domenica 4 giugno 2017

Una Frase di Marc’Aurelio





Sulla cancellata del Museo Nazionale Romano di Pal. Massimo – appena fuori Termini (zona ricchissima di vestigia – ad esempio, i resti delle mura serviane (ovvero repubblicane), ma, fortunatamente, poco visitata: tutti scappano e corrono infatti …) -, vi sono appese delle targhe, di solito frasi, per esempio di Seneca. Vi hanno recentemente aggiunto delle frasi di Marc’Aurelio (dai Ricordi, anche intitolati A se stesso), fra cui questa, passando di corsa, come sempre, tuttavia mi ha interessato, seppur “lette al volo”, per così dire:
“La mente dell’universo [Cosmus, Kòsmos] è sociale”.

Il che significa che ogni cosa, che si fa o si pensa, si pone in relazione al “flusso” che si riceve da e con gli “altri”, e questo apre al problema delle “correnti mentali” e della loro influenza, così come dell’influsso che si esercita sulle masse in generale[1]. Ma tutto questo, per Marc’Aurelio e per lo stoicismo, aveva un senso ben più vasto: da un lato, Cosmo e società non erano separati, come invece postula l’illusione fondante la modernità; dall’altro, s’inseriva in una teoria dell’anima e della mente, che prendeva il “colore” delle “rappresentazioni” – come le si chiamava (Colli riecheggiava questa terminologia nel XX secolo) – in essa (mente) predominanti. Quindi qualcosa di più vasto e complesso del senso “ristretto” di cui si è detto su.
Il che spiega come si possa “andar avanti” sul Sentiero ma, per quanto ci si possa nascondere, si è comunque influenzati – ma si può anche influenzare, eh, la relazione è biunivoca, ma ciò, a sua volta, non significa che le due correnti mentali corrispondenti abbiano la stessa potenza, guai a commetter quest’errore … - si è comunque influenzati dalle correnti mentali dominanti. E che, conseguentemente, con esse si “debbano far i conti”, come suol dirsi, piaccia o non[2]

L’interesse per lo stoicismo è cresciuto negli ultimi anni, così come per le filosofie ellenistiche, cioè quelle nate dopo la conquista di Alessandria d’Egitto[3].
E questo non certo per caso: “Si è spesso spiegato lo sviluppo recente degli studi sui filosofi ellenistici attraverso sorprendenti somiglianze tra la loro epoca e la nostra. Lo stesso cosmopolitismo, lo stesso riferimento alla natura come norma assoluta – ma purtroppo senza Carneade a rivelarne i pericoli – la stessa ricerca della felicità individuale, la stessa forma di cultura, più ansiosa d’erudizione che di creatività. L’abbandono dell’utopia, la rinuncia a trovare un senso alla storia e la riabilitazione del soggetto conducono alla ricerca di una saggezza, anche se il termine è divenuto troppo desueto per sembrare pertinente, e facilitano la riscoperta intuitiva di alcuni temi ellenistici”[4].  

Il “cittadino globale” – che non è affatto un “cittadino”, nel senso romano antico!! – si sente solo in un globo indifferente, preda di fenomeni da lui non controllabili. Per questo tali filosofie han successo, nella “nostra” epoca, perché rispondono ad un’esigenza reale. Le religioni vi rispondono a misura che sono anche filosofie non in quanto religioni di precettistica: sta qui il fallimento basilare del “revival” dell’Islamismo politico[5]. Ma questo vale per qualsiasi religione si riduca ad una precettistica, di un qualsiasi genere.
Non sono i “precetti”, e men che meno le leggi …!!, che mancano all’umanità, eppure non riesce a venir fuori dal suo “buco” … Il problema sono le “correnti mentali” dominanti, peraltro abilmente sostenute da forze, queste sì, non diciamo del tutto “occulte”, ma, in parte, tali, e cioè nascoste … E qui, subito, appare “il” problema: che personalità si segno, almeno apparentemente, diverso, se non opposto, possano aver fatto parte di stesse organizzazioni oppure siano state poste sotto l’influsso di dette organizzazioni. E, qui giunti, tutto l’ “armamentario mentale” del cosiddetto “complottismo” falla miseramente, il caso di al-Afghâni è uno, fra i tanti che si potrebbero fare. Ricordiamoci, a questo punto, di quel video del recentemente scomparso M. Capuzzo Dolcetta sulle “sette torri”, nel quale si vede uno yezidì del territorio iraniano, intervistato brevemente da Capuzzo Dolcetta, far da custode ad una notissima antichità egizia: non ragioniamo come gli “infedeli”, cioè per nazioni, please, non serve poi a molto. Ma non divaghiamo …  

Andrea A. Ianniello







[1] Cf
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/su-bernays.html. 
Fondamentalmente trattasi d’ indirizzare l’ attenzione (cf. W. W. Atkinson, La vostra ente e il modo di usarla, Libreria Vecchia, Roma 1988 (su licenza della Casa Napoleoni 1986), p. 31 e sgg.), e di manipolare le emozioni (ivi, p. 63 e sgg., si ricordi che già in quell’epoca Atkinson (1862-1932) parlava di “Coscienza emotiva”, cf. ivi, pp. 69-75, poi, di seguito, parla molto delle emozioni sociali e di quelle religiose). “Non tutti i processi si svolgono nel capo del conscio. Dopo lunghi anni di discussioni, si è appurato che gli ambiti di consapevolezza sono estremamente limitati e che la maggior parte delle attività psichiche non si svolgono al suo interno. Al di là e al di fuori del campo del conscio vi è il subcosciente, immenso deposito della memoria che contiene una innumerevole quantità d’informazioni, ottenute in un più o meno lontano passato, che saranno riportate alla luce da un atto di volontà o da associazioni d’idee, tramite un processo mnemonico. In questa regione subconscia la mente svolge gran parte delle sue attività e del suo lavoro, qui albergano emozioni e sentimenti apparentemente indistinti, in realtà solo momentaneamente sopiti, che spesso determinano quei vaghi sensi d’inquietudine che, successivamente, una volta riportati al livello del conscio, si manifestano in tutta la loro portata. Sempre in questa regione si forano idee e modi di pensare che plasmeranno la personalità dell’individuo, formandogli questo o quel carattere evidente. Nel subcosciente lavora l’immaginazione molto di frequente, e ci stupisce sempre quando presenta i risultati della sua attività al conscio, a lavoro già compiuto. I processi d’assimilazione ed elaborazione intellettuale cui son abituati i lavoratori della mente, l’assorbimento del materiale grezzo, la sua catalogazione ed il suo ordinamento, riproposti, poi, al momento opportuno per l’uso necessario, sono funzioni tipiche dell’area dell’inconsapevole. Si considera che almeno l’80% dei nostri processi psichici si svolga al di fuori dell’attività del conscio” (ivi, pp. 29-30). Ancora: “Esiste un’intima connessione fra lo studio dello stato di coscienza e quello del processo mentale che chiamiamo attenzione’, altrimenti definibile come ‘il concentrarsi della mente su di un fatto psichico’. Spesso ci si riferisce all’attenzione come ad un ‘concentrarsi del conscio’, ma teorie più ardite hanno prospettato la possibilità di considerare lo stesso stato di coscienza come risultato dell’attenzione, anziché essere quest’ultima un momento del conscio. Non c’interessa addentrarci nel merito della polemica in questa sede […]. Comunemente si è portati a credere che sentiamo con gli organi sensoriali tutte le volte che si verifica un contatto di oggetti esterni con i nervi dei rispettivi sensi. In realtà noi siamo coscienti di queste esperienze sensoriali solo quando l’attenzione è rivolta, in grado maggiore o minore, volontariamente o meno, all’oggetto in questione. Ciò significa che in molti casi, nonostante esista uno stimolo sensoriale trasmesso, la mente non lo registra coscientemente fino a quando l’ attenzione non sia rivolta ad esso o per un atto di volontà o per un’azione riflessa” (ivi, p. 31, corsivi miei). Questo principio è valido sempre … Ricordiamoci che lo stesso Gurdjieff parlava dell’arte dell’ “invisibilità”, che non voleva dire lo sparire fisicamente, ma il controllo dell’ attenzione altrui (aweysha), per cui tu sei sempre “lì”, ma “è come se” non ci fossi, in realtà stai “deviando” l’attenzione su “altro”, se vogliamo usar quest’eufemismo. Or dunque, qualora si cominci così a pensare si vedrà quante cose, oggi, nel “nostro” tempo e mondo presunti “illuminati”, vien deviato come attenzione, e quanto quest’ultima sia manipolata, manipolata perché manipolabile grazie ad una labilità presente nella mente umana tout court
[2] Cf. Addendum alla nota 7 del post
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/ah-ah-ah-lor-signori-se-ne-son-accorti.html.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/ah-ah-ah-lor-signori-se-ne-son-accorti.html. 
[3] Cf. C. Lévy, Le filosofie ellenistiche, Einaudi editore, Torino 2002, p. 217. 
[4] Ivi, p. 218.  Ricordiamoci l’influsso, potente, che lo stoicismo ebbe sul primo Cristianesimo, soprattutto per mezzo di Paolo, sul quale cf. Anonimo, Epistolario tra Seneca e San Paolo, a cura di M. Natali (ben fatto il suo Studio introduttivo, che spiega bene come stanno le cose), Rusconi Libri, Milano 1995.
[5] Tra l’altro, ieri han diffuso in TV un vecchio film, “Il vento e il leone” (1975), cf.
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_vento_e_il_leone, dove il protagonista –
romanzato, ma effettivamente vissuto
(cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Mulay_Ahmad_al-Raysuni),
nel 1904, si lamentava del fatto che, in quel momento, gli Occidentali erano forti, anche se sprecavano la loro forza, mentre l’Islàm era debole. Di lì a poco, infatti, con la Rivoluzione iraniana , l’Islamismo politico metteva a segno un passo fondamentale per l’applicazione concreta della rinascita dell’Islamismo politico, già rinato negli Anni 20 del secolo scorso, e le cui radici vanno sin ad al-Afghâni, cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Jamal_al-Din_al-Afghani, e ci si ricordi come, quest’ultimo, rifondatore dell’Islamismo politico, afghano o persiano che fosse di nascita, fosse sia massone (del Grande Oriente francese, insieme a tantissime personalità del mondo arabo …) sia emigrato in Egitto, laddove mise i semi di ciò che, poi, sarebbe divenuta la “Fratellanza Musulmana”, certe “correnti mentali” hanno radici profonde … Su di lui, anche cf.
https://www.britannica.com/biography/Jamal-al-Din-al-Afghani.    
Ricordiamoci che, nella Guerra del Rif (1921-1925), si usarono le armi chimiche (cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Rif, nota n. 8).
Ancora su al-Afghâni, cf. R. Redaelli, Fondamentalismo islamico, Giunti Editore, Firenze 2007, pp. 34-35, libro di dieci anni fa, però ancora valido: nelle parti finali già s’intravedevano quei fenomeni oggi a tutti noti. Sul jihàd, cf. D. Cook, Storia del jihad. Da Maometto ai giorni nostri, Einaudi editore, Torino 2007, e rimane ancora interessante, soprattutto per la data di pubblicazione, per cui permette di “fare il punto” della situazione prima dell’esplodere dell’Islamismo politico “globale”, questo testo: B. Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell’Islam, Sansoni, Firenze 1974, dunque prima anche del film su ricordato. 









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