Senza voler andare troppo nei particolari – non ve n’è né tempo né occasione – ma con il solo intento di chiarire un puto decisivo, veniamo a distinguere, in poche parole (il più didascalico e semplice che mi riesca) la differenza – sostanziale – fra la “rappresentazione” e la “digitalizzazione”, cioè: cosa li distingue in maniera sostanziale? Quali sono le loro differenze fondamentali, per cui appartengono a due ordini diversi?
Solo così si può capir bene – o, almeno, un po’ meglio – la deriva (mostruosa) nella quale siamo da qualche decennio, e soltanto così si può capire perché l’attuale sistema declinante, in deriva “finale”, della “Grande Prostituta” di “Babylonia” porti e sfoci nel “Regno dell’ ‘Anticristo’” (o “Grande Parodia”), del quale, pure, sono state date immagini parodistiche: parodia della parodia, si può ben immaginare che qui siamo di fronte ad un qualcosa che non s’è mai visto nella storia, perlomeno di quella conosciuta. Il “passaggio” dall’uno all’altro può avvenire proprio perché si è passati – a cominciare dagli anni Settanta del secolo scorso – dall’ordine della “rappresentazione” a quello della “simulazione”. Detto altrimenti: se non si passa dall’ordine dalla rappresentazione a quello della simulazione, ergo non è possibile poi passare alla “Grande Parodia”. Quest’anello mancante latita da molte analisi, che poi è il punto per il quale molti che leggono Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi (di Guénon) mancano il bersaglio, leggono solo segnetti neri, ma non ne capiscono il nocciolo duro. L’ordine della “rappresentazione” è l’ordine “moderno”, la “Grande Parodia” non può essere “moderna” in alcuno dei significati di tale parola. In alcuno.
Quindi era necessario (necesse est) passare per una fase intermedia che consentisse la mutazione genetica.
Ed ecco la fase della simulazione.
Veniamo dunque al punto.
Infatti le questioni sono tante, eh sì, seppur infondato, questo mito moderno del “popolo” sussiste e genera conseguenze.
Il problema è quello della democrazia rappresentativa versus una tecnica digitale che annulla la rappresentatività perché pone l’individuo in **diretto** contatto con gli eventi – senza “intermediazione” –, ed allora come si rappresenta il “mito fondante moderno” – il “popolo” e il consenso dal basso –, mito fondante anche della democrazia liberale, ma che quest’ultima disinnesca (la democrazia è il governo della legge, “the rule of law” di cui parlava Biden, tradotto male, mi pare da un traduttore in Tv (per la fretta, evidentemente) come “ruolo della legge”, no: **governo** della legge, governo di quadri intermedi e che “drenano” le passioni “dal basso” e le rendono, guarda un po’, “rappresentabili”!!), come si rappresenta il “mito fondante moderno” – il “popolo” – in un’epoca che tende ad obliare la rappresentanza in favore della diretta presenza?
Nessuno lo sa: ecco la crisi della democrazia rappresentativa liberale nell’epoca “postmoderna”, cosiddetta.
Che cos’è, dunque, la “rappresentazione”.
Cosa vuol dire che tu eleggi (cioè scegli) un tuo rappresentante?
E’ come una rappresentazione teatrale, cui si apparenta come termine, non a caso: ci sei tu che eleggi chi ti rappresenta e rappresenta te in una scena. Tu sei separato dalla scena stessa. Ci sei tu e c’è la scena, ben distinti, rappresentare significa “stare per” qualcun altro oppure qualcos’altro. Nella rappresentazione c’è anche la “distanza”, di qui tutte le belle storielle sulla “distanza” fra chi rappresenta e chi è rappresentato, distanza ovvia: ci dev’essere! Certo, s’è troppa il sistema collassa, ma non può non esserci!, questo è il punto.
Nel momento in cui fra chi rappresenta e chi è rappresentato vi fosse coincidenza, ecco che la rappresentazione, per ciò stesso, sparirebbe. E cosa voglion oggi se non questa “identità”?
Domanda retorica.
Peraltro è ciò che il digitale vuole: la totale abolizione delle distanze, sia fisiche che “rappresentative”, ed è la nota del digitale, che non può non esser così, che non può non esser che ciò ch’esso è davvero.
Il che ci porta al punto due.
Che cos’è la “simulazione”. Nella simulazione non vi è scena, dunque non vi può essere “rappresentazione” poiché il simulacro “imita” – con un’ immagine, poiché questo vuol dire la parola esattamente – la presenza, cioè la “rappresentazione”, cui sostituisce un gioco interno d’ immagini. Non ci sei tu e la cosa rappresentata, ma un’ immagine resa “equivalente” – cioè “identica”, di nuovo “identità”, ma che prende qui un tutt’altro seno –, resa “equivalente” alla “cosa” stessa che viene simulata in quel momento. La simulazione è sempre “identità”, cioè A = A, sempre.
La simulazione, quindi, è la costruzione di una natura “seconda” che “imita” quella prima, il suo “modello”.
Ora vi sono due tipi di simulazione, a questo punto giunti: 1) che imita una cosa; 2) che imita il simulacro (immagine) d’una cosa.
Questo sottolineava Baudrillard, illo tempore, che il gioco della simulazione in pratica è senza fine, poiché una volta che si passi dal simulacro della cosa al simulacro di simulacro, il passo è fatto, ed è irreversibile. Non vi è più termine.
In economia capitalistica è un prestito su prestito, su prestito, su prestito: all’ “inizio” vi era una “cosa originale” che, però, si perde nella serie delle sue copie. Il valore “reale” si perde nell’insieme delle sue riproduzioni simulate.
In un mondo siffatto, discutere di “origine” o di “originale” diventa insieme decisivo ed insolubile, l’ “origine” si perde, anche per quel che riguarda il potere: basta il consenso, l’origine d’un potere non interessa, non ha quasi alcun valore se non come riferimento impossibile, né saremmo in grado di “rioriginare” la relazione con l’ “origine” da parte del potere, origine persasi nelle nebbie del tempo.
Significativo come la modernità – se abolisce del tutto l’ “origine” a riguardo del potere – mantenga la fissazione per l’origine sia per le opere d’arte sia per il “prestito” originale, che ha dato inizio alla catena potenzialmente – ma mai realmente – senza fine.
La verità è che – il sistema di oggi – non sa distinguere fra la simulazione e l’ “originale”, il che ricorda un vecchio passo di Baudrillard: “Come fingere un reato e fornire le prove? Simulate un furto in un grande magazzino: come persuadere il servizio di controllo che si tratta di un furto simulato? Nessuna differenza «oggettiva»: stessi gesti, stessi segni di un furto reale, oppure i segni non pendono né da un lato né dall’altro. Per l’ordine costituito, appartengono sempre all’ordine del reale [corsivi miei]. Organizzate un falso hold-up [rapina a mano armata]. Verificate bene innocuità delle vostre armi e prendete l’ostaggio più sicuro, per non mettere in pericolo nessuna vita umana (perché allora si ricadrebbe nel penale). Esigete un riscatto e fate in modo che l’operazione abbia tutta l’eco possibile — in breve tenetevi il più vicino possibile alla verità per verificare la reazione dell’apparato a un simulacro perfetto [e qui va posta la famosa “invasione ‘aliena’” cosiddetta, o “Ufo”]. Non ci riuscirete [corsivi miei]: la rete di segni artificiali si mescolerà inestricabilmente con elementi reali (un poliziotto sparerà realmente a vista; un cliente della banca sverrà e morrà di collasso cardiaco; vi sarà versato realmente il riscatto fittizio), in breve, vi ritroverete senza volerlo immediatamente nel reale — ed è così anche per l’ordine istituito, molto prima dell’entrata in gioco delle istituzioni e della giustizia. Su quest’impossibilità d’isolare il processo di simulazione bisogna vedere il peso di un ordine che può vedere e concepire soltanto qualcosa di reale [corsivi miei], perché, altrimenti, non può funzionare da nessuna parte [idem]. Una simulazione di reato, se viene accertata, sarà o punita con una pena più leggera (perché non ha «conseguenze») o punita come oltraggio a pubblica autorità (ad esempio, si è dato avvio ad un’operazione di polizia per «niente») — ma mai come simulazione, perché, in quanto tale, non è possibile nessuna equivalenza con il reale, e quindi anche nessuna repressione. Per il potere è impossibile raccogliere la sfida della simulazione [corsivi miei: punto decisivo]. Come punire la simulazione di virtù [se ben ci pensiamo, l’ “Anticristo” questo è, alla fin fine, di qui tantissime difficoltà nel capir bene cosa “diavolo” – mo’ ce vo’ – sia]. Eppure, essa è grave tanto quanto la simulazione di reato [corsivi miei]. La parodia fa sì che si equivalgano sottomissione e trasgressione [idem, e qui veniamo al problema della “Grande Parodia”, sorta di “Walpurgisnacht” cosmica, ed ecco perché tantissimi continuano a non capirci il bel resto di niente: non conta che sia “reale” o “non ‘reale’”, non è il piano sul (e nel) quale ciò ha senso[i], e qui viene quel che disse W. Von Braun, che venne davvero in contatto con “qualcosa”, che non poteva capire se non come “invasione ‘aliena’” o “invasione Ufo” che dir si voglia: ma ciò non vuol dire che non sapesse qualcosa di reale, solo che la “realtà” non è la simulazione che si basa su di essa: qui si sta dando la clavis …], e questo è il reato più grave [corsivi miei], poiché annulla la differenza su cui si fonda la legge [corsivi miei]. L’ordine costituito non può farci niente [idem] […] E dunque qui, in mancanza del reale, che bisogna prendere di mira l’ordine. Proprio per questo, l’ordine sceglie sempre il reale [idem]. Nel dubbio, preferisce sempre quest’ipotesi (così, nell’esercito, si preferisce sempre prendere il simulatore per un vero folle). Ma diventa sempre più difficile farlo [idem], poiché, se è praticamente impossibile isolare il processo di simulazione, a causa delle forza d’inerzia che ci circonda [idem], è vero anche il contrario […]: vale a dire che è ormai impossibile isolare il processo del reale, come anche fornire la prova del reale […] nel senso che funzionano come un insieme di segni votati soltanto al loro ricorrere come segni, e assolutamente non più la loro fine «reale». Ma questo non li rende inoffensivi [idem, ed ecco il punto: che sia “illusione” non vuol dire che sia “inoffensivo” nel senso di “privo” di “conseguenze” cosiddette]. Al contrario [idem], proprio in quanto eventi iperreali [idem, “reality show” che ormai [la cosiddetta “politica” moderna], che non hanno più, esattamente, né contenuto né fini propri, ma sono indefinitamente rifratti gli uni dagli altri (come anche gli eventi detti storici: scioperi, manifestazioni, crisi, ecc.), non son controllabili da parte di un ordine che può esercitarsi solo su qualcosa di reale e di razionale, su delle cause e su dei fini [idem]”[1].
Oggi nessuno “controlla” più nulla, salvo la tecnica, che controlla tutti.
Ma ecco perché – una volta che la sedicente “invasione” sedicente “Ufo” avvenga o avvenisse – qualsiasi “risposta” che faccia “l’ordine costituito” – qualsiasi forma esso abbia (qualsiasi!!) – sarà zero, inutile (a parte l’impossibilità da parte loro di saper distinguere
Da ciò deriva che non può essere la potenza “sistemica” (la “Grande Prostituta”) a, non dico signoreggiare (impossibile), però a scatenare una detta “invasione”, non può essere questa la potenza dietro tutto ciò. Ne deriva che l’invasione cosiddetta “finale” non potrà che avvenir dopo la “rivolta globale”, per quanto certi “Ufo” sian oggetto di “adorazione” – di un “culto”, in linguaggio contemporaneo – sin da ora. Ma son due fenomeni differenti[ii]. Ne deriva, poi, anche che la “G. P.” dovrà, come sistema, essere parte del passato “prima” che ciò possa effettivamente “accadere”.
E va da sé che trattasi di “accadimento” del quale dire sia “reale” o “irreale” nei termini di un ordine costituito le cui basi siano il sec. XIX, sostanzialmente, diciamo ch’è cosa vana.
Andrea A. Ianniello
PS.
Attenzione però a quel che diceva Baudrillard negli anni Settanta e Ottanta – del secolo scorso, quando Cacciari era ben più radicale di oggi, tra l’altro –, e cioè che la “diretta” presenza, in effetti, non è che un simulacro d’identità solo digitali, che non hanno alcuna referenza con una cosiddetta “realtà”.
Poi vedremo – in relazione agli “Ufo” come “luci” un passo poco noto che farà veder che un tal fenomeno è antico e ben noto, e solo la sua interpretazione in termini di “Ufo” è recente.
[1] J. Baudrillard, Simulacri e imposture, Cappelli Editore, Bologna 1980, pp. 69-71, miei corsivi e commenti segnalati fra parentesi quadre.
Qualche altro passo qui può esser utile, a latere: “Così è la simulazione, in quanto contrapposta alla rappresentazione. Quest’ultima parte dal principio dell’equivalenza del segno e del reale (anche se è un’equivalenza utopistica, resta comunque un assioma fondamentale). La simulazione pare, al contrario, dall’ utopia del principio d’equivalenza, parte dalla negazione radicale del segno come valore […]. Mentre la rappresentazione tenta di assorbire la simulazione interpretandola come falsa rappresentazione, la simulazione avvolge tutto l’edificio della rappresentazione come simulacro”, ivi, p. 51, corsivi in originale.
“E tutta quanta la recriminazione che si fa passare per pensiero rivoluzionario [e che oggi, almeno in certa parte, si è trasferito nella “risorta” – ma è pur sempre uno zombie – neo rinata “destra”, ma recriminazione rimane] torna oggi a rimproverare il capitale rimproverandogli di non rispettare le regole del gioco [ma quando mai le ha rispettate??] — come se il capitale fosse legato da un contratto alla società da lui dominata [ridicolo infatti]. […] Ma per quel che lo riguarda, il capitale non è mai stato legato da un contratto alla società da lui dominata. E’ piuttosto una stregoneria del rapporto sociale, è una sfida alla società; ed è come tale che bisogna rispondergli. Non è uno scandalo da denunciarsi secondo al razionalità morale o economica, è una sfida da raccogliersi secondo la regola simbolica”, ivi, p. 63, corsivi in originale, mie osservazioni tra parentesi quadre.
“Questo è lo stadio ulteriore del rapporto sociale, il nostro, che non è più quello della persuasione (l’era classica della propaganda, dell’ideologia, della pubblicità, ecc.), ma quello della dissuasione: «VOI siete l’informazione, voi siete il sociale, voi siete l’evento, voi siete interessanti, voi avete la parola, ecc.». rovesciamento a causa del quale diviene impossibile localizzare un’istanza del modello, del potere, dello sguardo, del medium stesso, perché voi siete sempre già dall’altro lato. Nessun soggetto, nessun punto focale, nessun centro né periferia: pura flessione o inflessione circolare. Nessuna violenza né sorveglianza: solo l’ «informazione», virulenza segreta [termine molto, ma molto, ma molto ma molto calzante dato questi tempi di “virus”…!!], reazione a catena [idem], implosione lenta [oggi sempre più accelerata, però] e simulacri di spazi [espressione molto calzante] dove viene ancor a giocare l’effetto di reale [mero effetto]”, ivi, p. 79, maiuscolo e corsivo in originale, miei commenti fra parentesi quadre. Frasi del 1980!! Se ci guardiamo attorno, la retorica dominante è sempre – assolutamente, costantemente, non casualmente – quella “del “VOI siete” … “voi avete la parola”, ecc., ecc. …
[i] E qui vorrei far riferimento al “bastone di Mosè” ed alla lotta fra i maghi su questo bastone: si tratta della “potenza dell’illusione”, della quale s’è detto su questo blog più d’una volta, e che non significa che “non accada niente” o cose che “non sono”, ma che “il bastone che si trasforma in serpente non è un serpente”. Ma qualcosa succede … lo stesso che nei fenomeni “Ufo”, per esempio: non è che non accada niente e sia tutto una “proiezione individuale”, solo che non sono “astronavi”, ecco il punto …
A tal proposito, cf. Corano, Sura XX, 18-21. L’episodio è simile a Esodo, IV, 2-5. Nella stessa Sura (ibidem, 61-70), che ha tanti paralleli col testo biblico, con la differenza che i maghi (egizi) alla fine si convertono, nell’episodio coranico, cosa che non avviene in quello biblico.
Ibn ‘Arabî, discutendo proprio di Mosè, la prende “alla larga” per spiegare il confronto – “magico”, implicante “il bastone che ‘diventa’ serpente” – che avviene (sia per la Bibbia sia per il Corano) tra i maghi egizi e Mosè, al cospetto del Faraone, e parla del “potere di giudizio”; dunque: “La parole di Mosè [rivolte a Faraone]: «… e Dio mi ha investito del potere di giudizio (hukm) …» (in nota: “Cor., XXVI, 21”), indicano la funzione di vicario (khalîfah) di Dio in terra, mentre il seguito: «… e mi ha costituito suo inviato», designa la missione divina (ar-risâlah); ogni inviato non è infatti vicario di Dio in terra; il vicario di Dio giudica con la spada, destituisce dal potere ed istituisce, laddove l’inviato non fa altro che trasmettere la missione affidatagli; se combatte per la sua missione e la difende con la spada [come – dopo – avrebbe fatto Mosè, come, nel futuro rispetto al tempo di cui si parla, poi avrebbe fatto Maometto e come non fece mai Cristo, tant’è che in nota il curatore precisa: “Si ricordi la parola di Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv. XVIII, 36)”, per cui la Chiesa cristiana dunque, ha dovuto “acquistare” il regno di “questo” mondo, e da chi, poi?, dall’Impero (romano), per poter espletare la sua missione in questo mondo, cosa che ha provocato mille problemi nella lunga storia della Chiesa cristiana, ma era inevitabile dato il punto ricordato testé dal curatore], egli è a un tempo i vicario di Dio in terra e l’inviato di Dio [come Maometto, appunto, e Mosè – sostanzialmente “il” modello di Maometto – ma Mosè solo dopo una certa fase, dopo la “lotta coi maghi”, guarda caso …]. Come ogni profeta non è inviato [con la missione di promulgare una “Legge divina” valida per un tempo ed una fase dell’umanità, tipo “l’era cristiana” o “l’evo islamico”, per intenderci], così ogni inviato non è vicario di Dio in terra, disponente del regno e del potere di giudizio temporale [in pratica, unente in sé “l’autorità spirituale” ed “il potere temporale”, caso raro, in realtà, si è visto che Federico II aveva solo il potere di giudizio temporale, ma provenientegli “da Dio” e con il “crisma” della Chiesa che però non era “l’origine” del suo potere, non discuto qui del consenso, che ci sta ed esiste, Federico Ii essendo fra i primi a preoccuparsene, ma non toccante, detto consenso, “l’origine” del potere, che sta “in Dio” solo, secondo lo stesso Federico chiaramente: non est potestas nisi a Deo, dice l’Apostolo Paolo; ma vorrei qui soffermarmi sul fatto, poco notato, che Mosè giunse al “regno temporale”, ad avere il potere “di giudizio temporale”, la “spada”, soltanto dopo ch’ebbe sconfitto i maghi nella “lotta magica”, cosa che trova il parallelo nel fatto che l’ intera umanità potrà recuperare il “regno” e liberarsi dal controllo che, dall’inizio della modernità, “certe” forze esercitano sulla superficie della Terra – il “regno”, appunto – solo dopo che “Si” sarà confitta la “lotta magica”, basata sul potere dell’ “illusione” (potere reale), che “certe” forze stanno esercitando crescentemente sulla superficie di questo dolente pianeta]”, Ibn ‘Arabî, La Sapienza dei profeti (Fuçûç al-Hikam), a cura di T. Burckhardt, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 128, corsivi in originale, grassetti miei e miei commenti fra parentesi quadre; dal cap. La Sapienza sublime (al-Hikmat al-‘uluwiya) nel verbo di Mosè (ivi, pp. 115-136). Federico II aveva, per l’appunto, la missione di vicario esteriore, “con la spada”, ma non era certo – né mai nemmeno se ne sognò d’essere – un “inviato” dotato di una “missione di predicazione da parte d’Iddio”, quella spada che la Chiesa doveva “acquistare” come sottolineato (sulla base d’un passo evangelico) da Bonifacio VIII illo tempore, cosa in sé non illegittima, ma “spada” che l’ Imperium aveva “in proprio” e non certo in modo improprio. Secondo Dante – visto che questo è l’anno dantesco –, nella sua Monarchia, sottolinea un punto: come l’Impero (da lui definito come “Regno dei regni”, Regno superiore ai vari regni), come la Luna, in sé stesso aveva la sua ragion d’essere, il suo “essere”, ma una parte la luce gli derivava dal Sole (della Chiesa), questo al netto del fatto “corporeo” che, in realtà, la Luna deve la sua luce alla Terra; ma rimane vero che la Terra “focalizza” della luce di provenienza in ogni caso solare: luce sempre del Sole che, passando dalla Terra, nel sistema Terra-Luna, giunge poi alla Luna stessa. Ma qui parliamo della relazione symbolica. Dunque, sempre secondo tale relazione symbolica, rimane vero che “l’essere” dell’Impero è suo proprio: il Sole non fa “essere” la Luna, ma gli conferisce della luce che, in caso contrario, non avrebbe. Questo era in relazione alla questione se l’Impero dovesse la sua stessa esistenza alla Chiesa o non, invece, una luce superiore, che gli difettava. La tesi “imperiale”, com’è ben noto, era che l’Impero avesse “in sé” la sua ragion d’essere, mentre la Chiesa, dopo al riforma gregoriana (Gregorio VII), sosteneva che, in realtà, nessun “potere temporale” potesse darsi senza il suo beneplacito, ed dunque che il potere stesso fosse d’origine ecclesiale, non il suo”uso” legittimo a favore d’una “luce” superiore. Peraltro tutto ciò è attestato storicamente, da fatto che fu Costantino – legittimo imperatore romano – a dare alla Chiesa il potere anche politico e fu lo stesso Costantino ad indire il Primo Concilio: l’Impero romano esisteva da ben prima che vi fosse la Chiesa cristiana, com’è chiaro ed evidente: in forza di un tale già esistente presenza Costantino poté legittimamente dare dei privilegi alla Chiesa cristiana. In ogni caso, avere il potere di “giudizio”, e cioè l’ Imperium, non implica – ma proprio per niente – che uno abbia la “dignità” profetica ed dunque una “missione” affidatagli dall’ Alto. Ed implica pure che un potere di “giudizio” possa degenerare ed andar contro la “luce” superiore, non in suo favore: non per questo non ha una sua “sostanza”, ed è il caso di cui parlava Ibn ‘Arabî qui sopra. Ci fermiamo qui, ché il discorso sarebbe lungo, ma occorreva fare questa premessa, poi aggiungendo che oggi, nella modernità – ma su questo si è più volte insistito in questo blog –, non può esistere, se non residuale e non rinnovabile, un’ origine “dell’Alto” del potere, perché la modernità **è** questo “taglio delle radici”, per cui il potere oggi fa rima col “consenso”, il consenso basta, ed ecco la modernità. Ma proseguiamo.
“Mosè «… gettò la sua verga ( ’açâ)», poiché era la forma apparente di ciò attraverso di cui Faraone aveva «disobbedito ( ’açâ)» a Mosè rifiutandone la domanda, «ed ecco divenne un drago manifesto» (in nota: Cor., XXVI, 32”), ossia un serpente visibile; la disobbedienza, che è vizio, si trasformò in obbedienza, ch’è virtù […] conformemente a giudizio [divino]. Il giudizio appare qui come essenze diverse in un’unica sostanza, perché si tratta al tempo stesso d’una verga e di un serpente o «drago manifesto». Come serpente, ingoiò gli altri serpenti, e come verga, le verghe [dei maghi]. […] Allorché i maghi videro ciò, conobbero il grado di conoscenza di Mosè, quanto vedevano superava infatti la capacità umana, ed era accessibile all’uomo solo grazie a una conoscenza che distingue tra la realtà e l’immaginazione o l’illusione. Pertanto essi cedettero […]. Tuttavia, siccome Faraone aveva la funzione dell’autorità, giacché era il signore del suo tempo e rappresentava Dio con la spada, pur trasgredendo la Legge sacra, disse: «… io sono il vostro Signore supremo» (in nota: “Cor., LXXIX, 24”); cioè, quantunque voi siate tutti in un certo senso dei signori, io sono il Signore supremo per l’autorità apparente che mi è stata data. I maghi, sapendo che diceva il vero, non lo contraddissero”, ivi, pp. 131-132, corsivi in originale, grassetti miei, commenti fra parentesi quadre del curatore.
Sulle questioni “draconiche”, cf.
https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2020/11/vulgus-vult-decipi.pdf.
[ii] Occorre sempre ribadire che il phenomènon delle “luci ‘danzanti’ nel cielo” non è affatto né una peculiarità dell’oggi né una novità in termini assoluti, e neppure una cosa “in sé” sempre negativa, ma – da un lato –, l’ interpretazione moderna stravolge la realtà del phenomènon stesso e porta fuori strada – impedendo di capirne la natura e – dall’altro –, la versione “negativa” dello stesso phenomenon nasce da una “perdita di comando” – da parte di “autorità tradizionali” (non “tradizionaliste”, eh, sia ben chiaro) – su eventi e forze afferenti all’ “àmbito sottile”, per quanto riguardanti la parte più bassa di quest’ultimo, cioè la più vicina al mondo corporeo (quella, tra l’altro, che, di solito, è implicata in eventi cosiddetti “magici”); e lo si ribadirà riportando un passo poco noto. «Certamente non abbiamo nessuna ragione per guardare con disprezzo le credenze animistiche degli uomini primitivi, le quali esprimono solamente quello che i poeti di tutti i tempi han sentito: che la natura non è un meccanismo morto, ma vibra di vita, della stessa vita che diventa vocale nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni. Il fenomeno delle luci fluttuanti è stato osservato anche sulla montagna di Wu T’ai Shan in Cina, il cui nome tibetano è Ri-bo-rtse-lnga, “la montagna dei cinque picchi”, dedicata all’incarnazione della saggezza, il Dhyāni-bodhisattva Mañjuśrī. Sul picco meridionale di questa montagna c’è una torre da cui i pellegrini possono avere una visuale senza impedimenti. Tuttavia questa torre non serve per ammirare il paesaggio, ma per permettere ai pellegrini di assistere ad uno strano fenomeno, che molti credono essere una manifestazione del Bodhisattva stesso. Una vivida descrizione di tal fenomeno è stata data da John Blofeld, che trascorse molti anni sulla montagna sacra: “Raggiungemmo il tempio più in alto nel tardo pomeriggio e fissammo con grande interesse una piccola torre sul pinnacolo più alto, a circa trenta metri sopra di noi. Uno dei monaci ci disse di prestare particolare attenzione al fatto che le finestre di quella torre dominavano miglia e miglia di spazio vuoto. Poco dopo la mezzanotte, un monaco, portando una lanterna, entrò nella stanza e gridò: ‘E’ apparso il Bodhisattva!’. L’ascesa fino alla porta della torre durò meno d’un minuto. Ognuno ch’entrava nella piccola stanza, trovandosi così di fronte alla finestra, emetteva un grido di sorpresa, poiché tutte le ore trascorse a parlare non ci avevano preparato sufficientemente a quel che ora vedevamo. Nel grande spazio aperto oltre la finestra, non più di centro o duecento metri, innumerevoli palle di fuoco fluttuavano vicine maestosamente. Non potevamo stimare la loro grandezza perché nessuno sapeva a che distanza fossero. Da dove venivano, cosa erano e dove andavano dopo essere scomparse alla vista in direzione dell’occidente nessuno poteva dirlo. Soffici palle arancioni di fuoco, che si muovevano nello spazio, senza fretta e maestosamente: una manifestazione veramente adatta ad una divinità!”», Lama Anagarika Govinda [Ernst Lothar Hoffmann], La via delle nuvole bianche, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1981, pp. 132-133, corsivi miei. Per “torre” – ed è appena il caso di dirlo, ma per scanso d’equivoci facciamolo – s’intende quel che noi chiamiamo “pagoda”, che in cinese si dice semplicemente torre. Inoltre: le domande che l’autore citato da Anagarika Govinda sono esattamente le stesse, che si pongono da sempre tanti, tantissimi, al riguardo dei cosiddetti “Ufo” …
Riguardo le "destre" cosiddette in relazione a questo articolo ma maggiormente ai commenti di quello precedente: ci deve essere un legame tra il "tradizionalismo" e i miti dei re defunti che ritornano? Questo scenario di sopra esposto,tenendo conto del ruolo di Gog e Magog, mi fanno pensare che una certa manifestazione di "defunti" sia probabile. Almeno metaforicamente parlando, il "tradizionalismo" di questi non è, esattamente, questo mito del ritorno invertito che si fa reale? Se la manifestazione poi sarà anche "plastica" questo non lo si può dire...
RispondiEliminaScherzando un pò (forse), riguardo le "luci" della pagoda: da diversi anni si possono notare un pò ovunque certi strani fuochi nel cielo. A scanso di ogni complottoso equivoco, (che ne dice di tutti i colori...) quasi sempre, pare che si tratti di lanterne...-cinesi- !
Stando allo scherzo: le lanterne non possono esser altro che … cinesi! … (ah ah)
EliminaIronie a parte, sì, le “luci” sono sempre più frequenti, non è un caso, ma – se vogliamo seguire certe visuali di “non recenti origini” – dobbiamo in ciò vedere un difetto di “signoria” riguardo al “dominio” che si “effettua” su realtà “sottili” che ci sono **sempre state** (qui penso, fuori di metafore, al fatto che il “Prete Gianni” [“Presbyter Johannes”] del Medioevo, “alias” “il ‘Re del mondo’” – che **non è** (**NON È**!) il “Princeps huius mundi” evangelico – “signoreggia” le “stirpi di ‘Gog e Magog’”) … Il contesto “cinese” nemmeno è “casuale”, in quanto il “Trono del Drago” implicava una “signoria” (“essenziale”, non basata sul consenso cioè, ma sulla natura delle cose) sulle “correnti del Drago” (sottile), e qui rimando a qualche cosettina scritta, di nuovo **non** casuale … Peraltro, che il “Prete Gianni” signoreggiasse le “stirpi” è scritto da “lui meme” in una “Littera” inviata, fra gli altri, al “nostro”, cioè all’ “imperàtor” Federico II, quindi viene “a fagiuolo”, colla vecchia “u” fra “i” ed “o” ,,,
Cosa sta succedendo, davvero? Forse si deve mettere in relazione con l’indebolimento del campo magnetico terrestre, riscontrato da qualche tempo?
Chiaramente questo sarebbe solo un **segno**, non una causa, e considerato tutto ciò sempre come “ipotesi di lavoro” e rimanendo ben pronti a rettifiche cambiamenti e revisioni (se vivi nel torrente in piena non puoi pretendere la solidità, peraltro proprio di un’epoca ormai non passata, ma trapassata proprio … cosa che solitamente sembra **DEL TUTTO** sfuggire ai lettori del “Il Regno” di Guénon … che strano: e che ne sarebbe del loro “tradizionalismo” se l’ammettessero? Dovrebbero ammettere che l’essenziale gli sta sfuggendo mano: perché farlo? …).
Il “tradizionalismo” ha un mito fondante? Sì. E’ legato al “defunto che ritorna”? Assolutamente **sì** !! Ma chi è costui? Che “ritorna”? Un “dybbuk” … un “lerevenant” … Uno “spettro” … marxiano? Anche …
Tra l’altro, l’imperatore “dormiente” – di seguito identificato con Federico I Barbarossa – in origine non era altri se non Federico II di Svevia: è **lui** il vero “dormiente”, insieme a Carlo Magno …
Attenzione che tutto ciò – nella “tradizione” regolare – ha un suo senso, quello de “parti psychche” – in tib. “t’ülku” (quel che, secondo Robin, in pare fu Guénon, **cito solo** questa teoria, ma non è niente d’impossibile) – che “ritornano” – ed ecco la **vera** “metempsicòsi” che **non è** la “reincarnazione” volgarmente intesa – che s’ “inseriscono” (“incarnano”, letteralmente) in un **altro** individuo, per cui **non si tratta** di “ritorno” dello “stesso” individuo, su questo è ben esser chiari. Ma non parliamo di questo: parliamo dell’evocazione di forze “sotterranee” – “symboliciter” – che “ritornano”, ed il “tradizionalismo”, con tutta ed ogni evidenza, non è in grado di operare la differenza tra i due “phenomena”, in realtà ben diversi: uno è un “perdurare” d’un influsso “psychico” – “cauzionato” da un influsso *+spirituale** – mentre l’altro è il perpetuarsi d’un influsso unicamente psichico, senza controparte spirituale.
Dobbiamo allora attenderci qualche “ritorno” in tal parodistica maniera – “parodia” nel senso di “illusione ‘metaphysica’” = una parte psichica **senza** la necessaria controparte spirituale, il serpente che si muove ma in realtà non è che una verga –, ci si può chiedere: sì. Inoltre, chiedevi: ci si può attendere il ritorno anche di “defunti”, per intenderci. Direi di sì: se dobbiamo credere a certe “visioni” quel che accadrà sarà il collasso di certe “forze” che separano certi “ordini di realtà” **vicini**, in realtà di questo parlo in un testo altrove consigliato (*) …
(*) cf.
Eliminahttps://www.lulu.com/en/en/shop/enrico-fortunia/su-maitreya-e-sul-new-age/paperback/product-1pkv84z.html
Nello “Zòhar” il “serpente” – “nahàsh” –, a sua volta simile a “rame” (ne discuteva Guénon in un cap. di “Simboli della scienza sacra”), è legato direttamente alla magia.
RispondiEliminaMa vi è un **altro** serpente, come quello in cui si trasformava la verga di Mosè, un serpente “buono” (“Un tempo l’uomo fu serpente”, ivi, p. 127, dell’ediz. Adelphi, cap. 20), che **ferma** i serpenti dell’ “altra parte” (“sitrà ahrà”), come nello “Zohar” si chiama la dimensione del “male” o di Sama’èl e di Lilìt, identificata – proprio nello stesso “Zohar” – con la regina di Saba dei fastosi cortei tardogotici, quella regina di Saba (considerata una “magista” molto potente …) tanto esaltata da G. de Nerval …
Riassumendo, dunque, il Re del Mondo "signoreggia" le stirpi ovvero le tiene sotto controllo (?), e questa Signoria -legittima- il suo governo.
EliminaCon il re defunto che ritorna mi riferivo proprio a Barbarossa (e se non ricordo male c'è qualcosa di simile sull'Imperatore Giallo, o sto fantasticando?) Ma su questo sei stato chiarissimo,c'è poco da dire...
Se l'indebolimento del campo magnetico è un segno, la NUtazione (con la N) in un certo senso potrebbe esserne la causa:
https://www.adelphi.it/libro/9788845934445
(Che oggi in questo "tiro alla fune" Seth stia avendo la meglio, almeno momentaneamente, su Horus, questo ormai ci pare ovvio...)
EliminaGrazie per la segnalazione del libro. Il “Re del Mondo” ha, fra i suoi compiti, quello di tener “sotto controllo” le “stirpi” e cioè mantenere la “Grande Muraglia” symbolica, ma si son verificati dei “‘Chink’ in ‘The Great Wall’”, per cui questa “funzione” appare recedere. Vi è qualcosa di simile sull’Imperatore Giallo, infatti ricordo che “il re (defunto) che ritorna” è, di solito, identificato col Barbarossa, ma – “in origine” –, in realtà, si riferiva invece a Federico II di Svevia.
Il moto di Nutazione può contribuire, non è impossibile. Il punto, però, è che ogni “Cyclo” ha una sua “coscienza”, un “limite”, e, quando “crolla” (crollando anche il – symbolico – “limes”), pur essendoci concause, la ragione di fondo sta proprio nella caduta di questo “limite” … Seth la vince – temporaneamente, ovvio –, ma il punto si è che la “rivincita” di Horus avviene in un Cyclo seguente, in realtà …
“puto” qui sopra, va cambiato in: punto
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