Vi è un passo
interessante, a mio avviso degno d’esser meditato,
e, senz’altro, profondamente
meditato.
La storia inizia quando
“Cecio” (= Her-Bak) – l’insieme
dei fatti è lungo a riassumersi – attraversa una crisi, per vari motivi, e decide,
dunque, di salire sulla “Cima”, un’altura – in antico Egitto -, di costa dalla
fertile valle del Nilo, sulla quale si dice “risieda” la “dea”. Egli ricerca la
“visione” della “dea”, della cui esistenza dubita. Si chiede se credere o
dubitare, e sente paura …
Questo l’antefatto,
rozzamente sunteggiato …
Veniamo dunque a noi.
“La paura è svanita. Cecio si ritira, si scuote; se osasse, canterebbe di gioia! Cosa non farebbe in questo momento! Ode un mormorio salire dalle profondità, un mormorio che diventa un richiamo sempre più forte … E’ una voce umana: da dove viene? Cecio resta in ascolto, questa volta senza paura; orientandosi, riesce a capire che la voce arriva dal fondo di una gola, nella valle dei morti, a poca distanza da lì.
Si arrampica nel buio, con
circospezione, tastando il terreno prima di avanzare, ed ecco, a pochi palmi da
lui, aprirsi il vuoto!
Il lamento
supplichevole si fa più distinto.
Con le mani alla bocca
per amplificare la voce, Cecio grida: ‘Chi sei?’. La sua voce, in quella gola,
sembra venire dalle profondità di un sepolcro, e un’eco ripete di roccia in
roccia: ‘Chi sei?’.
Cecio insiste: ‘Parla! Come
ti chiami?’.
Gli ritorna una
risposta vibrante di speranza: ‘O Dea, dègnati d’ascoltarmi! Io sono Pantha, il
venditore di profumi, e son qui per implorarti!’.
Dall’alto la voce
risuona di nuovo: ‘Tu, Pantha, si sa bene chi sei. Sei un ladro. Tu trucchi la
bilancia e falsifichi le essenze: che cosa puoi aspettarti?’.
L’eco rende quelle
parole soprannaturali; laggiù il pellegrino trema d’emozione: ‘O Dea, se tu
compi il miracolo, farò le cose giuste: l’olio di ben sarà l’olio di ben, e
la mia bilancia sarà quella di Maât [la dea della giustizia dell’antico Egitto]!’.
Il pellegrino che sta
in alto, sentendo la promessa del pellegrino che sta in basso, viene invaso da
una gioia infinita. E grida con voce più forte: ‘Qual è la tua richiesta?’.
‘O Dea, esaudiscimi: da
tempo uno spirito maligno ha preso di mira la mia gamba, e sono zoppo dal gran
dolore. O Dea, liberami da questo male!’.
In alto, il pellegrino
si trova in grave imbarazzo! Ma, in fondo, perché non rischiare con un ladro
del genere? La farsa è innocente …
Non resiste, e declama
l’oracolo: ‘Guarire dipende solo da te: se i tuoi proponimenti non son bugiardi,
potrai correre come una gazzella!… ’.
Silenzio …
Poi si leva un urlo di
gioia; la voce che grida è rotta d’emozione: ‘Potentissima Dea, la mia gamba è
guarita! Hai fatto il miracolo … Cammino … cammino!’.
Lassù, il pellegrino
sbalordito trattiene il respiro … E’ mai possibile? Ancora una volta tutto ciò
che ha capito ne resta travolto. Un miracolo? … E quell’altro laggiù che crede
nella Dea! Se sapesse la verità … Cecio sente un rimorso: è stato un inganno? Certo,
è l’altro che se l’è voluto! Però non
può sopportare quella menzogna, e si china per gridare la verità.
Ma, nella notte,
davanti ai suoi occhi compare un’immagine: è il volto di ‘Colui-che-sa’, il
quale lo guarda e, col dito sulle labbra, gli impone il silenzio … ‘E’ forse un
sogno?’.
Il bambino, immobile, lascia
che il miraggio svanisca: chiude gli occhi e resta in ascolto. Egli obbedisce
al sogno di Saggezza che gli suggerisce: ‘Che importanza ha la causa del
prodigio, dal momento che ha raggiunto il cuore e la gamba del ladro? […] D’altra
parte: qual è il prodigio più grande: guarire uno zoppo, o gettar luce sulla vanità di un’intelligenza nascente tramite l’innocenza
divenuta cosciente?’.
Lassù, il pellegrino si
addormenta con un sorriso sulle labbra”[1].
[1]
I. Schwaller de Lubicz, Her-Bak (Cecio), L’Ottava
Edizioni, Milano 1985, pp. 225-226, corsivi in originale.
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