“Nostra intenzione è far conoscere […] le cose che sono, come sono”.
FEDERICO II di Svevia, De Arte venandi cum avibus, a cura di A. L. Trombetti Budriesi, con la Prefazione di O. Zecchino, Laterza Editori, Roma-Bari 2005, p. 5 del Prologo.
“In Caserta domandai cosa s’intendeva fare di questo gigantesco castello e la risposta metteva tutti in imbarazzo. I rivolgimenti italiani hanno avuto come conseguenza che un gran numero di edifici, alcuni dei quali colossali, son rimasti vuoti, senza destinazione e son caduti nelle mani del fisco. I sovrani detronizzati hanno lasciato alle loro spalle tutta una serie di palazzi, di residenze e di ville”.
F. GREGOROVIUS, Passeggiate per l’Italia vol. 4 Campania. Sicilia, Avanzini e Torraca Editore, Roma, Via Fabio Massimo 1969, p. 139, sottocapitolo «Il castello dei Borboni a Caserta (1866)». Dopo tanti anni, ancora non sanno cosa farne … Peraltro, il palazzo è un bene statale.
Comunque bellissimo vedere com’era l’Italia “in quel tempo” … Vi son quei passi su Pulcinella a Roma, per esempio, che meriterebbero qualche attenzione. In linea generale, spulciare i passi di viaggiatori ottocenteschi nell’Italia (del tempo) non è privo d’interesse, direi …
“Quando la borghesia mette fine all’ordine feudale, essa sovverte veramente un ordine e un codice totale dei rapporti sociali (nascita, onore, gerarchia) per sostituirlo con un altro (produzione, economia, razionalità, progresso). Ed è perché si vive come classe (non come ordine o stato: «Terzo Stato» è un nome che le è stato appiccicato), in altre parole come qualcosa di radicalmente nuovo, come una concezione radicalmente nuova del rapporto sociale, che essa ha potuto far crollare l’ordine della casta. Il proletariato, invece, non ha nulla da opporre radicalmente all’ordine di una società di classi. Contrariamente alla borghesia che gioca la sua partita (l’economia) imponendo il suo codice, il «proletariato» pretende di liberarsi nel nome della produzione; sarebbe come dire che i termini in nome dei quali la borghesia si è liberata in quanto classe sarebbero gli stessi in nome del quale il proletariato si negherebbe in quanto classe! La borghesia invece non “supera dialetticamente” l’ordine feudale, gli sostituisce un ordine di valori senza precedenti – l’economia, la produzione, la classe come ordine antagonista e senza comune misura con il codice feudale. E la sua vera strategia è intrappolare il proletariato nello status di classe, persino nella lotta di classe […] in quanto la classe è un codice, di cui essa ha il monopolio: la borghesia è la sola classe al mondo – se riuscirà a far sì che il proletariato si riconosca come classe, anche per negarsi come tale, vincerà la partita una volta per tutte [come poi è precisamente successo]”.
J. BAUDRILLARD, La sinistra divina, Feltrinelli Editore, Milano 1986, pp. 15-16, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. Va precisato che la “classe” NON È un’invenzione di Marx. Il “comunismo storico” ne ha fatto il centro della sua giustificazione, vero, tuttavia Marx la mediò dalla “sociologia francese”, come diceva.
“Mai la «caccia» di uomini su uomini aveva raggiunto fra gli uomini, – e preminentemente a danno loro, – un così elevato grado di perfezione tecnica e al tempo stesso di perfezione formale. L’ «apocalissi» si fa domestica, entra nella sfera della normalità e della quotidianità, il terrore si formalizza […]. Giovanni, questo non era riuscito ad immaginarlo (nonostante il suo pressoché illimitato fervore profetico). Ma la nostra condizione è di «viverlo» senza «saperlo». Anche oggi «nemo dignus est aperire librum nec videre eum». Il libro, anzi i nostri libri, anche quelli del passato, si son tutti richiusi. Il processo è andato così avanti, che non abbiamo più «cultura» per leggerlo ed interpretarlo. Tutto, in fondo, è così semplicemente e sovranamente chiaro, – e tutto è così indecifrabile ed oscuro. Siamo di fronte al caso veramente straordinario di una «rivelazione non rivelata». Per questo i massacri son di fronte ai nostri occhi, – e noi non li scorgiamo”.
A. ASOR ROSA, Fuori dall’Occidente, ovvero: Ragionamento sull’ «Apocalissi», Einaudi editore, Torino 1992, pp. 32, corsivo in originale, grassetti miei. Sembrano tali frasi, però, scritte per quest’oggi, quasi un libro “d’attualità” oserei dire …
“«Una cosa s’impara bene in questo mestiere: che, per quanto si possa essere all’altezza dei savi di questo mondo, sempre finisce che il momento appresso ci si ritrovi come bambini nel buio», scriveva Bismarck alla moglie […] due anni dopo l’assunzione dell’incarico di primo ministro prussiano”.
L. GALL, Bismarck, Garzanti editore, Milano 1993, p. 54.
Si è svolta – il 16 c.m., nell’aula “Ernesto Rossi” del Dipartimento di Scienze Politiche (Caserta) – la presentazione del libro, politico, ma in realtà per molti aspetti più di storia recente, del quale vi è di che discutere su dei punti, non ultimo il titolo; eccolo: A. SCARANO, Storia di un comunista. La professione politica di Paolo Broccoli, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta 2024 (evidente il riferimento a M. Weber: “la politica come professione”), presentazione con l’intervento di personalità note sia del sindacato (dal quale Paolo Broccoli proviene) sia di altro genere.
In particolare, vi è stato l’intervento del professor M. Cacciari, il quale ben conosce tutta la vicenda dell’industrializzazione nel Sud ed in particolar modo in Provincia di Caserta, che, da “Brianza del Sud”, versa oggi – e ormai da molto tempo – in uno stato pessimo. Il titolo, un po’ fuorviante, lascia intendere una sorta di quelle “memorie” che usano scrivere i politici “fuori corso”, ma vi si tratta in realtà delle vicende che hanno interessato questa Provincia in una sua specifica fase, come vissute da P. Broccoli, e da una parte politica precisa. Il tema è però sempre quello di parlare di qualcosa che vada oltre il “personale”, e cioè se la vicenda di Broccoli sia, per così dire, “paradigmatica” del “comunismo in Italia”. Ciò è molto dubbio; essa è invece la storia di un comunista del SUD ed in una determinata situazione storica, quella che qui c’interessa.
Ma veniamo a varie considerazioni. La prima è che l’intervistato, spesse volte, non va d’accordo con l’autore (Scarano) ed il dissenso è anche piuttosto evidente, in ordine soprattutto (ma non solo) a due temi: l’intervento in Ucraina – con la solita storia “dell’aggressore e dell’aggredito” che, però, vale solo per la Russia, non per altri stati: ma guarda un po’ ma guarda! –; e, poi, sullo “statuto epistemologico” della scienza moderna, dove Scarano appoggia (come il grosso della “sinistra” di oggi) sia l’intervento che lo schiacciamento, totale, su posizioni para “scientiste”, ovvero “filo tecnologiche”, de facto, posizioni ancora SIN TROPPO dominanti, per quanto sia PROFONDA la CRISI dell’ormai anacronistico “paradigma epistemologico” scientista. Su questi punti tra i due non vi è alcun accordo.
Ma perché gli ex comunisti diventano i cani da guardia del sistema che, un tempo, credevano di dover criticare? E pure gli ex fascisti eh … P. Broccoli è l’ “eccezione che dimostra la regola”, e la regola è quella che ho appena detto. Ho una mia risposta, tuttavia è alquanto sgradevole, per cui lasciamo questa domanda che, peraltro, c’interessa poco: la vicenda che tocca ormai tutto il mondo è così grossa che va oltre questi temi; e questa vicenda si è costruita pian piano accumulando tanti tassellini e tanti piccoli errori: ed oggi è UNA MONTAGNA. NON È quindi oggi – cioè il “risultato” – che devi vedere: devi veder l’ ACCUMULO del materiale, per così tanto tempo PROTRATTOSI!
Si coglie qui l’occasione per precisare, a scanso d’equivoci, che cosa si debba intendere per “comunism-o” e cosa per “fascism-i”. Per “comunismo” si deve intendere un regime a partito unico con in più la “proprietà collettiva dei beni di produzione”; senza quest’ultimo punto, tutt’altro che un dettaglio, non vi è né vi può essere alcun “comunismo”, hai solo dei regimi a partito unico. Oggi un regime davvero comunista lo puoi trovar solo in Corea del Nord, anche la Cina se n’è allontanata da tanto tempo: rimane il regime a partito unico, la cui deriva è nazionalistica. Per “fascismi” (plurali) si deve intendere un regime a partito unico con invece la proprietà privata, e la sua difesa, posta nel suo centro.
La giustificazione dei fascismi è sempre stata la “nazione”, quella del comunismo è la “classe”. A sua volta, il nazismo *nacque* dai fascismi, ma v’inserì un elemento “neopagano-anticristiano”, elemento “alieno” alla modernità: e cioè la “razza” (a sua volta maschera di “altro”).
Il Pci accettava le “regole democratiche”, ma predicando la “centralità” della classe operaia. La gran parte di quelli che, in quel tempo, votavano comunista non lo faceva perché si era “letto Carlo Marx” ma voleva, in concreto, migliorare le proprie sorti economiche. L’entità del tradimento compiuto dalle “sinistre” si misura nell’aver completamente rinunciato a questi temi, per sostituirli con i “diritti” e cioè con un’invenzione della borghesia. Una cosa ormai risalente a tanti anni fa. Una cosa compiuta.
Detto questo, ritorniamo al punto.
La vicenda di P. Broccoli è così riassunta: egli è legato, direttamente, ad una particolare stagione della storia del Sud e di questa Provincia in modo specifico: quella dell’industrializzazione. Per lui, quel processo è la fase di VERA, e PIENA, “modernizzazione” del Sud. Personalmente non condivido questa posizione, ma questa è la sua posizione ancor oggi. Fu scelta in particolare la Provincia di Caserta anche per una sua caratteristica specifica: si pensi a Beneduce, alle “partecipazioni statali” sotto il fascismo (e, no: Beneduce non era fascista: la questione non è così semplice), quelle “partecipazioni statali” che, in seguito, divennero la “Cassa del Mezzogiorno”, poi assai modificata, ovvio.
Gli Anni ‘80 son poi al centro della riflessione. Scarano considera quel decennio negativamente soltanto, e basta, ma non lo spiega. Invece per Broccoli già con la seconda metà degli anni Ottanta la “spinta” ormai era terminata, cioè quando lui lascia la carica di deputato del Pci, però mantenendo legami con alcune personalità del partito.
Per lui, il Pd doveva essere un’occasione di rinnovamento, ovviamente non lo è stato: non poteva; esso era solo il modo per dei gruppi dirigenti ormai “stracotti” di potersi perpetuare, col passaggio, definitivo, alla sola borghesia. Così, di passo in passo, la “esse” di “sinistra” è del tutto sparita, come da programma: e la tematica centrale sarebbe divenuta quella dei “diritti”. Siamo, così, giunti all’oggi. “No surprises” (canzone dei Radiohead …). Un “iter” che non può sorprendere, se si sa cos’è oggi la politica.
Ma qui occorre anche far dei discorsi un po’ più vasti, che, peraltro, son anche nel libro, dunque non m’invento niente. Operaismo? In effetti, è questo il vero tema che gira e rigira nel libro, e che vi traspare in modo evidente. Per Scarano è così, ma non son d’accordo. No che non era “operaismo” (nel Sud, attenzione!, per il Nord il discorso è differente), che pure vi era, non si può negarlo; ma il centro era più profondo: era il progetto gramsciano. Che cos’era il progetto gramsciano? Era l’alleanza tra la parte “positiva” delle borghesie nazionali e le “classi subalterne”, in primis quella operaia, ma pure i contadini e soprattutto i braccianti: questo era. Qual era il fine del progetto? Era un fine “sviluppista”, cioè lo sviluppo dell’Italia – e in particolar modo DEL SUD! –, che potesse portar fuori questo paese dalla lunga fase storica di marginalizzazione. Marginalizzazione in modo particolare DEL SUD! E si vede come l’industrializzazione doveva essere un mezzo – non un fine! – per la modernizzazione del paese: “guarda caso”, Broccoli la pensa proprio così … E chi rivalutava Gramsci? Qual era il suo “referente” politico? Era Machiavelli, dove al “Principe” vi si sostituiva il partito: questo era.
E chi è centrale, per P. Broccoli? Machiavelli … “Tutto si tiene”, dicono i francesi.
La marginalizzazione, tuttavia, è continuata, e quel progetto è fallito, in tal modo segnando la fine del “processo” d’ “industrializzazione” e/o “modernizzazione”, le cui basi, e questo vien lumeggiato bene da P. Broccoli, erano all’esterno del contesto dato. Infatti, quando le tendenze internazionali si spostarono altrove, su altri “focus”, tutto è cominciato a scender giù rapidamente. In poche parole: nel contesto dato, le radici vi erano debolissime. Ma vi è stato solo questo? Non credo.
Quali sono state le cause – profonde – del fallimento del “progetto gramsciano”? Le cause sono nella debolezza delle due borghesie, sia del Sud che del Nord, ma per differenti ragioni. Al Sud vi era, e vi è ancor oggi, come incrostata, una borghesia “compradora” **del tutto priva** di qualsiasi progetto, di un genere qualsiasi. Al Nord il progetto ci sta ma è minimo: un “progettino” che, proprio al massimo del loro sforzo, e non dormendo la notte con un bel mal di testa, e sforzandosi al massimo, si giunge al Lombardo/Veneto, non di più; e i fatti, dagli anni Ottanta del secolo scorso, hanno solo confermato la natura debole, asfittica del “progettino” dell’Italietta del Nord. Il progetto gramsciano di “sviluppo e fine della marginalizzazione”, *in particolare del Sud*, era, sì, basato sulle “classi subalterne”, ma **con** le borghesie, borghesie con una progettualità “nazionale”, ma NON “nazionalistica” (poiché NON era un progetto fascista). Ma la borghesia in Italia non ha *mai* avuto alcuna progettualità in tal senso, se non per sparute minoranze.
Basta così o vi è anche dell’altro?
Osserviamo la vicenda dell’ “industrializzazione” nel Sud, in particolar modo nella Provincia di Caserta, ed i suoi esiti fallimentari, tanti anni dopo, e pensiamola inserita **nel** “movimento generale” dell’intero Sistema-mondo. In effetti, tale vicenda è stata uno dei primi esempi (in Europa) di quella “ristrutturazione sistemica” che, precisamente in quel momento storico, stava cominciando: ecco il “nodo”, che rimase totale “lettera morta” nel vecchio Pci.
Il “progetto gramsciano” d’alleanza fra i due gruppi, di cui s’è in breve detto, dava per scontato che le classi subalterne NAZIONALI dovevano unirsi con il lato “buono” delle borghesie **altrettanto NAZIONALI**. E qui sia detto per inciso: il vecchio Pci si *opponeva* all’immigrazione incontrollata, per l’ovvia ragione che intaccava le sue basi sociali …
Ma torniamo al tema. Si dava, cioè, per scontato che il “referente” fosse lo stato – moderno – NAZIONALE. Il modello di Gramsci, infatti, era e rimaneva lo STATO MODERNO. E se lo stesso stato moderno veniva ridimensionato dal movimento di quel sistema capitalistico che gli aveva conferito – intendo: allo stato moderno – potenza e rilevanza mondiali?
Gramsci non aveva alcuna risposta da dare. Né il Pci ne aveva.
Né alcuno ne ha oggi. La qual cosa è molto peggio! Siamo, così, giunti al punto per cui questa vicenda storica c’interessa oggi.
E se, appunto, il Sistema stesso cambia – come poi cambiò davvero –, con l’emergere sempre più massivo di strutture SOVRANAZIONALI, che cosa n’era del progetto? Che falliva! … come poi è stato …!
Il libro di Scarano, dalla parte dell’autore (non però di Broccoli che, al contrario, n’è ben consapevole, ma proprio perché ha seguito la vicenda dell’industrializzazione della Provincia di Caserta “da dentro”), mostra invece una completa incomprensione (che fu quella che, di fatto, segnò la vicenda storica del Pci) proprio di tali dinamiche “sovra nazionali”: come se non esistessero dunque, contraddizione soltanto apparente, di fatto accettandole del tutto. Accettarle come “dato ‘incontrovertibile’”, come fanno “destra e sinistra” oggi, accettarle come “dato di natura” NON vuol certo dire “comprendere” tali “DINAMICHE”. Proprio gli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, videro il primo – ma sarebbe stato solo il primo – emergere di quelle “dinamiche ‘sovra’ nazionali” che oggi sono diventate sempre più forti ed evidenti, e che il vecchio Pci non poteva proprio vedere per cultura interna, basata in primo luogo sulla vulgata marxista e, in secondo luogo, sul progetto gramsciano. Si arenò sulla rena di un “reef” sperduto nel “Pacifico politico”: unica via per loro era l’accettazione, totale, del Sistema-mondo, delle sue dinamiche; solo che, per quanto facciano professione di “obbedienza e fedeltà”, non basta mai, per cui saranno sempre la copia di serie B. In pratica, offrono la stessa merce, ma di qualità più scadente, “di seconda mano”: il grosso le preferisce quella, cosiddetta, “originale” che, anch’essa, però, è molto ma molto scadente. La realtà è che in giro c’è una ed una sola merce, prendere o lasciare: così funziona oggi …
Al punto cui erano giunti, però non è che avessero altra scelta se non l’accettazione, questo è un fatto; solo che il “nodo” vero l’accettazione **acritica**, questo è ciò che non va e che li rende poco credibili. E non certo a caso, il libro di Scarano si denota proprio per quest’acriticità dell’accettazione: non vi è **mai** una vera critica del “Sistema” che **forza** e rafforza certe “dinamiche”, ma la sua totale accettazione.
Oggi la “politica” e la sua – **sedicente** – “autonomia” non esistono più, lo “script” è dato una volta per sempre: puoi colorarlo come ti pare, ma **non** puoi cambiarlo; e oggi governare vuol dire, come diceva Baudrillard, dar “segni attendibili” di decisioni. Ecco, su questo punto – e per quanto abbiano abbandonato tanto e si siano dati tanto da fare come seguaci “ligi” dell’ “ortodossia globalista” – non riescono mai a dar “segni attendibili” di decisioni! Manca sempre qualcosa … E non è certo l’eredità, obliata, del vecchio Pci il punto, come alcuni pensano, sbagliando. Il punto è la loro incomprensione dei cambiamenti sistemici. Tanti anni dopo, siamo sempre su quelle secche dove si arenò il Pci, e chi n’è stato parte non ha mai capito perché certe cose sono avvenute “proprio” così e non diversamente. Oggi però siamo in vista di un’altra, e poderosa, modificazione del Sistema. DI TUTTO il Sistema. E così, una vicenda d’interesse soltanto storico si riconnette a temi più vasti. E “tutto si tiene” (come si dice in francese).
Oggi se non rivedi – radicalmente – il concetto stesso di “Europa” e non ti poni, e in prima battuta, su QUEL livello, non vai da nessuna parte: le risposte locali NON esistono; e neanche quelle “nazionali”, al di là dei sogni sovranisti, recentemente protagonisti di una di quelle “resistibili ascese” che costellano il panorama politico asfittico dei “nostri” tempi. Né ha senso avere “un’ottica di tipo elettoralistico”, che oggi hanno tutti i “partiti”, i quali non sono altro che dei comitati elettorali. Non stiamo a perder tempo con questi comitati, che, anche se fanno delle cosiddette battaglie “identitarie”, nulla cambia di sostanziale né mai cambierà: la “gerarchia sistemica” è ferrea. Se non poni al centro un “mito fondante” non vai da nessuna parte: si rimane ben dentro la palude, dove dominano gli “script” che un Sistema in crisi, ma sempre potentissimo, fornisce a iosa, e non accetta alcun “no” in risposta. Personalmente, ma è solo una veduta “personale”, ho sempre suggerito di ripensare – non copiare, ma solo ripensare …! – alla vicenda di Federico II. Come un mito fondante, da ripensarsi, ma in modo serio, niente a che vedere con quelle giravolte, di “destra”, in cui si fa un qualche riferimento “identitario” e poi si va là e si fa quello che tutti fanno, salvo eccezioni che, ovvio, “confermano la regola” come suol dirsi. Ma non c’era bisogno di scomodare Federico II, o qualsiasi altro “riferimento ‘identitario’”, per seguire lo “script” …!
Una politica priva di mito fondante – che nella sinistra comunista NON era “Marx” ma era la RIVOLUZIONE (un mito, chiaro!) –, una politica priva di un mito fondante VALE ZERO. Ma torniamo al tema.
La Provincia di Caserta era “sull’orlo di” un “salto di qualità” ma poi è ricaduta nel suo stato precedente, anzi: sta ben peggio, mutatis mutandis.
Perché? Perché il suo ruolo nel “Sistema internazionale” quello era, e quello rimane: il Sistema-mondo ha dei posti fissi ed immodificabili.
Oggi versa in grave crisi questo Sistema, e ciò perché alcuni paesi non accettano più il ruolo (fisso) che il Sistema ha loro – PER SEMPRE, dal punto di vista di tal Sistema gerarchizzato (perché di rapporti ineguali) – assegnato. Ma questo stesso Sistema è oggi ancora tanto forte da poter dominare una politica debolissima.
Una sola considerazione, per finire: perché fu applicato al Sud quest’ “esempio” di “rimessa in riga” e “al proprio – marginale – posto”?
E qui le considerazioni ci porterebbero lontano, a De Martino che, in Sud e magia, discettava sulla relazione tra la storia del Sud e la “jella” … La storia del Sud ha, senza dubbio, avuto i suoi momenti buoni, la tendenza generale però è sempre stata più verso il negativo che verso il positivo: la vicenda dell’industrializzazione in Provincia di Caserta è una brillante conferma dell’ oscura tendenza “di lungo periodo” verso quella relazione di cui parlava De Martino: il Sud e la “jella” …!
Una qualche conclusione: questa vicenda va posta in un contesto preciso per aver un suo senso. Tuttavia, pur essendo una vicenda specifica, essa è avvenuta in una fase determinata: la fase “di passaggio” dal “vecchio Sistema-mondo” ed una “nuova” fase del Sistema-mondo. Ma oggi questo stesso “Sistema-mondo” è di nuovo in crisi; e così tale vicenda può aiutare a riflettere su determinati “passaggi sistemici”. Passaggi per nulla terminati, anzi!
La realtà è molto diversa dalla proiezione dei propri “desiderata” …
Andrea A. Ianniello
PS. Due osservazioni, a latere. 1) In realtà, Mao Zedong iniziò come nazionalista e soltanto dopo diventò comunista. Semplicemente, il regime da lui fondato ha compiuto il percorso inverso, ma complementare. Tutto qui. Per cui non stupisce affatto questa deriva nazionalistica, laddove “l’unità della patria” viene prima di tutto il resto, e non la produzione o l’economia. Peraltro, già lo stesso Deng Xiaoping aveva indicato un tal cammino, in effetti. E la Cina di oggi è più figlia di Deng che nipote di Mao. 2) Per chi si stupisce dell’attenzione di Gramsci verso quelle borghesie nazionali da lui dette “buone”, non tutte le forme di borghesia cioè, occorre ricordarsi dell’idea di Lenin secondo cui, poiché il comunismo non può instaurarsi subito, si deve sostenere le borghesie nazionali che vogliono concretamente opporsi all’imperialismo. La differenza tra Gramsci e Lenin sta in questo: che per quest’ultimo l’appoggio era solo strumentale, “in vista di”, mentre, per Gramsci, aveva un suo senso proprio, valido come tale; cioè le “borghesie nazionali ‘buone’” avevano un loro proprio ruolo, non solo “in vista del” passaggio al “comunismo”. E qui vi era la differenza con la Russia.
Il Sud non può esser altro se non una sorta di Disneyland per turisti. Questo è il posto che gli è riservato. Certo, è una portaerei nel centro del Mediterraneo occidentale, dunque utilissima, ma deve contar zero. Non poteva funzionare il progetto di de-marginalizzazione del Sud.
RispondiEliminaIn un paese italiano che non poteva che fare la fine che ha fatto. “No surprises”, per citar sempre il “pezzo” dei Radiohead …
Cf.
RispondiEliminahttps://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/10/san-leucio-ii-in-margine-alla.html
Cf.
RispondiEliminahttps://associazione-federicoii.blogspot.com/2013/12/che-cosa-e-la-democrazia.html
Cf.
RispondiEliminahttps://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2015/09/03/liberi-di-non-scegliere/
Cf.
https://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2013/12/02/alexandre-kojeve-sullo-stato-universale/
Il mondo politico è in piena decomposizione, ormai. E tal processo non si fermerà ...
RispondiEliminaAlcuni dovrebbero leggersi - perché non l’hanno mai fatto! - “La sinistra divina” di J. Baudrillard, che conta ormai a qualche annetto fa … o come diceva qualche, qualche “nanetto” fa …
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