A
parte considerazioni - “stratosferiche”, oggi, sulla “metastoria” - quel che si
nota è che anche chi fa professione di “tradizionalismo” (e spesso non è altro
che conservatorismo ottuso, quel “tradizionalismo” criticato dallo stesso
Guénon illo tempore, “in tempi non sospetti”, si direbbe oggi), anche chi fa
professione di tali cose non ha manco
lontanamente digerito la stessa critica, molto radicale, molto più radicale di tutte quelle che han libero
corso al giorno d’oggi, che si faceva a cavallo tra i Settanta, gli Ottanta
ed i Novanta del secolo scorso.
Vi
son pagine quasi preveggenti in Baudrillard, riguardo alla perdita di finalità
che caratterizza tutti i fenomeni della fine del sistema capitalistico. Non
solo nel Della seduzione, ma pure ne Lo specchio della produzione, che
applica il metodo del libro di G. Duby, Lo
specchio del feudalesimo, al sistema capitalistico.
Già allora parlava
della “critica dell’economia politica del segno”, il passaggio dalla produzione
“materiale” - con la nota a margine che tale produzione “materiale”, per Marx,
non era per nulla “naturale”, non era una “legge di natura”, come afferma il
capitalismo invece - a quella dei segni,
e, dunque, dei codici. Si era
proprio all’inizio dell’applicazione massiccia dell’informatica alla società ed
all’economia, il “vetero” marxismo imperava, ottusamente non capendo qual
cambiamento stesse prendendo forma, un cambiamento radicale ed irreversibile.
La retorica neoliberista prendeva sempre più piede, criticata dal marxismo residuale in termini che non “mordevano” la situazione e quindi rimanevano lettera morta, come poi s’è visto, mentre la retorica neoliberista interpretava quei cambiamenti in termini autocelebrativi e narcisistici, dando inizio a quel narcisismo della “libertà” che avrebbe impestato il globo. Poco male, poiché la “dottrina” di costoro si riduceva, in poche parole, a dire che “va tutto bene”; ben diversa la posizione dei critici, reali o presunti che fossero, che son costretti a capir molto meglio il sistema in cui vivono perché non lo condividono, in primo luogo, e, in secondo luogo, ne cercano gli eventuali punti deboli.
La retorica neoliberista prendeva sempre più piede, criticata dal marxismo residuale in termini che non “mordevano” la situazione e quindi rimanevano lettera morta, come poi s’è visto, mentre la retorica neoliberista interpretava quei cambiamenti in termini autocelebrativi e narcisistici, dando inizio a quel narcisismo della “libertà” che avrebbe impestato il globo. Poco male, poiché la “dottrina” di costoro si riduceva, in poche parole, a dire che “va tutto bene”; ben diversa la posizione dei critici, reali o presunti che fossero, che son costretti a capir molto meglio il sistema in cui vivono perché non lo condividono, in primo luogo, e, in secondo luogo, ne cercano gli eventuali punti deboli.
Si arrivò, così, in quel vuoto, ad un’epoca
molto particolare, che inizia dalla seconda metà degli Anni Settanta e termina nella
prima metà degli Anni Novanta del secolo scorso, ad un momento in cui divenne
possibile una critica radicale. Per esempio, lo stesso Cacciari, come da me
ricordato da qualche parte, della fine Anni Settanta - Anni Ottanta (parte di
essi) era molto più radicale di oggi.
I frammenti di “critica marxista” o ex-tali o simpatizzanti o “ex-simpatizzanti”, delusi dal marxismo, ma non ancora passati all’ubbia ed alla chimera della “riforma interna” al sistema capitalistico stesso, dovevano cercare forme “alternative” di critica, prima che la regina nera facesse la mossa finale. La fase di tale critica, la “data” d’inizio, la farei corrispondere alla pubblicazione del Club di Roma su I limiti dello sviluppo (1972), e alla tematica del “Nuovo Medioevo”, che divenne popolare, e che talvolta ritorna di moda - magari anche sotto fora di moda del “Medioevo”, avendo in tal senso contribuito alla fortuna de Il Nome della Rosa, di U. Eco, recentemente scomparso, o alla popolarità di Tolkien. Non si tratta per nulla di una novità, come si precisava in un passato post: “Nuovo Medioevo”?? Tutt’altro che nuovo... (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/03/nuovo-medioevo-tuttaltro-che-nuovo.html).
Se si osserva l’aggiornamento “trent’anni dopo” di quello scritto, che in quel momento fece sensazione, ci si convincerà - “al di là di ogni ragionevole dubbio” - di quanto ridicolmente non-radicali siano divenute le “critiche” dei e nei nostri tempi. Ma citerei, per esempio, C. Formenti, La fine del valore d’uso, che pone termine all’annosa discussione sul valore d’uso - qualitativo - e valore di scambio - quantitativo, su cui si basa il capitalismo. Tali critiche vennero recepite da letterati (a), come Calasso, ne La rovina di Kasch, su cui vi è stato un recente post in questo blog, La Rovina del “cash” (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/12/la-rovina-del-cash.html). Ma, per quel che riguarda i cosiddetti “addetti ai lavori”, niente da fare, nisba, nada. Rocciosamente convinti della “verità” dell’economia.
I frammenti di “critica marxista” o ex-tali o simpatizzanti o “ex-simpatizzanti”, delusi dal marxismo, ma non ancora passati all’ubbia ed alla chimera della “riforma interna” al sistema capitalistico stesso, dovevano cercare forme “alternative” di critica, prima che la regina nera facesse la mossa finale. La fase di tale critica, la “data” d’inizio, la farei corrispondere alla pubblicazione del Club di Roma su I limiti dello sviluppo (1972), e alla tematica del “Nuovo Medioevo”, che divenne popolare, e che talvolta ritorna di moda - magari anche sotto fora di moda del “Medioevo”, avendo in tal senso contribuito alla fortuna de Il Nome della Rosa, di U. Eco, recentemente scomparso, o alla popolarità di Tolkien. Non si tratta per nulla di una novità, come si precisava in un passato post: “Nuovo Medioevo”?? Tutt’altro che nuovo... (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/03/nuovo-medioevo-tuttaltro-che-nuovo.html).
Se si osserva l’aggiornamento “trent’anni dopo” di quello scritto, che in quel momento fece sensazione, ci si convincerà - “al di là di ogni ragionevole dubbio” - di quanto ridicolmente non-radicali siano divenute le “critiche” dei e nei nostri tempi. Ma citerei, per esempio, C. Formenti, La fine del valore d’uso, che pone termine all’annosa discussione sul valore d’uso - qualitativo - e valore di scambio - quantitativo, su cui si basa il capitalismo. Tali critiche vennero recepite da letterati (a), come Calasso, ne La rovina di Kasch, su cui vi è stato un recente post in questo blog, La Rovina del “cash” (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/12/la-rovina-del-cash.html). Ma, per quel che riguarda i cosiddetti “addetti ai lavori”, niente da fare, nisba, nada. Rocciosamente convinti della “verità” dell’economia.
Ora
dopo tanto tempo lor signori si “accorgono” che l’economia è di “bit”, e, poco
prima, cartacea, una costruzione che, a sentir loro, “rovinerebbe” la “buona”
economia della “produzione”.
Tutte parole al vento, se non si capiscono due
cose due: 1) che la relazione della
produzione che pone al centro il solo valore di scambio e relega il valore d’uso
ai margini è una costruzione sociale,
vale a dire che in natura non esiste,
non è “reale” come una roccia o il mare; 2)
quando si passa sempre di più dal grado di costruzione ancora con referente
materiale - referente materiale - ad uno in cui si l’autoreferenza
totale si ha questa fase di completa simulazione, di “falso radicale”, come lo
chiamo, che non è un falso che
faccia riferimento ad un “vero” ma un falso che
faccia riferimento a se stesso. L’autoreferenzialità, infatti, non è una
catena logica di proposizioni del tipo A > B > C > D … finché o c’è un
termine, oppure si ha inconsistenza logica, ed è invece: A > B > A: il loop. Attenti al “loop”!!
Ma, di nuovo,
su questi temi si deve rimandare ad un altro post in questo blog: APPENDICE AL POST PRECEDENTE - per chi
volesse approfondire - (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/appendice-al-post-precedente-per-chi.html).
Proseguendo il discorso sui simulacri - e ricordandoci che l’economia del segno è un simulacro -, ne Lo scambio simbolico e la morte, Baudrillard già parlava della fine del “lavoro” - che si sarebbe schiacciato nella categoria di lavoro “servizio” e non in quella di lavoro “produttivo” - e dell’economia politica “come modello di simulazione” (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, p. 44, corsivo in originale), e sviluppava la sua idea di economia-segno come “simulacro”, e giungeva così a distinguere tre “ordini” di “simulacro”:
“Tre
ordini di simulacro si son succeduti dopo il Rinascimento, parallelamente al
mutamento della legge del valore:
-
La
contraffazione è lo schema dominante
dell’epoca ‘classica’, dal Rinascimento alla rivoluzione industriale.
-
La
produzione è lo schema dominante dell’epoca
industriale.
-
La
simulazione è lo schema dominante della
fase attuale retta dal codice.
Il
simulacro del primo ordine specula sulla legge naturale del valore, quello di
secondo ordine sulla legge mercantile del valore, quello di terzo ordine sulla
legge strutturale del valore” (ivi, p. 61, corsivi in originale).
In
quest’ultima fase, in cui siamo da molto tempo ormai, il segno ed il suo
referente son completamente lontani, ecco perché oggi mille segni svolazzano
caoticamente ma non si riferiscono ad alcunché di esterno a loro stessi, ecco
che oggi si può essere A e non-A con altrettanta facilità: è che i segni non hanno
più referenti. Questa seconda fase porta al suo termine naturale quel distacco
fra segno e significato che s’inaugurava nel Rinascimento, ma lo fa con una radicalità che, a distanza di
tanti anni, non si è mica percepita o ben
capita, per cui vecchie cose svolazzano nell’opinione ciarliera, ma son
sempre altri segni nel mondo dove segno e significato son divorziati. Per esempio,
la fase industriale conservava un “referente materiale”, che oggi non c’è più.
Anche cose “politico-economiche”, come i “pareggi di bilancio” a livello
globale, sono staccati dall’effettiva realtà, ma è solo un esempio. L’economia
è un gigantesco video game che fa vittime “vere”. Gli effetti di questo “sistema
di simulazione di massa” son ben “reali” nelle vite di chi è ad esso
sottoposto. Questo si può capire solo rifacendosi al discorso del già citato
post (http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/appendice-al-post-precedente-per-chi.html).
Si tratta dello scacco che il sistema industriale ha ricevuto a fronte dell’ “imperativo categorico” sistemico. Il sistema industriale già era basato su simulacri non “naturali”, il rapporto della “merce” nasceva da un’interazione sociale (Marx), ma, comunque, rimaneva un “referente materiale”, che si è tolto.
Si tratta dello scacco che il sistema industriale ha ricevuto a fronte dell’ “imperativo categorico” sistemico. Il sistema industriale già era basato su simulacri non “naturali”, il rapporto della “merce” nasceva da un’interazione sociale (Marx), ma, comunque, rimaneva un “referente materiale”, che si è tolto.
Oggi questo gigantesco sistema “succhia” la Terra, questo è. Ed è un simulacro, non si basa su realtà, ma su relazioni “segniche” di cui l’elettronica si fa portatrice. Tali segni si basano su codici fissi, che, ovviamente, con la “natura” non hanno niente a che partire anche se l’ “anti-metafisica” della scienza moderna sostiene che sta portando in luce le “leggi” della natura, in altre parole ci sta dicendo che cosa la natura “realmente” sia.
Certo, si prende possesso di certi “meccanismi” di “funzionamento naturale e tal sistema profitta di determinate forze naturali, ma non si sa che cosa “realmente” siano tali forze, non solo, ma gli effetti che si generano con il loro uso son solo molto parzialmente noti.
Di
“naturale”, qui, non c’è il bel resto di
nulla. Son semplicemente forze naturali “dirottate” in altre direzioni, con
finalità diverse da quelle loro proprie.
Per
tornare a noi, Baudrillard non solo prevedeva la fine del lavoro “produttivo”,
ma pure il fatto che il corpo sarebbe divenuto un sistemica di manipolazioni
segniche, e dunque l’alterazione della scelta del genere sessuale, la
manipolazione del corpo con varie tecniche eccetera, eccetera. Tutto
realizzatosi puntualmente.
Che fare (Cto deljat’) dunque.
A fronte di una trasformazione avvenuta, e sulla quale vi sarebbe molto da dire, pezzo per pezzo, già in quel tempo, ma è tornato in questa fase di “critica” NON RADICALE a iosa, si pensava ad una critica in nome della fase precedente, del “buon tempo antico” - che non può non essere se non l’epoca della “produzione” e della centralità della borghesia produttrice, epoca che il sistema stesso ha distrutto!!, e dunque un tentativo destinato alla sconfitta, e chi cercava altre vie, come lo stesso Baudrillard, ma non riuscendoci (b).
Spiego
che cosa c’entra tutto ciò con le tematiche “filosofico-spirituali”. In primis, è un grosso errore vedere le
tematiche “sociali” come completamente separate da quelle “filosofico-spirituali”.
Ma, oltre a questo diffuso pregiudizio, vi era un motivo più importante per
interessarsi di questo genere di tematiche. In
secundis, infatti, Guénon, ne Il Regno della Quantità, sviluppa tutto
un discorso per spiegare quella che lui chiamava la “deviazione moderna”
distinguendo sostanzialmente due fasi della modernità: “una prima fase dell’epoca
moderna”, come la chiamava lui, caratterizzata dalla “solidificazione”: si
costruivano strutture sociali sempre più “compatte”, ci si chiudeva sempre di
più ad influssi “sottili”, insomma quella fase il cui culmine è stato il “materialismo
ottocentesco” della seconda parte del XIX e dell’inizio del XX secolo. Insomma,
quel che i “critici” del mondo moderno han sempre biasimato a riguardo della
modernità stessa, ma che, già in quel
tempo!!, Guénon non solo considerava la fase meno potente della “deviazione”,
ma biasimava i “critici” perché avevano scambiato qualche fuoriuscita dal “materialismo”
tanto vituperato come superamento dell’iter della modernità e, così facendo,
avevano perso di vista il nocciolo del
problema. Secondo Guénon, infatti, a questa fase, “tutto sommato meno grave”,
avrebbe detto, scandalizzando tanti “tradizionalisti”, de jure, ma ben pochi, de facto (quei pochi che si son presi la
briga di leggere attentamente certi
suoi passi “semisepolti” qua e là), sarebbe seguita una fase “ben più
pericolosa”, perché l’uomo, con la modernità, si è chiuso agli “influssi
superiori” ma non si può altrettanto chiudere a quelli “inferiori”, non più,
non allo stesso modo almeno. Questa fase lui la chiamava quella della “dissoluzione”,
preceduta, però, da quella della “polverizzazione”. Una sola fase in due
tempi, si ponga ben attenzione a questo punto …
Ora,
se così è, occorreva “misurare” la fase di “polverizzazione”, che, secondo
Guénon, è il preludio della vera e propria “dissoluzione” (che lui intendeva in
guisa quasi “alchemica”). Misurarla significava capir bene quando e soprattutto
perché la fase di “solidificazione” doveva finire.
Ed ecco Baudrillard ed
altri critici del marxismo, ma non di matrice neoliberista, non il narcisismo della
“libertà” e l’ “estasi della connettività” e “tutto va bene”; ché, poi, le cose
non vanno bene affatto, ma chi si
limiti ad osservare questo fatto ed a proporre correttivi senza la consapevolezza
di come e perché si sia giunti a questo punto non fa che versare acqua in un
bicchiere senza fondo. La “polverizzazione” è l’estrema frammentazione dei
nostri tempi, in tutti i campi.
Anche l’attuale coalizione contro l’Isil/Daèsh, per quanto cosa di “buon senso”, non solo per costruirla c’è voluto la “mano di nostro Signore”, ma funziona pure in un modo farraginoso assai, per cui il pericolo Isil/Daèsh si è sviluppata ben oltre quanto sarebbe stato possibile in altra situazione. Si veda tutto ciò a paragone con altre situazione di “emergenza mondiale”: che compattezza delle coalizioni! I leader, nel bene come nel male eh, ma effettivamente “leader”, cioè alla guida di gruppi e che vedevano in quei momenti aggregativi, forse, l’occasione di una vita per distinguersi. Che differenza con le nullità umane che guidano il mondo di oggi, con l’inconsistenza e la mediocrità dei “leader” attuali!
NB. Come si sa,
Guénon, dopo e “in parallelo” alla
fase della “polverizzazione”, prevedeva quella della piena “dissoluzione”, che lui così giustificava: la
polverizzazione, per quanto massima, “lasciava residui” e quindi non era bastevole alla dissolutio vera e propria, ergo si
necessitava l’intervento di “qualcosa” che venisse fuori dall’orizzonte, “alla
fin fine abbastanza limitato”, del mondo moderno.
Ma
qui andiamo davvero fuori da certi
limiti moderni e post moderni, anche per il mondo attuale dove i segni si
permutano “liberamente” indipendentemente dai loro significati, andiamo fuori
da quel cerchio che rinserra la mente moderna, come si dice che tal cerchio, da
“suggestione post ipnotica”, faccia a certi yezidi (secondo Gurdjieff, in Incontri con uomini straordinari, parte
iniziale).
****
***
**
*
NOTE
(a)
Chissà perché i letterati e poeti spesso arrivano
prima a ciò cui giungono gli “addetti ai lavori” in tutt’altro che incolpevole
ritardo e quando non serve più, perché ormai quei cambiamenti son passati e si
è in una nuova fase …
Vi è
questa pericolosa tendenza a - come amo affermare - “combattere la battaglia
del giorno prima” …
(b)
Probabilmente
qualche spunto, al riguardo del mescolare quel “caos segnico” in cui viviamo in
un senso che il sistema stesso non può gestire - che poi è l’unica cosa seria da farsi -, qualche spunto vi è nel
sottocapitolo La morte a Samarcanda,
in J. Baudrillard, Della seduzione,
Cappelli, Bologna 1980, p. 101 e sgg. Ma siamo rimasti nell’ “impotenza della
sfida”, di cui si parla nella Postfazione (di P. Lalli) al libro appena citato.
RIFERIMENTI
APPENDICE AL
POST PRECEDENTE - per chi volesse approfondire -
La Rovina del
“cash”
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/12/la-rovina-del-cash.html
[2 aprile 2018: posto il collegamento diretto dei due link, cosa che, all’epoca del presente post, non usavo fare)
[2 aprile 2018: posto il collegamento diretto dei due link, cosa che, all’epoca del presente post, non usavo fare)
Nessun commento:
Posta un commento