sabato 28 novembre 2020

Ripubblicazioni, 1

 

 

 

 

 

Due Brevi Osservazioni sulla reggia sita in

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

Due brevi osservazioni sulla Reggia “in” Caserta.

Caserta vive sempre nella “colpa” di “non essere come gli altri capoluoghi”, quando invece dovrebbe trasformarlo in forza. E’ verissimo che la Reggia è un punto di debolezza, è vero che essa ha bloccato tante cose, ma Caserta non sarà mai come gli altri (Capoluoghi): se esco alla Stazione ferroviaria lo vedo quasi ogni giorno la ragione per la quale non potrà mai essere “come gli altri”, quel gigantesco “casermone”, come lo chiamavano in molti. E  non c’è niente da fare. Si tratta di rendere un punto di forza quel ch’è un punto di debolezza: Caserta si deve “giustificare” di “avere” una Reggia (cioè che un palazzo di quelle dimensioni insista su di un territorio debole, che non può supportarlo, questo è il nodo), e, ancor peggio, un palazzo reale della dinastia perdente, questo particolare non è insignificante, perché non fosse stato borbonico matematico che il destino sarebbe stato ben diverso. Si giustifichino gli altri. Il modello settecentesco è stato perdente nella modernità occidentale: vero; dico occidentale perché altrove non si è avuto lo stesso decorso, e tuttavia quei paesi son indiscutibilmente moderni. Il che significa che ci sono diverse vie nella modernità. La storia ha poche, ma davvero pochissime cose può insegnarci. Una è questa: che spesse volte se il perdente sa trasformare la sua debolezza in punto di forza, può migliorare la sua situazione. Detto in altro modo: non vi è un valore fisso quanto a modalità di “successo storico”. Uno stesso fattore può indicare debolezza e forza, in dipendenza di fattori di luogo e, ancor più, di tempo. 

A questo punto vediamo come la cattiva relazione fra Caserta e Reggia sia molto vecchia, riportando un passo d’uno storico d’altri tempi. “Mezz’ora prima di raggiungere Napoli, la ferrovia romana si ferma per pochi minuti a Caserta. Da giardini visibili o nascosti un effluvio di fiori d’arancio [così era: oggi solo smog e polveri sottili] assale il viaggiatore, mentre guarda con meraviglia la possente facciata barocca di uno splendido castello nell’immediata vicinanza della stazione. Se il viaggiatore non conosce il paese, non suppone che questo castello, siile a un gigantesco scenario [corretta percezione del suo lato barocco, ma barocco nell’epoca dell’assolutismo] nasconda quasi al suo sguardo tutta una città piena di vita [l’essenza della ricorrente accusa, “in soldoni”, questa è]; egli pensa fuggevolmente alla dinastia ora scacciata che più di cinquant’anni or sono fece erigere questo lussuoso edificio; non si ferma, ma continua impaziente il suo viaggio verso la grande Napoli. Il palazzo di Caserta invece merita una vista. Alla fine del XVIII secolo fu considerato il palazzo più grandioso e più bello d’Europa, ed ancor’oggi [sic] rispecchia l’ultima epoca della monarchia soluta: la dinastia borbonica. Tutte le residenze regali famose per la loro grandezza e magnificenza appartengono ad epoche anteriori alla rivoluzione francese”, F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, vol. 4 Campania, Sicilia, A.T.E. Avanzini e Torraca editore, Roma 1968, p. 135, miei commenti fra parentesi quadre, cap. “Il castello dei Borboni a Caserta” (1866, si noti la data …). Il giudizio di Gregorovius non fa che riecheggiare quello di Goethe: “Quando Goethe visitò Caserta, dove si fermò due giorni, vi trovò Hackert intento a dipingere per incarico del Re, mentre Tischbein era occupato a dipingere il ritratto delle bella Miss Emma [la moglie di Sir William di Hamilton, poi, dopo la scomparsa di Hamilton, ben più anziano di lei, sposata con l’ammiraglio Nelson]. Il suo giudizio sul palazzo fu perfettamente giusto; egli lo trovò enorme, maestoso, regale, ma privo di vita e disagevole con tutti i suoi locali vuoti. Allora molte parti interne erano appena in costruzione; alcune oggi sono rimaste persino incompiute”, ivi, pp. 138-139. Non è del tutto vero il giudizio di “troppo razionale”, perché ha pure un senso cosiddetto “esoterico” – sarebbe più corretto dire “occulto” – come altri palazzi dell’epoca, soprattutto i guardiani, con le loro geometrie di chiara origine massonica, Massoneria diffusa tra le maestranze e i progettisti, evidentemente.

Ma vediamo quali “pareri” raccoglieva, nel lontano 1866, Gregorovius: “In Caserta domandai cosa s’intendeva fare di questo gigantesco castello e la risposta metteva tutti in imbarazzo. I rivolgimenti italiani hanno avuto come conseguenza che un gran numero di edifici, alcuni dei quali colossali, sono rimasti vuoti, senza destinazione e sono caduti in mano al fisco”, ivi, p. 139, corsivi miei. E, dal 1866, a Caserta son ancora “in imbarazzo” al riguardo del Palazzo Reale borbonico, di proprietà statale (non la gigantesca piazza d’armi antistante, la seconda dopo piazza San Pietro a Roma, quisquilia del tutto trascurabile, stando a Caserta …) e della sua dépendance di San Leucio. Dal 1866 son passati ben cento cinquanta quattro lunghi anni, e l’imbarazzo continua …! In tanti anni non son stati capaci di pensare ad altro che questo palazzo sia una sorta di “jattura”, salvo che si debba “fare la ruota” con gli straneri …

Tra l’altro, l’autore appena citato dimostra come a Roma, nel XIX sec. vi fosse Pulcinella!, cf. ivi, vol. 2, pp. 98-99. Si tratta della recitazione delle marionette in piena Piazza Navona, una parte bellissima da leggersi, come pure le seguenti narrazioni del teatro normale, non di marionette, anche in Piazza Navona, che dà proprio quel gusto popolare romano buffonesco e “sapido”, come pure i brevi cenni sulla parlata che trasforma tutto in cosa ridicola, secondo Gregorovius, dove le “elle” che diventano delle “erre” singole ed altre trasformazioni che, ad un tedesco, parevano divertentissime, come se uno dicesse il Faust in basso tedesco, dice Gregorovius. Il “basso tedesco” è il “plattdeutsch”, per chi sa cos’è … Sostiene Gregorovius di aver visto Pulcinella a Piazza Navona, ed era una maschera ben diffusa nella Roma del tempo. Secondo lui, l’origine della maschera del Pulcinella, sia in Napoli che in Roma, era spagnola … Riporto solo la cosa, senza commentarla. Ma è molto interessante. Non mi consta nessuno abbia raccolto quest’osservazione dell’autore citato, che gli risulterebbe da notizie giuntegli dalla Spagna. Mettiamo il condizionale, formula dubitativa …

Su Hackert, cf. Il paesaggio secondo natura. Jacob Philip Hackert e la sua cerchia, Artemide Edizioni, Catalogo della mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1994.

Il Giardino Inglese della Reggia nasce dagli stimoli proprio di Hamilton, cui fu affidato dalla regina il compito di progettare il Giardino “all’inglese”, come si diceva, cf. Il giardino inglese della reggia di caserta, Electa, Napoli 2004, le minuscole sono nell’originale. Le copertine di tali due testi le si può vedere qui, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/06/copertine-di-hackert-giardino-inglese.html. 

Sul Giardino Inglese: il giardino “all’inglese” veniva detto, più correttamente, “giardino di paesaggio”, cf. G. Chierici, La Reggia di Caserta, Libreria dello Stato, Roma MCMLXIX (in 1000 esemplari), pp. 83-85.

Sugli interessi di Goethe, ma, seppur in modo molto minore, anche di Hackert sul lato poco “razionale”, vi è un passo poco noto: “Alla fine della primavera dell’anno 1777, quando gran parte del mondo viveva in pace, un giovano gentiluomo inglese faceva un giro della Sicilia a scopi estetici e di studio. L’isola era alquanto fuori dal consueto percorso del ‘Grand Tour’; Richard Payne Knight (1751-1824) sperava di farsi un nome con quadri e descrizioni dei resti antichi. Era accompagnato da altri due signori. Quello più anziano era Philip Hackert, un pittore tedesco, e l’altro era l’allievo del pittore, il dilettante inglese Charles Gore. I due artisti facevano schizzi sul posto per poi dipingere acquerelli dell’arcipelago di Lipari, del vulcano di Stromboli e dell’Etna, dei ruderi di Segesta, di Agrigento e di Siracusa. Knight teneva un diario, arricchito d’erudizione classica. Il diario passò da Gore nelle mani del suo amico Johann Wolfgang Goethe, che avrebbe seguito un percorso simile dici anni dopo”, J. Godwin, L’illuminismo dei teosofi. Le radici dell’esoterismo moderno, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2009, p. 25. Nel corso di quel percorso, Goethe giunse a visitare la Reggia di Caserta, per incontrare proprio Hackert. La sua – di Goethe – opinione sulla Reggia è stata sunteggiata dal passo di Gregorovius, qui sopra. Il libro di Godwin dovrebbe distinguere più nettamente fra “esoterismo” ed occultismo, che, poi, è il tema dominante del testo, che, nonostante quest’errore, ha comunque un lato interessante. R. Payne Knight, che condivideva le ben note, forzate posizioni di Gibbon – all’epoca molto diffuse –, era, proprio per questo motivo, interessato ai “misteri” dell’epoca tardo antica, e nel libro vengono citati sia Hamilton che sua moglie, Emma, cf. ivi, p. 28. Spesso questi interessi sui “misteri” viravano in realtà verso l’interesse per sopravvivenze “pagane”, fra le quali vi era il culto di Priapo; ed anche se Hamilton aveva poco materiale in tal senso, poiché il suo interesse, in sostanza, non aveva che un fine antiquario e di “curiosità”, curiosità che oggi si direbbe “antropologica”, in effetti l’interesse per questi temi era stato sollecitato dalle recenti (all’epoca) scoperte a Pompei, scoperte che attiravano molte persone, sempre nell’ambito del Grand Tour. Proprio al riguardo di questo culto di Priapo e riguardo alle sopravvivenze “pagane” nel mondo cristiano, vi è un passo interessante: “Nel 1781, [Hamilton] seppe della festa dei SS. Cosma e Damiano che si celebrava nella remota città di Isernia, in Abruzzo [in realtà, in quel tempo era parte del Contado del Molise], in cui gli ex voto in cera, raffiguranti i genitali maschili, venivano portati in chiesa, soprattutto dalle donne, che poi li dedicavano con baci, presumibilmente recitando preghiere per una gravidanza felice. Nella stessa festa coloro che soffrivano di malattie ai genitali facevano benedire gli ex voto direttamente dal prete. Colpito dalla notizia della sopravvivenza del culto di Priapo, il dio romano della fertilità, Hamilton fece il pellegrinaggio ad Isernia nella speranza di assistere alla cerimonia. Nel frattempo, però, il rito era stato soppresso da un vescovo troppo zelante, e il turista deluso dovette accontentarsi dell’acquisto di alcuni oggetti in cera, noti con il nome eufemistico di ‘ditoni’ [sono ancora in uso, seppur assai poco, dei “falli apotropaici”, in tal senso simili nell’uso ma non nel significato del simbolo, alle corna, sempre apotropaiche].

Hamilton scrisse della scoperta al suo amico studioso Sir Joseph Banks, da tempo presidente della Royal Society; arrivò a Londra nel 1784 portando con sé i trofei d’Isernia, i quali,  a quanto si dice, ancora esistono da qualche parte del British Museum”, ivi, p. 30, mie osservazioni fra parentesi quadre.

I pezzi son visibili al British Museum, al link 

https://research.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.aspx?objectId=41139&partId=1.

La questione, in ogni caso, rimane controversa, cf.

https://www.molisenetwork.net/2019/09/26/isernia-lectio-magistralis-del-demologo-mauro-gioielli-tutta-la-verita-sul-culto-di-priapo/.

Sulla Reggia di Caserta e il suo simbolismo “esoterico” – di nuovo si abusa di questo termine, più giusto dire: simbolismo massonico ed arcadicocf. A. Meluzzi – T. Barzella, Culture esoteriche e significati nascosti. I segreti della Reggia di Caserta, Libraio editore, Milano 2019. Sulla copertina dell’opera, in effetti, vi un noto simbolo massonico (“squadra e compasso”) posto sulla foto, con effetti vari, di una delle note vasche, con prospettiva, del Giardino della Reggia. Per quel che riguarda la copia romana dell’Ercole farnese – che sta al Museo Archeologico di Napoli – cf. ivi, pp. 44-45, quello che sta proprio all’ingresso dello Scalone d’onore. Quest’Ercole vien anche detto, appunto, Ercole latino. Vicino a Caserta, nel suo spazio amministrativo locale, vi è una località detta, per l’appunto, proprio Ercole. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Apparso nel blog con il link:

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/02/due-brevi-osservazioni-sulla-reggia.html

Poi riapparso col link:

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/04/un-vecchio-link.html.

 

 

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento