giovedì 5 novembre 2020

“NON CI SON NOMI A SUFFICIENZA” … Un link (sul gemello di questo blog)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal momento che l’uomo è nato dal suono, la sua essenza rimarrà sempre sonora. Abbiamo visto come il canto di un tordo beffeggiatore, seduto all’uscita della caverna degli Hopi, avesse aggiunto al suono fondamentale di ogni individuo una melodia appropriata. Per mezzo di quella melodia, al neonato erano state assegnate una determinata lingua e tribù. Il canto che l’uccello attribuisce a ogni individuo è un canto di stato civile che legalizza il posto occupato dal suo possessore nella società.

Sulla terra non ci possono essere più uomini di quanti siano i canti o i nomi disponibili. Quando il repertorio dell’uccello (che è l’eroe civilizzatore) si fu esaurito, nessun uomo poté più uscire dalla caverna. Per questo i cacciatori di teste uccidono le vittime soltanto dopo averle costrette a confessare il proprio nome. Essendosi liberato un nome con la morte del suo possessore, essi possono darlo a uno dei loro figli, i quali, proprio per mancanza di nome, non hanno ancora potuto ottenere un posto legale nella società[1].

 

 

“Nei miti, il creatore vive a nord, dove regna la morte, e ‘viaggia’ verso est.

Il suo ‘avversario’, il transformer, risiede a sud e va verso ovest.

L’eroe civilizzatore si sposta da est a sud, mentre la strada del dio della guerra porta da ovest verso nord. I quattro personaggi si muovono seguendo uno svastika[2].

 

 

“Ma anche questo [nostro] mondo materializzato trae la sua forza dal suono puro dal qual è nato. Di conseguenza, la musica e le sue incarnazioni strumentali sono […] manifestazioni dello spirito. Ai difensori accaniti dell’interpretazione sessuale, si può solo ricordare il concorso artistico nel quale gli dèi contrapposero la loro arpa o il loro canto di luce […] al grido degli asini in calore. E giacché gli antenati si son nettamente decisi a dare la corona della vittoria agli dèi, perché oggi noi vogliamo metterla in testa all’asino?

Forse perché il coronamento della nostra epoca sarebbe l’incoronazione dell’asino?”[3].

 

 

 

 

Di seguito il link del titolo, dunque:

Cf.

https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2020/11/vulgus-vult-decipi.pdf. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PS.

 

“Bisogna riconoscere che i nostri tempi non sono favorevoli agli studi religiosi. Le energie creative s’inaridiscono, quando fra la difesa programmatica dell’esistente e la sua radicale negazione, fra la restaurazione ecclesiastica e la propaganda atea, fra servilismo e disprezzo non si dànno altre alternative; quando la parola tace, perché i pro e i contro d’una misera apologetica e di una critica quasi altrettanto misera si sono esauriti da tempo. E’ il dialogo […] a far della storia spirituale quello che è. Ma come può svolgersi un dialogo, se manca la materia sulla quale dialogare? L’indagine spregiudicata di quell’aspetto della realtà spirituale, che si cela in un’espressione ancor modesta, costituisce la premessa alla comprensione della storia religiosa […]. Ma come possono sorgere comprensione e valori, quando, presumendo di possedere incontestabili criteri di verità, ci si sente superiori a tutte le altre concezioni? Tutti siamo convinti che l’avvento di una nuova èra, nella quale speriamo […], deve aver inizio con la distruzione delle forme sorpassate. Se alla religione spetta davvero, nel processo storico, il posto che le fu attribuito un tempo, tale distruzione dovrà cominciare proprio nella sua sfera; per meglio dire, essa dovrà attuarsi là in modo più radicale ed energico che altrove. Ed anche di questo siamo convinti: che la nostra speranza deve sorgere e cadere con la capacità di trovare nuove basi religiose, invece d’integrare, come quasi sempre accade, le acquisizioni stimate definitive con altre della stessa origine” (Franz Altheim, Il dio invitto, Feltrinelli 1960, pp. 6-7, grassetti miei).

 

 

 

 

 

 



[1] M. Schneider, La musica primitiva, Adelphi Edizioni, Milano 1992, pp. 45-46, corsivi miei. E manchiamo di nomi sufficienti, oggi … 

[2] Ivi, p. 88, corsivi in originale. 

[3] Ivi, pp. 100-101, corsivi miei. In ogni caso, laddove si usa compiacere l’ignoranza più becera, più ottusa, siamo in presenza, davvero, di un mondo guidato “dalla testa d’asino” (chi ha orecchie per intendere intenda …)! Quando tale compiacimento lo si fa, poi, in nome dell’ “identità” – mero succedaneo della “tradizione” ma che, in qualche modo, dovrebbe avvicinarsi – allora siamo in presenza di qualcosa in più della semplice “ignoranza” …

“Ma ritorniamo agli animali simbolici del Set egiziano: c’è ancora il coccodrillo, che si spiega da sé, e l’ippopotamo, nel quale taluni han voluto vedere il Behemoth del Libro di Giobbe, e non senza ragione, per quanto questa parola (plurale di behemah, in arabo bahîmah) sia propriamente una designazione collettiva di tutti i grandi quadrupedi. Ma un altro animale che qui ha almeno altrettanto importanza, per quanto sorprendente ciò possa sembrare, è l’asino, e più specificamente l’asino rosso, che veniva rappresentato come una delle entità più temibili fra tutte quelle che doveva incontrare il morto nel corso del suo viaggio nell’oltretomba, o, quel che esotericamente è lo stesso, l’iniziato nel corso delle sue prove; non potrebbe essere questa, più ancora che l’ippopotamo, la «bestia scarlatta» dell’Apocalisse? In ogni caso, uno degli aspetti più tenebrosi dei misteri ‘tifoniani’ era il culto del ‘dio dalla testa d’asino’, al quale si sa che i primi cristiani furono talora falsamente accusati di ricollegarsi; abbiamo qualche ragione di pensare che, sotto una forma o l’altra, esso sia durato fino ai nostri giorni, e alcuni affermano addirittura che debba durare fino al termine del ciclo attuale”, R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi Edizioni (“Gli Adelphi”), Milano , p. 130, corsivi in originale. Probabilmente potrebbe davvero essere “più questa” …, tuttavia il fatto si è che ippopotamo – animale in Africa ben legato alla stregoneria – rimane un “animale di Set”, per cui le due cose non si escludono affatto

Riguardo alla “corona”, vi è un’altra questioncella “curiosa” – come si diceva in tempi “vintage”, o in tempi “d’antan” … –, “questioncella” curiosa sulla quale sarebbe cosa giusta e buona meditarvi suso (chi ne fosse ancor capace, chi ancora sfugge allo strillo quotidiano: infatti ho detto meditare o, almeno, rifletter, non strillare): “A proposito del duplice senso dei simboli, è da notare che il numero 666 non ha neanch’esso un significato  esclusivamente malefico; se è il «numero della Bestia», è anzitutto un numero solare, e, come abbiamo detto altrove, è quello di Hakathriel o ‘Angelo della Corona’. D’altra parte questo numero è dato pure dal nome Sorath, che è, secondo i cabalisti, il demonio solare [il “demone meridiano”, quello del mezzodì, pertanto il più potente], opposto in quanto tale all’arcangelo Mikael, e questo è in relazione con i due volti di Metatron; Sorath è inoltre l’anagramma di sthur, che significa «cosa nascosta»: si tratta forse del «nome di mistero» di cui parla l’Apocalisse [il libro: ecco un altro dei tanti indizi dati da Guénon, che avrebbe meritato ben altro approfondimento, ma son stati degl’indizi dati a degli addormentati]? Ma se sthur significa «nascondere», significa pure «proteggere» e, in arabo, la stessa parola satar evoca quasi unicamente l’idea di protezione, e spesso anche di una protezione divina e provvidenziale; anche qui, le cose sono quindi molto meno semplici di quanto non credano quanti le considerano unilateralmente”, ivi, pp. 129-130, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.

Su Apollo: “Sembra d’altronde il simbolismo di Oannes o di Dagon [il dio cananeo ricordato nella Bibbia, il cui altare Sansone – simbolo di Marte – poi abbatte, oltre che utilizzato da Lovecraft: in pratica è l’unico del cosiddetti “Grandi Antichi” ad avere basi dimostrabili (ed un indizio sull’origine degli “Antichi” stessi, in pratica potenti jinn di culti preislamici, “mescolati” con ex divinità ridotte a demoni, trait d’union fra tali due “categorie” che spesso si vede nella storia] non sia soltanto quello del pesce in generale, ma debba esser accostato più specificamente a quello del delfino; quest’ultimo, presso i Greci, era legato al culto di Apollo e aveva dato il suo nome a Delfi; ed è assai significativo che si riconoscesse pubblicamente la provenienza iperborea di tal culto. Quel che fa pensare che sia il caso di stabilire  un simile accostamento (che non risulta chiaramente indicato, per contro, nel caso della manifestazione di Vishnu [piccola chiave questa differenza, in ogni caso qui Guénon si riferisce al mito di Vishnu come Pesce]), è soprattutto la stretta connessione che esiste fra il simbolo del delfino e quello della’Donna del mare’ (l’ Afrodite Anadiomene dei Greci); essa si presenta […] sotto vari nomi (in particolare quelli di Istar, di Atergatis e di Derceto), come la paredra di Oannès o dei suoi equivalenti, cioè come rappresentazione di un aspetto complementare dello stesso principio (quel che la tradizione indù chiamerebbe la sua Shakti). E’ la ‘Signora del Loto’ (Istar, come Esther in ebraico, significa «loto», e qualche volta anche «giglio», due fiori che, nel simbolismo, si sostituiscono spesso l’un l’altro), come la Kuan-yin estremo-orientale, che è pure, sotto una delle sue forme, la ‘Dea del fondo dei mari’”, ivi, p. 139, corsivi in originale, miei osservazioni fra parentesi quadre. Apollo è anche l’ Apollyon (il “Distruttore” [da lontano]) dell’ Apocalisse di Giovanni.

Su Apollo, vi è un post presente in tal blog, cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/11/frasi-sparse-dal-dopo-nietzsche-di-g.html.

Chiaro poi che, oltre al senso negativo dell’asino, ve n’è anche uno positivo, cf. la discussione, giocata sul filo dell’ambiguità dei simboli, in A. Cattabiani, Bestiario, IDUNA Edizioni, Sesto San Giovanni (MI) 2019 (solo l’anno scorso ma era pre-Covid: infatti c’è una vita pre-Covid ed una post …), pp. 49-61. Lo scritto di Cattabiani insiste varie volte sul ruolo positivo dell’asino anche nella vicenda evangelica, sul quale: “Il ruolo dell’asino nella tradizione evangelica, alla nascita di Cristo e al suo ingresso in Gerusalemme, può sembrare in contraddizione con il carattere malefico che gli viene altrove quasi dovunque attribuito; e la ‘festa dell’asino’ che si svolgeva nel Medioevo non sembra sia mai stata spiegata in modo soddisfacente: ci guarderemo bene dal rischiare la minima interpretazione su quest’argomento assai oscuro”, R. Guénon, Simboli della scienza sacra, cit., p. 130, nota a pie’ pagina n°20 (e neanch’io “arrischio” alcuna interpretazione su tal tema, peraltro interessantissimo ma che richiederebbe un lungo discorso, che poi non sarebbe neanche accettato …).

Per un altro spunto di riflessione (stavolta sotto forma di narrazione), cf.

https://www.delosstore.it/delosbooks/22404/sherlock-magazine-6-i-nuovi-studi-di-sherlock-holmes/,

in particolare lo scritto intitolato: Uno Studio in Blu.  

 

 

4 commenti:


  1. A parte domande meramente retoriche, il punto si può riassumere in poche parole: stato liberale, non sei più in grado di mantenere le tue promesse sui “diritti”, questo è quanto. In realtà, non lo eri da un bel po’, dalla “competition revolution” degli anni ’80 ma ciò era nascosto: l’ “Effetto Covid” ha invece mostrato tutto ciò in modo evidente.
    E di quest’incapacità ne abbiam parlato da anni, ormai, su questo blog.







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  2. Guénon amava spesso citare il detto – attribuito al cardinal nipote di Paolo IV Carafa – di “Vulgus vult decìpi”. Ed amava pure citare un altro detto: “Corruptio optimi pessima” ….




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  3. In realtà, è il livello “vital-emotivo” (“nafs”) quello dove ti colpiscono ..., son maestri nel campo …
    “La schizofrenia della civiltà” (F. Lauvret) …


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  4. Allora (in quel tempo, “illo tempore”) arrivammo “sull’orlo di”, cf.
    “Darkest Hour” (2017), “Darkest Hour Soundtrack” - We Shall Fight (PART B) -
    https://www.youtube.com/watch?v=JSD9nyLsoIQ.

    Ed oggi **superiamo l’orlo** …






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