martedì 1 giugno 2021

“Von” Sebo …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grosso modo, l’origine degli spiriti maligni può essere ricondotta al problema del male, collegato, necessariamente, con l’origine del mondo. Kotankar-kamui (il Creatore), per costruire questo mondo, si servì di sessanta asce di ossidiana. Terminata l’opera, ritornò in cielo, abbandonando gli strumenti che, esposti agli agenti atmosferici, si corrosero. Dalla loro putrefazione nacquero gli spiriti maligni, il cui capo, dall’immenso corpo d’ossidiana,  vive sottoterra, nella palude formata dalle acque inquinate per il contatto con gli oggetti corrotti e, poi, filtrate nel terreno”.

A. Vantaggi, “SINISTRE PRESENZE NELLA LETTERTURA AINU” in ATTI del Convegno Pavia 28-30 ottobre 1983, AISTUGIA Firenze 1985, p. 131, corsivi miei. E’ interessante notare come l’ossidiana fosse legata  al dio Tezcatlipoca, che significa “specchio di fumo”, cioè specchio di ossidiana, e Tezcatlipoca era il dio degli inferi, della notte, del nord, e il protettore delle streghe; poi era pure l’opposto di Quetzalcoatl, un po’ come Seth era l’opposto di Horus, mutatis mutandis.

 

 

 

Bronzea splende la spada sopra il vaso sbreccato”.

Pu Sung Ling, L’ospite tigre, Franco Maria Ricci editore, Parma – Milano 1979, Prefazione di J. L. Borges, p. 60, corsivi in originale, novella che dà il titolo al libro (La tigre, simbolo dell’Ovest …)

 

 

 

E giovarono […] le gigantesche dimostrazioni di massa, quei cortei di centomila uomini che infusero nel piccolo uomo […] la convinzione di essere bensì un piccolo verme ma parimenti un membro d’un grosso drago”.

Adolf Hitler, Mein Kampf, Società Europea di Edizioni – “Il Giornale” s.d., ristampa integrale dell’edizione del 1937, p. 165, corsivi miei. Qui Hitler parlava delle dimostrazioni socialiste, ma, in realtà, nel capitolo in questione, il VI (quello dedicato all’importanza dell’oratoria e del discorso parlato), si apprestava, con molta convinzione, a far molto di più, sempre nell’ottica di “rendere un piccolo verme parte d’un gran Drago” … (Il Drago, simbolo dell’Est)

 

 

 

Ripeto, non è questione d’ucciderlo. Se qualcosa è cristallizzato, è per sempre. Potrebbe anche dimostrarsi una risorsa se la usa come materiale, come funzione. Ma non devono mai aver il controllo, non gli si deve mai permettere di fissare il suo ‘Io’ e prenderne possesso”.

Incontri con Gurdjieff, Edizioni Tlon, Roma 2017, p. 84, corsivi miei.

 

 

 

I Tiadi seguono il medesimo cammino per giungere al Parnaso; sul Parnaso il culto di Dioniso è più antico di quello di Apollo e pertanto le schiere dionisiache si spostano sui sentieri che i sacerdoti di Apollo hanno spianato”.

F. Nietzsche, Il servizio divino dei Greci, Adelphi Edizioni, Milano 2012, p. 133, corsivi miei.

 

 

 

Un’osservazione interessante è che nella letteratura mondiale non esistono ritratti di ‘superuomini benevoli’. Esistono eroi, di solito con fatali difetti, e dèi incredibili. Ma quello che si avvicina maggiormente al vero superuomo, nel significato spirituale della parola, è il personaggio dei ‘fumetti’ americani. Il mago minaccioso di Lytton — e il suo analogo negli scritti di Hoffman, Tieck, Jean-Paul e persino Tolkien — sembra essere il massimo sforzo di cui l’immaginazione umana è capace per arrivare all’idea di superuomo. C’era d’aspettarselo; la nostra mancanza di ‘senso del significato’ vuol dire che noi comprendiamo meglio il negativo del positivo. E’ possibile, per esempio, immaginare un Hitler completamente benevolo, ma egualmente potente, che vuole il dominio del mondo allo scopo di liberare i poveri e di distruggere l’anti-semitismo? No. Gli statisti benevoli tendono ad esser idealisti ed inefficaci: ‘The best lack of all conviction, while the worst/ Are full of passionate intensity …’. I poteri di Hitler erano parzialmente magici, in quanto egli era spinto da obiettivi molto lontani e da enorme ottimismo. La conseguenza fu lo sviluppo di poteri all’estremità ‘invisibili’ dello spettro: quel potere sulle folle quasi ipnotico che è stato testimoniato da tanti osservatori. (Questi osservatori — Lüdecke, Hanfstaengl, Gregor Strasser — rimasero sorpresi quando si accorsero che Hitler da vicino era privo di carisma. Egli ‘accendeva’ il suo potere quando ne aveva bisogno, come un direttore che porta l’orchestra al culmine di un crescendo)”.

C. Wilson, L’Occulto, una storia della magia attraverso i secoli, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1973, pp. 181-182, corsivi in originale [*].

 

 

 

Nessuno, fra i testimoni che hanno avvicinato Hitler e vissuto in sua compagnia, se non nella sua intimità, che fu sconosciuta poiché egli on vi lasciò penetrare nessuno, ha mai dubitato di trovarsi in presenza di un essere profondamente diverso dagli altri, sotto le ordinarie apparenze talvolta banali e persino volgari, di un capo di partito aiutato dalle circostanze e da una Fortuna di cinico giocatore scaltrito e privo d’ogni scrupolo. Ho avuto l’occasione, nel corso di un viaggio in Germania d’ascoltare e vedere Hitler a Norimberga, quando ancora ero studente di filosofia. Siccome stavo preparandomi ad un diploma per un corso di studi superiori sulla psicologia della paura, avevo deciso d’osservare da vicino l’uomo che faceva tremare l’Europa. Ero assai ben piazzato per poter seguire il minuzioso rituale che regolava il cerimoniale di quell’orgasmo collettivo al quale bisogna aver assistito per rinunciare a descriverlo […]. perlomeno, ero stato colpito dalle diverse fasi dello sdoppiamento della personalità che caratterizzava la medianità oratoria di Hitler. A questo livello, infatti, non si può parlare di talento né di genio d’un tribuno. Hitler «funzionava», per così dire, come un radar. All’inizio dei suoi discorsi, nel silenzio appena immaginabile di una folla costituita da più d’un milione di fanatici immobili, dapprima sorda e bassa, sembrava spiegare poco a poco il tono come se si alzasse saggiando l’atmosfera nelle diverse direzioni dello spazio, fino al momento in cui, repentinamente, essa chiudeva la presa accelerando il flusso delle parole, martellando le formule su un ritmo ogni istante più veloce, analogo a quello di un tamburo che batta la carica. Da questo istante, il più delle volte sottolineato da tempestose raffiche di grida e acclamazioni, da «Sieg Heil!» che sostenevano il volo dello «sciamano» e le sue lunghe tirate ansimanti, il raptus estatico del medium aveva inizio, punteggiato da gesti e segni delle dita, analoghi a quelli che esalta Sebottendorff negli esercizi d’auto-ipnosi dei dervisci. Talvolta Hitler s’interrompeva bruscamente, le braccia incrociate, le mani strette sui bicipiti, la mascella tesa, come se attendesse il ritorno delle onde che portavano il fluido vivente”.

R. Alleau, Le origini occulte del nazismo. Il Terzo Reich e le società segrete, Edizioni Mediterranee, Roma 1989 (anno significativo, ma l’edizione orig. fr., invece, data al 1969), p. 176, corsivi in originale, grassetti miei. Due critiche vanno fatte ad Alleau, pur essendo il suo testo molto valido: 1)  son d’accordo con Robin sul fatto che sopravvaluta il ruolo degli Illuminaten di Baviera; 2) giustissimo laddove parla (cf. ivi, pp. 79-80) delle conseguenze della rivolta dei contadini nel XVI sec., dove “furono spezzate le reni” alla Germania per sempre, per cui la dura, semi selvaggia e tuttavia brillante Germania del Medioevo e della prima parte del sec. XVI si trasformò nella Germania passiva e pusillanime dei “borghesi” tutti “capitalismo e protestantesimo” (Weber), tutto verosottovaluta però, Alleau,  il ruolo della “cultura faustiana” dell’ “Autunno del Medioevo”, e della sua “ricerca del potere”, che costituì, dunque, il milieu  nel quale il feroce (davvero!) processo di accentramento decisionale, proprio della modernità, poté aver luogo. E qui taccio sul fenomeno della cosiddetta “caccia alle streghe”, il cui culmine fu proprio il XVII sec., e che, in Germania in modo particolare, rivestì aspetti davvero crudeli. In ambedue i fenomeni si trattava di mettere in riga un popolo ancora semi selvaggio  colpendone le “libertà” medioevali, che, quanto a loro, hanno un senso diverso dalle “libertà” moderne, su questo è bene l’esser chiari: è “particolarismo”, e non certo l’ “universalismo” dei “diritti dell’uomo” moderni. In ogni caso, anche lo stesso Evola, però, ammetteva che in Hitler vi fosse molto del medium.

 

 

 

Corrono ancora leggende sulla maledizione che si sarebbe abbattuta su coloro che cercarono di profanare la sepoltura: un khan che voleva dissotterrare qualche reliquia diventò cieco di colpo, dei musulmani che avevano infranto il tabù gettato sulla sepoltura perdettero l’uso degli arti. Si è anche preteso che esista, da qualche parte nella steppa, una città fantasma, la «città di Gengis Khan».  Tuttavia al giorno d’oggi ancora nessuno è riuscito a scoprire il sepolcro del gengis khan Temucin, uno dei rari conquistatori ai quali si sarebbe quasi potuto attribuire il titolo di cosmocrator”.

M. Hoàng, Gengis Khan, Garzanti Editore, Milano 1992, p. 24, corsivi in originale.

 

 

 

C’inganniamo se crediamo che il mistero, che è solo una delle antiche arti della guerra che ancor oggi permeano la vita politica, culturale e sociale del Giappone, nasconda un segreto. Il vero segreto sta proprio nel fatto che l’arma-arte della guerra sia il mistero stesso”.

T. Cleary, L’arte giapponese della guerra, Oscar Mondadori, Milano 1993, pp. 9-10, corsivi miei.

 

 

 

I riti funebri mongoli furono simili, nell’essenza, a quelli dei popoli della steppa, e della Cina; i quali usavano in un primo tempo seppellire assieme al cadavere, cavalli servi e donne, sacrificati sul luogo; e in un secondo tempo statuette di ceramica o di legno in sostituzione di quelle vittime. Quando un capo moriva i mongoli lo seppellivano con una giumenta, un puledro e un cavallo bardato con sella e briglie; e mangiavano un altro cavallo la cui pelle, impagliata, veniva eretta sul tumulo. Le ossa venivano bruciate per l’anima del defunto”.

Gengis Khan, “Periodici Mondadori”, Milano 1968, p. 60, testo di G. Mandel, corsivi in originale. Queste usanze – da sole – meriterebbe un lungo commento, in ogni caso qui si vuol solo far osservare che il famoso “esercito di terracotta” del Primo Imperatore Qin [Ch’in] è una “sostituzione”, dove le statue di terracotta “stanno per” dei membri effettivi del suo esercito che sarebbero  dovuti esser sacrificati realmente per “proteggerlo”, per “scortarlo” lungo il suo “viaggio nell’oltretomba”.

Per le usanze della Cina e lo svanire graduale del sacrificio per le tombe illustri, sostituito da dei simulacri (e tuttavia il perdurare dell’usanza, per lo meno in parte, nella dinastia Yuan, mongola, e fra le dinastie turche medioevali dell’Asia centrale), cf. E. Erkes, Credenze religiose della Cina antica, Edizioni di Ar, Padova 2005, traduzione di J. Evola, pp. 68-69.

 

 

 

 

 

Riporterò un passo interessante, anche se non lo riporterò del tutto, interamente cioè: infatti, non sono le “dottrine” in se stesse che non andrebbero espresse troppo chiaramente, quanto, piuttosto, le “applicazioni pratiche”, che, potenzialmente, potrebbero portare qualcuno su di un cammino sbagliato.

Ed anche qui, sia ben chiaro: una tale possibilità riguarda non lo 0,1% ma lo 0,01% degli individui oggi viventi. E tuttavia, nel caso accadesse, potrebbe dar luogo ad effetti del tutto imprevedibili. Pertanto, è bene poco insistere sul lato “pratico”, appunto, ma ciò non è valido allo stesso modo per quello teorico: in campo teorico vi è, decisamente, più margine di movimento, senz’alcun dubbio.

Detto questo, veniamo al passo in questione. 

 

 

Non vi è esoterista che non si sia domandato talvolta, quale, dal nostro punto di vista, sia il valore della massoneria. Qui, beninteso, non entra in questione la massoneria moderna — intendo quella propriamente organizzatasi a partire dalla creazione della Grande Loggia di Londra nel 1717. Di fatto, nella massoneria son presenti varî simboli, riti e segni, che essa ha ripreso da precedenti tradizioni, il carattere iniziatico delle quali non è contestabile. I primi gradi della massoneria — diciamo i primi tre — riproducono senza dubbio quelli di un’antica tradizione iniziatico-corporativa regolare che si suole distinguere quale «massoneria operativa» da quella «speculativa», che è la massoneria più recente, legata a ideologie illuministiche e a fini politici e sociali. Ma fino a che punto, nel complesso, i simboli e i riti sono stati presi semplicemente in prestito e organizzati in un sistema più o meno sincretistico (come sembra esser particolarmente il caso per molti così detti «alti gradi» della massoneria di rito scozzese), e fino a che punto è sussistita, anche se in parte e fino ad un certo periodo, una reale continuità? [qui vi è una nota a pie’ p., che si riporta di seguito: “Propriamente, vi è da considerare anche una terza eventualità, cioè il caso di organizzazioni iniziatiche rimaste più o meno le stesse nella loro esteriorità rituale, nelle quali tuttavia si sono incarnate e sono passate ad agire influenze spirituali molto diverse da quelle originarie”] Non è facile rispondere a questa domanda. Del resto, qui il mio proposito è solo di mettere in rilievo che alcuni riti e simboli, divenuti vuoti stereotipi nella pratica delle logge massoniche moderne, sembrano aver già avuto una stretta relazione con uno speciale metodo di realizzazione spirituale. Si tratta soprattutto dei «segni» e delle «prese» figuranti nel rituale dei primi gradi massonici — apprendista, compagno e maestro. Sembra dunque che in ciò si tratti di sopravvivenze di elementi d’una scienza iniziatica, corrispondente a ciò che in India è la dottrina delle mudrâ e dei mantra — cioè delle posizioni magico-rituali e dei «nomi di potenza». E lo scopo sembra essere lo stesso: rendere magicamente vivente il corpo e per tal via integrare e condurre al risveglio la coscienza umana. Il sospetto che, quasi come residui morenici e come forme spente, i rituali della massoneria possano contener elementi del genere, mi è nato dapprima attraverso gli scritti di un massone tedesco, J. B. Kerning, pseudonimo di Johann Baptist Krebs. Il Kerning nacque nel 1774 e morì nel 1851; già teologo cattolico, egli cercò di rivivificare la organizzazione massonica wüttemberghese. Come di lui è stato detto (cfr. Lennhoff-Posner, Internationales Freimaurerlexikon, p. 876), «ogni suo sforzo, per trent’anni, fu d’indagare il senso più profondo della simbologia massonica attraverso una rivivificazione della facoltà profetica nell’uomo». La prima impressione che tuttavia si ha dai suoi scritti  (ho avuto sotto mano le sue «Lettere sull’arte regia» — Briefe über die königliche Kunst, pubblicate come manoscritto da G. Burcher e un suo testamento) — «Kernings Testament», uscito a Lipsia, 2ª edizione 1907), è che si tratti soprattutto d’un ricercatore che con le sue sole forze abbia cercato di metter su un sistema ove molte cose hanno carattere di pura costruzione personale invece di derivare da un’autentica e regolare tradizione. Le vedute e le intuizioni del Kerning sembrano aver servito da base per ulteriori tentativi di risollevare la massoneria fino al piano iniziatico; è quel che risulta da un libro intitolato «Der brennende Busch», uscito a Praga, anch’esso di carattere assai misto, il quale riprende in gran parte gli insegnamenti del Kerning e nel quale si accenna ad una loggia costituitasi a Praga sul principio di questo secolo [XX, chiaro], alla quale fece parte anche […] Gustav Meyrink. Questi del resto, nel suo romanzo «Der Weisse Dominikaner» [in nota: “Tradotto anche in italiano, edizioni Bocca, Milano, 1944. E’ un libro che raccomando”; edizione più recente: Tre Editori, Roma 1997], parla esattamente dei «segni» e delle «prese» massoniche quali mezzi magici per rendere vivente il corpo [(1)], più o meno nei termini del Kerning.

Tuttavia l’incentivo a considerare simili teorie come cosa diversa da semplici tentativi individuali di conferire un senso superiore a riti e simboli che poco lo lasciano sospettare nella massoneria, mi è stato dato dalla lettura di un libretto piuttosto raro di Rudolf von Sebottendorf [in realtà Rudolf Glauer (2)] sulla pratica dell’antica massoneria turca («Die Praxis der alten türkischen Freimaurerei», Leipzig, s. d.). Il von Sebottendorf si propone semplicemente di «riferire» insegnamenti propri ad ambienti esoterici mussulmani, con i quali venne in contatto; e quanto egli espone ha un’impronta di serietà, di autenticità e d’impersonalità. Ora, la corrispondenza di varie dottrine di questi ambienti esoterico-massonici orientali con quelle del Kerning è in molti punti incontestabile. Ciò non può non far riflettere e non può non rimuovere, in parte almeno, la diffidenza che che […] gli scritti del massone e mistico wüttemburghese possono destare. Così non credo privo d’interesse dare qui in sintesi le dottrine e gli indirizzi pratici in questione, attenendosi pertanto essenzialmente alla fonte mussulmana. Il von Sebottendorf ritiene […] che la massoneria orientale aveva conservato fedelmente antiche dottrine sapienziali, volte […] alla conquista d’una più alta conoscenza, mentre già le costituzioni massoniche del 1717 (si tratta appunto di quelle con le quali nacque la massoneria «speculativa») «rappresentano una deviazione dalla giusta strada».

Sia nell’esposizione del von Sebottendorf che in quella del «Testamento» del Kerning la pratica con i segni, le prese e le sillabe sembra esser preceduta da un avviamento che nella massoneria mussulmana comprendeva un ciclo di ventidue mesi lunari (in tutto 825 giorni), in ognuno dei quali — o, meglio, in ogni gruppo dei quali — si doveva recitare un dato versetto del Corano. In ogni capitolo o sura, del Corano, è data una certa lettera o formula, l’interpretazione della quale ha fatto già perdere la testa a più d’uno degli esegeti profani. Questa lettera o formula (in tutto sono quattordici) indica invece, secondo l’insegnamento segreto, il numero dei giorni durante i quali il versetto corrispondente andrebbe recitato. — Quanto al Kerning, come avviamento egli indica invece esercizi di una respirazione più o meno smaterializzata: bisogna abituarsi per es. a respirare con la gola, poi anche a bocca chiusa e attraverso l’una e l’altro degli organi del corpo, col che un più puro soffio si mescolerebbe all’aria della comune respirazione preparando il corpo a percepire influssi più sottili [lo scopo è quello, in sostanza]; il Kerning parla anche della pratica consistente nel condurre il soffio sull’uno o sull’altro organo o membro, per potenziarvi e galvanizzarvi la forza di vita che vi è racchiusa. Ed egli dice che ciò, «per quanto possa sembrare strano, costituisce l’inizio della inspirazione dell’anima vivente». Vi è una curiosa concordanza fra simili direttive e quella dello yoga indù, curiosa, perché nell’epoca in cui il Kerning visse quasi nulla si doveva sapere circa tale yoga. O il Kerning è giunto a tali conoscenze da solo, ovvero le ha attinte da una tradizione occidentale assai poco nota. Ancora un dettaglio. Il Kerning distingue tre sedi: una sede A, dove il soffio viene attinto, una sede B, che fa, diciamo così, da centrale del soffio (son i polmoni ed il cuore), una terza sede C, dalla quale il soffio (evidentemente in forma sottile) viene assorbito, e che il Kerning fa corrispondere agli organi del sesso. La pratica ch’egli indica ha un doppio scopo; anzitutto quella di attrarre il soffio in altre parti del corpo, anziché in tali organi. Si tratta cioè di spostare la sede C: spostarla per esempio nelle suole dei piedi, nelle gambe, nelle cosce, nei fianchi, nelle braccia, nelle dita, nel collo e dove altro si voglia, e da là «inspirare». In secondo luogo, bisogna cercar di spostare A, vale a dire la sede dove viene attinto il soffio, tanto da non respirare più soltanto con la bocca o col naso, ma anche con altre parti del corpo. Anche quest’insegnamento ha una corrispondenza con quello del hatha-yoga, dove si parla di due correnti opposte del soffio, dette prâna e âpana, la prima legata ai polmoni, la seconda avente relazione con gli organi sessuali; tali correnti sono opposte (come lo sono, in Kerning, il moto aspirante A-B-C e il moto opposto di aspirazione, diciamo così, del soffio dell’uomo da parte dell’ambiente — attraverso A e B). Unirle in un’unica corrente è l’oggetto principale dell’insegnamento yoghico segreto.

Veniamo ora alla pratica con i segni e le prese secondo gli insegnamenti islamici riferiti dal von Sebottendorf. La massoneria, per ogni suo grado, conosce «segni», «prese» e «parole». Tutto ciò non avrebbe il valore di semplici mezzi di riconoscimento o di simboli. Si tratterebbe piuttosto di strumenti magici, da usare per attrarre nel corpo speciali influenze occulte e per determinare il risveglio iniziatico. La massoneria islamica conosce nel riguardo una pratica metodica che comprende tre fasi. Si ha dapprima una fase preparatoria avente per scopo la vivificazione dei segni I, A e O mediante le corrispondenti vocali e poi attraverso le sillabe si, sa, so. E’ una pratica da compiere di prima mattina appena alzati; essa non richiede più di dieci minuti al giorno. Durante la giornata la si può brevemente ripetere, quando ci si trova soli, e così pure a sera.

[…] Si passerà poi alla seguente pratica.

[…] Segue la pratica principale, con esercizi della durata dai 5 ai 10 minuti. […] Dopo i primi quattro giorni, portando come sopra l’indice in contatto con la lingua dovrebbesi avvertire un sapore di sale. Allora è tempo di acuire lo sguardo e nel momento in cui il discepolo scorgerà un’ombra nera [punto interessante questo], questa parte del lavoro è esaurita. A tal punto comincia per il discepolo una nuova vita ed egli riceve, nella loggia, uno nuovo nome.

Segue una nuova fase, di durata varia a seconda degli individui, tuttavia con un minimo di tre mesi lunari [attenzione a questo punto!] e comprendente altri tre cicli [attenzione a questo numero]. Nel primo di essi si esegue, dopo l’animazione dell’I, la presa del petto [attenzione ai gesti di Hitler quando faceva i suoi discorsi: alcuni confermano l’impressione di Alleau, citata qui sopra]; la mano a squadra, cioè ad A, con la palma parallela al corpo, va passata da sinistra a destra (all’altezza delle mammelle); per l’animazione dell’ sono date le seguenti formule […]; lo stesso procedimento, con le sillabe […] cham (pronuncia media fra il ch tedesco e il k) con la «presa media» (è un altro passo sul corpo da sinistra a destra, ad un’altezza calcolabile, ponendo la sinistra disposta a squadra verticalmente sotto la destra disposta secondo la presa del petto, così che il pollice della prima tocchi l’indice della seconda). Infine il procedimento viene ripetuto con le lettere […] all’altezza del plesso solare («presa del Maestro») [qui non c’interessa approfondire le sillabe quanto i gesti, per vedere quanto siano effettivamente simili a certi gesti fatti da Hitler nei suoi discorsi pubblici, della serie “hidden in plain sight” …, ovvero La lettera rubata di Poe, il cui principio recita: se vuoi nasconder un qualcosa, ponilo sotto gli occhi di tutti …].

questi cicli ulteriori vengono peraltro controllati da un Maestro [“massone ‘orientale’”, sia ben chiaro, ma, di nuovo, ciò dimostra che solo le prime fasi possono essere “fatte da sé”, poi si necessita d’un controllo (per cui “l’abusabilità” di tali cose ha dei limiti relativi ai soli passi d’inizio, bene); bene: chi “controllò” Hitler, una volta posto che praticasse tali “gesti” e “suoni”?, problemino non da poco!!]. Il discepolo a lui riferisce le esperienze che via via fa e da lui riceve adeguate istruzioni per il passo successivo. Secondo von Sebottendorf si tratta soprattutto di esperienze di un colore azzurro, che trapassa in un rosso pallido, poi in un verde scialbo che s’intensifica via via [la relazione fra “colori” (percepiti) e mondo “sottile” è ben nota]. Quando si ha la visione d’un verde vivido, il ciclo connesso alla presa del collo è finito. Nel ciclo della «presa media» si ha una fantasmagoria di colori che si risolve alla fine in un colore bianco-giallognolo. L’ultimo ciclo con la presa del Maestro (al plesso solare [interessante che sia “discendente”, il che conferma l’andamento “massonico” e focalizzato al dominio delle forze “sottili”]) porta alla chiarificazione di questo colore fino ad un bianco splendente che contrassegna la perfezione di questa parte dell’opera.

L’ultima parte, detta anche integrativa, consiste in un passo della mano a squadra animata dalla sillaba A più o meno come nella presa del Maestro, propriamente all’altezza dell’ombelico [il che conferma quanto appena osservato qui sopra!] […]. Il color bianco deve trapassare in un grigio sporco, poi in un giallo e infine in un rosso vivo. Questo è il termine.

Complessivamente, il procedimento è chiamato anche l’opera del Fuoco e dell’ Acqua. L’acqua divina deve penetrare nel corpo, per risollevarlo, per distruggere la sua inerzia, per renderlo vivente [dunque dall’alto al basso, per “sottilizzare” lo “spesso”, cioè il corpo]. Ma a tanto occorre aprire una breccia [si osservi quest’espressione … cosa poi “entra” per mezzo della breccia?] ne corpo stesso e occorre produrre un certo stato di esaltazione nella «materia» [passo fondamentale questo]. Ciò avviene attraverso la lettera I, che desta l’elemento «fuoco». Quando il calore cominci ad esser avvertito nel dito, ciò vuol dire che il contatto è avvenuto, che il corrispondente influsso è stato captato; con un’opportuna concentrazione si può indurre questa corrente per tutto il corpo avendo però cura di escludere la testa [interessante], per evitare un pericoloso stato di ebrezza. La presa al collo sbarra appunto [importante] l’accesso alla sede della testa, che deve [idem] restar libera. Il segno A, col suo calore secco, esprime un fuoco composto con la qualità secca dell’elemento terra. Attraverso l’azione di tal fuoco la «materia si cuoce», si produce una «porosità» per cui il corpo si rende atto ad accogliere l’acqua vivificante [del mondo “sottile”! …] e il seme fruttificante. Già nelle prime fasi dell’opera centrale il corpo comincia letteralmente a respirare [che cosa?, forse dell’ “aria”?, no!, “respira” delle forze “sottili”!] e sembra divenir più lieve [un chiaro effetto della “sottilizzazione” dello “spesso”]. La condensazione [si ponga mente al termine …] del fuoco attraverso il segno I s’intensifica sempre più nelle fasi successive (odor di solfo) in una qualità, che viene infusa nel corpo [sempre “nel” corpo, si ponga bene attenzione qui].

Riassumendo, l’opera comprende queste fasi […].

Due corrispondenze di queste discipline massonico-iniziatiche mussulmane con l’insegnamento esoterico generale sono assai visibili e sono state accennate dallo stesso von Sebottendorf. La prima si riferisce alla dottrina dei «centri» occulti  del corpo (i cakra dello yoga indù). La varie prese sono sicuramente azioni su di un gruppo di detti centri, in un senso di risveglio o d’induzione di forze di risveglio. Da quest’azione sembrano tuttavia esclusi i centri della testa e quelli «inferi», al di sotto del plesso solare [non certo casualmente, proprio perché si tratta del mondo “sottile”, il cui “canale” più noto è – appunto – il “plesso solare” e l’ombelico (hara), e così anche la testa non può farne parte – indicazione decisiva per chi “avesse orecchie per intendere” – così come i centri sotto l’ombelico, cioè quelli più “fisici”, corporei nel senso più stretto, nemmeno ne possono far parte, proprio perché più strettamente “corporei”; in nota, nella stessa p., vi si legge questo: “Nel Kerning la pratica è assai più complessa ed astrusa: l’animazione delle lettere e delle sillabe si estende a molti altri elementi alfabetici e grafici. Questi sviluppi non mi sembrano però troppo convincenti. Quanto alla corrispondenza con lo yoga, si può ricordare anche che in ogni cakra è collocato un dato gruppo di lettere dell’alfabeto sanscrito. E’ inoltre conosciuta una pratica, detta nyâsa, con la quale, mediante «nomi» e imposizioni delle mani, la qualità «divina» viene indotta o destata in varî organi ed in varie parti del corpo. Elementi analoghi, frammentarî, si ritrovano in alcuni riti della Chiesa greco-ortodossa e nell’esicasmo”]. La seconda corrispondenza si riferisce all’ermetismo alchemico. I colori, che sarebbero percepiti in vere e proprie visioni nelle varie fasi della disciplina, fanno senz’altro pensare ai colori che i testi ermetici mettono in relazione con i varî stati della «materia»: dal color nero della «putredine» al verde della prima crescenza magica, all’ albedo e infine alla rubedo.

D’altra parte è interessante rilevare che un alto grado della gerarchia iniziatica mussulmana è chiamato del «Solfo Rosso» [se n’è parlato anche al riguardo d’Ibn ‘Arabî come di “Solfo Rosso”]; a questo grado si associano certi poteri magici che, come nel cabbalismo, ha per base la scienza delle lettere e dei numeri.

Per tal via, il von Sebottendorf è stato anzi indotto a supporre che il segreto dell’opera alchemica si connetta a pratiche, come quelle da lui riferite, basate sull’animazione dei segni e delle prese. Ciò è sicuramente arbitrario [nessun dubbio al riguardo]. Il von Sebottendorf cade nello stesso errore di coloro che, appena trovata una chiave adatta per una porta, pensano che essa sia adatta anche per ogni altra porta. Le vie della realizzazione sono molteplici e quella seguita da siffatti ambienti massonico-esoterici mussulmani non è che una delle tante. Nei riguardi di essa non si deve inoltre pensare che le cose siano acili come sembrano, come se i riti agissero da sé stessi. Anche per tali pratiche vale il principio che «chi non ha oro non può farne» e che «solo il risveglio accende il risveglio». Sembra inoltre presupposta, proprio come per molte pratiche di hatha-yoga, una particolare sensibilità fluidico-corporea [come sopra: nessun dubbio al riguardo], che […] le pratiche con le formule del Corano (nella massoneria islamica) o con la respirazione (secondo Kerning) possono propiziare, ma che è certamente assente nella quasi totalità [quasi, appunto …] degli Occidentali di oggi [di nuovo come sopra: nessun dubbio al riguardo, tuttavia può capitare l’eccezione, rarissima, sì, ma può capitare]”, “Vivificazione dei «segni» e delle «prese»” in Introduzione alla magia, a cura del “Gruppo di Ur”, Edizioni Mediterranee, Roma 2011 (edizione orig. 1971), vol. II, pp. 118-128 (articolo firmato “Arvo”, pseudonimo di Evola), corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

(1) “Rendere vivente il corpo”, dunque: siamo in ambito sottile. Importante precisazione, questa …

 

 

 

(2) Per note biografiche su von Sebottendorf (Glauer), cf. R. von Sebottendorf, Prima che Hitler venisse. Storia della Società Thule, Arktos, Carmagnola (To) 2004 (prima ed. 1987, l’anno in cui morì Rudolf Hess). Nel Saggio introduttivo, R. Del Ponte – ovviamente (essendo “di destra”, è d’obbligo …) – minimizza l’importanza della Thule Gesellschaft. Ora, è vero che la “Thule” aveva solo un ruolo di “raccordo” ed introduttivo – le cose più serie avvenendo anche per mezzo di quelle “tecniche” che von Sebottendorf in parte divulgava – ma si ponga ben mente a ciò: senza questo ruolo “di mezzo”, introduttivo, non sarebbe stato possibile avvicinare tante personalità, fra le quali anche quella di Hitler, cf. ivi, pp. 208-209, ed dunque sarebbe sbagliato sottovalutare questo tal “secondo livello”, in sé stesso – senza dubbio – d’importanza minore o secondaria, tuttavia essenziale per l’azione sulla società in generale. Tra l’altro, von Sebottendorf (un valido astrologo, sia detto en passant) parla della “croce uncinata” – che passa per “swastika”! – in modo evidente in questo testo (cf. ivi, p. ), e questo ci riporta ad Alleau. Quest’ultimo parla – giustamente – della differenza tra fascismo e nazismo, per poi giungere alla hakenkreuz, appunto: “La posta in gioco nella discussione fra i teorici tedeschi e italiani è d’evidente importanza. Infatti, il razzismo o, più esattamente, la «gnosi razzista», questo miscuglio d’illuminismo e di darwinismo, di religiosità deviata e di pseudo-razionalismo che caratterizza ciò che si osa […] chiamare «pensiero» nazionalsocialista, era considerato come una nebbiosa aberrazione nordica dai fascisti mediterranei. Mussolini non ha mai preteso d’essere il profeta di una nuova rivelazione religiosa; il suo scopo era la restaurazione della potenza e della grandezza «romana» dell’Italia; la sua mito-politica si collegava a quella dei filosofi del nazionalismo totalitario; opposto all’ideale democratico esso dev’essere combattuto in quanto tale dai difensori della libertà degli individui e dei popoli. Non per questo è una minore disonestà intellettuale confondere il nazionalsocialismo con il fascismo e un simile volontario errore permette, del resto, di dissimulare nuove forme d’adattamento del fascismo in diverse strutture dello Stato [cosa che noi avremmo visto, ed abbiamo visto, e vediamo, dopo l’epoca in cui Alleau scriveva]. Nelle dottrine nazionalsocialiste il «Popolo» (Volk) si presenta come un’ unità chiusa (eine geschlossene Einheit) al centro del mondo germanico o, più esattamente, nel mezzo della Hakenkreuz, simbolo che significa «Croce arpionata» e, letteralmente, «Croce uncinata» e non «Croce gammata» come ci si ostina a tradurre secondo l’abitudine senza prendere nota del fatto che i nazionalsocialisti stessi non tenevano a svelarne il vero significato [peraltro von Sebottendorf nel suo libro sulla società Thule afferma con chiarezza che si tratta di croce uncinata, ed essa è sulla divisa della Thule stessa]. Neon è senza interesse per la storia del misticismo ricordare l’espressione del curato d’Arsche chiamava il suo diabolico avversario il «Grappino», l’ «Arpione». Infatti, il segno distintivo dell’uccello da preda è l’artiglio che afferra la vittima per alzarla al cielo”, R. Alleau, Le origini occulte del nazismo, cit., p. 174, corsivi in originale, grassetti miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. Questo punto, della “gnosi razzista”, è importante, indirettamente da ricollegarsi con Meyrink, il quale – secondo Guénon – era ricollegato, a sua volta, con forme di kabbalah deviata (peraltro questa era una delle ragioni di dissidio, non ricomponibile, fra Evola e Guénon, sulla quale differenza cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/08/per-chi-volesse-comprendere-le.html).

Vi è un’apparente contraddizione, a questo punto giunti, tra il disprezzo degli ebrei, mostrato da Hitler, ed il considerarli come un pericolo, poiché provvisti di mezzi “occulti”; su ciò, cf. G. Galli, Hitler e la cultura occulta, (BUR) RCS Libri, Milano 2013, pp. 107-108. Si tratta, infatti, di “una contraddizione solo apparente, poiché l’antisemitismo hitleriano affonda in una cultura occultista per cui l’ebreo è un «untermensch», un sotto-uomo, in quanto non costruttore, come l’ariano, ma distruttore di civiltà, e, al contempo, una specie di superuomo malvagio, perché dispone, a sua volta, di un potere occulto, esemplificato dalla Kabala”, ivi, p. 107, corsivo in originale.

Peraltro la dimensione “sottile” si ricollega con il problema delle “Due Chiavi”, dal punto di vista iniziatico, sul quale cf. R. Guénon, La Grande Triade, Atanòr, Roma 1971, p. 44. Inoltre, importante quest’affermazione: “Al Potere delle Chiavi corrisponde , nelle tradizioni indù e tibetana, il duplice potere del Vajra”, ivi, p. 46, corsivi miei. E poiché noi sappiamo che il “potere dell’illusione” – ovvero della proiezione” – si ricollega anche al Vajra, se ne deduce che la “chiave argentea” ha più a che vedere con il mondo “sottile”. In altre parole: la “chiave aurea” apre – e chiude! – alla dimensione celeste, ma quella d’argento, la “chiave argentea”, quanto a lei, apre – e chiude! – alla dimensione sottile! Dovere dell’Imperatore, in Cina, infatti, era pure quello di regolare le “acque”, tanto corporee quanto – il che molto è meno noto – di quelle “symbolicamentesottili. Su ciò, dunque, si veda le pp. 10 e 11 in

https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2019/01/dialettica-yin.pdf.

Scopo dell’aspetto iniziatico dell’ “Impero” è, dunque, anche quello di saper chiudere alle forze sottili, alle “influenze erranti”, chi ha orecchie per intendere, intenda … E la mancanza di un tal aspetto spiega bene sia l’azione storica di “certe” forze sia l’impossibilità oggi di fare una qualsiasi cosa per poter bloccare tale azione sottile negativa, pur essendo, senz’alcun dubbio, rimaste le religioni stesse nel mondo attuale. 

 

 

 

PS Un’importante Precisazione. Ho più volte ripetuto che l’affinità fra Hitler deve pensarsi non certo sugli scopi – ché all’ “anticristo” non può fregar di meno il predominio d’una certa razza, men che meno d’una certa nazione, né può fregar di meno di “conquistare” il mondo –, quanto invece sulle modalità espressive, in particolar modo in relazione all’ “oratoria seduttiva”, che, come s’è visto, in Hitler è, in realtà, qualcosa di più, soprattutto qualcosa di diverso. Di qualitativamente diversoQui è l’affinità, quella vera

nelle – apocrife – “Profezie” attribuite a Malachia, vi è, però, un’intuizione interessante, seppur spesso malamente interpretata, nel senso, solito, della “distruzione (letterale) di Roma”, cf. J.-C. de Fontbrune, Le profezie dei Papi, Armenia Editore, Milano 1986, p. 219. Non è affatto detto che tale “distruzione” debba essere intesa in senso letterale! Può essere la “fine” di un qualcos’altro, dove, peraltro, quest’interprete, prendendo come chiave il 73° motto di “Malachia” (“Axis in medietate signi”, ivi, p. 217), e cioè la data del 1585, e sottraendola dalla data del primo motto, corrispondente al pontificato di Celestino II, si ha un certo risultato: “Celestino II fu papa nel 1143. Se si tolgono 1143 da 1585 […] si hanno 442 anni. Se ora si aggiungono questi 442 anni a 1585, si trova la data di 2026”, ivi, p. 219. E qui de Fontbrune aggiunge: “essendo Roma stata distrutta”, ibidem: del tutto illazione tale deduzione, del tutto, soprattutto quando aveva affermato che “la data di 2026 […] segnerà dunque la fine del papato”, ma ciò potrebbe avere un significato simbolico, come s’è detto, e non implica per niente che “Roma sarà stata distrutta”! Insomma, come spesso accade, quel che getta discredito sono sempre le deduzioni eccessive, sballate. Peraltro, de Fontbrune correttamente interpreta la data del 2026 estraendola da Nostradamus, e stavolta correttamente inteso dal punto di vista temporale, non da quello interpretativo, però: cf. ivi, pp. 219-220. Cosa potrebbe significare, tutto ciò? De Fontbrune lo interpreta in relazione alla data d’inizio, il 1143, quando si sappia che Gengis Khan è nato – si presume – nel 1146, per cui: la “nascita”di un “Impero mongolo”, secondo lui, e giù a stereotipi e paure fuori luogo. Bene, togliamo tutto questo ciarpame che confonde le acque, prendiamo solo il concetto di base: niente massacri à la mongole, ma la rinascita – questo sì – del potere “asiatico” cosiddetto, peraltro non considerato malamente da Rosenberg nel suo Der Mythus des 20. Jahrhunderts (1930), interessante sottolinearlo. Se “uniamo i puntini”, abbiamo una figura: nel 2026 terminano i fondi straordinari europei, e probabilmente non saranno capaci di cambiare l’essenza dei problemi (per la semplice ragione che detti problemi non sono meri problemi di bilancio, ma ciò è impossibile farlo capire agli europei), nel 2030 termina la cosiddetta “Agenda”, nel 2025 termina la fase di crisi del sistema-mondo esaminata da Wallerstein e Hopkins alla metà degli anni Novanta; inoltre, nel 2029 termina la fase di crisi acuta della “Profezia” del re del Mondo da me altrove in qualche maniera esaminata, e spesso citata qua e là. Per finire, il 2025 è l’anno in cui si pensa vi sarà la piena emersione della potenza cinese, e questa sarebbe la “potenza asiatica” che “riemerge”, non certo i Mongoli di Gengis Khan!

Sembrerebbe dunque che la crisi attuale sia stata sottovalutata da quasi tutti, e che la serie di fondi – del tutto incapaci di generare alcun “Reset” ma soltanto di proseguire su strade già intraprese, ma senza più remore (come lo chiamo: un “Iperset”) – non fermeranno al via sulla quale si sta, e che de Fontbrune ebbe il merito d’intravedere ma d’interpretare come “Europa cristiana” contro il resto del mondo. Peraltro, lui prevedeva la rinascita del “pericolo islamico” che avrebbe messo in pericolo l’Europa”cristiana”, cf. ivi, p. 221. Peraltro, cf. ibid., il 1585 sarebbe stata l’ultimo anno del morente impero effettivamente mongolo, che fu sconfitto dai Manciù, e cioè dall’ultima dinastia cinese, ma guarda un po’, ma guarda! Come un “ideal passaggio” di testimone … E la Cina di oggi vuole riprendere la grandezza imperiale, la cosa è chiara ed evidente, l’avrà detto varie volte, mi limito qui solo a ripeterlo: il “comunismo” è sempre stato una maschera, tranne in una parte – solo una parte – degli anni di Mao, quelli del cosiddetto “grande balzo” che fu la fallimentare applicazione dello stalinismo in Cina. Solo che i tentativi occidentali, tardivi e sbagliati nelle modalità, di “contenimento” – al punto cui siamo giunti – non potranno che accrescere la forza, e, se ne bloccheranno l’emersione, il rischio è una massiccia immigrazione da una Cina ritornata in crisi: “Non siate sicuri che il grande disordine non possa ritornare in Cina …”, Deng Xiaoping in M. Sotgiu, La Coda del Drago. Vita di Deng Xiaoping, Baldini e Castoldi, Milano 1994, p. 101, corsivi miei. Pertanto, la “fine di Roma” potrebbe avere un tutt’altro significato da quello letterale. Di certo, il 2026 segna una data terminale per molti processi attualmente in atto. Un Non plus ultra … che stava sulle “Colonne d’Ercole”, il cui “sorpasso” costituì la “modernità”, per cui siamo ad un tornante decisivo. Insomma, la crisi è ben più strutturale di quanto questi credano: essa è crisi del sistema-mondo in se stesso, come ben capì Wallerstein negli anni Novanta del secolo scorso, e non funziona la “via d’uscita” che è la replica della “via d’uscita” della fine degli anni Settanta, quella ben studiata da J. Baudrillard, ed dunque non a caso, in questo blog, ci siamo soffermati su questo punto più e più volte. Le possibilità di aggiustamento che sono simili a quelle della fine degli anni Settantaaccentramento decisionale più accresciuta capacità di spesanon sono più sufficienti: questo punto è d’importanza decisiva.       

Sui problemi di datazione, anche cf.

https://associazione-federicoii.blogspot.com/2018/04/su-duna-non-sud-duna-ri-cor-renza.html.

 

 

 

 

 

 

[*] Parlando del libro dell’autrice D. Fortune, Psychic Self Defense, l’autore ricorda come Fortune (pseudonimo della signorina Firth), quando insegnava in una scuola, subì un attacco verbale da parte della preside, che Fortune pensava fosse “psichico”, mentre Wilson ne dubita, ma comunque afferma che aveva una forte carica “sottile” poiché questa preside aveva usato il tal sistema d’attacco: andò affermando che la signorina Firth era incompetente e mancava di fiducia in se stessa, ma ripeté l’affermazione per ben quatto ore! … Chiaro che la malcapitata insegnante ne uscisse frastornata e confusa, iniziando così davvero a dubitare di se stessa! Poi Wilson così commenta, in nota, dopo aver affermato che, a suo avviso, non era un “attacco psichico” vero, e tuttavia era un attacco pieno di forza suggestionante lo stesso. Infatti quest’attacco verbale ripetuto ha successo poiché “questo tipo di suggestione [mediante ripetizione] comporti lo stesso principio fondamentale dell’ipnotismo: trarre vantaggio dell’ ‘autodivisione’ di molte persone per mettere una parte contro l’altra [accade anche nella propaganda, per esempio, e ne abbiam visto molti esempi durante la pandemia]. Nell’appendice A di Beyond the Outsider, descrivo il caso della scrittrice di romanzi Margaret Lane che fu sprofondata in due anni di depressione dalla lettura del resoconto di John Hersey del bombardamento di Hiroshima, quando stava rimettendosi in forze dopo un parto difficile. La mente sviluppa un riflesso negativo, come un cane nervoso che si ritrae ogni volta che qualcuno si sposta”, ivi, p. 468, nota a pie’ pagina, corsivi in originale, miei commenti fra parentesi quadre. Ed è precisamente così: usare la divisione interna della (e nella) mente umana – comunissima – per far sviluppare dei “riflessi condizionati” negativi, come il cane che si ritrae non appena uno faccia finta di alzarsi perché teme di essere battuto, ciò a causa del fatto che spessissime volte il cane viene battuto in relazione all’alzarsi da parte di un individuo umano, per cui ricollega ormai istintivamente – cioè qualcosa si è “cristallizzato” in lui … – l’alzarsi d’un individuo al venir battuto e quindi a ricevere dolorosi colpi da parte d’un umano.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Mi spiace, signori, il “caso Hitler” sta lì, fermo, irriducibile, a dimostrare che, certo, sì, tutte le spiegazioni sociali e politiche hanno le loro basi, sino vere, ma non basta! Sta lì a dimostrarci quel che sosteneva “illo tempore” G. K. Chesterton: “Quando i pedanti c’invitarono a notare/ Da qual fredda meccanica gli avvenimenti/ Dovevano derivare, le nostre anime dissero nell’ombra:/ Forse, ma ci sono altre cose …”.






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