“Che i pensieri, quando si propagano come un incendio [o son “virali”, come dicesi oggi], abbiano più forza esplosiva della dinamite, dovrebbe capirlo, al giorno d’oggi, anche un minorato mentale, e che esista qualcosa come la telepatia o la trasmissione del pensiero senza parole, lo può sperimentare ciascuno ogni giorno; che, però, dei pensieri (o delle rappresentazioni caricate immaginativamente) possano produrre un incendio a distanza e senza l’ausilio di materiale incandescente – similmente a quanto accade per l’elettricità, quando viene portata ad altissima tensione – ciò non capita nella vita di tutti i giorni e quindi non viene neppure considerato possibile”.
G. Meyrink, Alle frontiere dell’occulto. Scritti esoterici (1907-1952), Edizioni Arktos, Carmagnola 2018, p. 243, mie osservazioni fra parentesi quadre[1].
“Una certa leggenda orientale narra di un mago ricchissimo che possedeva numerose greggi. Quel mago era molto avaro. Egli non voleva servirsi di pastori, e neppure voleva recingere i luoghi dove le sue pecore pascolavano. Naturalmente esse si smarrivano nella foresta, cadevano nei burroni, si perdevano, ma soprattutto fuggivano, perché sapevano che il mago voleva la loro carne e la loro pelle. E a loro questo non piaceva. Infine il mago trovò un rimedio: ipnotizzò le sue pecore, e cominciò a suggerir loro che erano immortali e che l’essere scuoiate non poteva far loro alcun male, che tal trattamento, al contrario, era per esse buono e piacevole; poi aggiunse che egli era un buon pastore, che amava talmente il suo gregge da essere disposto a qualsiasi sacrificio nei loro riguardi; infine suggerì loro che se doveva capitare qualcosa, non poteva in ogni caso capitare in quel momento e nemmeno in quel giorno, e per conseguenza esse non avevano di che preoccuparsi. Dopo di che il mago introdusse nella testa delle pecore l’idea che esse non erano affatto pecore; ad alcune disse che erano leoni, ad altre che erano aquile, ad altre ancora che erano uomini o che erano maghi. Ciò fatto, le pecore non gli procurarono più né noie né fastidi. Esse non lo fuggivano più, ma attendevano serenamente l’istante in cui il mago avrebbe preso la loro carne e la loro pelle”[2].
“E’ come una precipitazione chimica che solidifica i cristalli e pone fine alla soluzione in sospensione attraverso una risoluzione il cui effetto è irreversibile”[3].
“In cauda venenum”[4]
“Nessun giocatore deve esser più grande del gioco stesso. Rollerball”.
In J. Baudrillard, Della seduzione, Nuova Casa editrice Cappelli, Bologna 1980, p. 181, corsivo in originale.
Poi ci spiegheranno che hanno ragione. E se hanno avuto torto? Diranno che hanno avuto ragione lo stesso … così funziona. Questa è la legge della “‘nuova’ età del caos”, ovvero la dominante della “doxamania” che succede alla doxacrazia che è (stata) la democrazia. In breve: hanno sempre ragione, non importa “cosa” la “realtà” dica. E non è la realizzazione pratica del fatto che tutto è, oggi, un simulacro?? ….
“E’ d’altra parte questo segno [Aquarius] connesso con quanto non è appariscente, con ogni cosa che dura nel tempo oltre l’aspettativa umana. Per questo non è opportuno presentarsi di fronte al re o al giudice, ma conviene darsi ai colloqui con i chierici e i prelati, con gli abati, i vescovi ed ogni religioso che ha una qualche autorità. Non è inoltre estraneo agli Ebrei, che hanno Saturno come pianeta significante la loro fede, secondo Abū Ma’shar e tra i segni l’Acquario secondo Ibn Ezra. Abraham bar Ḥiyya afferma che, benché, non vi sia un segno che abbia a sua tutela Israele, la grande congiunzione che significò il regno d’Israele fu il congresso di Saturno e Giove in Acquario, nell’anno 2365 dalla creazione del mondo [la Magna Conjunctio di Saturno e Giove in Acquario, cioè, quella che ci sarà il 21 dicembre di quest’anno … si tratta di un cambiamento di “clima generale” molto profondo: cambia la corrente di fondo e, per i prossimi 200 anni circa, le Magnae Conjuncriones avverranno in segni d’aria …]”[5].
“«Voi dimenticate una cosa» replicai. «Il fatto che gli uomini sono in realtà d’accordo per mantenere la macchina in moto. E’ ciò che poco fa chiamavamo ‘la buona volontà civilizzata’.»
«Voi avete messo il dito sul solo punto importante. La civiltà è una congiura. A cosa servirebbe la vostra polizia se ogni criminale trovasse un asilo nell’altra parte del distretto […]? La vita moderna è il patto non scritto fra quelli che possiedono per conservare le loro pretese [ed oggi quel ch’è in questione, ma non vien capito se non da pochi, è che il “patto non scritto” è in crisi: son “quelli che possiedono” in crisi, quelli che non possiedono lo sono stati per tanto tempo, su di loro essendo stato scaricato il peso: ma questo non basta più oggi]. E questo patto sarà efficace fino al giorno in cui se ne farà un altro per spogliarli [oggi quest’ altro patto c’è … ed è questo ch’è cambiato]»”[6].
Invece di perder tempo in polemiche passeggere, spesso assai ridicole, dovrebbero pensare alle forze sostanziali, quelle profonde, che si muovono al di sotto delle apparenze. In tal senso, il passo che si va qui di seguito a riportare potrebbe essere utile: “Si fa talvolta riferimento ai periodi di espansione e ci contrazione economica globale come cicli di Kondratieff. La loro durata è abitualmente stata di 45-60 anni, e gli storici alludono talvolta ad essi quando parlano di n’epoca di prosperità o di depressione economica. Noi riteniamo che un’epoca o fase-A di Kondratieff abbia avuto inizio all’incirca nel 1945 ed abbia raggiunto il suo culmine nel 1967/1973, quando è stata seguita da una stagnazione o fase –B che si sta protraendo negli anni novanta. La ragione per le quali il racconto s’interrompe nel 1990 sono dovute in parte alla cronologia geopolitica e in parte al fatto che il 1990 è l’anno in cui questa ricerca è stata realizzata [dunque, per quanto pubblicata qualche anno dopo, la ricerca, in realtà, è del 1990: ma è ancor più valida, perché gli autori sono stati capaci d’individuare sviluppi di più lunga gittata partendo da informazioni ancora scarse o nebulose: se ne deve dedurre che le forze dietro questi cambiamenti sono molto potenti, di “lungo periodo” e strutturali]. La durata dei cicli egemonici è di gran lunga superiore ai cicli di Kondratieff. Occorre molto tempo prima che una delle grandi potenze vinca la competizione con un’altra grande potenza in modo da conseguire la competa egemonia. Non appena ciò accade, essa cerca di far uso della sua egemonia per protrarre il proprio potere. E’ nondimeno nella natura dell’economia-mondo capitalistica, come sistema storico, la circostanza per la quale gli stessi sforzi volti a protrarre il potere tendano a minarne le basi, e dar dunque avvio al lungo processo di relativo declino (e, ovviamente, alla corrispondente ascesa di altre potenze che aspirano stabilire una nuova egemonia [ed è il caso della Cina di oggi, che, ovviamente, tende ad esercitare un’egemonia à la chinoise, ovvero con caratteristiche differenti da quella Usa, da tempo declinante]). La Gran Bretagna, un tempo potenza egemone, iniziò il proprio declino negli anni Settanta del diciannovesimo secolo e a partire d’allora gli Stati Uniti e la Germania diedero inizio alla loro lunga competizione [si osservi: Stati Uniti (d’America), USA, e Germania] per la successione al ruolo di potenza egemone mondiale. Nel 1945, dopo due guerre mondiali (in realtà un’unica lunga guerra con alcune interruzioni [questa veduta si va, per fortuna, sempre più imponendo in sede storiografica]), la vittoria degli Stati Uniti fu assoluta. L’epoca della piena egemonia ebbe inizio allora, ma già nel 1967/1973 l’erosione del potere degli Stati Uniti era avviato.
E’ per questo motivo che consideriamo il 1967/1973 come il culmine di due curve cicliche: il più breve ciclo di Kondratieff, che va dal 1945 al 199? [all’epoca la data precisa non era prevedibile, ma sono state prima il 2001 e poi il 2007-8, si è protratto di più], e il più lungo ciclo egemonico, che va dal 1873 al (2025/2050? [altrove, dalla loro ricerca, discende la data del 2025, ma con una “coda” che può protrarsi oltre]). Per quanto sia di per sé interessante, nei termini del sistema-mondo moderno, ciò non è inconsueto: al contrario, sembra riflettere il normale operare ciclico del sistema [per cui l’ascesa della Cina è tutt’altro che una sorpresa: ma il punto dirimente, al contrario, è un altro, come si leggerà fra breve]. Desideriamo, tuttavia, porre un ulteriore quesito, chiederci cioè se il 1967/1973 abbia rappresentato anche il culmine di una curva ancor più lunga, la curva dell’esistenza di questo sistema storico, che dal 1500 circa arriva a un punto imprecisato del futuro relativamente prossimo. La curva dell’esistenza di un sistema storico non ha la forma a campana, come avviene invece per i cicli di Kondratieff o per quelli egemonici. La curva di un sistema storico tende invece a salire monotonamente fino a raggiungere il suo culmine, per poi tendere a precipitare con relativa rapidità [il caso dell’antica Roma è da manuale, in tal senso]. Essa non s’identifica con il tracciato d’un ritmo ciclico ma con quello del combinarsi di tendenze secolari. In che modo è possibile fornire una risposta ad una domanda del genere? Noi riteniamo che la nostra metodologia sia elaborata per rispondervi nel modo più diretto. […] La logica di quest’esercizio è la seguente: se è vero che il 1967/1973 segna anche l’inizio di una crisi sistemica, di un’impetuosa fase discendente, cosa possiamo attenderci durante la biforcazione – vale a dire sul medio periodo? La risposta più immediata è disordine, un gran disordine [come poi si è verificato]. Ma abbiamo provato di dare a questo prevedibile disordine caratteristiche maggiormente specifiche, di elaborare il quadro, e di suggerire quello che riteniamo siano alcune delle alternative storiche reali che sono davanti a noi [scelte già effettuate ormai, si tenga ben conto di tal punto]. Se l’esito non è determinato in anticipo, e non può esser dunque prevedibile, ciò non significa dobbiamo sedere impotenti in attesa che l’uragano ci risucchi [ma, negando tutto ciò, e negando la crisi sistemica di fatto, non a parole, le scelte che si sono compiute sono state precisamente quelle che portavano ad entrare dritto dritto nella crisi, per cui siamo ben dentro l’ “uragano”]. Come in ogni tipo di crisi storica concreta, esiste la possibilità di scelte concrete [lucidità però, che raramente si vede nella storia: la “media” è che, quando una crisi sistemica inizia, essa termina]. Coloro che saranno in grado di riconoscerle con lucidità [ma il problema di fondo di tutti, e dico esattamente tutti, i sistemi decisionali occidentali è stato precisamente che “coloro i quali sono (in realtà: erano) in grado di riconoscerle con lucidità”, di fatto, hanno avuto non zero possibilità, ma sottozero possibilità di agire, in un qualsiasi senso ed in una direzione qualsivoglia] e di agire in base ad esse in uno sforzo comune avranno meno possibilità di veder sfumare lo sbocco desiderato di coloro che ripongono la loro fiducia nella mano invisibile della storia [ma di costoro è stato il nostro recente passato in Occidente]. E’ per contribuire a questa impresa [meritevole comunque sia, di fatto, poi andata] che questo libro è stato scritto”[7]. Purtroppo, non c’è stato niente da fare: la ricerca, seppur buona, è stata infruttuosa, se lo scopo era quello d’ “illuminare” uno spaccato di “dove si stesse andando”, s’era quello di ragionar strategicamente, s’era quello di aprire un dibattito: son testimone – a livello “personale” – che non c’è stato niente da fare, in alcun ambiente c’è stato risonanza di tutto ciò. A dimostrazione che l’Occidente davvero è schiavo delle forze strutturali che dopo averne decretato il successo, l’han condotto alla débacle attuale.
Quelli dai quali potresti avere un’ “audience” di solito sono i peggiori, sono i latori delle false risposte populistiche, o strilli o complottismo da due soldi, anzi da mezzo soldo, tutto basato sull’ impossibile ritorno ad una fase espansiva sistemica, ritorno che tali forze non solo non possono propiziare ma possono invece solo acuire il problema, senza poter presentare alcuna soluzione, d’alcun genere.
L’errore di tanti è credere di esser “liberi” quando non c’è catena più potente di quella che non si vede. Essi credono che “certe” cose siano un loro “possesso” … Dunque non capiscono che non erano che concessioni, non un possesso. In realtà, era necessario “porre in moto” le “masse”, dare loro l’accesso a certi mezzi tecnologici, con lo scopo di alterare il processo della vita sul pianeta Terra. Questo era.
Il resto, è stato solo strumentale. Laggente, ormai, tende a divenire incontrollabile, con i social che li fomentano e con quelli che manipolano i social. La risposta a questa grave crisi sarà l’ ulteriore digitalizzazione spinta, per accrescere il controllo che sta sfuggendo, ma, dopo un certo successo iniziale, il risultato sarà una “ribellione globale”, che verrà non più da vecchie cose novecentesche, né potrà – per forza di cose – ridursi solo a “fatti sociali”, invece richiederà l’intervento d’un fatto “sottile”, o per dir meglio, di un’ “influenza” sottile … L’ “Anticristo” non sarà per niente un “conquistatore universale” né il capo del sistema di controllo globale, ma, invece, colui che chiamerà a detta ribellione, che, ovviamente, non sarà certo chiamata “ribellione”, ovvio … Questo dopo che i suoi accoliti – quelli della “bestia”, ben distinti da quelli della “Grande Prostituta” (di “Babylonia” symbolica, è una “Babilonia” simbolica: ripetiamolo, repetita juvant), han formato il sistema di controllo globale in essere ormai sempre pi evidentemente, sistema che può riassumersi così: “la tecnologia (digitale) viene usata contro gli uomini”, alias: “l’età dell’Acquario”, perché questo è. Ma è solo un lato dell’ “Acquario”, quello “saturnino”: manca invece all’appello quello “uraniano”, e l’ Antichristus provvederà senz’altro, ma con tanto ma tanto indugio, a che una tale mancanza venga riempita …
Dunque veniamo ad un certo interrogativo, forse solo un po’ interessante: tutte queste belle storie sulla “libertà” sono “rafforzate” (“effetto di rinforzo”) da qualche “agenzia”? Vi sarebbero delle ragioni sufficienti per poterselo chiedere.
Venendo ad un punto importante: la realtà è da questi certi ambienti, da queste “agenzie”, che le mere basi del (futuro) “Regno dell’Anticristo” stanno prendendo forma, pur essendo solo meri strumenti senza visione, fornendo esse – tali “agenzie” – il contraltare (poiché la natura è dialettica) che giustifica il ricorso al controllo globale per far fronte non alle pandemia come tali (la “naiveté” di certa gente fa piangere), bensì allo “slabramento”, all’implosione di un’intera società, incapace di rispondere con la necessaria disciplina sociale alla sfida; diciamo pure: incapace di dare risposte collettive a qualsiasi sfida che possa eccedere il piano meramente individuale o, in Italia, familiare[8].
Perché questo “Regno” abbia luogo, si deve far sì che il vecchio mondo liberista – ingiusto e pessimo eh, mai stato un suo ammiratore: ma che senso ha venir fuori dal pericolo di esser mangiato da un lupo e cadere nelle fauci di un leopardo? – si deve far sì che il vecchio mondo liberista “cada”. Che non vuol dire che tutto deve sparire, perché la “caduta” non è per niente questo[9]. Essa è, in una parola, la fine di un sistema, quella fine di cui parlavano Wallerstein “et al.”, illo tempore … Ed ecco la ragione della citazione di Wallerstein all’inizio del presente post.
Questo è il “loro” scopo. Per raggiungerlo, hanno reclutato i “perdenti” della Seconda Guerra Mondiale, che, tanto per cambiare – ricercando un’ impossibile rivalsa, un’ impossibile rivincita – hanno abboccato. Tale rivalsa (o tale “rivincita”) non è possibile: non han vinto all’epoca, né vinceranno mai, per cui – de facto – sono usati, sempre in cerca d’una rivalsa che non ci concretizzerà mai. E le cose, chiaramente, continueranno imperterrite per la loro strada[10].
Ora però, è “d’uovo” (“d’uopo”) precisare un punto: questa “denuncia” del processo di finis Europae, in effetti, è sempre stato un “cavallo di battaglia” delle varie destre “identitariste” e via (mal)dicendo. Loro lo dicono come mera denuncia, con l’idea, poi, di aggiungervi: “noi vi diamo ‘la’ (‘vera’) soluzione, chiudersi”. Il loro punto debole, però, è che vi è, da parte di quest’ “illustri strologatori”, una grossa, davvero grossa sottovalutazione della gravità della situazione, della gravità della malattia.
Si dà per scontato che la malattia sia un epifenomeno, un evento accidentale (anche lo stesso Evola, qua e là, si dava senza dubbio a tali balocchi), un evento del tutto accidentale, dovuto a dei “cattivi” variamente dipinti (spesso ebrei, ancor più spesso i “banchieri”, eventualmente – ma non solo – di Wall Street, o qualche milionario cui si attribuisce un’intenzione negativa: e qui si passa seguendo le mode del momento, ma non passa mai per le loro teste la ridicola sopravvalutazione di tali milionari, quasi fossero “deus ex machina” di un qualcosa il cui ordine di grandezza sembra loro sfuggire per principio: è così grande, che non riescono a vederlo, e da qui, a partire da una tale cecità, si danno le colpe, quindi, o a qualche governo, sopravvalutandoli, come sopravvalutando i vari governi locali, ancor più deboli, o, appunto, a singoli demonizzati: il fatto vero è ch’è la “machina” ad essere, ormai, “ex” …). Se così fosse, se tutto fosse solo colpa di governi o i singoli potenti che “complottano”, da un lato la causa della “perdita dell’ ‘identità’” sarebbe un fatto accidentale (anche Evola la pensava così, quando però non era colto da uno dei suoi ricorrenti “attacchi di lucidità”, come gli capitava, troppo spesso, in specie nell’ultimo periodo). Dall’altro basterebbe poco per “recuperare” l’identità, per cui l’identità non sarebbe inserita in un livello più profondo delle convinzioni superficiali, e sarebbe “cambiabile” non dico come un vestito, ma in modo abbastanza facile, tutto sommato.
Nel qual caso, l’identità, però, non si porrebbe ad un livello “fondante”, “profondo”, ma si ritroverebbe sostanzialmente al livello delle cose quotidiane, delle convinzioni evidenti e, dunque, non profonde.
Il che va contro la definizione stessa d’ “identità”.
Dunque: o l’ “identità” si ritrova in un piano più profondo rispetto alle convinzioni accettate, superficiali, ed allora è già – da molto tempo – “persa”, oppure si può ritrovare come un vestito perduto, ma, in tal caso, essa deve comunque ritrovarsi ad un livello di credenze superficiali di una società. I fatti ci dimostrano, invece, che una volta che l’ “identità” sia stata perduta, essa non può essere ritrovata come un oggetto perso, perché non è un oggetto. Allora diciamoci che “identità” non è altro che un succedaneo, il succedaneo di “tradizione”. Ed anche qui, delle due l’una: o la tradizione viene da qualcosa di “non umano” (apaurusheya, come rilevava Guénon), ed allora, una volta persa, non puoi “ridartela” per la semplice ragione che non era “tua”, oppure è un tuo possesso e, se la perdi, la ritrovi basta che lo desideri. I fatti dimostrano la totale falsità della seconda possibilità, che, semplicemente, non si dà né può darsi in alcun modo.
E quindi all’origine della fola sull’ “identità” c’è l’idea ch’essa sia un “possesso”, e cioè la patente negazione della “tradizione”, la quale in origine non è “tua”, ma essa viene affidata invece ad una certa parte dell’umanità, che può tradirla, inquinarla, distruggerla, farne ciò che vuole, ma non può “generarla”. Questo non può farlo, né ora né mai, perché la sua “origine” – il tema fondamentale, se n’è parlato a proposito dell’ “origine” del potere, dove si diceva della differenza fra potere nel “mondo della tradizione” e nella “modernità” –, perché la sua “origine”, si diceva, non è nell’ “umano”, ecco il punto. Di qui anche la totale – ma davvero totale – incomprensione di “che cos’è l’Anticristo” (“tì estì ’o Andìchristos”), che non può essere affatto come un dittatore, per quanto sanguinario (di cui s’è detta la parentela con Hitler ma per il càrisma della “parola”, non per lo scopo, ch’è diversissimo), ma è qualcosa di molto diverso, che necessariamente non potrà non far appello a forze “sottili”, non corporee, sebbene non “soprannaturali” nel senso cristiano del termine. L’Anticristo non sarà, ma in alcun modo non sarà, un’emanazione, un latore, un protettore o un sostenitore né del mondo “quantitativo” né del mondo moderno tout court, per quanto “tardo” moderno lo si voglia immaginare. Al contrario, egli detesta, odia il sistema della “Grande Prostituta”, che pure il suo orientamento ha retto e sviluppato per due secoli, favorendolo, ma strumentalmente, non con un appoggio reale, profondo: ecco delle cose che tanti che straparlano di questi temi non han mai capito, continuano a non capire, in pratica: non capiranno mai. Il problema è dato da loro stessi, dalla loro stessa mentalità, che glielo impedisce.
Ma torniamo al punto, chiudendo l’ excursus.
Se “perdi” la “tradizione” devi andare, dunque, da chi te ne ha dato l’ “origine” – parola chiave, dunque siamo ricollegati alla questione dell’origine del potere (“chi ti ha fatto conte”, chiedeva il re di Francia ad un antenato di Talleyrand, e quest’ultimo rispondeva: “chi ti ha fatto re”: “nell’” origine vi è sempre “il” pericolo), questione che la modernità semplicemente rifiuta, e questione sulla quale siam tornati ripetutamente in questo blog – e devi, da “Lui” o da “Ciò”, chiedere di ricollegartici.
E può perfettamente non risponderti, e devi accettarlo, ben sapendo che ogni tuo sforzo sarà vano. Questo è lo spirito tradizionale, del tutto assente in coloro che credono di “difenderlo” con l’identità, ma che invece dimostrano soltanto di essere dei moderni nel profondo, e cioè nel piano che è il peggiore. Perché si tratta di una modernità in apparenza negata ma, nel profondo, profondamente sentita, profondamente irradicata. E non si spiega, con queste bagattelle (non per un massacro …) “che cos’è” (“tì estì”) l’ Oggi.
E che cos’è l’ “oggi”, dunque. Non vi è più moderno, questo è l’ “oggi”; e chi segue ancora la modernità, e da essa è più influenzato, son proprio coloro i quali credono di criticarla. Sono il “residuo fisso” della modernità. “Stranamente” – per i gonzi – un tale residuo si vede più a destra … Credono in ogni sciocchezza moderna, come, per esempio, il “popolo”, il “voto”, eccetera, eccetera; insomma: la “destra divina” … Insomma: si tratta del “social figurativo” (Baudrillard) che, scappato alla “sinistra” – finalmente divenuta “moderna”, tra virgolette – si è trasferito a “destra” … Era falso negli anni Ottanta, lo è ancor più oggi. Il social figurativo non esiste. Le cose “come sono”, quando passano per un vettore tecnico digitale di simulazione, sono una simulazione. La loro “realtà” si perde nello specchio dei rimandi digitali. Ciò che tu vedi su “devices” – dispositivi, è la traduzione precisa – digitali è una simulazione, la realtà non ci sta.
Detto tutto ciò, il problema dell’ origine permane.
Ed esso non sarà eludibile.
In realtà, si gira e si rigira sempre intorno alle stesse considerazioni; in effetti, la questione non è risolvibile con modalità solo razionali, pur se non dobbiamo affatto abdicare alla razionalità per immergerci nell’ “irrazionalismo” della massa, che sarebbe un suicidio senza senso. Ma dobbiamo esser consapevoli del doppio livello di queste considerazioni. Solo allora inizieremo a vedere la realtà così com’essa è davvero.
Ed essa (realtà) sfida le incomprensioni ed i pregiudizi umani, in specie sfida quelli dei “nostri” tempi. Che grande, davvero enorme difficoltà ha l’uomo contemporaneo, schiavo della tecnica, nel fare il classico “bagno di realtà” cosiddetto. Si vede proprio quanto l’oggi preferisca l’escapismo nelle proprie, comode, pur se inefficaci, categorie “securizzanti”, cullanti nel roseo letto d’illusioni. Peccato che le rose non siano rose, ma siano locuste; peccato che il letto non sia un giaciglio dorato, ma un letto di Procuste. Per locuste …
Per non terminare.
Ecco come si catturano le scimmie: “Quando ero bambino erano di gran moda i piccoli proiettori cinematografici. Uno dei miei compagni possedeva quella meraviglia. Noi ci chiudevamo in camera sua, chiudevamo le tende, per veder tre,molare su di un telo fissato alla parete le immagini di film e di documentari d’una brevità ingenua che ancora mi commuove a vent’anni di distanza. Uno dei film descriveva un sistema per catturare le scimmie. Si vedevano dei negri che fissavano a una palma di cocco una specie di anfora, vi gettavano sul fondo alcune noccioline, e poi se ne andavano. La scimmia accorreva, infilava la mano nel collo strettissimo del recipiente e s’impadroniva delle noccioline. Ma allora non poteva più ritirare la mano. Tirava e si agitava [come laggente di oggi!!], impazzita. Ciò che aveva afferrato la teneva prigioniera. I negri ritornavano, agguantavano e legavano la povera bestia e spezzavano l’anfora per liberarle la mano gonfia di noccioline”[11]. Son divenuti dipendenti della tecnica, come la scimmia che afferra le nocciolino, perché senza la tecnica non sono niente, ma, in realtà, devono lasciare la presa: e non possono. Così si prendono le scimmie, e l’uomo spesso non è che una scimmia senza peli (o con pochi peli …). Dunque, così si prendono anche gli uomini: esattamente nello stesso modo.
Tutti gli uomini di oggi son così: dipendenti dalla tecnica, ormai schiavi consenzienti; tuttavia una menzione particolare va fatta per alcuni. Quando parlano di “libertà”, in realtà stanno difendendo il loro accesso alla dipendenza, non è altro che questo. Non passa per la loro anticamera del cervello che tutto nella tecnica è dato, che nulla è un “proprio” possesso, e che è tutto un sistema di simulazione: nessuna immagine che il sistema digitale produce, in se stessa (“come tale”), è “reale”, ma è – sempre e comunque – una “riproduzione”. Trattasi d’un sistema non di produzione, ma di “riproduzione” (in senso marxiano), dove questo termine, in effetti, è anch’esso riduttivo. Più giusto è dire non riproduzione, ma replica. Un gigantesco sistema di simulazioni che si replicano potenzialmente senza fine.
Difendere il “principio di realtà” di fronte a tutto ciò è peggio di un’allucinazione.
Farlo in nome di una malintesa “tradizione”, poi, è peggio di un’allucinazione; il termine giusto è: sovversione. Si può non voler vedere questa realtà della simulazione di massa, ma non per questo le cose cambiano né sparisce questo funzionamento. Si tratta di un funzionamento che ha mostrato, tuttavia, delle falle incredibili: è un gigante, sì, ma dai piedi d’argilla … La risposta sistemica, non quella delle apparenze politiche, sarà un nuovo proseguimento sulla via intrapresa, un blindarsi sempre di più, cercando di mantenere il consenso, cosa che, però, ha dei limiti strutturali al sistema stesso. Si crea così quella dualità verso la quale stiamo andando: da un lato un sistema sempre più auto referenziale, digitalizzato in modo estremo (con eventualmente contributi per sostenere la domanda, ma senza “keynesismo” eh), e dall’altro una chiamata alla rivolta che, finché avverrà sulla base di vecchie scarpe di “destra” o di “libertà”, sarà, per forza di cose, perdente. Diverrà davvero “virale” se e solo se lo farà in base ad ideali di “condivisione” (che non è la mera “fratellanza”, ideale cristiano che, in realtà, non impegna a nulla se non a livello individuale, cosicché può coesistere benissimo con gli ordinamenti sociali più diversi) per far fronte alla domanda di giustizia sociale che crescerà, visto che la pandemia ha esasperato le già esistenti, forti divisioni nelle società umane. A tale domanda né le “destre”, col loro trito e ritrito arsenale bucato di “libertà” e “individuo”, né le “sinistre”, con i loro sogni di “nuovo” patto sociale, potranno rispondere. Giacché si tratta di problema sistemico: e questo ci riconduce direttamene al passo di Wallerstein (e Hopkins) citato all’inizio in questo post.
Il mondo moderno entra sempre più fortemente nella fase finale della sua lunga, lunghissima crisi … Mondo vomitevole, dove si viene sempre “tenuti in canzone”, depistati, sviati di qua e di là (seducere significa: sviare …), senza mai, davvero mai, avere la benché minima possibilità di “giungere al punto”. Non è un caso, ma è la precipitazione nella mera molteplicità, che tutto soffoca nelle sue fangose, collose spire …
Andrea A. Ianniello
PS.
Ed eccoci al link sull’altro blog.
Un post esattamente di due anni fa, e che avevo cancellato, ma che ho deciso di ripresentare (con i commenti acclusi, dell’epoca), per mezzo di un link sull’altro blog, quello “gemello”[12] – “Il destino dell’ ‘Occidente’” –, il destino di quell’ “accidente” che, nel divenire umano (“kh[e/ë]p[e/ë]r[i]”), l’Occidente, in effetti, **è**: cf.
https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2020/11/un-vecchio-scritto.pdf.
[1] Si tratta di righe del 1932 … Ancor più attuali oggi. come queste: “Chi osserva […] con maggior profondità, vede con orrore – forse anche con una certa gioia maligna per la cecità del potere scolastico: è alle porta un’epidemia spirituale, e può irrompere di notte con violenza – […] Il cielo è nero di nuvole e sulle punte delle corone dei potenti fiammeggiano i fuochi di Sant’Elmo. E costoro non li vedono!”, ivi, p. 55 (corsivi miei), righe del 1907, ancor più attuali oggi … Su Meyrink aveva Guénon – giustamente – certi “sospetti”, nondimeno le sue “avventure nell’occulto” sono testimonianze interessanti, e da non negligersi: “Ho un amico indù di casta brahmana, che ha percorso tutto il paese fino al Tibet per conoscere i veri yogi. Egli mi ha detto: «Se affermassi che in tutta l’India esistono quattro veri yogi, sarebbe già quasi un’esagerazione»”, ivi, p. 115. Righe del 1923, ancor più vere oggi … Per l’interpretazione dei phenomena occulta, in particolare del cosiddetto “spiritismo”, Meyrink si riferisce, giustamente peraltro (il che testimonia dell’ attendibilità delle sue testimonianze, se si toglie loro la parte “negativa”), a Paracelso. Per esempio, per tutta l’interpretazione della fenomenologia “spiritista” lui citava – direttamente – frasi di Paracelso, cf. ivi, pp. 97-103.
[2] Gurdjieff in P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Editore, Roma 1976, pp. 243-244, corsivi in originale. Parole incredibilmente attuali, a fronte della sottovalutazione, operata da intere parti delle società – in particolare, non casualmente, occidentali – del virus, come se credessero, davvero, di essere “aquile”, “leoni”, addirittura “uomini”, peggio ancora: “maghi”! Gente che si crede “immortale” … muoiono sempre gli altri, si sa …! Parti rilevanti delle masse han così perso la testa da obnubilare anche un istinto – “l’” istinto più forte, in realtà – della sopravvivenza … Questo la dice lunga riguardo a che livello l’ipnotizzazione delle masse possa giungere. Ma sia gli studi sull’ipnotismo di Gurdjieff, sia esperienze storiche – come quella hitleriana – stan lì, evidenti, a dimostrarci come l’ipnotismo di massa sia una forza ben reale. Tale forza potrà ritornare (ed ecco il vero Anticristo, che non è un conquistatore né un politico in alcun senso). Il “mago cattivo” è, chiaramente, non Gurdjieff stesso, com’è stato pensato, ma è la natura, che attende pazientemente il momento in cui si “prenderà la carne e la pelle degli uomini”, ed oggi lo sta facendo ad un ritmo molto ma molto accelerato … Tutto questo si ricollega con un’idea antichissima, alla quale Gurdjieff diede solo nuova forma (pur non essendone affatto “l’inventore”), ed ecco il “nutrire la Luna” (Gurdjieff), legato a quel che dice Plutarco, che le anime dei morti “vanno sulla Luna”, ecc. ecc. Discutere questi temi ci porterebbe troppo lontano. Chi vi fosse interessato, è bene che si studi da sé queste cose; quel che importa sottolineare, per i fini che si hanno qui, si è che vi è un legame fra queste diverse idee. Subito dopo questo passo, citato qui su, Gurdjieff parlava della “forza dell’illusione”, ovvero di “Kundalini” … Si noti, per finire, che trattasi dei “Quattro Animali” del Trono – della mistica della Merkavah – ripresi nell’ Apocalisse di Giovanni, con una differenza che al posto del Toro ci son i “maghi” …
[3] J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli Editore, Milano 1986, p. 51, corsivi miei. Si noti la data in cui sono state scritte queste parole: 1 9 8 6; in “quel” tempo, nessuno si rendeva conto della radicalità del cambiamento irreversibile in atto e cominciato, ma non terminante che oggi, proprio in quel preciso tempo.
[4] La “Coda del Drago” s’intende. Un tempo il posto che oggi è occupato dalla Stella Polare lo era dalla stella a Draconis, a tal proposito, la Grande Piramide di Giza è orientata non sulla Stella polare, ma su a Draconis, cf. A. Cattabiani, Planetario. Simboli, miti e misteri di astri, pianeti e costellazioni, Mondadori Editore, Milano 1998, pp. 148-149. La Grande Piramide di Giza, quindi, è orientata non sulla Stella polare, ma su a Draconis, dove si trovava il Polo Nord celeste precisamente nel 2450 a.C., cf. ivi, p. 148.
[5] G. Bezza, Le Dimore celesti. Segni e simboli dello zodiaco, Xenia Edizioni, Milano 1998, pp. 121-122, corsivi miei. Sulla natura dell’Acquario, che in realtà protegge tutt’altri popoli (i “Turchi” di un tempo, cioè le popolazioni nomadi delle steppe, in effetti): “l’Acquario, secondo quanto dice Macrobio […], è contrario ed avverso alla natura umana: son familiari al segno i popoli «della Sauromatica, Ossiana e Sogdiana (ovvero i paesi dei Turchi dell’Asia centrale), che sono per ciò rozzi, aspri e selvaggi», e «violenti, inumani, duri: hanno il temperamento delle fiere». Il re dei Turchi non può essere che il re delle bestie feroci. Se il segno del Leone è fra tutti il più caldo, ovvero il più animoso, l’Acquario, che gli si oppone, è il più freddo. Per questo […] è forse ritenuto il luogo dove si purgano gli eccessi. Questi segni [Acquario e Leone] son entrambi sterili [che non significa necessariamente che “il nativo” (cioè chi ha il Sole nel segno) lo sia: si deve vedere la “Quinta Casa”, gli altri pianeti e le loro relazioni, ecc. ecc.; questo è l’ ABC dell’astrologia, ma la cosa è molto meno semplice della facile deduzione che alcuni potrebbero trarre di questa sterilità, però vera, dei due segni]”, ivi, p. 114, mie osservazioni fra parentesi quadre. Vi è, però, una relazione fra Giudei e Turchi, operata dai Càzari (Khàzar), secondo l’ipotesi di A. Koestler (lui stesso d’origine ebraica, eh). Poi vi è anche il Kitàb al-Khùzari, o al-Khazari, sul quale v’è tutta una lunga polemica. In inglese vi è tutta la traduzione posta su Wikisource, fonte gratis, cf.
https://en.wikisource.org/wiki/Kitab_al_Khazari.
La Magna Conjunctio in essere – a breve (il 22 del dicembre di quest’anno, ma dura qualche giorno) – non solo segnerà i prossimi vent’anni, ma inizierà la serie (duecentennale) delle Magnae Conjunctiones poste nei segni d’aria. G. Bezza è stato uno studioso di astrologia “classica”, cf.
http://www.cieloeterra.it/articoli.astrologia/astrologiaclassica.html.
[6] Da La Centrale d’energia, di J. Buchan (Lord Tweedsmuir) in L. Pauwels – J. Bergier, Il mattino dei maghi, Oscar Mondadori, Milano 1979, pp. 108-109, corsivi miei, mie osservazioni fra parentesi quadre.
Sul ruolo delle “società segrete” nella “pandemia”: «In un freddo pomeriggio di gennaio c’incontrammo con quest’uomo elegante distinto, all’incirca di 75 anni. Dopo pochi convenevoli e un succinto racconto di quel che stavamo facendo, gli chiedemmo: “Giulio Setti sul n.75 della rivista ‘Oltre’ (Agosto 1997), riferisce che lo scopo finale del ‘Governo occulto’ […] sarebbe provocare una crisi economica su tutto il pianeta … e sostituire tutti i governi con un Nuovo Ordine Mondiale, retto da una Sinarchia [come detto su questo blog, il NWO è fallito, lo scopo della cosiddetta “Sinarchia” è un altro, e il “Regno dell’Anticristo” non è la riedizione di Stalin o Hitler che dominano il mondo: giova ripeterlo]. Che ne pensa?”.
“Il disegno di Nuovo Ordine Mondiale, suggellato da una dominazione di una ristrettissima élite globale [contro élite], non è recente ma accuratamente progettato in ogni suo più piccolo passaggio e delicata fase [certo ma è divertente vedere gli “architetti del binario” (la natura è dialettica …) di fronte agli imprevisti …]. Ma da qui a progettare una spaventosa ecatombe ce ne passa [piccolo particolare del quale gli isterici “complott®isti” non tengono alcun conto, come del resto non tengono conto di molto ma molto altro …]. Personalmente, credo che l’idea di una cospirazione internazionale iniziata nel VI secolo avanti Cristo e arrivata ai nostri giorni attraverso complicati passaggi [la tesi di Arquer], sia del tutto inverosimile […] D’altra parte bisogna discettare i termini di più ampia portata. Vedete, i salmoni risalgono il corso dei fiumi per arrivare a deporre le uova nei luoghi dove sono nati a rezzo d’immani sforzi e a costo della loro stessa vita. […] Il Premio Nobel 2004 per la pace per la Wangari Maathai, professore di biologia alla facoltà di veterinaria di Nairobi, parlando dell’Aids [alla quale malattia il Covid 19 pare assai simile: un’affezione del sistema immunitario divenuta virale, cioè trasmissibile, per mezzo della “corona” famosa della “proteina Spike”] ha dichiarato alla stampa ‘è ovvio che sono stati creati agenti di guerra biologica in grado per cancellare intere popolazioni: del resto questa è la motivazione che ha spinto ad invadere l’IRAQ [maiuscolo in originale]. La verità è che l’AIDS [idem] è stato creato in laboratorio per ragioni di guerra batteriologica [ch’è ciò alcuni pensavano all’epoca dell’Aids e tanti pensano quest’oggi, ma con anche meno prove, del Covid 19: illazioni]’”.
“Ritiene possibile che oltre all’eliminazione della razza africana [fallita eh: se l’Aids doveva servire ad “eliminare” la “razza” africana (che non è una “razza”), tal progetto è fallito] […], ci sia anche un complotto internazionale per diffondere [diffondere non è “creare”, ciò potrebbe sembrar meno impossibile] un virus ancor più micidiale della ‘spagnola’, che intorno al 1918 ha sterminato milioni di persone in tutto il pianeta [ma guarda un po’, si parla del coronavirus detto Sars-CoV-2, ed esattamente cento un anni fa], per provocare una vasta de popolazione nel mondo asiatico e cinese in particolare [se così è stato (a parte che c’è l’ipotesi, un po’ meno infondata, secondo al quale non sarebbero stati i “cinesi” [tutti e miliardo e trecento milioni …: sarebbe meglio dire alcuni cinesi …] a “creare”, formare, il Sars-CoV-2, ma gli sarebbe solo sfuggito di mano, il virus essendo già stato isolato nei pipistrelli di una grotta della provincia dello “Yunnan” [Nuvole (“yun”), più Sud (“nan”) = il “nuvoloso Sud”]), se così è stato, è un altro, ennesimo fallimento di questo pseudo “onnipotente”, “piano”, alla di cui falsa “onnipotenza” gli autori del libro citato mostrano di credere]”.
“Non ha molta importanza la sopravvivenza di un singolo individuo, di un popolo, di una razza o di una nazione. Bisogna superare stupidi nazionalismi o il semplice stolto attaccamento alla vita e comprendere che noi siamo parte di un piano più grande. Riuscire a penetrare le nubi che ci circondano e svelare il senso profondo della vita e della morte è essenziale”», S. Panvini, Il tempo della fine (Codice Arquer), Edizioni Il Punto d’incontro, Vicenza 2006, pp. 319-320, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre. Il problema fondamentale non è l’esistenza di un “piano”, che può benissimo starci, ma la sua falsa “onnipotenza”, del tutto – e solo – presunta. Seguono le parole citate, la citazione, da parte dell’intervistato (anonimo), di un brano da una rivista del 1999, dove si parlava della spedizione fatta sulle isole Svalbard per ritrovare il germe della “spagnola” cosiddetta (che non era per niente spagnola d’origine, come il “virus di Wuhan” non è per niente di Wuhan, ma la Spagna e Wuhan son solo stati quei posti dove la pandemia esplose). Il germe, poi, è stato riacquisito per scopi di studio. Seguita quindi così la conversazione: «“E’ possibile che un’equipe medica abbia estratto il virus [della “spagnola”] dai cadaveri di quei pescatori norvegesi morti durante l’epidemia di spagnola, e abbia realizzato un coronavirus [mo’ ce vo’ …] mutante [quel che molti dicono, senza prove però, e con difficoltà reali dati la complicatissima e sorprendente natura del codice RNA di tal virus del Sars-CoV-2, la cui malattia è il Covid 19] resistente a qualunque attacco di antibiotici tradizionali [e non è vero questo per il Covid 19]; che si diffonde rapidamente nell’aria [questo è stato vero perché trattasi di coronavirus, appunto] […] per introdurlo poi sperimentalmente in Asia [in effetti così si è manifestato: in Asia, patria dei coronavirus, tuttavia] allo scopo di sterminare le popolazioni che vi abitano [di nuovo: fallimento manifesto perché, se così è stato, è stato un effetto boomerang”; tra l’altro, se in Occidente ha sbancato l’idea del “complotto cinese” – di Fu Manchu, come dico ironicamente – in Cina si è diffusa l’idea che sarebbero stati gli “americani” (sempre tutti quanti eh, di nuovo il solito errore) a diffondere il virus …]?”.
“Il primo biologo a parlare di ‘criptobiosi’ (e cioè la possibilità per i microrganismi di ritornare in vita, quando si ripristinano favorevoli condizioni ambientali, dopo un lunghissimo periodo nel quale non hanno dimostrato alcuna attività metabolica) fu, più di cinquant’anni fa [pubblicato nel 2006], Charles Lipman, dell’Università di Berkeley […] negli anni sessanta Peter Sneath, biologo dell’Istituto nazionale per la ricerca medica di Mill Hill, a Londra, sconvolse il mondo scientifico dimostrando che parte della sospensione di spore di Bacillus anthracis preparate da Pasteur nel 188° era ancora ‘viva’. Questa scoperta diede impulso alla ricerca sulla criptobiosi […]. Nel 1975 ricercatori dell’Università di Bradford in Gran Bretagna trovarono spore vitali di un batterio termofilico (non capace di riprodursi al di sotto di 35 gradi), il Thermoaclinomyces, murate nelle mura del forte romano di Vindolandia, nei pressi del vallo di Adriano. Spore dello stesso germe furono successivamente trovate da biologi statunitensi nei sedimenti stratificati dei laghi del Minnesota: qui la concentrazione più elevata di spore apparteneva ad uno strato risalente a più di cinquemila anni fa. Un altro batterio termofilico, il Bacillus stearothermophilus, è stato scoperto da George Paik dell’Università della California meridionale in sedimenti del pacifico antichi almeno ottomila anni che da sempre hanno avuto una temperatura di 4 gradi. Questo batterio […] è del tutto incapace di moltiplicarsi nell’acqua salata. Non resta che una spiegazione: le spore si sono depositate sul fondo oceanico quando questo si stava formando e sono lì sopravvissute per cinquemila anni. Ragionando per assurdo è ipotizzabile lo scenario che prefigurate, ma non credo che la catastrofe di cui Arquer parla sia imminente. Vedete io sono stato a capo di una confraternita riservata, ma non abbiamo mai cospirato contro i governi o per abbattere religioni, né per intervenire sui cambiamenti atmosferici”.
“Voi probabilmente no, ma altri certamente sì, basti pensare alla P2 o altre logge che hanno inciso profondamente sugli assetti politici italiani e di molte altre nazioni estere. Il conflitto che si sta profilando [che si stava profilando, ora le cose sono diverse], opportunamente e variamente stimolato dai poteri che hanno governato l’umanità nell’ombra da millenni, è una contrapposizione finale travestita [sul fatto che sia un travestimento non c’è alcun dubbio] ora da terrorismo islamico, ora da fondamentalismo religioso da democrazia emancipata che determinerà uno scontro terribile dal cui esito rinascerà la società del domani [ed è ciò cui molti, ancor oggi, continuano a pensare]?”.
“Non posso escluderlo!”.
“la sede di questo movimento segreto è in Scozia, dove vive il capo supremo, di cui non si conosce la vera identità?”.
“Lo ignoro, è la prima volta che lo sento”.
Ringraziammo il nostro cortese interlocutore e ci congedammo da lui. Lasciamo ai lettori che ci hanno sin qui seguito la valutazione complessiva del discorso di Arquer», ivi, pp. 322-324, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
[7] Hopkins – Wallerstein, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2015, Asterios Delithanassis Editore, Trieste 1997, pp. 20-22, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. La data del 1967 è molto importante: l’anno dopo, il 1968, il Congresso del Partito Repubblicano statunitense dava inizio al rivolgersi alle “maggioranze silenziose” che avrebbero sempre più dominato le arene pubbliche. Non solo, ma quello fu anche l’anno di un corposo – ma prezioso – libro: H. Kahn – A. J. Wiener, L’Anno 2000. La scienza di oggi presenta il mondo di domani, Il Saggiatore, Milano 1968. E’ sempre interessantissimo porre a confronto le previsioni con le seguenti, effettive realtà storiche: direi affascinante, senz’alcun dubbio. Queste cose occorre conoscerle per davvero, e sono importanti. Solo che hanno sottozero possibilità d’incidere sull’arena pubblica. Chi son gl’interlocutori? Nessuno. Nessuno. Nessuno. E perché accade questo? Questo accade perché la società è profondamente cambiata. Nel profondo dei suoi assetti. Senza contare che il processo, “in quel tempo” solo ai suoi albori, si è sviluppato molto di seguito, alterando le società in maniere irreversibili, pertanto rendono la loro (delle società) “cura”, de facto, semplicemente impossibile.
[8] “Mencio non esitava a dire, parlando della società: «La pena e il turbamento generano la vita, mentre la prosperità e il piacere generano la morte». E’, espressa in termini lapidari, la legge quasi biologica dei ritmi, o quella della potatura degli alberi e dei cespugli. Questa fu pure la grande argomentazione dei Pellirosse dinanzi alle tentazioni e alle costrizione della civiltà bianca”, F. Schuon, Sguardi sui mondi antichi, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, p. 19, in nota a pie’ pagina. Frasi realmente “lapidarie” – sintetiche perché vanno scritte sulla pietra, lapis – che dovrebbero davvero essere scritte sulle pietre in situazioni pubbliche, a tutti leggibili!
[9] Vi era, in questo blog, il mio vecchio post su Attila – poi cancellato –, dove citavo la “caduta senza rumore” di A. Momigliano: una caduta non è la sparizione, ma la fine di un sistema. Fine che viene molto mal percepita dai contemporanei, che, nella sostanza, non se ne accorgono. Oggi non si fa eccezione alla regola, anche certe categorie storiografiche non aiutano affatto, come quella del “tardo antico”, che ha i suoi meriti, ma che si concentra eccessivamente sulla continuità, com’è tendenza di oggi, obliando la discontinuità che, di tanto in tanto, si vede nella storia. Ecco, il 2020 segna una discontinuità, e le categorie del tardo antico, come altre categorie con il “tardo” davanti (tardone, insomma …), non sono in grado di spiegare, che dico, nemmeno di vedere, neanche di meramente ammettere. A tanto siamo giunti oggi.
Veniamo ad un passo, interessante, perché ci parla di una simile cecità, oggi, peggiorata, tuttavia, dal fatto che il potere romano antico riconosceva un “superiore a sé”, cosa che il potere moderno basato sul solo consenso, cioè autoreferenziale, non sa né può riconoscere. Insomma: la nostra situazione è ben peggiore, non solo per la maggior estensione della deriva della “civilizzazione” sulla Terra – fattore quantitativo – ma pure per questa importante differenza detta – fattore qualitativo – ma veniamo al passo da un recente scritto.
“Volendo ingrandire ancor di più l’immagine, potremmo considerare l’avvento e la caduta di Roma come il destino inevitabile di ogni impero. Procede tutto sommato in questa direzione il verdetto conclusivo di Edward Gibbon, il grande storco inglese della caduta di Roma. […] La rovina di Roma non fu che un esempio dell’impermanenza di tutte le creazioni umane. Sic transit gloria mundi. Posto che […] queste risposte possono essere contemporaneamente vere, lo scopo della nostra trattazione è quello di capire il prolungato dipanarsi degli eventi che conosciamo come la caduta dell’impero romano, avendo cura di osservare con maggiore attenzione quel grande momento di autoinganno evidente nel cuore stesso delle trionfali cerimonie imperiali: l’ingiustificata certezza, manifesta nel sanguinoso rituale della caccia gli animali nell’arena, che i romani avevano saputo domare la natura selvaggia. In realtà, la caduta dell’impero romano rappresentò proprio il trionfo della natura sulle ambizioni umane, in proporzioni tali – dal microscopico al globale – che i romani stessi non potevano capire ed immaginavano a stento. Il destino di Roma fu portato a compimento da imperatori e barbari, senatori e generali, soldati e schiavi, ma venne parimenti deciso da batteri e virus, eruzioni vulcaniche e cicli solari. Solo negli ultimi anni siamo venuti in possesso degli strumenti scientifici che consentono almeno d’intravedere, spesso fugacemente, il gran dramma del cambiamento ambientale di quale cui romani furono attori inconsapevoli. La grande epopea degli inizi di Roma, l’ Eneide, si proclama notoriamente un canto che parla «di armi e di un uomo». Anche la storia della fine di Roma è prettamente umana. Se vi furono momenti di tensione in cui fu l’azione umana a stabilire il confine tra il trionfo e la sconfitta, non mancarono altresì dinamiche più profonde e materiali – produzione agraria e riscossione delle imposte – scontri demografici ed evoluzione sociale – che determinarono la rilevanza e il successo della forza di Roma. Nelle primissime scene dell’ Eneide, tuttavia, l’eroe appare in balia dei venti dispettosi di una violenta tempesta con cui le forze elementari della natura sembrano baloccarsi. Ciò che abbiamo imparato negli ultimi anni è dare visibilità – come mai prima d’ora – proprio a quelle forze elementari che scossero ripetutamente l’impero di Roma. I romani edificarono il loro gigantesco impero mediterraneo in un momento particolare della storia climatica, conosciuto come Olocene: una sorta di sospensione sul baratro di un tremendo cambiamento climatico naturale. In modo ancor più consequenziale, i romani costruirono un impero interconnesso ed urbanizzato ai margini dei tropici, con viticci striscianti che penetrarono attraverso il mondo conosciuto. In un’involontaria cospirazione con la natura, i romani diedero vita a un dissesto ecologico che scatenò il potere latente di un’evoluzione patogena. I romani vennero inghiottiti dalla forza travolgente di quelle che oggi chiameremmo malattie infettive emergenti. La fine dell’impero di Roma rappresenta pertanto un momento storico in cui l’umanità e l’ambiente risultano inscindibili. O meglio, rappresenta un capitolo della storia ancora in evoluzione del nostro rapporto con l’ambiente. Il destino di Roma potrebbe servirci da memento del fatto che la natura è astuta e capricciosa. Le forze profonde dell’evoluzione sono in gradi di cambiare il mondo in un attimo. […] Ecco dunque un resoconto di come una delle civiltà più straordinarie della storia che il suo dominio sulla natura era assai meno sicuro di quanto avesse mai immaginato”, K. Harper, Il destino di Roma. Clima, epidemia e la fine di un impero, Einaudi editore, Torino 2019, pp. 6-8, corsivi in originale. Se noi ben vediamo, la questione dell’ “Effetto Covid” non è altro che un differente – pur se molto differente – capitolo dello stesso libro: l’ illusione di aver “saputo ‘domare’ la ‘natura’”, qualunque cosa s’intenda per tal termine (quello di “natura”, cioè, che, davvero, “è astuta e capricciosa”, come dimostra l’ “Effetto Covid”). L’ incapacità degli antichi romani di rendersi conto di quanto effettivamente stesse accadendo trova il paio – però elevato al quadrato – nello stupore dei moderni “tardi”, attardati e “tardoni”, nel capire il virus. Tutte queste reazioni di rifiuto, rigetto o invece di semplice minimizzazione, hanno, come radice, l’incredulità di fronte alla natura, che non si “rivolta” ma, semplicemente, fa ciò che ha sempre fatto: ci son cicli nell’operato della natura, e ce ne son sempre. Se si fosse, davvero, “rivoltata”, tuttavia, gli effetti sarebbero stati anche molto peggiori … Il “destino del mondo moderno” vien “portato a compimento” dai seguaci dell’establishment come dai presunti suoi “critici”, tanto dai fautori delle democrazie “liberali” quanto da quelli dei populismi vario di svariate dittature “popolari”, da eletti ed elettori, da comunicazioni sui social come da silenzi sdegnosi. Su tutti, e mescolati con tutti: terremoti, maremoti, tornado e virus. In effetti, se uno guarda più da vicino, l’incredulità o la minimizzazione non-nascono-da, né nascondono-altro-che la fede nella tecnica. Ed essa è stata scossa. Ed essa è stata scossa non da Odessa (O.D.E.S.S.A.), né ad Odessa (quella della “Corazzata Potëmkin”, che tanti tante volte presa in giro), né da nazismo né da comunismo, che magari han contribuito, sì, ad indebolirla, ma pure a rafforzarla. No, essa è stata scossa da sé stessa, dai suoi stessi limiti. Dall’oblio e dalla negazione della natura. E che l’esempio di Roma potesse, o possa, servire da “memento” (Harper) ai tardo moderni è chimera pura: l’ “Effetto Covid” sta qui, stentoreo e pesante, plumbeo e plutonico, fisso e incardinato, intrattabile, sordo e greve, a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio”, che il “memento” non serve ai nostri contemporanei; qual che ne sia il “destino”, essi non hanno mai “ascoltato” – l’ “ascolto” è ciò che manca loro in maniera strutturale –, non ascoltano, né ascolteranno mai.
[10] Cf. “Per quanto il malessere dell’Occidente fosse correttamente analizzato, di certo non sarebbe servito a niente: ‘Nessuno avrà mai l’autorità sufficiente per imporre alla collettività la terapia necessaria’” (P. Thuiller, La Grande Implosione, Asterios editore, Trieste 1997, p. 324, corsivi in originale), citato nel post:
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2013/12/il-breviario-del-professor-dupin.html.
[11] L. Pauwels, Monsieur Gurdjieff, Edizioni Mediterranee, Roma 1972, pp. 486-487, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre. Quest’edizione viene da quella del 1970 francese, ma l’originale francese in realtà è del 1954, quindi quando Pauwels dice “vent’anni”, intende circa il 1934, insomma gli anni Trenta del secolo scorso …
[12] La questione del “gemello”, antica davvero, ricorda il “Gemello” di Gesù: “Taumà”, Tommaso, Thomas. “Ecco le parole segrete dette che Gesù il Vivente ha detto e che Didimo Giuda Tommaso ha trascritto. Ed egli ha detto: «Colui che arriva a comprendere queste parole non conoscerà la morte!» 1) Gesù disse: «Colui che cerca non desista dal cercare finché non trovi: quando avrà trovato, sarà commosso; e quando sarà commosso, contemplerà e regnerà sull’universo!» 2) Gesù disse: «Se coloro che vi guidano vi dicono: “Ecco, il Regno è nel cielo!” – allora, gli uccelli del cielo vi saranno prima di voi. Se essi vi dicono: “Il Regno è nel mare!” – allora, i pesci vi saranno prima di voi. Ma il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi!»”, Il Vangelo secondo Tommaso, a cura di J. Doresse, Il Saggiatore, Milano 1960, p. 85, grassetto in originale. In nota a pie’ pag. “Papiro di Ossirinco n. 654: Ecco le parole [segrete che] Gesù il Vivente ha detto e [che ha trascritte Didimo Giuda] e Tommaso. Ed egli ha detto: [«Colui che arriva a interpre]tare queste parole non arriverà [alla morte.»] 1) [Gesù disse:] «Colui che cer[ca] non desista [dal cercare fino a quando non] trovi: e quando avrà trovato [contemplerà; e allorquando contemple]rà, regnerà e, [regnando, si ripose]rà.» 2) Ge[sù] disse: «[Se coloro] che vi guidano [vi dicono: “Ecco,] il Regno [è] nel ci[elo” – allora,] gli uccelli del ci[elo vi saranno prima di voi se essi dicono: “esso] è sotto la terra” [– allora,] i pesci del mare [vi saranno pri]ma di voi. E il Re[gno dei cieli] è dentro di voi! [Colui che? ...] conoscerà ciò troverà [… … …».]”, ibid., corsivi e grassetto in originale. Dìdimo vuol dire, appunto, “gemello” e “Taumà” significa la stessa cosa. Anche il detto 39, 49 e 59 trovano delle fonti nei frammenti dei Papiri di Ossirinco (sempre il 654), come pure il numero 6) e quello 7), non oltre però. Il detto 5), inoltre, trova un’altra fonte: “Frammento di lenzuolo d’Ossirinco; iscrizione greca: 5) Gesù disse: «Non v’è nulla di sepolto che non sarà risuscitato ✚.»”, ivi, p. 86, corsivi e grassetto in originale. Oggi si parla di “gemello digitale”, cioè la raccolta di tutto quanto – su di “noi” – c’è nel mondo digitale, ma è un costrutto simulato, non è un “gemello” – nel senso sacrale del termine – ma è un “doppio”, quel doppio che “preda” – quando “ritorni” – la creatura effettivamente vivente. Insomma il “doppio” di P. Schlemihl …
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