[Come s’ detto[1],
inizia la serie dei post chiamata del “piccolo
cabotaggio”, cioè post corti;
termina, quindi, la serie di post lunghi per quest’anno: un post “lungo” è
quello dove ci son più argomenti trattati, un post “corto” è quello dove ce n’è
uno solo, con eventuali “annessi e connessi”]
Infatti la
sovrappopolazione sta diminuendo, no?
Non sta diminuendo?! Allora lo scopo
è un altro, lo scopo
è mantenere il controllo da parte d’una ristretta minoranza, che c’è sempre stata (il capitalismo **è** questo, questo controllo da parte di
una ristretta minoranza, ma controllo che **non
si basa** sullo stato: anzi, lo stato va
indebolito (se non abolito, tout court)), e che **non è affatto** solo ebraica, ma proprio per niente.
Sia detto per inciso: se
uno dovesse prendere il punto di vista dell’ “eponimo” di questo blog –
Federico II – ne dovrebbe dedurre che tutti gli attuali regimi – e dico tutti, tanto i “dittatoriali” che i
“democratici” – sono illegittimi, però hanno, chi più chi meno, il consenso, la moneta fondamentale della
politica nella modernità.
Chiaro che – sia detto
con grande chiarezza – la
rivendicazione di non legittimità può essere oggi
solo e soltanto
teorica, cioè non se ne può trarre alcuna conseguenza “pratica”, cosa che
atterrisce i “tradizionalisti” che vorrebbero chissà che ora, quando il movimento della modernità, finalmente definitivamente entrato nella fase più
“critica” della “Crisi del mondo moderno” (secondo il titolo del libro di
Guénon, del qual libro prego di leggere la vecchia
edizione Mediterranee, non l’ultima,
troppo “evolizzata” – e dunque fuorviante
a riguardo delle reali posizioni dell’autore del libro in questione –), sta
fuoriuscendo da sé stesso e spingendo alla
sua “fine”, ch’è anche il suo
“fine”, e che gli appelli al “ritorno al nazionalismo” non possono che ritardare.
Stesso discorso vale
per i “populismi”, sia di “destra” che di “sinistra” (perché vi è anche un
populismo di sinistra, il populismo essendo – su questo M. Tarchi ha ragione –
in sostanza una “mentalità”).
Per lo stesso motivo – “le
cose devono fare il loro corso”, “non saltar subito sul cavallo”, “dà lo spazio
al tempo di operare” (tutte frasi che son solito dire), ecc. ecc. – non si può
dare alcun “terrorismo” in nome del quale cercare di “sovvertire” l’attuale
illegittimità diffusa dei regimi politici, verità solo e soltanto teorica.
Anzi, il terrorismo è tipico dei nostri tempi[2]
e ne attesta l’illegittimità, seppur non può curarla in alcun modo, in quanto anche il terrorismo è illegittimo.
E dunque
un’illegittimità non può curarne un’altra.
Oggi poi, la ricerca
del consenso s’è fatta spasmodica, sotto l’influsso potente della tecnica, ma,
ecco, il paradosso: il consenso
s’è fatto simulacro, proprio
grazie alla tecnica. Non v’è più “il” popolo, ma un pubblico, anzi dei pubblici, che assegnano un rapido,
però altrettanto mutevole, cangiante consenso privo, però, di coagulo. I
“popoli” sono come “acque”, sempre in movimento.
Questo dà la
possibilità di dare una definizione
di modernità nel campo politico, la cui categoria (Schmitt) è quella di
“amico/nemico”; ed eccola, dunque: la modernità è quando legittimità e consenso
coincidono.
Questa fase inizia con
la Rivoluzione francese, il che non
significa che il consenso non fosse importante prima, ma, già dalla nascita
dello stato moderno tra fine Medioevo ed inizio dell’epoca moderna, già il
consenso inizia ad esser importante: non
sostituisce, tuttavia, la legittimità. Il senso della Rivoluzione francese sta
nel sostituire, de facto, la
legittimità col consenso: inizia la ricerca – sempre più spasmodica – del
consenso.
Tale ricerca è
divenuta, oggi, un simulacro, come s’è detto, quando, grazie alla tecnica, il
consenso si può manipolare, produrre.
Su questo tema della
legittimità, vi è un post precedente, cf.
Chiaro che la legittimità
non proviene dal popolo, come vogliono tutte le destre, senza eccezione, che si
auto definiscono “tradizionaliste”, ma che vanno contro il principio della Traditio, id est: Non est potestas nisi
a Deo (Paolo di Tarso), e che vi sia un altro nome al posto di “Dio” non cambia il principio, che attesta
che l’uomo non può dare a sé stesso la legittimità dell’uso del potere politico
ed amministrativo, che è il potere d’imporre le proprie decisioni e i propri
deliberati agli “altri”, a tutti gli altri. Il popolo può dare il consenso –
anche se “il popolo” non c’è più, oggi, ma solo dei pubblici che assistono al
(triste) spettacolo della politica odierna, e votano –, ma il popolo non può dare la legittimità, che non possiede, poiché la legittimità non deriva dal numero, numero ch’è, invece, fondamentale per il
consenso.
Per avere il consenso è
necessario che la maggioranza ti appoggi. Per avere la legittimità non è necessario che la maggioranza ti
appoggi ma che tu possa render conto della tua origine, e l’origine non dipende dal numero. Essa è un fatto qualitativo e non quantitativo. E’, cioè, un “numero primo”, che non può
rapportarsi se non a sé stesso o all’ “Uno” stesso.
Vi è, sì, il paradosso
della legittimità, cioè che con la stabilità nel corso del tempo, la
legittimità si “guadagna”, per cui un regime, “dittatoriale” o “democratica”
che ne sia la forma, con uno o più partiti che sia, se riesce a durare,
si “legittima”, per l’appunto.
Questo è vero, per cui, se un regime, “dittatoriale” o “democratica” che sia, riesce a
perdurare, acquisisce la legittimità, e, dunque, voler sovvertire quel regime
sarebbe un atto illegittimo, stante la situazione in atto.
Ed è così.
Un regime si deve
svuotare dal suo interno, e poi
potrà essere abbattuto e sostituito, se del caso: questa è la via tradizionale,
peraltro conforme alla storia. Ragion di più per la quale degli eventuali
terroristi che – folli però, eh – volessero prendere quel che qui s’è detto sul
paradosso della legittimità per fare azioni folli, sarebbero fuori legittimità, per il paradosso della legittimità stessa: ciò è perché i regimi attuali, pur avendo origine
illegittima, hanno mostrato, perdurando nel tempo – se l’han fatto –, di averla, per così dire, “guadagnata”, e
questo vale sia per democrazie sia per dittature, se sanno perdurare, anche cambiando pelle, come i serpenti.
I regimi attuali
dovranno perdere il consenso, prima cosa; solo dopo si potrà “fare” qualcosa,
con la grossa ed importante precisazione: che non basterà la crisi di consenso, pur necessaria, perché si possa
tornare a dei regimi legittimi. Riassunto: il mondo continua sulla via della
dissoluzione, però, a questo punto, necessaria,
e proprio i “populisti” son quelli che vorrebbero si fermasse – o invertisse –
questa marcia, che però è necessaria,
poiché, quando consenso e legittimità coincidono, non vi è alcun modo di recuperare la legittimità perduta
(salvo bloccar tutto, à la
Metternich, ma non può esser fatto per sempre, ed Evola era un ammiratore di
Metternich, non a caso); e l’unico e solo modo per un regime di andare in crisi
è, oggi, la perdita di consenso, proprio quella che stiamo esperendo nelle
democrazia rappresentative in questa
fase storica.
Di legittimo ci son
solo le monarchie residue, che però hanno un ruolo meramente di riserva, e
sono, non a caso, in crisi; in crisi di cosa?, guarda caso: in crisi di consenso, che ricercano, come tutti gli
altri regimi.
E questo è una riprova
della debolezza, estrema, della legittimità residua, oggi, per cui tutti i
sognatori di “ritorni” alla monarchia non han capito il punto. Sono meri “tradizionalisti”
che, al massimo, sognano un Metternich, il qual fatto sarebbe del tutto
insufficiente, vista la crisi sia della legittimità sia, ed ecco la novità, del
consenso, sempre più labile, inconsistente, sempre più mero simulacro. La “Crisi del mondo moderno” ha senza dubbio
fatto dei grossi passi in avanti, ma non è terminata. Sogni ad occhi aperti
quelli di chi, dalla crisi del consenso ai regimi moderni – ma non tutti, molto
più verso le democrazie rappresentative che verso le dittature “rappresentative”
(paradossali) –, vorrebbe poi “dedurre” una “possibilità” per ritorni
“monarchici” che sarebbero privi di legittimità, per il paradosso della
legittimità stessa.
La via s’è detta più
volte: andiamo verso un ulteriore momento dissolutivo, ma di “qualità” ben
diversa da quelli che abbiamo esperito sin ora, che son di tipo “frammentante”
– la frammentazione (sino ad un certo punto) dei grossi stati moderni – piuttosto
che davvero dissolutivo. Anche se, in certi paesi, abbiamo davvero visto la dissolutio
dello stato moderno tout court. Quindi la direzione resta
quella, nessun dubbio al riguardo, però si coniuga in molti modi e si esprime
in forme differenti.
Tutto ciò detto non per
“ideologizzare”, men che meno per fare opera di propaganda, ma solo per puntualizzare
che occorre l’esser ben consapevoli di questi fatti sostanziali per comprender
bene l’attuale crisi, ch’è crisi dello stato moderno tout court. Essa
era già in nuce tra la fine degli
anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, e non
a caso qui si è citato sia Baudrillard che il Cacciari di quegli anni – ben più
“radicale” di come poi è diventato (quanto a Baudrillard, era radicale in
quegli anni e, pur con degli “aggiustamenti di tiro”, lo è sempre rimasto) –
perché in quella stagione la percezione della crisi dello stato moderno “in sé” vi era ben più acuta che oggi. Nacque, però, proprio in
quel tempo, ciò che chiamo “il blasfemo pseudo ‘vangelo’ della tecnica come
panacea” per la crisi dello stato moderno, poiché il fenomeno di crisi dello
stato moderno era ben evidente nella crisi propria degli anni Settanta. Lo pseudo
“vangelo” della tecnica coma panacea ne fu l’uscita.
Solo che la tecnica, se
in apparenza rafforza il controllo,
in realtà esautora lo stato moderno
della sua distopia: il controllo, cioè; pertanto essa (tecnica) non può che
riportare il controllo sempre più in mani non
statali: è lo scopo della tecnica
e del capitalismo (sul quale ultimo forse torniamo più in là). Insomma, il 5G
scontenterà e la Cina e gli Stati Uniti d’America, in altre
parole scontenterà tutt’e due i contendenti della contesa globale in atto,
scopo di quest’ultima contesa essendo il controllo dello spazio digitale.
Quest’ultimo sarà crescentemente in mano a forze “altre”, che ora non sono ancora manifeste ma che,
inevitabilmente, si manifesteranno e che possiamo chiamare come ci pare: il
punto è comprendere che l’ottica da XIX secolo con la quale tanti parlano di
questi temi (e svegliatevi un po’!!) è del
tutto errata perché fuori epoca.
Quando tutto o gran
parte sarà “nella rete delle
‘cose’”, per mezzo del 5G, o strumenti similari, basterà un sol comando per bloccare tutto.
Chi potrà far questo –
cosa che attualmente sembrerebbe “fantascienza”, ma che, da un punto di vista
teorico, è assolutamente possibile – non
è detto che sia uno stato moderno, o “quel che rimane” dello stato moderno[4].
Di ciò nessuno stato è
oggi consapevole: il punto è che non possono che seguire questa via.
La causa? Che la crisi
dello stato moderno, negli anni Settanta, ha ricevuto, come risposta, la
tecnica, per cui, per loro, solo la tecnica stessa ne può essere la risposta.
Ma la tecnica moderna, qualora vada oltre
un certo punto – “dalla quantità continua alla discontinua”, avrebbe detto
Guénon = dalla meccanica alla digitalizzazione, quest’ultima essendo basata
sulla quantità discontinua alias il numero –, non può che minare lo stato
moderno, non può che minare le aggregazioni di “massa” (per esempio i partiti),
perché “individualizza” cioè frammenta
il corpo sociale in tanti
pezzettini.
E lo frammenta con
tutte le conseguenze del caso, ivi
compresa la crisi – irreversibile
– dell’istituto stesso della rappresentanza,
della “rappresentatività” in altre
parole.
La puntualizzazione sul
“terrorismo” è, qui, d’importanza fondamentale, perché – vista la pazzia e
l’isterismo collettivi, così diffusi – si alza storto qualcuno la mattina e
dice che “tu” gli hai “detto” qualcosa che non gli hai mai inteso dire. Dunque:
la legittimità mina la democrazia, però la rafforza, anche; essa mina le
dittature o le “democrature”, però le rafforza, anche. Questo paradosso ti fa
capire che c’è, dietro, un elemento – più o meno sfuggente – che provoca l’ apparente paradosso.
Bisogna esserne consapevoli.
Come bisogna esser consapevoli del fatto che la “Crisi del
mondo moderno” (Guénon) è, ormai, entrata nella sua parte finale, ma non è ancora finita. Anzi, la sua parte
“finale”, in realtà, è quella più
radicale di tutto il lungo processo, che pareva non dover avere mai fine: la crisi
– finale – dello stato moderno.
Dello stato moderno, tout court.
Andrea A.
Ianniello
PS.
Questo post è stato scritto in questa fase, dominata dallo stellium in
Capricorno, cominciato il 2 dicembre.
A parte delle altre considerazioni, ci si avvicina
dunque alla Magna Conjunctio – di quelle studiate d’ Albumasar – fra Saturno e Giove, che
avverrà in Capricorno, significativamente, tra inizio marzo – fine giugno del 2020, con (significativamente) l’ “avvisaglia” dell’ “Età dell’Acquario” col passaggio di Saturno in Aquarius, dal 23 marzo (2020) al 1 luglio (stesso anno), considerato moto diretto e retrogrado; per poi esser seguita
– immediatamente, cosa particolare, che dà l’idea di un repentino
cambio nel “cima mentale” – da una Magna
Conjunctio in Aquarius, esatta il
21 dicembre del 2020: lo stesso anno.
La prima, quella in Capricorno, è anche
l’ ultima delle Magnae Conjunctiones nei segni di terra.
Essa sarà subito, appunto, seguita dalla Magna Conjunctio in segni d’ aria (nel nostro caso, in Aquarius): ciò
segna un cambiamento di “clima sottile” molto netto,
come detto in un altro post, e del quale cominciamo
a sentire già le avvisaglie[5]. Le Magnae Conjunctiones in sé stesse si ripetono ogni circa vent’anni: dunque nil sub sole novum. Ma quando
cambian segno, allora, sì, che
sono significative. Paradossalmente,
nei cicli celesti, prima del cambiamento definitivo
di elemento, avviene sempre che il cambiamento definitivo sia,
per così dire, “annunciato” da una conjunctio nell’ elemento (ignis, aër, aqua,
terra) che dovrà venire: così, nel
1980 ci fu Magna Conjunctio in aria, in Libra, per l’esattezza. Un
“annuncio” cui segue la riconferma dell’
ultima Magna Conjunctio nel
segno che deve passare: in Taurus nel 2000,
e, dopo quest’ultima, vi è il definitivo
passaggio all’altro elemento: Aquarius,
che apre la serie delle Magnae
Conjunctiones in segni d’aria. Di
cosa ciò sarà “segno”[6]? Della fine del capitalismo – la Magna Prostituta Babyloniae –, della
fine del capitalismo come System, non della cancellazione dei suoi effetti,
né della sua sparizione: sia ben chiaro che non potrà sparire come non ci fosse mai stato; e, assieme a ciò,
sarà segno dell’ inizio dell’ “era dell’Aquarius”, che sarà pure detta “Regnum Antichristi”, che sarà ben diverso dalle solite sciocchezze di
destra pseudo tradizionali che si
sentono in giro. Su quest’ultimo, dal punto di vista della datazione in relazione agli eventi
astrali, cf.
Quindi terminerà il System capitalistico, ma non per
questo sarà finita. E proprio allora, invece, si avrà la parte
finale, la parte più complessa e dura e difficile di tutto quel processo di transformatio
mundi che, malgré elle meme, la modernità rappresenta.
Come dicevano gli antichi: In Cauda venenum. Ed evidentemente, si sta qui parlando di Cauda Draconis
….
PPS. Per esattezza, i cicli di congiunzioni di cui si parla nel PS qui sopra, sono alla nota (1) del link seguente:
https://mountainastrologer.com/tma/on-the-threshold-of-new-beginnings/.
PPS. Per esattezza, i cicli di congiunzioni di cui si parla nel PS qui sopra, sono alla nota (1) del link seguente:
https://mountainastrologer.com/tma/on-the-threshold-of-new-beginnings/.
NB [del
10/dicembre/2019]. Con l’ “avvisaglia”
di Saturno in Aquarius (inizio marzo –
primo luglio dell’anno prossimo) e –
poi – col definitivo passaggio e la Magna
Conjunctio del 21 dicembre 2020, si
può dire che l’ “Età dell’ Aquarius” è cominciata: essa, come s’è detto, è – e sarà
– ben diversissima da come se la sono immaginata tanto estimatori che
detrattori. Un parallelo si può fare al riguardo delle idee davvero sbagliatissime sull’ Antichristus
– anche se magari storicamente diffusissime
– e cioè dell’Anticristo come “conquistatore invincibile”, tali deviazioni
essendo diffusissime nella storia, ma oggi soprattutto in ambito slavo e russo
in particolare (od ucraino), comunque dell’Europa dell’est che, non avendo
capito molto di “che cos’è la modernità”,
continuano nella loro abituale chiusura
mentale. Per loro questo link:
Il commento sotto la copertina riportata.
Per quanto possa essere
giustificabile storicamente la grave confusione
in Europa dell’est, va detto – a chiare
lettere – che l’Anticristo non è,
né mai
sarà, un “novello Gengis Khan” … La natura “acquariana” sia della nostra epoca sia
delle congiunzioni che stanno per venire – la cui ombra già si proietta oggi – non lasciano, né possono lasciare, alcun dubbio
al riguardo.
[Aggiunta del 12/12/c.a.] “L’Età dell’Acquario” –
che inizierà il ventun dicembre dell’anno prossimo
–, non è il Regnum Antichristi
anche se l’ “esserci”
dell’ “Età dell’Acquario” è condizione necessaria,
ma non sufficiente,
perché il R.A. possa darsi.
[3]
Sulla legittimità della monarchia, che deriva dalla stabilità dell’istituto
monarchico, cioè dal suo effettuare correttamente la “successione”, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/08/la-razionalita-la-canapa-e-la-fine-dei.html,
nota n°4 a pie’ pagina.
[4] Cf.
“Così crollano gli imperi, così
il mondo si trasforma”, (E. Jünger,
Al Muro del Tempo, Adelphi 2000, p. 155, corsivi miei)”, in cf.
Sempre da “Quel che
rimane del giorno”, il brano del primo link qui sopra è parte d’un brano più
esteso, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=sHgdTdup07Q.
[6]
Gli astri non “provocano” proprio un
bel niente, non provocano gli
eventi, ma “segnano” gli venti, “annunciandoli”, e danno una “colorittura” di sé a ciò che deve avvenire.
Moltissime visualizzazioni di questo post.
RispondiElimina