In
relazione ad un precedente post - sui simulacri
(Body (“Bodhi”) Hard - Beau Deer Yard -,
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/body-bodhi-hard-beau-deer-yard.html)
- è interessante ricordare che “l’ordine dei simulacri” si ritrova anche nella
Postfazione a P. K. Dick, I simulacri,
Fanucci, Roma 2005, undici anni fa, un tempo vicino molto lontano.
Tale Postfazione di Baudrillard s’intitola, in effetti, “Simulacri e fantascienza”, ed è, in realtà, del molto più lontano, ma in realtà più vicino, 1980 (ivi, pp. 275-282). E parla dei “tre ordini di simulacri”, come nel passo citato nel post qui sopra:
“Tre
ordini di simulacri: 1) simulacri naturali, naturalistici, fondati sull’immagine,
l’imitazione e la contraffazione, armoniosi, ottimisti; mirano alla
restituzione o all’istituzione di una natura ad immagine di Dio: 2) simulacri
produttivi, produttivisti, fondati sull’energia, la forza, la sua
materializzazione per mezzo della macchina e in tutto il sistema della
produzione - tendenza prometeica alla
mondializzazione e ad un’espansione continua, a una indefinita liberazione d’energia (il desiderio fa parte delle utopie
relative a quest’ordine di simulacri [qui Baudrillard criticava sia Deleuze che
Foucault, nota mia]; 3) simulacri di simulazione, fondati sull’informazione, il
modello, il gioco cibernetico - operazionalità totale, iperrealtà, progetto di controllo totale” (ivi, p. 275, corsivi
miei). Continuava Baudrillard dicendo che al primo ordine di simulacri
corrispondeva l’utopia ed al secondo la fantascienza, mentre al terzo non
corrispondeva un genere specifico, il che - nuovamente - ci fa capire il
cambiamento qualitativo incorso nel
frattempo. I parte poteva corrispondere qualche aspetto della fantascienza, ma
laddove portava ad uno straniamento del tempo e della tensione al futuro,
caratteristica del secondo ordine di simulacri, ed ecco l’interesse che Baudrillard
ritrovava in P. K. Dick.
Attenzione (HWÆT!)! All’epoca il termine che si usava era “mondializzazione” per l’attuale, e ben più famoso, “globalizzazione” ma, occorre notarlo, si tratta della STESSA cosa. Si tratta dello stesso phenomenon, dello stesso “quel che appare” e si fa “latore” d’una causa “occulta”, nascosta, da individüare.
Or
dunque, la mondializzazione, ed il NWO
(New World Order, Nuovo Ordine
Mondiale) ivi COMPRESO (!), fan
parte del vecchio “ordine” dei “simulacri”. E, sia ben chiaro, il “controllo
totale” di cui parla Baudrillard quivi su non è il controllo style Hitler o Stalin, uno “stato
occhiuto” che entra dappertutto, come vogliono i “complottisti” - tristi
epigoni d’un mondo passato (non di pomodoro) -, ma il controllo che ogni
cellula dà di se stessa, poiché ha introiettato il “codice” ed il modello. Chi
non ha capito questo, ancor oggi, 2016, non ha capito quel che Baudrillard vide
nel lontano non lontano 1980, e si vieta, semplicemente si vieta, di capire dove vive. Il che - a sua volta - non significa che i vari simulacri non
si mescolino, e così come il second’ordine di simulacro conviveva col primo,
può benissimo accadere - ed è quel che concretamente succede - il terz’ordine
di simulacri conviva, de facto, con
il primo. Ma i tristi complottisti, al contrario, son ben fermi al secondo
ordine, il che li fa essere usati dai “populisti”, che sono i nostalgici del
secondo ordine, in effetti. Si giunge, così, ad una retorica, mera retorica
inconsistente e priva d’un afflato pienamente, realmente “critico” sistemico.
Se ne deve, però, dedurre che i “complottisti” stan combattendo, de facto, contro delle ombre, contro una simia phiosophiae, e non contro al realtà di oggi, in un “Gioco d’Ombre”, A Game of Shadows (Sherlock Holmes: A Game of Shadows - Soundtrack Suite -, https://www.youtube.com/watch?v=BKHycIW9O8c), mentre, in effetti, il vero problema del “Nuovo Ordine Mondiale” - poi non così tanto nuovo … - è la sua interna debolezza, è la debolezza delle classi digerenti mondiali, la loro profonda ed irrimediabile inconsistency.
In una parola: il “Nuovo Ordine Mondiale” porta alla dissolutio, di cui parlava Guénon illo tempore, come necessario esito della modernità, incapace di gestire le contraddizioni che essa stessa non ha potuto non accumulare nel corso del suo sviluppo stesso, perché questo è il punto necessario da sottolinearsi, l’accumulo di contraddizioni che le classi digerenti non san gestire, nel mentre che lo sviluppo stesso “brucia” le possibilità di reale aggiustamento sistemico (1). Le “brucia” proprio a causa del fatto che riduce lo “spettro” delle soluzioni possibili, come se uno bruciasse il terreno dietro le sue spalle.
Altra osservazione: lo “sviluppo” è un simulacro del “secondo ordine”, nel mondo del “terzo ordine” non ha più senso.
Cerchiamo
di comprender bene questo punto. Se tu produci, non per questo sei nel “secondo
ordine”; sei nel “secondo ordine” se e solo se vi è una “quadro mentale”, un
tipo di finalità che fanno della
produzione e dello “sviluppo/scatenamento delle forze produttive” il fine, lo
scopo, la ragion d’essere, e, in secondo luogo, se vi sono delle forze - dette “tradizionali”
- che ostacolano questo “sviluppo/scatenamento delle forze produttive”,
supposto “buono” per principio, “apoditticamente”, senza nessuna giustificazione: è
buono; punto. Di tal ordine, Marx è stato il grande critico: ma non ha mai messo
in questione le finalità di quel
mondo stesso, se n’è parlato, sia in relazione alla “Sinistra divina” - che
non ha più alcun senso, una volta che
quell’“ordine dei simulacri” sia passato -, sia in reazione al funzionamento
del sistema, che, inevitabilmente, per accrescere le sue capacità, supposte
illimitate, di massimizzare il profitto è letteralmente costretto
a passare al “virtuale”, al “simulacrale” per dirla con Baudrillard,
ammantandosi d’un’aura falsamente “sacrale”, tra l’altro, divenendo “intoccabile”,
“un cittadino al di sopra d’ogni sospetto”, per fare un altro riferimento a
film. Nel portare alla luce questo meccanismo di auto-costrizione si è visto
che Marx aveva ragione almeno in questo, nonostante che sia rimasto fermo in
molti aspetti all’Ottocento; ci si è anche spinti a dire che, probabilmente,
forse questo è il lato da “salvare” di Marx.
Tornando
a noi, se, però, quella che un tempo era la “finalità” diventa l’assoluta “realtà”
- “simulacrale” e pseudo “sacrale”
finché si voglia, la parodia dell’ Imperium -, può rimanere una “finalità”?
E’ un “fine cui tendere” quel che diviene una sorta di “imperativo assoluto”
sociale? Evidentemente non può rimanere tale.
Si può, allora, voler tornare all’epoca della “buona” produzione - tra l’altro, basata sull’ “illusione della merce”, secondo Marx (2)? E questo magari da parte di chi si dice “seguace”, per quanto pochi ormai ve ne siano, di Marx? Follie, che rientrano nella sinistra che Marx detestava, lui che apprezzava i teorici “puri e duri” del capitalismo, come David Ricardo (leggersi Storia delle dottrine economiche di Marx per farsene un’idea, libraccio gigantesco e noioso, ma giusto per capirci qualcosa). Marx disprezzava gli utopisti e Saint Simon, le “Trade Unions”, ecc., ecc., ovvero la “sinistra” come poi la si è capita e vista storicamente, converrebbe ricordarselo di tanto in tanto …
Che senso ha, dunque, voler ritornare al vecchio “ordine dei simulacri”? Il sistema tende a schiacciare le classi subalterne, che non son più il “buon vecchio proletariato” di marxiana memoria? Ma è ciò che inevitabilmente il sistema deve fare, per sua stessa natura. Che il buon vecchio Marx abbia “toppato alla grande” sulla “rivoluzionarietà” del proletariato, che abbia totalmente errato il Marx politico e sociologo non toglie che il Marx economista, in certe cose, abbia visto giusto: sarà pure molto paradossale la cosa, questa divisione fra Marx economista e Marx politico e sociologo, ma rimane vera. Si tratta di una divisione che non esiste in Marx, ma che ha costruito la storia stessa nel suo famigerato “sviluppo”. E torniamo al problema dello sviluppo, simulacro dei nostri tempi.
Signori e signore, siamo lieti d’annunciarvi che lo sviluppo non si trova più. Abbiam cercato persino in camerino, ma il vecchio damerino non si trova più. Lo cerchiamo ormai dovunque, e quantunque non delinque, sdilinquiti nol troviam. Ov’è mai costui? Deh, ognun il cerca, ma ov’è mai costui?
Pertanto siamo in grado di dire: Signori e signore, Sua Maestà lo Sviluppo, se non morto, è di certo sparito, forse passato negli emergenti ma, pure lì, non si ritrova. Che sia sulla Luna? Che sia su Marte? E donde parte per ir su Marte? ?
Il nostro grosso problema - e lo diceva Baudrillard già nel 1980 -, è che era difficile distinguere “ciò che obbedisce ancora (ed è moltissimo) all’immaginario del secondo ordine, dell’ordine produttivo/proiettivo, e ciò che dipende già da questa indistinzione dell’immaginario” (ivi, p. 282). Nel corso del tempo, senza dubbio tale distinzione è divenuta molto più semplice, ma quel che si vede oggi è il “nostalgismo” del simulacro del secondo ordine: “quando le cose avevano ancora un senso”, come se molti, giustamente delusi dall’indistinzione priva di senso, privi però anch’essi di senso storico, avessero come solo orizzonte di senso il ritornare al passato (when the things were goin’ on).
Diciamolo chiaro e forte: non ha alcun senso voler tornare ad un ordine passato, perché vorrebbe dire che noi ci si ritrova in questa tale situazione per caso e non per forze interne al sistema ed al suo sviluppo. Se uno pensa così, è coerente voler tornare ad un’epoca precedente, che sia il “vetero-marxismo filo-sviluppista” o i vari populisti del “chiudiamo le porte agli immigrati” o “torniam torniam torniamo a quando gli Usa erano grandi”. Ma, d’altro canto, continuare sulla via di oggi non è più possibile per molto, sebbene il sistema sia andato su questa via per circa vent’anni (su questo blog si trovano dei commenti, alcuni dell’epoca, sulla crisi del 1998, tra l’altro l’anno d’entrata dell’Euro, e cioè quelle mosse che han “blindato” il sistema, ma che non sono ripetibili, non vi sono mosse comparabili oggi, e si può solo “allungare il brodo”, come detto in qualche post precedente).
Per finire, per non finire considerazioni che sarebbe cosa buona e giusta fossero ben più “corpose”, ben più “nutrite”, ben più sviluppate di queste poche sparse “Riga” (3), vi è quando Baudrillard cita un passo del libro, su citato, di P. K. Dick, laddove Dick immagina un futuro dove gli USA si son riavvicinati al nazismo, e la Germania, allora “occidentale” - le Germania erano divise, cosa sempre positiva nella storia, la Germania unita è sempre fattore di squilibrio in Europa, Historia docet - era divenuta parte della Federazione Americana. Ora, nelle fabbriche della parte tedesco-occidentale non si produce più nulla se non carte o progetti o cose simili, simulacri insomma: allegoria bellissima della perdita di finalità sistemica. Il sistema non ha più alcuna finalità se non accrescere la sua forza e continuare potenzialmente senza fine: A > B > A > B > A > …, ad libitum …
Non importa quante cose puoi costruire o vendere: è che la finalità della produzione non è più al centro, e non da ieri.
Intanto questo sistema - che si pretende di durata indefinita ed indefinibile - si ritrova a dover affrontare delle crisi molto “storiche”, un problema ricorrente nella storia: l’emergere di fasi di “caos” (4). E, a differenza di altre epoche storiche, le classi digerenti mondiali letteralmente “non sanno che pesci pigliare”, la strutturazione del potere contemporaneo è così farraginosa e macchinosa ed inconsistente che anche una “Grosse Coalition” contro l’Isis/Isl/Daèsh è stato complicatissimo farlo e gestirla lo è altrettanto, pur essendo una cosa, tutto sommato, di buon senso e di realpolitik.
Intanto i problemi son sistemici ma le possibilità di affrontarli non lo sono altrettanto: in questa contraddizione sta affogando l’intero sistema, che funziona “col pilota automatico” e che nessuno ha nemmeno la più vaga intenzione di “riformare”, cambiare, modificare: è un “assoluto sociale”. Ma noi sappiamo che è solo un simulacro, una gigantesca, terrificante, fangosa e onnivora spirale illusoria, un simulacro.
A Parigi l’anno scorso forse si è tentato, per la prima volta, di affrontare il problema del “riscaldamento globale” con un qualche balbettio di soluzione effettivamente “globale”, e non in ordine sparso. Ricordo un vecchio libro sull’Anticristo, dove si parlava del fatto che il “patto di Parigi” fosse l’ultimo tentativo di porre argine al crescente caos, del quale - ovviamente - ha bisogno l’Anticristo per presentarsi come soluzione (è ciò di cui ha bisogno “il cavallo di rincorsa per entrar nel Palio”). Il leader di genio, pontificava Hitler, è colui che fa emergere se stesso come diverso da tutti gli altri sulla scena, diverso anche da quelli a lui più simili. Chiaro che quel vecchio libercolo dava per scontato che il “patto di Parigi” dovesse riguardare le armi nucleari, costose ed inefficienti e che dopo un certo tempo di debbono rifare, e che si possono usare solo quando son poche, ché, quando son tante e tanti le hanno, non ha senso alcuno usarle: “la bomba atomica è una tigre di carta [zhi laohu]”, diceva Mao (5). Il che non toglie che, per davvero, si ha l’impressione di essere arrivati a qualcosa, ma insufficiente.
Quanto alle dinamiche sistemiche, quel che occorrerebbe è la moratoria, se non l’abolizione, del debito globale, che non è pagabile, quand’anche la produzione esplodesse un’altra volta, tanta è la differenza fra economia cosiddetta “virtuale” ed economia cosiddetta “reale” (che noi sappiamo è “reale” solo in un senso traslato, ma si basa, anch’essa, su di un’illusione).
E la cosa bella è che gli Occidentali e le nazioni “emerse”, che un tempo deridevano i paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” per causa del loro debito immenso e non pagabile, si son trovati nell’esatta stessa situazione. Il che conferma che stiamo trattando di un funzionamento sistemico e non delle cattive volontà dei “malvagi di Wall Street” e delle “banche”, che pure ci sono eh, chi lo nega, ma è il sistema che provoca sempre questi effetti.
Da quando la parte “abbiente” dell’umanità, intorno al 15%, si è resa oscuramente conto di essere sottoposta alle stesse leggi fondamentali sistemiche, è nata quest’idea del “torniamo a prima”, cosa impossibile perché richiederebbe una diminuzione del tasso di profitto da parte dei “gangli vitali” sistemici, cosa che questi ultimi non possono, semplicemente non possono, accettare, pena il fallimento, che si propagherebbe. Vero è che quest’ultimo momento non è ritardabile indefinitamente, pur facendo proprio questo le varie Banche centrali “che contano”. E non è certo da ieri che lo fanno …
Sulla questione del debito al “Terzo mondo” e del fatto che, tutto sommato, è stato “trasferito” senza essere risolto, cfr. S. C. Gwynne, Il mondo sull’orlo del fallimento, Edizioni di Comunità, Milano 1987; da allora il mondo è stato salvato più volte dal fallimento. Si consideri la crisi in Borsa proprio quell’anno (https://it.wikipedia.org/wiki/Luned%C3%AC_nero_del_1987), la cui “risposta” fu l’estendere ai paesi allora “emergenti” - emergenti allora, ora emersi - lo “sviluppo”, la caduta dei regimi dell’Est per avervi uno spazio espansivo, e il trasferimento dei debiti del cosiddetto “Terzo mondo” per spalmarli altrove, l’inizio, cioè, del moltiplicatore del profitto per via informatica, digital-elettronica, cosa che avrebbe avuto un brillante futuro ed ha ora un miserrimo presente.
Infatti: più si “elettronifica” l’economia, più lo squilibrio fra virtuale e reale si amplifica, e più si entra in uno stato d’instabilità sistemica Questo “lor signori”, gli “illustri strologatori” delle magnifiche sorti e progressive” dell’attuale sistema post-capitalstico non riescono proprio a capirlo … Né ora, né mai …
La via d’uscita alla “crisi asiatica” del 1998 (https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_finanziaria_asiatica) fu il rafforzare la Cina e l’introduzione dell’Euro. Ed oggi? C’è una via d’uscita? Non ci sta: ecco il punto vero (per cui, letteralmente, “non sanno che pesci pigliare”, http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/04/ah-ah-ah-ride-bene-chi-ride-ultimo.html).
Interessante anche questo vecchio libro: R. Triffin, Il sistema monetario internazionale. Ieri, oggi e domani, Einaudi editore, Torino 1973, ed. inglese 1970, alla vigilia della fine della parità aurea (il “Gold Exchange Standard”) col dollaro (https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_aureo), che avvenne nel 1971, il 15 agosto, e che diede inizio alla “libera” fluttuazione del dollaro, facendo di quest’ultimo il punto di riferimento “fisso” della Finanza globale. Quel che stiamo vivendo oggi è un analogo - ma di senso e direzione differenti - evento finanziario “globale”, più complesso e variegato nelle sue forme, perché ha finalità opposta: mentre “in quel tempo” si trattava di blindare” il sistema e poi, di seguito, di farlo espandere, oggi, al contrario, si tratta di farlo contrarre, fino al punto di lasciare il dollaro come punto centrale di riferimento. Ma la causa è la stessa, il problema è sempre lo stesso: la non indefinitamente “spalmabile” somma del debito globale (mondiale), nonostante tutti gli annacquamenti” delle banche centrali, debito globale che non può più esser palleggiato di qua e di là, né essere rifinanziato indefinitamente. Ed è la crisi sistemica, della quale, per la quale, con la quale la “produzione” c’entra quanto il cavolo a merenda …
P.S. Su Triffin, si controlli i post sul “dilemma di Triffin” in questo stesso blog.
NOTE
(1)
A tal proposito, sempre
da consultare per qualche **spunto**, **non**
per seguirne l’iter: ON CONTRADICTION,
August 1937. https://www.marxists.org/reference/archive/mao/selected-works/volume-1/mswv1_17.htm.
In italiano, in pdf:
http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/libro_5/sulla_contraddizione.pdf. Sempre
in italiano, ma con carattere più bello e leggibile,
http://www.filosofia.it/images/download/argomenti/MaoTse-tung_Sulla_contraddizione.pdf.
(2)
Per Marx, la “merce”
è un’ illusione, essa è il portato -
nascosto ed “occulto”, dunque da “smascherarsi” come “ideologia” - d’una
relazione sociale. Chi non ha capito
questo, di Marx ha capito zero di zero.
(3)
Tra l’altro, capitale
della Lettonia (https://it.wikipedia.org/wiki/Riga), e questa era la sua
interessante bandiera quando era città membro della Lega Anseatica (Hansa), https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4d/Hanse_Riga.svg/408px-Hanse_Riga.svg.png.
(4)
A tal proposito, cfr.
A. Eich, L’età dei Cesari. Le legioni e l’Impero,
Einaudi editore, Torino 2015, sottocapitolo Governare
il caos: risposte amministrative alla crisi (del III secolo dell’Impero di
Roma), ivi, pp. 224-229.
(5)
Cfr. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f7/1950-08-Paper_Tiger.png/1280px-1950-08-Paper_Tiger.png.
L’espressione di “tigre di carta” viene dal famoso Libretto rosso di Mao Zedong, il quale rifletteva spesso sul tema
delle armi nucleari e della “pompa atomica”, come la chiamo ironicamente: “Mao
Tse-tung ebbe a dire nel 1955: ‘Il bluff atomico degli Stati Uniti non può
certo spaventare il popolo cinese. […] Quel po’ d’armi nucleari che gli Stati
Uniti posseggono non possono distruggere il popolo cinese. Se anche gli Stati
Uniti disponessero di bombe atomiche più potenti e le usassero contro la Cina
se anche facessero un bel buco sulla Terra e la riducessero in frantumi, per
quanto grandi possano essere le ripercussioni di un tale atto sul sistema
solare, esso sarebbe pur sempre una vicenda di poco contro per l’universo’. Mao
aveva scuramente idee molto originali” (Premessa in G. Frazer - G. Lancelle, Il Libretto nero di Zhirinovskij,
Garzanti, Milano 1994, p. 21). Sulle “tigri di carta”, cfr. Mao Tse-tung, Citazioni. Il “libretto rosso”, Tascabili
Economici Newton, Newton Compton editori, Roma 1994, pp. 31-33. Si sbagliò non
poco nel definire “l’imperialismo” come “tigre di c arta”, ma non del tutto …
Condite da affermazioni “patriottiche”, che altro non sono se non “americanate” ridicole, ovvero strumenti spuntati, tuttavia le voci di un “ritorno” di una massa notevole di dollari ia casa, negli USA, ovvero - in una forma o in un’altra - che la crisi colpisca il dollaro dopo che, per tanto tempo, **anche** per mezzo dei meccanismi valutari sul dollaro, tale crisi è stata “scaricata” fuori, tali voci si susseguono.
RispondiEliminaEcco dunque: una tale crisi, che cioè si scarichi sul dollaro quel che sin ora si è scaricato altrove nel mondo, sarebbe un cambiamento sistemico **irreversibile**, quello scenario cui si è giunti vicino **più volte**, ma poi non si è mai concretizzato (interessantissimo sarebbe il dibatterne da un punto di vista storico, ma non sembra questo essere il momento giusto per farlo). Più volte: alla fine degli Anni Settanta ed all’inizio degli Anni Ottanta, così come all’inizio dei Novanta. Poi si è vista una lunga “bonaccia”, i guai con il “jihadismo”, volontariamente o non (lasciamo agli storici futuri il determinarlo...), hanno spostato il “focus” altrove.
La crisi del 2008 ha consentito il “discarico delle contraddizioni” sulla e nella Europa, così come sulla e nella classe media dei paesi ex-centrali di Sistema.
Ora però, sta tornando al suo epicentro - sembra. E si può manifestare solo come crisi che coinvolga il dollaro in quanto valuta. In un post precedente vi è il quadro che **potrebbe** (tempo condizionale e **non** indicativo) venirne fuori: non il solito impoverimento collettivo di cui straparlano alcuni - che, in effetti, c’è già in gran parte stato -, ma certamente qualcosa riguardo all’oro e alla chiusura degli scambi, per lo meno a Wall Street (vi è una legge USA che lo permette, usata rarissimente, e che può esser posta in essere dal solo Presidente americano, ed in casi etremi).
Il problema sarebbe, comunque, in ogni caso, quello della ridistribuzione e della moratoria sul debito globale...
Vedremo se ci si arriva, e, **quando** ci si arriverà, nella generale incredulità, quanto spazio “libero” di manovra ci sarà in **quel** momento specifico.
On verra...