‘segni’ che i profeti danno per legittimare la propria missione hanno a che fare con questa forza magica presente in essi. Chi, senza possedere il loro rango, si permette d’intervenire per così dire ‘tecnicamente’ sulla creazione, o finge d’esserne capace, cade nelle seduzioni delle scienze mantiche, della magia in senso corrente. Queste discipline – la ‘scienza dei demoni’ – non mancano di un fondamento reale, ma rappresentano una falsificazione, un involgarimento della vera mistica, piegata qui a fini puramente esteriori. In linea di principio la magia è possibile, ma va condannata, e il mago è maledetto. Egli si è votato non al Signore, al dominus, bensì al diavolo, al daemon. Per Abulafia il Satana rappresenta la materialità della natura, e il cabbalista, che riconduce la natura ai suoi fondamenti spirituali, lo detronizza”.

ID., Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Adelphi Edizioni, Milano 1998/2010, pp. 87-88, corsivi in originale [*].

 

 

 

Strumento fondamentale dell’astrologia sono i nomi delle costellazioni […] L’astrologia, basata sulla reale osservazione del cielo, faceva dipendere l’influsso astrale sulla vita degli uomini da queste condizioni di visibilità e dalla posizione reciproca degli astri. Ma a partire dall’alto Medioevo, l’indagine del cielo passa progressivamente in secondo piano lasciando il posto ad un culto primitivo dei nomi astrali [“primitivo”!? ma se proprio Warburg ha dimostrato QUANTO COMPLESSA sia stata la stratificazione – che ha implicato, fra l’altro, PIÙ CIVILTÀ – delle “immagini astrali”!]”, A. WARBURG, Astrologica. Saggi e appunti 1908-1929, Einaudi editore, Torino 2019, con un saggio introduttivo di M. Ghelardi, p. 32, corsivi in originale, grassetto mio, mie osservazioni fra parentesi quadre. Naturalmente, Warburg dà questo giudizio sull’astrologia: “Per secoli e fino ai giorni nostri gli uomini sono stati affascinati da questi erronei sillogismi pseudomatematici”, ibidem, corsivi miei. Lo preciso perché non si creda ne fosse un fan … per lui, era solo studio dell’iconologia, uno studio che non doveva coinvolger in alcun modo; anzi, era sostanzialmente contro di essa (“erronei sillogismi”, li chiama – **non son** “sillogismi”, prima cosa –; e “pseudomatematici”, idem, la matematica è un calcolo, ma è l’interpretazione il punto, ed essa, colla matematica, non ha niente a che vedere.

L’indiano Varāhamihira (VII secolo), autorità alla quale Abū Ma‘shar fa riferimento senza nominarla, nel suo Brhajjâtaka menziona giustamente come primo decano  dell’Ariete un uomo con una scure bipenne”, ivi, p. 40, corsivo in originale.

Il cielo greco delle stelle fisse costituiva lo strato inferiore sul quale si era depositato il sistema di culto dei decani di derivazione egizia. Quest’ultimo era stato coperto a sua volta dallo strato emerso dalla trasformazione mitologia indiana, che probabilmente, attraverso la mediazione persiana, era transitata nella cultura araba solo dopo che la mediazione ebraica aveva sovrapposto un ulteriore residuo, il cielo greco si era riversato, grazie all’intermediazione francese da cui era scaturita la traduzione latina di Abū Ma‘shar di Pietro d’Abano, nella monumentale cosmologia del primo Rinascimento italiano, in particolare nelle trentasei figure enigmatiche della fascia mediana raffigurate a Ferrara”, ivi, p. 42. Tutt’altro che “primitivo”, non è vero …?

L’inadeguatezza e l’universalità delle categorie evoluzionistiche  hanno impedito fin qui alla storia dell’arte di mettere il proprio materiale a disposizione di una ‘psicologia storica dell’espressione umana’ […]. Con il mio tentativo d’interpretare gli affreschi di Palazzo Schifanoia mi auguro di aver mostrato che un’analisi iconologica può rischiarare una singola oscurità ed insieme illuminare nella loro connessione le grandi fasi dell’evoluzione. Certo, un metodo simile non si può far intimorire dal controllo poliziesco dei confini, ma deve considerare l’Antico, il Medioevo e l’Evo moderno come un’epoca indissolubile”, ivi, p. 63.

Verso la metà del XIII secolo alla corte di Alfonso X il Saggio di Castiglia (1221-1284) la Sphaera barbarica fu oggetto d’un risveglio a nuova vita sorprendentemente forte, poiché i dotti ebrei ed arabi, su richiesta del re, raccolsero e tradussero i resti dell’enciclopedia ellenistica filosofico-naturale. Toledo fu il luogo riconosciuto e il punto di partenza per l’ulteriore diffusione in Europa di questo testo. La magia stellare ellenistica, la medicina, la profezie e la descrizione stellari sopravvivono tuttora in manoscritti miniati che conservano e risvegliano la saggezza mistica pagana e la relativa pratica, attraverso una sorprendente fedeltà materiale anche se in una forma esteriore sommamente anticlassica”, ivi, p. 80, corsivi in originale. Nella forma esteriore “sommamente anticlassica” vi è il contributo effettivamente “barbarico” ed alto medioevale.

Benché finora si sia trascurato, nel manuale magico arabo detto Picatrix, che per la magia del basso Medioevo ha lo stesso significato di Abū Ma‘shar per l’astrologia, i decani so descritti esattamente come nell’autore arabo. Il primo foglio dell’illustrato Astrolabium planum di Pietro d’Abano dimostra in modo evidente l’identificazione di Perseo con il primo decano dell’Ariete”, ivi, p. 336, corsivi in originale. “Il passaggio dal sacrificio umano a quello animale è tra i primi sintomi nel rituale di quelle religioni che, evolvendosi, superano il cerimoniale sanguinario. L’uomo con al scure bipenne non è altro che l’officiante che intende condurre al sacrificio un grosso animale, per esempio un bue. Boll e Pezold nella loro ultima ricerca in comune han dimostrato che tali figure appartengono alle forme di culto più antiche dell’Oriente. L’uomo con la scure e con la veste succinta, che possiamo legittimamente definire grembiule da sacrificio, si può ritrovare in descrizioni cuneiformi di dèmoni. L’ augurium fa parte del sacrificium. Le viscere dell’animale, in particolare il fegato, erano utilizzate dai Babilonesi a scopi divinatori in modo apparentemente incomprensibile [per Warburg, ovviamente anche per i moderni poiché presuppone una “cosmologia” BEN DIFFERENTE da quella moderna]”, ivi, p. 344, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. L’ “epatoscopia” era utilizzata molto anche dagli Etruschi (tra l’altro lo notava di seguito lo stesso Warburg: cf. ivi, pp. 348-349) e, dagli Etruschi, passò poi anche agli antichi Romani.

In nota, aggiunta ma non pubblicata, nota non pubblicata che poi han recuperato, si legge: “24 settembre 1926 - […] La scure bipenne di Teucro sperimenta una restituzione di tipo archeologico. La Sfinge sperimenta invece nel monstrum un Rinascimento demoniaco. Lotta con il monstrum - Sguardo sulla tragedia - altare - Altare con la Sfinge”, ibid., corsivi in originale.

 

Nella presa che Perseo fa della testa di Medusa l’energetica impavidità dell’umanità eroica trova la sua più illuminante impronta simbolica. La presa della ciocca della Fortuna […] è solo un modo di giocare più mite rispetto alla stessa immagine turbolenta dell’assalitore  (fig. 95). Velis-Nolisve. Con ciò un papa [Pio II (Enea Silvio Piccolomini), 1458-1464, papa “umanista” per eccellenza, nativo del bel borgo di Pienza] ha caratterizzato l’archetipo del condottiero (Alfonso). Certo, la figura di Perseo appare qui mal posta poiché la Fortuna, vale a dire la dea del vento con la vela, è sottratta, attraverso questa ruvida presa, alla sua staticità in quanto reggitrice della vela”, ivi, pp. 353-354, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. Trattasi del recto d’una medaglia di Cornelio Agrippa, quel C. Agrippa che fu anche un ben noto mago.

 

Ganimede identificato nella leggenda con l’Acquario = Giove.

Uno dei nostri fossili-guida, vale a dire il demone acefalo [come quelli di note “storie medioevali” e come – anche, IN PARTE – le “stirpi di Gog e Magog” …], è posto sotto il segno dell’Acquario ed è un simbolo certo per la connessione con la Sphaera barbarica, visto che si trova nella collezione più importante nell’edizione a stampa dell’ Astrolabium di d’Abano”, ivi, p. 88, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. “L’ellenismo astrologico di Pietro d’Abano, la sua magia medica e la sua astrologia divinatoria, che egli ha inserito nel suo Conciliator [quel Pietro d’Abano tanto apprezzato da “Ludwig” …], sopravvissero come indiscussa autorità, in particolare alla corte d’Este fino agli inizi del XVI secolo. Grazie a lui il principe e la società di corte utilizzarono ancora una volta la traduzione e le citazioni di Abū Ma‘shar che, attraverso d’Abano, era ritenuto una sorta di oracolo vivente in tutte le questioni d’astronomia. Lionello d’Este (come un vecchio sapiente) indossava ogni giorno i corrispondenti colori dei pianeti. Pietro Buono Avogaro, uno degli astrologi di corte, nel 1498 decretò che si usasse per la grave gotta di cui soffriva Lorenzo il Magnifico una cura con una pietra ermetica miracolosa, e nei suoi Prognostica, che ogni dettava per la corte ferrarese, citava sempre chiaramente Abū Ma‘shar come autorità fondamentale”, ivi, p. 92, corsivi in originale.

Quest’ ‘ascesa dell’anima’ è da ritenere geneticamente alla stregue di una gnosi ludicamente degenerate, come del resto accade in generale nel gioco infantile con i dadi [da non dimenticare: simboli di Dioniso … ] che sotto quest’aspetto non è stato studiato. Così, ad esempio, nel Gioco dell’oca e in quello delle scimmie, tuttora in voga [Warburg sta scrivendo all’inizio del sec. XX], devono esser superati il labirinto e gli ostacoli cui corrispondevano nella realtà prove molto più crudeli legate ai riti iniziativi orientali dei misteri. Devo rinunciare ad approfondire i dettagli e sottolineare solo che in tutti questi libri delle sorti dev’essere attraversato il regno dei dèmoni dei sette pianeti che nella gnosi ha una funzione dominante, e che questi testi includono animali in quanto regnanti delle sfere”, ivi, p. 96: il gioco dell’oca.

Nel Rinascimento, Roma intese subentrare al lascito di Atene escludendo Alessandria. Ma ciò richiese un sacrificio che l’indistruttibile primitivo uomo [concezione sbagliata di Warburg e del suo tempo, queste sono cose da “uomini ‘primitivi’”] copie solo malvolentieri [difatti la cosa è stata solo in parte attuata], vale a dire la rinuncia all’abuso [perché abuso? vi era, certo, anche l’abuso, ma pure il “semplice” uso] delle immagini degli dèi astrali al fine di finalità mediche e d’ interrogazioni del destino [queste continuate, quelle sulla medicina quasi sparite] oroscopiche o delle sorti [due cose diverse, spesso legate, ma non identiche”, ivi, p. 103, corsivi e grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. Ma NON è stato possibile “cancellar ‘del tutto’ Alessandria”, per dirla con Warburg, per quanto, però, l’abbiano davvero voluto! … ed alcune basi dell’occultismo “alessandrino”, tra l’altro, sono giunte sino a noi (nella tradizione dell’ “occultismo” che suol definirsi “occidentale”); certo, modificate, cambiate, spesso alterate, ma NON del tutto scomparse.

Infatti: “La religione astrale, nata a Babilonia, si diffuse in tutto il mondo romano a partire dall’inizio della nostra èra per diventarvi predominante nel III secolo”, F. CUMONT, Lo Zodiaco, Adelphi Edizioni, Milano 2012, p. 50.

Inoltre poi: “Il trionfo del cristianesimo, abolendo il culto rivolto alle immagini delle dodici costellazioni e mettendo al bando la divinazione che faceva oggetto di devozione, avrebbe dovuto […] escluderle dall’arte. Ma tutte le figure del ciclo cosmico che il paganesimo ormai in declino, nel suo divinizzare la natura intera, aveva riprodotto a profusione furono adottate dal cristianesimo, benché in realtà fossero contrarie al suo spirito, e le rappresentazioni dello zodiaco, come quelle del Cielo del Sole e della Luna, dei Venti, delle Stagioni e degli Elementi, continuarono a moltiplicarsi. La ragione è che, se pur s’era smesso di pregare gli astri dispensatori di benefici e sventure, si continuava a credere al sistema di Tolomeo e a una sfera di stelle fisse, nella quale i dodici segni segnavano il percorso del Sole e degli altri pianeti. Se l’astrologia fu condannata dalla Chiesa, non comparve però d’un tratto per effetto dei suoi anatemi. Essa aveva avuto un qualche ruolo nella redazione dell’Apocalisse”, ivi, pp. 62-63. La chiara manifestazione di tale “assimilazione” cristiana la si vede nella corrispondenza tra i 12 apostoli e i 12 segni zodiacali, cf. ivi, pp. 64-65. Inoltre, nella nota finale 242 (a p. 118), Cumont – citando a sua volta Boll (che lo stesso Warburg, anche lui, citava) – rileva la corrispondenza tra le 12 porte della Gerusalemme celeste (nell’ Apocalisse di Giovanni) e i dodici segni zodiacali, a loro volta legati alle 12 pietre preziose.

Il tentativo – da parte di “Roma” – di “prendersi ‘Atene’” senza corrispettivamente prendersi Alessandria è, parzialmente, fallito, cioè ha – sempre parzialmente – avuto successo. Solo in parte ha, però, avuto successo.

Mi spiace signori, mi spiace: se vi prendete Atene, vi prendete anche, un po’, anche se solo un po’, di Alessandria (d’Egitto) …

Il fatto che di “Atene” NON potete farne a meno, ma vi “tocca”, ahi voi, anche un pochettino, cioè solo un PO’, d’Alessandria …

 

@i

 

 

[*] Ciò non toglie che, proprio questa magia “pratica” – di seconda scelta, per così dire, nonché “falsificante”, secondo Abulafia –, sia stata spesso al centro della “Cabbala pratica” sia in ambito ebraico sia cristiano-ebraizzante.

 

 

 



[1] Oggi Ostropil, in Ucraina occidentale, sul fiume Sluch.

[2] Datato al 1709, cioè piuttosto tardo dunque.

 

1 commento:

  1. La nota 1 di dimensioni maggiori (qui sopra) non è voluta: ho sperimentato questo formato, ma dà qualche problema. Questo post rimane com’è ma, per quel che riguarda il formato html, si ritorna dunque alle note scritte (n) e poi sviluppate sotto in carattere minore. Per il formato pdf, invece, si continua così come ora.











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