Due miti moderni per nulla miti … La cosa è interessante, perché su certi temi vi è stata più protesta – oltre il “fatto” economico – e su altri molto meno.
“MITI SOCIALI
Malgrado tutto, un certo comportamento mitico, individuale o collettivo, è facilmente identificabile a livello sociale, anche se il mito cambia la sua forma e spesso nasconde le sue funzioni.
Capodanno
E’ chiaro, per esempio, che le feste del nuovo anno, in apparenza profane, o quelle che accompagnano un nuovo inizio nella vita, come le inaugurazioni, o gli eventi significativi d’una carriera, come l’insediamento in un posto di direzione, conservano una struttura e una funzione mitica. Esse professano l’idea di un nuovo inizio, di una rigenerazione derivanti da un archetipo comune,, vale a dire, la ripetizione periodica della creazione. Si sente, in effetti, la necessità di riattualizzare certi scenari in cui si disegna una speranza di rinnovamento. Va detto, sicuramente, che si tratta di una rivalorizzazione profana di antichi valori sacri, perché alcuni temi mitici hanno subito un trattamento di laicizzazione. In definitiva le società si qualificano moderne nella misura in cui desacralizzano la Vita e il Cosmo”, D. Fasciano, Dio presso i Romani, ARQ Ed. Victrix, Forlì 2014, pp. 44-45, corsivi e grassetto in originale.
“L’educazione
Seguire un modello esemplare e riattualizzare un evento sacro rappresentano due passaggi significativi che il mito provoca per la sua natura ed il suo ruolo attraverso le età. E’ facile riconoscere questa funzione del mito nei domini dell’ Istruzione, dell’ Educazione e della Cultura.
I miti formano la somma delle tradizioni ancestrali. La loro trasmissione è paragonabile a quella dell’istruzione o dell’educazione di una società moderna. Entrambi in effetti propongono dei modelli da imitare. In passato la mitologia e la storia assolvevano la stessa funzione. […] Tutti gli storici di Roma ammettono la […] preoccupazione per trarre dalla storia un insegnamento morale e sociale. Plutarco va anche oltre. Egli fa una scelta di personaggi in funzione dell’imitazione. La sua opra Vite di Uomini Illustri è una vera e propria «somma esemplare per i secoli a venire».
A partire dal Rinascimento (XV e XVI secolo), tali personaggi impongono di nuovo le loro virtù e questo […] almeno fino alla fine del XIX secolo. Son gli archetipi dell’Antichità, le vite della cultura greco-latina, che alimentano con i loro miti, sogni e misteri l’istruzione pubblica. La Mitologia e l’istruzione esercitano dunque la loro influenza per una stessa funzione, che persiste nel crear e proporre modelli esemplari per l’intera società. […]
La cultura personale
L’imitazione dei modelli si svolge anche al di fuori della pedagogia ufficiale [punto importante], nella vita personale. Ognuno subisce quotidianamente una mitologia molto diversificata, che propone dei personaggi di romanzi, degli eroi di guerra, delle glorie del cinema. Setto troviamo versioni moderne del Don Giovanni, dell’Eroe politico, degli Amanti sfortunati, della Signora delle Camelie, del Cinico, del Poeta malinconico, ecc. Questi son archetipi la cui imitazione aiuta ad uscire dal momento storico per entrare nel tempo mitico”, ivi, pp. 47-49, corsivi e grassetto in originale, miei commenti fra parentesi quadre.
Il libro di Fasciano si apre, nella parte dedicata ai miti moderni, con questa citazione: “I miti moderni sono ancora meno compresi degli antichi miti, sebbene noi siamo divorati dai miti. I miti incalzano da tutte le parti, servono a tutto, spiegano tutto. Balzac, La vieille fille”, ivi, p. 37, corsivo e maiuscoletto in originale. La cosa è interessante perché su tali temi di solito il mondo moderno “nicchia” e rifiuta di considerare i suoi miti come tali, cioè: miti, per di più aggressivi.
Ma ci son due altri miti – aggressivi, per quanto ultimamente uno dei due abbia preso molti colpi avversi –: quello della “democrazia” e quello del “popolo”, dove il primo si è appannato ma il secondo gode ancora d’un consenso quasi universale.
Dietro ai due miti vi è quello – vero –, del quale sono solo due declinazioni: il mito non della mera “ragione”, ma del fatto che la ragione abbia “vinto” nel mondo moderno, e “dunque” tante cose non son più “possibili” nel mondo “moderno”, cosa, peraltro, falsa. Vero si è che un certo “raffinamento” – che alcuni però potrebbero chiamare “rammollimento” (è la stessa cosa, uno essendo il lato buono della medaglia e l’altro il cattivo: tu non puoi accettare una cosa e non prenderne le sue inevitabili conseguenza) –, ma tal “raffinamento” non autorizza a dedurre che “certe cose” non siano “più possibili” nel “mondo moderno”; e, difatti, sono ancora possibili … ed avvengono …
Il mito della sedicente “vittoria” della ragione – il cosiddetto “illuminismo”, incredibilmente oscurantista, tra l’altro – fa cadere le braccia a certa gente, che vive nel mondo dei propri “desiderata”, quando si confrontano con le decisioni concrete, nessuna delle quali, tanto da parte dei “decisori” apparenti quanto dei “popoli” votanti (o in qualsiasi altro modo esprimenti il loro consenso), è mai “razionale”. Tutt’al più, sono decisioni che implicano una parte – una parte – anche razionale, ma quest’ultima (la famosa “ragione”) nella realtà non ha certo l’ultima parola, ma solo la prima. La pandemia e la sua gestione ce l’ha dimostrato “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
In Asia orientale, invece, sorpresa, sono stati cristallinamente “razionali”, ma come mai?, come mai? ma come? Chi non è razionalista si comporta “razionalmente”, chi sbandiera il suo “razionalismo” non lo è stato?
Paradosso solo e soltanto apparente. Primo: è super chiaro, la ragione da sola non basta, ma non ci si chiarifica le cose se non si capisce che “razionale” è un fatto “emotivo” nella cultura occidentale moderna (questa qualifica di “moderna” non è secondaria né casuale). E’ un fattore “positivo” in senso “emotivo” nel senso che l’intera cultura considera se stessa “razionale”, dopo aver fatto corrispondere tal termine a “bene” in ogni caso, e dopo aver identificato “razionale” con “calcolo” (degl’interessi, non necessariamente economici, sia detto con chiarezza). Dunque la decisione “razionale”, in Occidente, è anche, sempre, di tipo “emotivo”. In altri termini: i due aspetti non son ben distinti. Nella cultura dell’Asia orientale, al contrario, lo sono e nettamente.
A tutto ciò s’aggiunge la mania del battibecco continuo tipica dell’Occidente “post” moderno, e cioè l’effetto – inevitabile – della “doxacrazia” divenuta “doxamania”. In Occidente, tu non sei tutelato, ma la “tua” opinione (“doxa”, per l’appunto) lo è, ad essa tutto è concesso, essa può tutto.
Ma questa differenza nella relazione con la pandemia richiederebbe altre considerazioni, che vanno al di là di questo semplice post.
Rimane ferma questa deduzione: la “ragione”, nella cultura occidentale moderna – e mai sarà sottolineato a sufficienza la qualificazione di “moderna” – nella cultura occidentale moderna la “ragione” in effetti è un mito …
Miti collettivi, miti generali, senza i quali una società, de facto, non sa vivere né può esistere … Che ciò collida frontalmente con i presupposti del razionalismo è chiaro ed evidente, ma è per questa sorta di suggestione collettiva che l’Occidente non sa vedere la sorta che si è scavato con il correre del tempo. E tal mito collettivo funziona tanto a cosiddetta “sinistra” che a cosiddetta “destra”, solo che per la destra non funziona “democrazia” ma funziona “popolo” (senza l’appello al “popolo” non può darsi politica di destra moderna, sottolineiamolo: moderna); con la grandissima differenza, però, che la “destra” crede che tal mito sia solo di “sinistra” perché coincide con “democrazia”, che per loro fa rima con classi dirigenti che “attenta” all’altrimenti “buono” per definizione “popolo”. Con questi funziona l’altra faccia della medaglia del mito fondante la modernità. E la cosa davvero caratteristica della “destra” – non si può esser di “destra” senza questa caratteristica – si è che il mito moderno, secondo costoro, sarebbe solo di “sinistra” (la Rivoluzione francese, l’uguaglianza, ecc. ecc.). Ma, purtroppo per loro – e non possono accettarlo ma nondimeno rimane vero – la modernità nasce prima della Rivoluzione francese: che peccato!
C’è questo piccolissimo particolare …
Volendo andare più a fondo ancora e chiedersi: che cosa c’è alla radice di questo doppio mito, la risposta è: il potere viene dal basso e il potere viene dal solo – non va mai dimenticato il termine “solo” perché la questione del consenso c’è sempre stata pure prima dell’epoca moderna, ma insieme a quella dell’ “Origine” del potere, cioè la “legittimità” dello stesso – consenso.
Di ciò se n’è parlato varie volte in questo blog, proprio in relazione a Federico II di Svevia, che avrebbe trovato semplicemente obbrobriosa una dottrina siffatta. Per lui – prima cosa ed articolo di fede indiscussa ed indiscutibile, un principium – era che il “potere veniva da Dio” e che lui, Federico II, era stato “scelto da Dio” ed esercitava in modo del tutto legittimo il potere e nessuno, né uomini (né papa) potevano azzardarsi a mettere in questione tale legittimità. Poi, secondo punto, c’era anche il consenso: lui si muove verso la modernità nel senso che considera “l’esserci”[1] del consenso, ma “l’esserci” anche, mai “solo” il consenso, e la radice del potere, per lui, non è certo il consenso, ch’è una condizione del suo “esercizio” e non la sua “sostanza”, per parlare nei termini aristotelici tanto cari allo “Svevo ‘mperadore”.
Andrea A. Ianniello
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