giovedì 21 marzo 2019

Cambio di “paradigma”, **avvenuto** (“MISSION ACCOMPLISHED”)















Lo diceva già illo tempore Baudrillard: non c’è più “il potere” cui opporsi, oggi “il potere” ha cambiato paradigma, si è iniettato **nella** società, nei suoi interstizi: e la società langue, muore dissanguata.
Per cui, con la “crisi economica” o non, la società è “glaciata”, e rimane tale.
Rimane il moto caotico di parti senza più alcuna volontà direttiva generale. Non esiste più la voluntas omnium dei giuristi antichi, perché non può esistere, ma solo lo specchio di interessi specifici, più o meno grandi, più o men buoni (e, da un tal punto di vista, che siano interessi della residua “classe media” o delle “banche” non fa molta differenza, fuorché il numero degli interessati da tal interesse specifico).

La democrazia, come specchio d’interessi specifici, è stata storicamente vincente in Europa, però ha comportato, effetto non collaterale – ma sostanziale – l’ eclissi definitiva della visione generale.
Per questo, in democrazia, qualsiasi problema generale non ha soluzione d’alcun tipo. L’unica cosa che si può “fare” si è quella di lasciar fare (laissez faire) ad interessi specifici perché o uno predomini, oppure si mettano d’accordo fra di loro.

A tal proposito, in senso esegetico e ricreativo, si riportano di seguito delle frasi “preveggenti” di un libro cui già mi è capitato, qualche anno fa, di far riferimento[1]. Quel che segue rientra nella serie “togliersi il sassolino dalla scarpa” …

“L’informatica non è una rivoluzione né nel modo di via (che cos’è poi il modo di vita?) né nei ‘rapporti sociali’. […] In questo senso essa segna indubbiamente la fine della società dei consumi [frasi della metà degli anni Ottanta: e dov’è stata la “sinistra” nel frattempo, e dove gli “alternativi” presunti, oggi in gran parte di “destra”? eran persi nei loro sogni], nella misura in cui essa era ancora un gioco a grande spettacolo (come la scena politica), una dolce follia degli oggetti e dei bisogni. La società dei consumi aveva ancora il fascino discreto dell’alienazione e la rivolta ne faceva parte, la sovversione per eccesso di tutti questi valori d’uso, la loro derisione, anch’essa spettacolare [e gli “alternativi”, quelli non di “destra”, di oggi sostanzialmente s’ispirano a questo “situazionismo”, non comprendendo che stan lottando contro una simia philosophiae, contro un simulacro: già da tempo la società non è più così, non è più quella]. La nuova società promette di funzionare in un modo ben altrimenti glaciale e non spettacolare [società che, in quel tempo, era agli albori, ed oggi è stramatura: ma oggi si pensa che la spettacolarità sia la chiave di questa società: non è più così, nel senso che ci son tanti spettacolini ma nessun “grande” spettacolo, con l’inevitabile delusione dei perenni gonzi che cercano “guerre mondiali” quando ce n’è giù una, solo che non funziona spettacolarmente, appunto]. L’operazionalità ha sostituito l’uso, mentre il contatto, l’inserimento, la promiscuità dell’informazione sostituiscono le illusioni della trascendenza (cui apparteneva l’analisi teorica e critica). Promiscuità assoluta, eccessiva [negli anni Ottanta non c’erano ancora i social, ma già Baudrillard l’intravedeva]. Simultaneità di tutti i punti dello spazio, del tempo, degli uomini sotto il segno dell’istantaneità della luce: niente più linguaggio. Niente superficie […], niente distanza […], niente apparenze, niente dimensioni: [solo] interfaccia e trasparenza. […]
Si dovrebbe […] parlare di prossemica dell’informazione, dei flussi, dei circuiti, che istituiscono una prossimità di tutti i luoghi, di tutti gli esseri umani tra loro [il sogno (incubo) tecnologico in sostanza è questa prossimità “totale”, una forma “ultima” di “mobilitazione totale”, anzi la sua forma “ultima”], la circolarità [cioè: A > B > A > B …] delle domande e delle risposte [perché “A”? risposta: perché B; e perché “B”? risposta: perché “A”], dei problemi e delle loro soluzioni [= “no solutions” = dyssolution]. Scatologia dell’informazione: il sogno di una conducibilità assoluta non può che essere escremenziale. In tutto questo ci sarebbero nuovi spazi di libertà? Solo la programmazione è libera. Un tempo si pensava che l’individuo fosse alienato perché altri (lo stato, il potere) detenevano tutta l’informazione su di lui. E’ questa la figura terrificante del mito di Orwell in 1984. Ma le cose hanno preso un’altra piega. Oggi ci è possibile d’intravedere questa verità: l’individuo non sarà mai tanto alienato dal fatto che si saprà tutto di lui quanto dal fatto che lui sarà costretto a sapere tutto di sé. L’informazione, l’eccesso d’informazione su noi stessi è una specie di esecuzione per via elettrica. […]
Ciò che vale per l’individuo vale anche per l’intero sistema. Il punto omega di un sistema è quello di una circolazione pura delle energie e dell’informazione, che vengono così ad essere vitate all’indifferenza e alla morte. In un sistema del genere gli scambi vengono così ad essere impossibili in virtù di una circolarità […] sempre più ravvicinata ([…] abolizione delle distanze). […] Al di là di una certa fase, caratteristica di questa fine degli scambi, tutto il sistema tende vero questo punto fatale [in questi decenni ci siamo, assai lentamente invero (paradosso nel paradosso dell’eccesso di velocità d’informazione, che rallenta le cose, se va oltre un certo livello), avvicinati al “punto fatale”]. Ed è in questo momento che la reversione del sistema intero si fa imminente (sarà questo il punto alfa di un altro dispositivo? [questo si chiedeva Baudrillard 33 (o 34) anni fa: ed il “prossimo momento” sarà il “punto ‘α’” di un altro sistema, che si potrebbe chiamare Regnum Antichristi, dove l’instabilità sarà somma in un tentativo di dominare l’instabilità sistemica (e climatica) che cresce ogni giorno di più man mano che ci avviciniamo al famoso “punto ‘α’”, cui siam sempre più vicini, ma che, come Achille e la tartaruga, non raggiungiamo mai: come dimostrò Guénon nel suo Principi del calcolo infinitesimale, l’integrazione “finale” si ottiene sempre in modo “sintetico”, cioè non per “accumulo analitico”].
Comunque stiano le cose per ciò che riguarda questa fatalità dell’informazione, di cui son presenti tutti i sintomi [lo vedeva già nella metà degli anni ‘80!!], semplicemente contro-interpretati da una visione ottimista e delirante di buona volontà, ad essa siamo votati, a quanto pare, senza ritorno. E non serve a nulla piangere. Tutt’al più dobbiamo evitare di condannare in anticipo […] l’angoscia che può prenderci di fronte a questa meravigliosa [ironico] cultura informatica e cibernetica del cambiamento che impone a ciascuno di noi di rivalutare ad ogni istante non tanto le sue possibilità di giocare e di vivere (è questa la libertà) ma le sue probabilità di sopravvivere in un mondo aleatorio e in continuo movimento. Gioco estremamente eccitante per i privilegiati […] ma non necessariamente […] per la massa degli altri, che […] si sfinirà a trovare un’autonomia ideale nella gestione dei suoi affari – perché questa è la forma che la ‘libertà’ assume in un universo indeterminato [e di tutto ciò, di quest’angoscia, con annessi e connessi di patologia, fisiche come mentali, se ne sarebbe vista tanta, da quel tempo in poi, ed oggi è un oceano, di qui la richiesta – cui rispondono (malissimo, perché è solo “torniamo al XIX secolo”) le “destre”, e solo loro – di “protezione” da parte delle masse, soprattutto dell’ex ceto medio]. Questa forma moderna, ‘postmoderna’, della libertà è attualmente inaccettabile [già illo tempore lo sottolineava]. La responsabilità di ciascuno di fronte alla gestione probabilistica della  propria vita, di fronte al proprio riciclaggio permanente [interessante frase], è attualmente inaccettabile. E non si tratta, come vorrebbero farci credere i cantori di questa nuova società dell’anno 2000, di una resistenza nostalgica. Certo tutti sono estasiati [e lo sono ancora!, quello è il bello (brutto e ridicolo), lo son ancora!] al pensiero della scomparsa delle forme arcaiche di potere burocratico, della ‘liberalità’ (ma appunto non della libertà) di una società decentralizzata. Ma in questo si può anche leggere una sorta di rivincita dello stato che sta per colare a picco, una rivincita che annulla la società civile, o ciò che ne resta [interessante frase], iniettandosi in essa, che neutralizza ogni molecola di questa società programmandola e responsabilizzandola sui propri obiettivi. Lo stato traslucido, transfuga, politicamente assente, vigila ancora sulla società civile trasparente, mediatizzata, socialmente assente.
Certo ci si guadagnerà sempre a sbarazzarsi poco a poco dell’abominio del politico e dello stato (se le cose vogliono proprio evolvere in questo senso, perché le megastrutture della tecnologia, della finanza, della scienza e dell’esercito resistono allegramente a questo alleggerimento in scioltezza e parrebbero piuttosto rafforzarsi [ed anche su questo punto, vide giusto]), ma ciò porterà probabilmente ad un altro abominio [idem ] – quello del cambiamento, della comunicazione, dell’informazione e della prestazione ad ogni costo [oggi]”[2].
In una parola: non possono esistere sistemi indeterminati e stabili sotto lo stesso livello e nello stesso tempo e spazio. Men che meno se uno dei due fattori – fra indeterminatezza e stabilità – cresce a dismisura rispetto all’altro: ad un certo punto, la curva dell’uno si allontana irreversibilmente dall’altro.
Irreversibilmente significa che devi buttar giù l’ intero sistema se vuoi ritornare ad una maggiore congruenza dei due fattori. E non si sfugge da tale paradosso, solo apparente, peraltro.


E – in tempi di riaffermazione della potenza russa (che dunque non russa) – queste frasi dello stesso autore forse potrebbero mostrare un certo interesse, forse … per non dire che sono state preveggenti e ci parlano dell’ Oggi.
“E l’angoscia di cui parliamo non è vana [anzi, nel futuro, rispetto alla data di pubblicazione (metà anni ’80), ce ne sarebbe stata sempre di più, in particolare sarebbe proprio esplosa a partire dal 2007 e 2008], […] di fronte alla fine delle conquiste sociali, alla decolonizzazione [interessante termine] del sociale, può cogliere intere popolazioni e indurle, a breve o  lungo termine, a darsi a qualunque costo a qualcuno che se ne faccia carico [perfetto, è così – ci si ricordi: nel 1985 in Francia uscì questo libro, in Italia l’anno dopo, cosa rara per l’Italia – quindi il Brexit, Trump o l’Italia post 2018, ma prim’ancora i piccoli paesi dell’est Europa: tutto rientra in questo meccanismo, che solo  la “sinistra” cosiddetta, che rimane fissata nel credere nel sociale, stagione ormai finita[i], non riesce ad accettarlo proprio]. Può così porsi il problema di una nuova schiavitù volontaria a livello mondiale [in parte c’è già, ma parziale, “a pezzi” per cui deve stabilirsi e, per quanto temporaneamente possibile, stabilizzarsi un “nuovo dispositivo” perché ciò – la schiavitù volontaria globale – possa essere, possa darsi per davvero] […]. Il 1984 è una buona data per ripensare a tutto ciò e Orwell ha probabilmente ragione, anche se in un senso inaspettato e non comune. Perché la visione comune è quella dell’ imperialismo dei sistemi totalitari. In questa prospettiva, si dice o che Orwell ha in certa misura fallito […], o che trionfa un po’ dappertutto […] – il che ancora una volta è falso. Ora, il vero pericolo per le ‘democrazie’ occidentali non è quello dei carri o dei missili russi e del loro impiego eventuale, non è quello di un rapporto di forze militare e neppure quello di un irradiarsi della rivoluzione. Il modello totalitario, corpo freddo senza irradiazione propria, è profondamente difensivo: fa già fatica a conservare il suo blocco e a raffreddare le sue stesse energie [di lì a poco, non ce la fece più (ed anche qui Baudrillard intuì ben la direzione degli eventi)]. Non ha mai avuto grandi successi sul piano dell’esportazione, con la violenza o l’infiltrazione [e su questo dovrebbero riflettere le torme ottuse degli anticomunisti (ve n’è qualche dinosauro rimasto)]. La sua potenza d’irradiazione è nulla [idem], la sua strategia politica pesante e antiquata e il suo vero problema è piuttosto quello della sua interna fragilità […]. E’ nella seduzione collettiva che può cominciare ad esercitare, anche in Occidente, la struttura totalitaria [ed ecco il fenomeno Putin, una volta che si sia staccata tale struttura dal vecchio, refrattario “comunismo”[ii]]. Questa è la vera realizzazione mondiale della profezia di Orwell, la tentazione latente di un universo nello stile 1984, quasi inavvertibile ai giorni nostri [e cioè nella metà degli anni ’80, ma gran merito di Baudrillard è stato vederlo trent’anni prima] m capace di rafforzarsi sotto la pressione stessa del liberalismo [ed anche qui, vide giusto] – qualcosa come uno slittamento delle preferenze della libertà verso un schiavitù volontaria [idem]. Per paura? [lo sentiamo ogni giorno, è la cosiddetta “spiegazione” che viene data ogni dì da parte di chi “crede”, ancora, nel “sociale”] Paura di che? [gli “immigrati”, o le “banche”, insomma altre cose che si sentono al giorno d’oggi praticamente ad ogni pie’ sospinto]. Tutte le interpretazioni in termini di passività e d’impotenza, pronte a piangere sull’annientamento dei diritti dell’uomo e sulla mistificazione di cui sarebbero vittima le masse sono sospette [merito assoluto – assoluto – di Baudrillard è stato smascherare questo genere di scemenze, che, peraltro, hanno libero corso ancor oggi eh].
Questa schiavitù volontaria si tratterebbe appunto di non prenderla per una schiavitù involontaria, indotta con la forza, riproponendo il vecchio argomento del complotto di una burocrazia contro la volontà popolare [usatissimo dai “populismi”, ora, a parte che le “sinistre” un tempo usavano quest’argomento oggi usato dalle “destre” (ma rimane falso lo stesso), a quest’argomento debole si riduce il “complott®ismo”, alla fin fine], dello stato cono la società civile [altra cosa ch’è stata detta e ridetta in tutte le salse!!] – argomento quanto mai miserabile dal momento che consacra la miseria oggettiva e soggettiva dei popoli, nel momento stesso in cui la deplora [oh oh, piccola conseguenza involontaria, ah ah: ma non credo siano in grado di capire tale contraddizione]. Invece di piangere sull’annientamento delle libertà occorrerebbe porsi, appunto in piena libertà di spirito, la seguente domanda: ci potrebbe essere una ragione di non scegliere la libertà? [e porsi queste domande rivela la vera “libertà di spirito”] E la ragione sarebbe questa: tutto si annulla nell’ambiente omogeneo del liberalismo e del cambiamento. Non soltanto le protezioni offerte dalla società statalistica e burocratica, protezioni materiali e ideologiche d’ogni genere, cedono di fronte all’alleggerimento delle strutture e delle mentalità – e vediamo così risorgere il neo-religioso anche in Occidente, con la benedizione del nostro papa televisivo, azzimato e agghindato a immagine del cambiamento – ma ogni determinazione personale e collettiva sparisce in questa ‘liberalità’ che corrisponde piuttosto alla velocità di liberazione di un corpo nel vuoto. Non si può esser candidati alla sicurezza ad ogni costo e rifiutare tuttavia l’autonomizzazione forzata [eh, ma proprio questa specifica contraddizione nutre l’ Oggi!!]. si tratta forse di un modello più avanzato di regolazione sociale, di un modello ‘soft’ che secerne però u’allergia e un’angoscia specifiche, e quest’angoscia delle società liberali indeterminate, delle società a basso potere ma anche a bassa speranza, rafforza continuamente il modello di Orwell – il fascino, non più diretto come quello staliniano ma indiretto e a lungo termine [ed anche qui, di nuovo, chapeau], di questo modello”[3].
Basta uscire per strada: di cosa parlano in tanti … Di questo, signori, di questo … fenomeno che ha dunque delle cause ben più profonde di quel che non sembri.
Questa è la reazione de “laggente”, ma non risolve niente: per cui la situazione – che rimane instabile, cioè dinamica – sfocia in “altro”, perché due più due fa quattro.
Altra osservazione che Baudrillard faceva, dopo il passo appena citato (il secondo) era che il paesi dell’est sarebbero stati una sorta di “frigorifero” con energie forti, tenute bloccate, come poi è stato.
Naturalmente, i paesi (dell’allora) Europa dell’est propriamente detti, non appena han potuto, sono andati verso forme più o meno forti di nazionalismo, come poi era del tutto prevedibile: la resistibile “riascesa” dei nazionalismi …  










Andrea A. Ianniello









[2] J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli Editore, Milano 1986 (si “ponghi” ben mente a tale data …), pp. 91-93, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre. dietro questo “esser persi nei propri sogni” vi è tutta la possente forza dell’ illusione, sulla quale ho scritto un vecchio post
[3] Ivi, pp. 93-94, corsivi in originale, mie osservazioni fra parentesi quadre.


























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