domenica 7 giugno 2020

Dall’ “EFFETTO BEAUBOURG” all’ “EFFETTO COVID”
















L’effetto Beaubourg, la macchina Beaubourg, la cosa Beaubourg – come darle un nome? Enigma di questa carcassa di flussi e di segni, di reti e di circuiti – ultima velleità di tradurre una struttura che non ha più nome, quella dei rapporti sociali ormai esposti alla ventilazione superficiale (animazione, autosuggestione, informazione, media) e ad un’implosione irreversibile in profondità. Monumento ai giochi di simulazione di massa, il Centro funziona come un inceneritore che assorbe e divora tutta l’energia culturale: un po’ come il monolito nero di 2001 […]. Tutt’intorno il quartiere gli fa da bastione – intonacatura, disinfezione, design snob e igienico – ma soprattutto mentale: è un macchina per fare il vuoto. Un po’ come le centrali nucleari: il vero pericolo ch’esse costituiscono non è l’insicurezza, l’inquinamento, l’esplosione, ma il sistema di massima sicurezza che s’irraggia intorno a loro, il bastione di controllo e di dissuasione che si estende, a poco a poco, su tutto il territorio; bastione tecnico, ecologico, economico, geopolitico. Non importa il nucleare: la centrale è una matrice dove si elabora un sistema di sicurezza assoluta[1].

Di nuovo: l’unico pericolo che in questo mondo tengano da conto è l’ “esplosione”, l’ “implosione” non è considerata come pericolo; vero che un’esplosione provoca un’implosione, e viceversa: le due cose sono collegate senza dubbio. E tuttavia, l’implosione non si conta nel novero dei pericoli: che un’intera società si accartocci su se stessa non è considerato un’eventualità pericolosa: in realtà non è proprio considerata un’eventualità, punto.
E, di nuovo: “non importa il virus”, importa la sicurezza, assoluta. Il virus è, dunque, precisa metafora del nuovo stadio sistemico: lo stadio del replicante …













Chiaro che il titolo dell’ultimo post – “Effetto Covid” (cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/06/effetto-covid.html) – sia come un “calco” da l’ “Effetto Beaubourg” (di Baudrillard[2]). Potremmo dire che la “fase finale” della “Crisi del mondo moderno” (Guénon[3]) comincia con l’ “Effetto Beaubourg” e termina con l’ “Effetto Covid”.
Ed ora, cosa, ecco la vera domanda? Che cosa c’attende, visto che siamo al fallimento del vecchio sistema?
Che non vuol dire, affatto, che non c’è più niente, se non il “caos”, che, anzi, vuol dire che i gruppi dirigenti del vecchio assetto, sostanzialmente, si mettono d’accordo con questa “nuova” fase. Quest’ultima se, da un lato, realizza quanto divisato negli anni Settanta del secolo scorso, d’altro canto porta necessariamente ad uno stato diverso: quando realizzi qualcosa, devi andar oltre, sennò ti areni. Ed arenati già lo siamo … Quindi non avrebbe gran senso voler arenarsi, quando invece l’uscire dallo stato di arenamento, ma in che direzione, il punto sta qui. Non in quella nella quale la nave era orientata prima … Per la semplice ragione che si è arenata perché si è incagliata in bassi fondali: e davanti a sé ha questi lunghi, vasti, bassi fondali. Ergo deve cambiare la direzione di rotta se vuol evitare la rotta finale.
Si parla di “riconciliarsi” con la “natura”, va bene.
Ma è una “direzione” o un cammino obbligato per il sistema stesso, se vuol salvarsi, se vuol evitare d’arenarsi ancora? La seconda che ho detto. Quindi non è una scelta, è l’inerzia del sistema – fortissima – che spinge in quella direzione per replicarsi. A questo punto, parlare di “decisione” politica non ha senso: la sedicente decisione non è che un simulacro. Che dev’esserci, sennò la nuda forza d’inerzia si vedrebbe troppo chiaramente; ma ciò non toglie che nessuno “decide” un bel niente qui, quanto a direzioni generali. Il fatto che queste ristrutturazioni non siano mai stata fatte davvero sinora non è dovuto alla “decisione” di “chicche e sia”, ma è dovuta all’inerzia del sistema stesso, il cui “peso” è difficilissimo a modificarsi e tende a perseverare nella direzione presa. Ora, però, vi è una vera occasione, proprio a causa della crisi strutturale, che tende a togliere di mezzo produzioni e distribuzioni non conformi a tale “nuova” (sempre relativamente) direzione.
La cosiddetta “nuova” direzione, però, renderà “quel che resta della società” più instabile ancora. Accrescerà il processo d’implosione, è inevitabile.
La tecnica “individualizza”, cioè separa (è “sethiana”), ed il suo fine è sempre caricare ogni (relativa) unità individuale del massimo di “capacità” (il “tu puoi” fatto proprio dal sistema della “Grande Prostituta”, che abbiam visto alludere ad un termine, in ebraico, diverso da quello usato per la comune prostituzione, ma, quando si è passati dall’ebraico al greco (della koinè), queste differenze si sono perse: il discorso è lungo e qui se ne può accennare solo). Che tal fine sia un “limite” – cioè, in se stesso, inattingibile – non toglie che la direzione, il senso di marcia, la tendenza dominante, sia, e resti, quella. In un vecchio testo di Severino (La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi Editore, Milano 1988) si diceva, per l’appunto, di una tendenza “fondamentale”, che tutte le residue istituzioni del “nostro” tempo avrebbero cercato di dominare la forza della tecnica, in se stessa – e in ciò vedeva giusto – del tutto amorale, che doveva solo accrescere la sua capacità di “realizzare scopi”, quali che fossero, “buoni o cattivi” (distinzione che non riguarda la tecnica), ma, così facendo, in realtà ognuna delle istituzioni del “nostro” tempo avrebbe solo accresciuto il potere della tecnica. Tutto ciò s’è dimostrato giusto, nei fatti.
Vi era, però, un punto dove Severino si sbagliava: e cioè in quel passo dove diceva che la tecnica poteva risolvere tutti i problemi dell’uomo, e così non è. Gli mancava la percezione del simulacro, della natura “seconda”, “simulacrale”, “simil sacrale” (e torniamo al fatto che la Grande Prostituta non è mero mercimonio: analisi sbagliate, riduttive, quelle che riducono tutto ad un fatto “morale”), costruita e falsa fino all’estremo, come una scena dietro cui non c’è niente: un gioco, un’apparenza, ma cui si conferisce forza, una costruzione di crediti su crediti senza fine, un castello di carta, che dico: di bit; gli mancava la percezione della natura illusoria del sistema, di tutto il sistema.

Ora in tutto ciò: che caspita c’entra il “popolo”? Ammesso che esista? Ed ovviamente altrettanto poco c’entra la “classe”: tutte visioni che rimangono ben lontane dai termini – peraltro molto, ma molto, ma molto radicali – della questione.
Noi siamo in presenza di questioni radicali, fondamentali, sulla natura e sul destino del mondo moderno tout court (o anche “too long” … scherzo …, e proprio perché scherzo ciò significa che la cosa è, in realtà, serissima: e lo è per davvero). Niente che eluda il nodo fondamentale, nulla che non tocchi quel nucleo potrà mai aver effetto, anche solo lontanamente. Saranno solo simulacri di decisione. Qualsiasi analisi che non si confronti con i nodi fondamentali oggi è futile. Si limita solo a riecheggiare un passato inevitabilmente tale: cioè passato.
So bene quale tiritera costoro tentano di propinarci: è la critica alle “sinistre” (qualsiasi cosa siano diventate oggi) perché tentano di mantenere il simulacro del “sociale” in vita, peraltro pure molto male. E tale critica vien fatta in nome dell’inesistente “popolo”, di una sostanza – che si può identificare con la “nazione” (creazione del tutto moderna, ma credere che costoro possano percepire la contraddizione in termini di questo fatto è chimera pura) – cui si dovrebbe far riferimento. Cioè il richiamo ad uno stadio precedente sempre della modernità, quando si credeva ci fosse una “sostanza sociale”, quando la realtà è che il “sociale” è una costruzione “seconda”, non uno strato “primo”. Le società “tradizionali” non si costruivano sul “sociale”, questo è il punto che non riescono proprio a concepire. Le credenze “tradizionali” fanno parte di uno strato più profondo di quello della “nazione”, che già è un po’ meglio di “popolo”, tuttavia. Le società “tradizionali” non le puoi analizzare attraverso “precomprensioni” nate da categorie moderne (che tra l’altro, per dire, secondo Baudrillard non funzionavano bene neanche per analizzare le società moderne!), quindi la “nazione” non ci spiega il passato premoderno. Punto.
Ed appellarsi a tal passato per sostenere la “nazione” – che, ripeto, è già qualcosa in più rispetto al “popolo”, amorfo – è un gioco delle tre carte. La destra cosiddetta “estrema” non può capirlo, dunque son i più sfegatati difensori del sistema che credono di criticare: infatti, agiscono, non a caso, sempre in senso reazionario etimologicamente, vale a dire come supporto delle istanze di auto regolazione cibernetica sistemica (quest’auto regolazione, infatti, è sempre una reazione ad uno stimolo). Non possono mai fare altro. E non hanno mai fatto altro: contenti loro … Ma venirci a dire di essere “alternativi”, ma via! Andiamo! Su …[i]  
La cosa involontariamente ironica sta nel fatto che credono di “difendere” la “tradizione”, quando – nel mondo effettivamente “tradizionale” – le “nazioni”, semplicemente, non esistevano. Noi siamo qui dentro un blog intitolato, non a caso, a qualcuno che le nazioni manco le concepiva, e che le avrebbe avversate, se vi fossero state (ipotesi meramente scolastica, chiaro). Il discorso si farebbe molto lungo, a questo punto, ma serve a dire ch’è possibile un mondo senza nazioni, non senza popoli, ma questi son semplicemente le etnie. La sovranità non risiedeva certo in loro; neanche oggi, c’avrebbe suggerito Baudrillard, ed avrebbe fatto alcune sue, fondate, obiezioni, dalle quali si sarebbe dedotto che la sovranità “popolare” non può essere che un mero simulacro nel mondo dominato dal codice, nel quale la realtà è “codificata”, nel quale una possibilità di esistenza fuori dalle realtà “codificate” semplicemente non si dà. E questo è, senz’alcun dubbio, il totalitarismo più “totalizzante” che sia mai stato totalizzato.
A questo punto, basta proiettare questo fatto, l’impossibilità che si “dia” una realtà non “codificata”, e lo si proietti oltre un certo limite, ed ecco che giungi a cosa c’è qui fuori, che aspetta: ecco che lasci i fantasmi del Novecento ed entri a cercar di capire la realtà dell’inizio del XXI secolo, quella che c’è, ora. Se si vuol farlo, si può, è perspicuo e fattibile, qui-ed-ora. E’ che molti non vogliono proprio farlo: va bene, “così è se vi piace”.
Tuttavia le cose non cambiano perché costoro si tengono attaccati al seggiolino: che l’aereo esca dallo stallo e torni a volare, oppure cada giù a terra, non dipende dal tenersi attaccati al seggiolino. Il destino dell’aereo influisce su quello del passeggero attaccato al seggiolino, ma l’inverso non è altrettanto vero. Si dirà: ma, vedi, il passeggero si tiene attaccato al seggiolino perché, sennò, non saprebbe dove sedersi. Va bene, ma il caro passeggero dovrebbe anche sapere che tutto ciò non c’entra niente con il destino dell’aereo, in questa metafora. Né il posizionamento dei seggiolini sull’aereo ha niente a che fare con la rotta dell’aereo e col suo funzionamento: non c’entra proprio niente.
Il problema del posizionamento dei passeggeri, ne convengo, è importante, ma non serve a niente, se c’è un problema con il combustibile, o se qualcosa fa andare l’aereo in stallo.  
I “complottisti” è come se dicessero: la direzione dell’aereo non vuole che ci sediamo! Non è affatto vero: alla direzione importa trasportare i passeggeri, senza i quali dovrebbe chiudere il loro business. Men che meno vogliono distruggere l’aereo: distruggere l’aereo = fine del business. E’ che l’aereo ha dei problemi, capisci: ma non lo capiscono. Il problema è l’aereo, o la nave, in altra metafora. Il problema è il sistema tecnico. “In sé” …
Ma è impossibile anche solo che lo immaginino. Quindi: le cose andranno per la loro strada e nessuno sulla Terra potrà farci niente.


[Aggiunta (del 09/06/’20) Con “e nessuno sulla Terra potrà farci niente” mi riferisco sempre in relazione alla “tendenza fondamentale del nostro tempo” (Severino) e cioè la spinta verso una tecnica sempre più forte, in pratica l’ unica parte che si stia espandendo della civiltà di oggi. Sul se tutto ciò, quest’ulteriore tecno mania, sia ideologia: che la tecnica “possa risolvere ‘tutti’ i problemi dell’umanità” è ideologia, nel senso di giustificazione aggiunta sulle cose; ma non è “ideologia” se s’intende che tale forza non sia una forza realmente agente: lo è, lo è. Non però è una forza “reale”, al contrario: è una forza dell’ “illusione”, una forza che “copre” la natura terrestre, costruendo una sorta di “replica” tecnica – un simulacro – della natura terrestre]








Andrea A. Ianniello








PS. Tempo fa, in questo blog, ci si chiedeva quando sarebbe stato raggiunto il “punto d’ indecidibilità”, così definito: quando, qualsiasi sia la decisione che si prenda, non cambia niente. Ci siamo arrivati? Chissà. Si può dirlo?
Non so se possa dirsi, ma, di certo, si può chiederselo. Di certo, questa è la questione più importante, oggi. Infatti, solo dalla risoluzione di tal problema può risolversi quello della “giunzione” fra ciò che appartiene, tutto sommato, al mondo moderno ed alla sua perenne, inespiabile decadenza senza fine, e ciò che viene da fuori di quel mondo.
Ed è questo di “fuori” che necesse est per poter davvero fuoriuscire, definitivamente, dal mondo moderno e dalla sua strutturale, perenne, inespiabile, irrisolvibile decadenza senza fine.
Di qui l’importanza di capir bene questo “punto” dove si trovi, oggi.





[1] J. Baudrillard, Simulacri e impostura: bestie, Beaubourg, apparenze e altri soggetti, Cappelli editore, Bologna 1980, p. 14, corsivi in originale. Parole semplicemente incredibili, visto che furono scritte nel lontano 1977, sempre quest’anno: lo scritto, poi raccolto nel libro citato – che comunque rimane del pur sempre lontano 1980 –, data, infatti, al 1977 … Tra l’altro, gli eventi del ’77 lasciano traccia nel libro, cf. ivi, pp. 30-31. L’Italia era citata come paese che si decomponeva in modo “spettacolare”, un “qualcosa” di particolare: sì, vero, ma è stata l’ ultima volta. Dopo gli anni ’80 hanno ammazzato questo paese, che ora è solo la replica, stanca e stantia, di se stesso. E tanto buon cibo e paesaggi spettacolari, da vendere come foto, cioè ormai simulacro di se stessi, non possono nascondere che abbiamo perso noi stessi, abbiamo perso ciò che distingueva questo paese da tutti gli altri: lo stile, la spettacolarità. Questa perdita di se stessi era strachiara già dieci anni fa, cf.
[2] Cose che, in quel periodo, potevano apparire “provocatorie” si son poi dimostrate solo esatte: “Beaubourg è un monumento di dissuasione culturale”, ivi, p. 20, corsivi in originale. Prendeva origine quella “cultura” di massa, quella che – col turismo che ha devastato l’Italia – con il Covid ha preso un duro colpo: dunque dall’ “effetto Beaubourg” all’ “effetto Covid”, come si diceva. Nessuna delle “bellezze artistiche” che i turisti vengono a vedere in Italia è stata pensata per il “turismo”, con rarissime eccezioni. Nessuna. “Un assalto […] non ha più niente in comune con ciò che si spacciava per obiettivo culturale; ne è la negazione radicale […]. E’ dunque la massa a fungere da agente catastrofico in questa struttura di catastrofe, è la massa stessa che mette fine alla cultura di massa”, ivi, p. 21, corsivi in originale. Se così è, che la massa sia stata diminuita, poiché le finalità dell’insieme non sono cambiate, può avere solo una causa: che la cultura di massa non viene più sterminata dalla massa (“sterminare” vuol dire anche disperdere, smembrare) e cioè che non c’è più alcun “agente catastrofico in questa struttura di catastrofe”. Se ne deve dedurre questo: che la “struttura di catastrofe” può cominciare ad esprimersi liberamente … Non più “contenuta” dall’involucro di “massa” che ne disperdeva il potenziale, può dunque sviluppare il suo, sinora contenuto, potenziale … Ben strana conseguenza …  
[3] E mi raccomando sempre di non far riferimento alla più recente riedizione (del 2015), che tenta “conciliazioni” con l’ “evolismo”, cioè Evola ridotto, a sua volta, ai soli mitologemi di destra “estrema” cosiddetta, conciliazioni che non han proprio senso perché in realtà non vi è “contrasto”, ma semplicemente due punti di vista diversi e, su certi punti, non riconciliabili, la qual cosa può piacere o non piacere, ma tant’è. Di nuovo, qui non si tratta di “prendere posizione” o d’ “influenzare” – quest’ulteriore ubbia nebbiosa da “mondo moderno in crisi” – ma di capire, o, almeno, di tentar di farlo, su cosa, e, soprattutto il perché di queste differenze. Questo può avere il suo senso. Poi, ognuno la pensi come vuole, ma invece niente: mica lo spiegano, tentano solo di “conciliare”, ma in modo debole, quindi veramente si leggano le vecchie edizioni, piccolo consiglio. Poi, chiaro, che ognuno “facci” come “credi”, giusto per scherzare un pochettino, un piccolo pocket …   














[i] Su questo rimando a qualche considerazione qui, cf.
Si tratta, forse, tra le cose più “sentite” che abbia scritto in questo blog. Invito – vivamente – quei pochi cui fosse, per davvero, rimasta un po’ di reale indipendenza di pensiero, a rifletterci su questo post … Il Novecento è stato, anche, questo: non dimentichiamolo, è stato anche chi ha voluto, ma non ha potuto, mai (mai), toccare certi “gangli sostanziali”, certi “nodi”, e, non potendolo fare, non ha mai avuto altra scelta se non quella di costruirsi degli strumenti critici, affilati come rasoi: sì, la “lama del rasoio”, quella che ci proverà ognuno, la bilancia più sensibile d’una piuma, perché, in realtà, **è** una piuma
A buon intenditor …  







6 commenti:

  1. Cf.
    https://lacittadelsale.blogspot.com/2010/11/parigi-prima-del-centre-pompidou.html

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  2. Di oggi la notizia ch’è morto R. Rogers che, con R. Piano e G. Franchini – a sua volta quest’ultimo essendo scomparso nel 2009 – il Beaubourg, che – “illo tempore” – J. Baudrillard “tipizzò” come il nuovo – all’ **epoca** - modello: quello della gente che va “avvicinata” ai musei … Peraltro cosa teorizzata da molti, a tal proposito cf.
    https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Dinamismo/SSAS_Se_il_pubblico_non_puo_visitare_il_Pompidou.html

    Ma è un’epoca che sta passando, come quella dei “turisti e terroristi”, ambedue i “medium freddi” del turismo e del terrorismo essendo stati posti in crisi dalla pandemia …

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  3. Il 19 dicembre, quindi, è morto il secondo degli architetti del Beaubourg. A questo punto, possono essere interessanti delle riflessioni.
    Dal post:
    https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/06/dall-effetto-beaubourg-all-effetto-covid.html.
    Citazione all’inizio e mio commento successivo.

    “L’effetto Beaubourg, la macchina Beaubourg, la cosa Beaubourg – come darle un nome? Enigma di questa carcassa di flussi e di segni, di reti e di circuiti – ultima velleità di tradurre una struttura che non ha più nome, quella dei rapporti sociali ormai esposti alla ventilazione superficiale (animazione, autosuggestione, informazione, media) e ad un’implosione irreversibile in profondità. Monumento ai giochi di simulazione di massa, il Centro funziona come un inceneritore che assorbe e divora tutta l’energia culturale: un po’ come il monolito nero di 2001 […]. Tutt’intorno il quartiere gli fa da bastione – intonacatura, disinfezione, design snob e igienico – ma soprattutto mentale: è un macchina per fare il vuoto. Un po’ come le centrali nucleari: il vero pericolo ch’esse costituiscono non è l’insicurezza, l’inquinamento, l’esplosione, ma il sistema di massima sicurezza che s’irraggia intorno a loro, il bastione di controllo e di dissuasione che si estende, a poco a poco, su tutto il territorio; bastione tecnico, ecologico, economico, geopolitico. Non importa il nucleare: la centrale è una matrice dove si elabora un sistema di sicurezza assoluta”[1] ([1] J. BAUDRILLARD, “Simulacri e impostura: bestie, Beaubourg, apparenze e altri soggetti”, Cappelli editore, Bologna 1980, p. 14, corsivi in originale. Parole semplicemente incredibili, visto che furono scritte nel lontano 1977, sempre quest’anno: lo scritto, poi raccolto nel libro citato – che comunque rimane del pur sempre lontano 1980 –, data, infatti, al 1977 …).

    [Il mio commento] Di nuovo: l’unico pericolo che in questo mondo tengano da conto è l’ “esplosione”, l’ “implosione” non è considerata come pericolo; vero che un’esplosione provoca un’implosione, e viceversa: le due cose sono collegate senza dubbio. E tuttavia, l’implosione non si conta nel novero dei pericoli: che un’intera società si accartocci su se stessa non è considerato un’eventualità pericolosa: in realtà non è proprio considerata un’eventualità, punto.
    E, di nuovo: “non importa il virus”, importa la sicurezza, assoluta. Il virus è, dunque, precisa metafora del nuovo stadio sistemico: lo stadio del replicante …

    Frasi del **lontanissimo** 1-9-7-7- !! Tutto vi era scritto … E non proveniente da chissà quali indagini “metaphysiche”, no: sociologiche, unendo i punti che **stavano sotto gli occhi di tutti** … Vien fatto di chiedersi, allora: e, nel frattempo, dal 1977 ad oggi, dov’è stato il mondo? Dove ha vissuto? In un mondo di simulacri.

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    1. Ancora, da quest’altro post:
      https://associazione-federicoii.blogspot.com/2020/06/effetto-covid.html.
      Sempre la citazione d’inizio:
      “Quanto alla libertà, essa cesserà ben presto del tutto, in tutte le sue forme. Vivere dipenderà da una sottomissione rigorosa a disposizioni rigorose che non sarà più possibile trasgredire. Il passeggero di un aereo non è libero. I passeggeri della vita futura lo saranno ancor meno: passeranno la loro durata attaccati al seggiolino”[1] ([1] J. BAUDRILLARD, “La sinistra divina”, Feltrinelli Editore, Milano ****1986****, p. 96).
      Questo stare “attaccati al seggiolino” è il populismo, è la sua molla profonda, ed è una molla ormai molla. Quindi, ora, cosa ci attende? Cosa davvero “manipola” tutto questo complesso gioco di “riprogrammazioni”?

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