mercoledì 22 maggio 2024

Copertina 8 – La vecchia edizione di “Dimenticare Foucault” – Reminder 17 – Serie cinquantenario 2 (libri), 1974-2024

 

 

 

 

 

A partire dal momento in cui essa [quella che Garaudy chiamava “integrazione della scienza e della tecnica nel processo di produzione del capitale”] vi contribuisce il cambiamento della composizione organica del capitale non porta più necessariamente alla caduta del saggio di profitto [cioè lo schema “originale” marxiano]. Il capitalismo non morirà dunque per un gioco di contraddizioni puramente economiche”.

R. GARAUDY, Karl Marx, Casa Editrice Sonzogno, Milano 1974, p. 194, grassetti miei, miei osservazioni fra parentesi quadre.

 

Si comprenderà più chiaramente tutto questo profondo significato se consideriamo il il posto che l’aquila occupa nella cosmologia e mitologia indiane. In esse, l’uccello regale si presenta come l’immagine o la rappresentazione sensibile del «Grande Uccello del Tuono» (Wakiniyan-Tanka), animale sovrannaturale, nascosto tra le nubi temporalesche; produce i raggi con gli occhi e i tuoni con il battere delle sue gigantesche ali (conviene qui notare che, nelle antiche mitologie, sia il tuono che il raggio son considerati figli del Sole). Quest’ Uccello del Tuono, che è l’ «incarnazione» della voce del Grande Spirito e che è accompagnato da numerosi spiriti minori, in orme di aquile e falconi, viene ad essere, osserva Schuon, la rappresentazione di Dio nel Suo aspetto di di verità che si rivela; aspetto questo che resta contenuto nei segni del tuono e del raggio [e della freccia]”.

A. MEDRANO – F. SCHUON, L’Aquila e il Corvo. Nel mondo degli uomini rossi, Edizioni Ar, Parma 1979, pp. 16-17, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre[1].

 

Apollo saettante

C’è un aspetto fondamentale di Apollo che non traspare nella dottrina di Nietzsche, quello del dio terribile, saettante, imprevedibile, lontano, vendicativo, annientatore, selvaggio dominatore e sterminatore dei lupi. Così lo presenta Omero al suo apparire all’inizio dell’ Iliade: «si levò tremendo lo strepito dell’arco d’argento». Nietzsche non ha visto il licio dall’arco assordante, l’asiatico, come non ha visto l’Iperboreo estatico, sciamanico, venerato da Pitagora. L’aspetto solare, il fulgore della luce, lo splendore dell’arte, un carattere forse posteriore di Apollo, è stato messo in primo piano da Nietzsche. In tal modo gli è sfuggito, sotto l’aspetto dell’invasamento, della possessione mistica, il legame vitale tra Apollo e Dioniso, e sotto l’aspetto della contesa, della sfida, della perfidia, dell’enigma, il collegamento tra l’origine apollinea e la fioritura del logos, l’arma suprema della violenza, la freccia più mortale scagliata dall’arco della vita [“arco” e “vita” son omofoni in greco]”.

G. COLLI, Dopo Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1977, p. 40, corsivi in originale, grassetto mio, miei osservazioni fra parentesi quadre.

 

Alla luna han consacrato un toro che chiamano Apis, nero anch’esso più degli altri, recante i segni del sole e della luna, poiché anche la luce della luna viene dal sole. Segno del sole sono la nerezza del corpo e lo scarabeo sotto la lingua; simbolo della luna il semicerchio e la gibbosità”.

PORFIRIO, Simulacri, Adelphi Edizioni, Milano 2012, p. 105.

 

Bisognava […] essere stati capaci di esplorare il futuro, se si voleva ricordar più precisamente il passato. Il vecchio crea da sé, con sublime sfrontatezza, la propria leggenda: egli è quel «discipulus quem diligebat Jesu» (Io 21.23), e di cui non a caso, non a caso! gli altri condiscepoli sussurravano che non sarebbe mai morto («Exivi ergo sermo iste in fratres quia | discipulus ille non moritur» (Io 21.23)). Quando Giovanni scrive di sé queste frasi ha circa novant’anni: forse cominciava a pensare anche lui che la mormorazione degli altri apostoli si sarebbe avverata –, si stava avverando. In quest’ eccezionale confluenza di fattori diversi ma convergenti – esilio, persecuzione, isolamento, disperazione, vecchiezza – nasce l’ Apocalissi di Giovanni. E in conseguenza di quest’eccezionale confluenza l’opera prende il suo inconfondibile, anzi unico ed irripetibile aspetto, che riassumeremo sinteticamente in questo modo: ἀποκάλυψις significa in greco, com’è noto, «rivelazione». Il titolo greco è conservato, con l’adattamento della traslitterazione, anche nella vulgata latina, a testimonianza dell’autorevolezza e dell’imprescindibilità ormai già allora acquisita da tale «parola». Nelle lingue moderne non c e n’è una che, con i dovuti aggiustamenti, non abbia conservato nell’essenza tal titolo. ’Aποκάλυψις è dunque una di quelle «parole»  che impongono agli uomini il proprio senso e la propria storia, invece di farsene imporre altri dal senso e dalla storia di altre parole. Ora, è precisamente per l’uso fattone da Giovanni, e per l’accentuazione drammatica messa fin dall’inizio, – quasi in epigrafe, – dall’Apostolo sulla portata e sui «tempi» del messaggio da lui lanciato, – «Apocalypsisi Jesu Christiquam | dedit illi Deus palam facere servis suis | quae oporter fieri cito» (Ap 1.1), – che il senso originario della parola, – «rivelazione» – si è trasmutato in quello di profezia, illuminazione catastrofica o, appunto, «apocalittica». Solo gli studiosi potrebbero usar fra loro il termine «apocalissi» nel senso originario di «rivelazione»: la maggior parte della gente, quando sente parlare di apocalissi, pensa alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki o ai campi di sterminio nazisti.

C’è una sapienza riposta immensa in questa semplice storia di parole. Essa significa che il «senso» impresso da Giovanni su tal termine ha prevalso su quello precedente. Ma neanche l’Apostolo sarebbe riuscito in tale impresa [enorme davvero], se non ci fosse stata una congenita quanto oscura parentela fra «apocalissi»  e «rivelazione» [ed È così]. Giovanni è una Sfinge cristiana […]. Nella tradizione veterotestamentaria, Isaia e Geremia, Qôhelet, fanno da battistrada, da profeti del profeta (tutti insieme, poi, si sforzano o di anticipare o di seguire la voce profetica più possente che sia mai risuonata sulla faccia della terra, quella del Cristo). Giovanni riprende la loro lezione, ma al rilancia in una sterminata dimensione extratemporale, che solo la sua duplice e contraddittoria natura [era un “gemello” in tal senso], che è dichiaratamente giudaico-cristiana [sì, nessun dubbio a tal proposito], gli consente di attingere. La sua non è una «profezia» circostanziata nel tempo e nello spazio, non riguarda né al sorta d’Israele, né, stricto sensu, quella del popolo cristiano [così È, ma pochi riescono a vederlo]. La sua è una profezia che riguarda tutto e tutti dal peccato originale alla fine dei tempi [nb]. Ora, è estremamente significativo che non appena Giovanni entra in estasi – o esce fuori di sé, se si preferisce («fui in spiritu in dominca die», Ap 1-10) –, quest’occhio universale gli mostra il dispiegamento di una serie infinita ed irrimediabile di catastrofi, – «apocalypsis» = «rivelazione» gli diventa subito «rivelazione» = «apocalypsis» = apocalissi = catastrofe. Non mi consta che ci sia mai stata un’ «apocalissi» («rivelazione») ottimistica. Questo significa, dunque, che «guardare» significa sempre «vedere l’apocalissi» e che non «si vede» veramente, se non si scorge l’apocalissi? La risposta è che bisogna guardare in faccia l’apocalissi, per scorgere, sia pur […] frettolosamente […] in un vorticoso caleidoscopio, schegge, frammenti, particole di verità. Giovanni, di sicuro, ha percorso coscientemente questa strada. E quel che n’è risultato è, sostanzialmente, l’irrimediabilità della condanna umana, – se si esclude il Giorno Finale, che tuttavia potrà esserci veramente soltanto se noi penseremo, fermamente penseremo, che ci sia. E questo è tutt’altro che assodato [ma per niente proprio!!], perché le volontà umane sono notoriamente deboli e tanto più lo sono quanto più esse si allontanano dalla felice ingenuità primitiva e vanno verso il moderno scetticismo. Possiamo forse accontentarci di dire che chi non vede o non intende l’Apocalissi [il nome loro è oggi legione …], – presente o sempre prevedibile –, vede meno la verità [nessun dubbio a tal proposito]. Questa è la verità di Giovanni”.

A. ASOR ROSA, Fuori dall’Occidente. Ragionamento sull’ «Apocalissi», Einaudi editore, Torino 1992, pp. 20-22, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni poste fra parentesi quadre.

 

 

 

Copertina di: J. BAUDRILLARD, Dimenticare Foucault, Casa editrice Cappelli, Bologna 1977.  (Curiosità, COPIA N° 2557)

 

 

Vi è poi l’edizione successiva: J. BAUDRILLARD, Dimenticare Foucault, PGreco Edizioni, Milano 2014, che poi viene citata in Impolitiche Considerazioni (1) anche – ma non solo – riguardo al problema del “fascismo” …

 

Due link sulle prossime, ormai, elezioni europee – e si tenga ben conto che trattasi di link di DIECI ANNI fa!, cf.

https://bakerstreetirregularfightclub.blogspot.com/2014/04/europa-dalla-decadenza-al-declino.html,

cf.

https://bakerstreetirregularfightclub.blogspot.com/2013/04/la-liberta-occidentale.html.

 

 

@i

 

 

(1) Copertina d’ Impolitiche Considerazioni,

https://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/wp-content/uploads/2023/06/impolitiche-con.jpg 

 

 

 



[1] In nota, vi si legge: “Nella Bibbia la rivelazione a Mosè sul Sinai è annunciata da tuoni, lampi e una nube densa sopra il monte (Esodo, XIX, 16). Nel cristianesimo, San Giovanni Evangelista — il più aristocratico degli evangelisti, come diceva Rosenberg — il cui simbolo è l’aquila, è chiamato «Figlio del Tuono» [non da solo però, perché “figli del tuono” eran detti Giovanni e Giacomo, i “figli di Zebedeo”, cioè,  come li chiamava Gesù, i “boanergès”]”, ivi, p. 17, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.

 

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