giovedì 24 marzo 2016

Già da tempo siamo nell’assenza del “Projectum”





“La storia vissuta e la storia ricordata sono due cose affatto diverse”
(J. Christopher Herold, Vita di Napoleone,
Il Saggiatore, Milano 1967, p. 381).

“Questa problematica riaffiora nell’opera di Spengler. In
Il tramonto dell’occidente Spengler ricopia, letteralmente,
l’analisi simmeliana: dalla rottura dell’
organizzazione tribale, all’affermarsi, come massime
potenze, del Denaro e dello Spirito [geist, in tedesco,
che non è lo “spirito” come cosa oltra-mentale -
ma è la potenza della mente e della civiltà umane; nota mia].
Ma ciò che in Simmel concludeva un tentativo di
afferrare la sostanza contraddittorio-negativa irrisolvibile
della Metropoli, appare qui come nuovo,
perfettamente risolto, ordine spirituale”
(M. Cacciari, Metropolis. Saggi sulla grande città di
Sombart, Endell, Scheffer e Simmel,
Officina Edizioni, Roma 1973, p. 47).

“Le fortune dell’individuo sono sempre state legate allo sviluppo
della società urbana: l’abitante della città è l’individuo
per eccellenza. I grandi individualisti che criticarono la vita
delle città, come Rousseau e Tolstoj, in realtà avevano
le loro radici intellettuali nelle tradizioni urbane; la fuga
di Thoreau nei boschi fu concepita da uno studioso della polis
greca più che da un contadino”
(M. Horkheimer, Eclissi della ragione,
Sugar Editore, Milano 1962, p. 161).

“L’individuo cristiano emerse dalle rovine della società ellenistica.
Si potrebbe pensare che, di fronte a un dio infinito e trascendente,
l’individuo cristiano sia infinitamente piccolo e indifeso; che egli
sia una contraddizione in termini, giacché il prezzo della
salvezza eterna è la completa rinuncia a se stessi.
In realtà, l’aspirazione all’individualità fu immensamente
rinvigorita dalla dottrina che la vita sulla terra è
solo un interludio nella storia eterna dell’anima”
(M. Horkheimer, Eclissi della ragione, cit., p. 166).

“‘Ho parlato d’idea e una idea può seminare il caos
solo nel cosmo immaginato dalla mente umana’ …”
(L. Malerba, Il fuoco greco, Mondadori Editore,
Milano 1990, p. 19).

“Quando scesero le ombre della seconda sera, ero sfinito.
Mi fermai di fronte al vagabondo e lo fissai negli occhi.
Non mi notò, ma riprese il suo solenne andare.
Allora rinunciai all’inseguimento, e rimasi estasiato
a contemplarlo. ‘Questo vecchio’, dissi dopo una lunga
riflessione, ‘è il tipo e il genio del delitto profondo.
Egli non vuol essere solo. E’ l’uomo della folla. Seguirlo
è inutile, perché non saprò mai niente di lui e delle
sue azioni. Il peggior cuore del mondo è un libro ancor
più ermetico dell’ Hortulus animae [Hortulus animae,
cum oratiunculis aliquibus addictis, di Grünninger] e forse è
una grande misercordia di Dio che
es lässt sich nicht lesen [esso non si lascia leggere]”
(E. A. Poe, “L’uomo della folla”, in
Le belle bandiere, maggio 1981, p. 6).

“L’uomo bianco era molto malato. Si teneva a cavalcioni
sulla schiena di un selvaggio dai capelli lanosi,
dalla pelle nera”
(J. London, L’Avventura, Casa Editrice Sonzogno,
Milano 1966, p. 9).



E “l’uomo ‘bianco’” è oggi, senz’alcun dubbio, molto ma molto super malatissimo … Tenersi “a cavalcioni” non è che aiuti molto …
Come si è già detto in un post precedente (Para Docks, http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/para-docks.html), oggi proprio, in questa tale situazione, in cui ci sarebbe gran bisogno di “visione”, non è casuale che “certe” cose le si veda ben meno di “altri” tempi, quando se n’era più lontani. Probabilmente a ciò non son estranei problemi “ciclici” ricollegabili all’aspetto “qualitativo” del tempo, per cui certe cose non si possono compiere o vedere in qualsiasi ed in ogni tempo (di ciò tratta un interessante commento al recente post su Barbault, commento cui si è risposto e corrisposto: probabilmente, si era nella “mini ‘età del bronzo’” del più vasto “Ciclo umano e cosmico” in cui ci si ritrova [1]).
Ma veniamo a noi.
Sempre in relazione a tali temi, è “cosa buona e giusta” ricordarne altri, di temi, specialmente afferenti al tema del “pro jectum”, che oggi - com’è noto anche ai bambini, ormai - latita con un silenzio assordante, indubbiamente degno di Dante.
Rileggendo certi testi a molti anni di distanza è inevitabile vederli e concepirli per ciò ch’essi non potevano all’epoca essere: “in vista di” altro.
La letteratura della “crisi” fra Settanta e Ottanta, e con punte fino alla prima metà dei Novanta, prima che il 1994 segnasse la “data” della cosiddetta “globalizzazione ‘felice’” - per alcuni - diciamo stabile, si produsse una “letteratura”, la letteratura della “crisi”, che è interessante rileggersi, nel senso qui sopra appena detto.

Veniamo ad un termine che, in quell’epoca, fu molto sottoposta a critica, l’epoca dell’ “eclisse della ragione” - ma con la gigantesca illusione di poter “riprendersi” dalla “crisi” stessa, grosso errore -. E’ come si è detto: a distanza si vede di più, si vede meglio, ma - in compenso - si ha l’illusione di poter risolvere la crisi stessa. E questo nasce dal sottostimare la crisi. La sottostima nasce, a sua volta, dal fatto che esci fuori casa e, tutto sommato, le cose vanno, “la nave va”, mentre oggi la nave è quasi incagliata.
Tutto ciò rientra nelle “determinazioni qualitative del tempo” (R. Guénon), ovvero quel ch’è possibile in un determinato momento non lo è necessariamente in un altro. 
Corollario: non è che gli organismi istituzionali siano “riformabili” utilmente in ogni momento, come ci dimostra la storia dell’Impero romano. 
Altro corollario: veder le cose non coincide con l’agirvi su; non solo, ma spesso si nota che, quanto più si è attanagliati da un processo - per di più “critico” - e tanto meno si ha libertà d’azione. Questo è vero tanto nella vita individuale quanto in quella più che individuale; anzi, in quest’ultima è ancor più vero.
Lo sviluppo non vuole felicità, bensì sviluppo e nient’altro”; con questa citazione di Nietzsche (da Aurora) si apriva un vecchio articolo di Asor Rosa[1], iniziava il lungo, e non ancora del tutto concluso, divorzio dalla politica, che però è andato molto in là come divorzio dalla politica che “non dà la felicità”. Criticando l’idea del “progetto”, Asor Rosa l’equiparava ad una “giustificazione ideologico-protettiva[2], o a “Progettualità = ineffettualità[3]. Di seguito a questa constatazione di crisi e d’impotenza, lo stesso Asor Rosa sarebbe stato condotto a posizioni più radicali[4].
Già in quell’epoca era possibile vedere la “deriva” in cui siamo pienamente, e senza speranze (ovviamente all’epoca era considerata un’eventualità da cercare di evitarsi, cosa del tutto impossibile, vista l’ “ineffettualità” quasi completa delle “sinistre”): “Tutto sta, in conclusione, nel ritenere maggiormente auspicabile e possibile […] una politica di aggiustamenti, a basso profilo progettuale, piuttosto che una politica di cambiamento, d’innovazione e di più ampio respiro. Alla radice di tale opzione c’è però soprattutto il non rendersi conto che non siamo soltanto in una situazione negativa di guerra di tutti contro tutti, ma anche in una condizione del tutto inedita, che consente ed esige modificazioni profonde dell’esistente”[5]. Insomma: quel che abbiamo avuto ed ancor abbiamo, con l’interessante differenza che, grazie ai sistemi di comunicazione di massa ed ai “social”, questa politica di “basso profilo progettuale” si spaccia per chissà quale gran cambiamento” … Che, poi, ci sia resi conto di essere “in una condizione del tutto inedita” è stato chimerico - e questo non è ancora sensus communis nel 2016 (!!) - e, di conseguenza, nessuna “modificazione profonda dell’esistente” è avvenuta se non l’arrocco delle classi digerenti, la chiusura a riccio delle lobby dominanti. La conseguenza è stata la caduta e la crisi delle classi medie: poco male, perché si sfogheranno nei vari populisti e contro la cosiddetta “immigrazione”, e, quindi, nessun pericolo “sistemico” verrà ai da tale lato. Di nuovo, in quel tempo si poteva veder chiaro a riguardo della direzione che le cose avrebbero preso. 

Che ad alcuni non piaceva quel che s’intravedeva dietro l’angolo, è certo, ma che lo si potesse intravvedere - o addirittura veder distintamente - è palese.

Nel suo intervento Cacciari parlava di “‘Equivocità del termine” di progetto[6]. Le considerazioni di Cacciari erano alquanto radicali, come nel suo periodo cosiddetto “negativo”, di attenzione al “pensiero ‘negativo’”, cosa che poi lui stempererà moltissimo, divenendo ben poco radicale, fino a tempi assai recenti, con il libro del 2013 di “teologia politica” in cui recupererà certi temi[7], constatando che “il potere che frena” dell’epistola paolina 2Tessalonicesi non esiste più[8]: il che è vero, ma le radici non son oggi, non son ora, son già presenti - in nuce -, e seppur lontanamente, in questo vecchio articolo.
Come sempre, Cacciari iniziava con l’etimo del termine, considerato da lui, per l’appunto, “equivoco”: “Pro-durre e pro-getto sono termini solidali […]. Il progetto pre-vede, per così dire, questa futura presenza [produttiva], ne dispiega in anticipo i tratti. Ma nel progetto, appunto, non ci si limita ad ‘ideare’ tale presenza, si mostra anche con quali mezzi e per quali vie esso sia effettivamente pro-ducibile. L’accento del progetto è dunque quello dell’anticipo, della previsione e della concreta produzione”[9]. Riferendosi, poi, all’etimo tedesco di Ent-wurf, aggiunge che qui “è avvertito lo strappo del ‘lancio’, non la sua eventuale carica prefigurante, predittiva”[10]
Il “pro-getto”, da evento produttivo e predittivo, diventa un qualcosa di rischioso, inserisce un elemento di “rischio” che ci dà un indizio esatto a riguardo dell’ eclisse contemporanea della progettualità. Quest’aspetto non deve però, occultare l’altro aspetto, produttivo e, soprattutto, predittivo: “L’essenziale del progetto consiste nella parola anticipatrice. […] Il progetto - in questo senso - appartiene integralmente all’epoca del logos”[11]. Di qui la sua crisi, irreversibile, sostituita, però, non dalla percezione dell’assenza, che ancor ancora sarebbe catartica, ma da una miriade di simulacri di progettualità, e a iosa.
Vi è una storia del “progetto”, assenza, ascesa, successo ed eclisse attuale, ma per dispersione, che si è, a sua volta, eclissata in sparizione, non per crollo.
“L’enfasi progettuale è la tonalità particolare di un’epoca del Politico. Corrisponde, anzi, piuttosto, a uno strappo decisivo nella sua storia. In esso si afferma l’idea, lentamente e attraverso drammatiche contraddizioni, che le forme del potere sono costruzioni artificiali, la cui durata, la cui capacità di resistenza, è direttamente proporzionale all’efficacia con cui sanno anticipare-governare l’imprevedibile, l’irruzione (la cui possibilità è in sé ineliminabile) del caso. La virtus della durata contro la tyche dell’evento: uno scontro che finirà con l’ammettere solo programmi, che si rinnova incessantemente, senza mai trovare la Soluzione. E’ soltanto equivoco parlare di progetto, e di progetto politico, dove fonte e senso del potere appaiano, invece, davvero onto-teologicamente fondati. Progetto accade soltanto lì dove ci si strappi da un simile presupposto. Dunque, la comprensione che la respublica christiana ha di sé è essenzialmente anti-progettante, in quanto il suo significato consiste nel tenere l’unità e l’ordinamento generale dell’Eone, fino al suo compimento, contro ogni seduzione: se-ducere è lanciare il potere oltre il suo fondamento, tentarne giustificazioni meramente etico-mondane. Qualsiasi autorità tradizionale ha una visione diabolica del progetto, più in generale ancora: di quella incoercibile dimensione pro-gettante che sembra propria del comprendere stesso. Il progetto diviene termine-chiave soltanto di un’epoca di razionalizzazione e di secolarizzazione del Politico”[12].

La fine del progetto - per mezzo della sua diffusione ovunque, della sua parcellizzazione e polverizzazione (e già ben intravisto da Baudrillard nel suo Dimenticare Foucault, Cappelli, Bologna 1977!!) -, la Fine del “Progetto” di “per sé” attesta che l’epoca della “razionalizzazione e di secolarizzazione del Politico” (Cacciari) è finita.

Per sempre.

Le seguenti considerazioni di Cacciari sulla politica “come mito”, considerazioni - in parte - riprese nel suo ultimo volume[13], meritano di essere riportate: “E’ come se la demitizzazione della grande forma politica tradizionale, che lo Stato moderno opera, afferrasse nella propria febbre critica il suo stesso progetto, ciò che il suo stesso progetto pensa: la possibilità concreta di superare il divenire, di porlo come stato. Il progetto vuole pensare questa possibilità in forma razionale-scientifica”[14]. Vediamo, però, la sin troppo famosa, e fumosa, e furiosa, “razionalità tecno-scientifica” sempre più col fiato grosso, sempre meno capace di prevedere. Anzi: “più intensamente si esprime nel progetto la volontà di fare-stato, più il progetto è progetto di grande forma politica (e quindi più violento lo stacco rispetto al suo passato), maggiore la funzione del mito al suo interno”[15]. Tale funzione “mitica” è ovvio che oggi sia del tutto atrofizzata: non può esser diversamente, in effetti. 
La qual cosa non significa che non possa e non debba esserci del “mitico”, tanto più che, correttamente, già in quei tempi, Cacciari scriveva “Per la critica dell’idea di secolarizzazione[16]
Ed anche questo si è realizzato, in forme assai degenerative, ma non la mito-storia[17].


A questo punto, si possono trarre delle prime conclusioni: la “sinistra” ha perso perché inefficace
La progettualità è discesa nei “programmi” sempre scritti “a matita”, e dunque sempre rivedibili - e passi che siano “rivedibili”, è inevitabile, ma che ogni volta sia sempre “l’ultima parola” fa ridere, anzi piangere -; ma oggi, ed ecco la crisi del progetto, crisi irreversibile, la “tyche” sorpassa sempre più, e sorpasserà sempre di più, la “virtus” della durata.

Quel che si vede è che la “virtus” della durata non c’è quasi più, manca - ed è evidentissimo ormai - la possibilità di fronteggiare la “tyche” degli “eventi”. 
Terza conseguenza, che nasce dalla semplice somma delle due appena dette: che, in una tale situazione, vi sia “il potere che frena” è semplicemente sognare, pura chimera; in una situazione tale non ci può affatto essere alcun “potere che frena”
Punto e basta.

La Soluzione può venire solo fuori dai “programmi”, al di là dei progetti e della Politica. Deve, insomma, possedere un cambiamento “qualitativo” al suo interno, né può darsi come una mera “somma” di cose già esistenti. Ma, si è visto, tutto lo “sviluppo” è stato un “blindare” il Sistema, un blindare sistemico che ha fatto sì brindare tanti, ma sul campo ha lasciato le macerie del legame sociale. 
Ci vuole il Mythos. Ma, come ben si sa, il mythus è realtà pericolosa e che lo sviluppo storico tende a rifiutare, per cui, lo si è visto nella “mito-storia”, quella del mythus può esser solo irruzione, sulla “lunghezza d’onda” e con la “figurazione mythica” del Puer eternus e non del Pater, come giustamente osservava, già illo tempore, E. Jünger. 
Non vi sono, in effetti (proprio per poter evitare l’ ineffettualità delle “sinistre”) molte altre chance





NOTA DI COMMENTO
[1] Che il “cosmico” e l’umano, dunque anche il “sociale”, siano separati, è la “pietra miliare” della modernità, il suo fondamento vero, che ora vacilla sempre di più, a fronte di un mondo naturale sempre più attivo.
La modernità, invece, nel suo lungo sviluppo, non avrebbe potuto esserci senza una fase di “calma”, tutto considerato, del mondo naturale. Ovviamente, non certo di “stasi”, che non esiste, ma senza dubbio di “calma”.
Sia detto per inciso, su questo punto si situa la “faglia” che ci differenzia anche rispetto a qualche decennio fa: la stabilità che avevano - e non solo “sociale”, bensì anche “cosmica” - noi, semplicemente, non sappiamo che cosa sia più, e viviamo in un perenne, ormai, “stato di emergenza” (Virilio), ma “globale” (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/lo-stato-di-emergenza-virilio-ma-globale.html).
Niente di grande
di straordinario
d’imperiale o di principesco:
soltanto un modesto blocco
di pietra
su ciglio della massicciata.
La gente ti chiede
la strada
per non perdersi lungo
il cammino
a ciascuno
tu mostri la strada
e la lunghezza del cammino.
Non è poco
mia piccola pietra
e non potrò dimenticarti!
(Ho Chi Minh, Diario dal carcere,
Garzanti Editore,
Milano 1972,
p. 53).







[1] A. Asor Rosa, “La felicità e la politica”, in Laboratorio Politico. Critica del progetto/2, Einaudi Editore, Torino, marzo-aprile 1981, p. 10.
[2] Ivi, p. 21, corsivi in originale.
[3] Ivi, p. 22, corsivi in originale. Vi si leggevano parole che avrebbero avuto un gran futuro: “I progetti della sinistra […] non hanno avuto effetto alcuno -, e questo non solo nel senso che non sono stati realizzati. Voglio dire che non hanno avuto capacità di produrre politica” (ibid., corsivi in originale). La sinistra è riuscita straordinariamente ad essere totalmente “ineffettuale”, ovvero priva d’effetti, salvo quando non è stata più sinistra, il che è stata la sua nemesi assolutamente inevitabile.
[4] Le si può leggere in A. Asor Rosa, Fuori dall’Occidente, ovvero ragionamento sull’Apocalissi, Einaudi editore, Torino 1992, di nuovo “in zona Cesarini” della fase “critica”, poco prima che nel ’94 s’entrasse nella “zona blindata” della globalizzazione. Interessantissimo sottolineare che questo libro di Asor Rosa, appena citato, fu da quest’ultimo scritto in relazione agli eventi della Prima Guerra del Golfo. La Seconda è stata ben peggio della Prima, eppure la Prima generò dei rilievi “critici” di ben altra radicalità e profondità, come quello di Asor Rosa appena ricordato. Il che, di nuovo, ci ricorda - “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come vuole la formula resa ben nota dai film americani (e gatti) - il cambiamento “qualitativo” avvenuto dal 1992-93 al 2002-3. Venendo al libro di Asor Rosa, il puto degno di nota è che lui spesso confonde e non ha ben chiaro il distinguo fra “Grande Prostituta” e “Regno dell’Anticristo”, e spesso tende ad identificare - ma l’errore è diffusissimo ancor oggi! - gli Stati Uniti d’America con il Regno dell’Anticristo (errore madornale!), quando, invece, gli USA sono stati (ed ancora in parte sono) il centro della Grande Prostituta di Babilonia. Attenzione: gli USA non sono la G. P., ma lì, la G. P., ha avuto, ed ancor ha, il suo centro direzionale; su questo bisogna esser chiari, sennò si fa solo polemica politica del giorno.
[5] R. Bodei, “Fenomenologia e logica del progetto”, in Laboratorio politico, cit., p. 56, corsivi in originale.
[6] M. Cacciari, “Progetto”, in Laboratorio politico, cit., p. 88, corsivi in originale.
[7] Cfr. M. Cacciari, Il potere che frena. Saggio di teologia politica, Adelphi Edizioni, Milano 2013.
[8] Epistola considerata “pseudoepigrafa”; si può leggere il passo de Il potere che frena: https://books.google.it/books?id=n4RdAwAAQBAJ&pg=PT20&lpg=PT20&dq=2Tessalonicesi+che+frena&source=bl&ots=6yoNH3ckNW&sig=-UnuaLh9gk3ugjq1zaLK0wnUNjk&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwihtcrH0NnLAhXFRQ8KHaQ1AzsQ6AEIJjAA#v=onepage&q=2Tessalonicesi%20che%20frena&f=false.
[9] M. Cacciari, “Progetto”, in Laboratorio politico, cit., p. 88, corsivi in originale.
[10] Ivi, p. 89, corsivo in originale.
[11] Ivi, p. 92.
[12] Ivi, pp. 98-99, corsivi in originale.
[13] M. Cacciari, Re Lear, padri, figli, eredi, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta 2015.
[14] M. Cacciari, “Progetto”, in Laboratorio politico, cit., p. 102, corsivo in originale.
[15] Ivi, p. 103, corsivi in originale. Lo “stacco rispetto al passato” è l’essere “figli ma non eredi” del libro su Re Lear citato nella nota appena precedente a questa.
[16] Ivi, p. 111 e sgg., corsivi in originale.
[17] Di questo tema si può soltanto accennare qui. In ogni caso, su questi temi si rimanda alla parte finale di questo post: http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/12/la-rovina-del-cash.html. 









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