Sulla cancellata del
Museo Nazionale Romano di Pal. Massimo – appena fuori Termini (zona ricchissima
di vestigia – ad esempio, i resti delle mura serviane (ovvero repubblicane),
ma, fortunatamente, poco visitata:
tutti scappano e corrono infatti …) -, vi sono appese delle targhe, di solito
frasi, per esempio di Seneca. Vi hanno recentemente aggiunto delle frasi di
Marc’Aurelio (dai Ricordi, anche
intitolati A se stesso), fra cui
questa, passando di corsa, come sempre, tuttavia mi ha interessato, seppur “lette
al volo”, per così dire:
“La mente dell’universo
[Cosmus, Kòsmos] è sociale”.
Il che significa che ogni
cosa, che si fa o si pensa, si pone in relazione al “flusso” che si riceve da e con
gli “altri”, e questo apre al problema delle “correnti
mentali” e della loro influenza, così come dell’influsso che si esercita
sulle masse in generale[1].
Ma tutto questo, per Marc’Aurelio e per lo stoicismo, aveva un senso ben più
vasto: da un lato, Cosmo e società non erano separati, come invece postula l’illusione fondante
la modernità; dall’altro, s’inseriva
in una teoria dell’anima e della mente, che prendeva il “colore” delle “rappresentazioni”
– come le si chiamava (Colli riecheggiava
questa terminologia nel XX secolo) – in essa (mente) predominanti. Quindi qualcosa
di più vasto e complesso del senso “ristretto”
di cui si è detto su.
Il che spiega come si
possa “andar avanti” sul Sentiero ma, per quanto ci si possa nascondere, si è comunque influenzati – ma si può anche influenzare, eh, la relazione è biunivoca, ma ciò, a sua volta, non significa che le due correnti mentali
corrispondenti abbiano la stessa potenza, guai a commetter quest’errore … - si è comunque influenzati dalle correnti mentali dominanti. E che, conseguentemente,
con esse si “debbano far i conti”,
come suol dirsi, piaccia o non …[2]
L’interesse per lo
stoicismo è cresciuto negli ultimi anni, così come per le filosofie
ellenistiche, cioè quelle nate dopo la conquista di Alessandria d’Egitto[3].
E questo non certo per
caso: “Si è spesso spiegato lo sviluppo recente degli studi sui filosofi
ellenistici attraverso sorprendenti somiglianze tra la loro epoca e la nostra. Lo
stesso cosmopolitismo, lo stesso riferimento alla natura come norma assoluta –
ma purtroppo senza Carneade a rivelarne i pericoli – la stessa ricerca della
felicità individuale, la stessa forma di cultura, più ansiosa d’erudizione che
di creatività. L’abbandono dell’utopia, la rinuncia a trovare un senso alla
storia e la riabilitazione del soggetto conducono alla ricerca di una saggezza,
anche se il termine è divenuto troppo desueto per sembrare pertinente, e
facilitano la riscoperta intuitiva di alcuni temi ellenistici”[4].
Il “cittadino globale” –
che non è affatto un “cittadino”,
nel senso romano antico!! – si sente
solo in un globo indifferente, preda di fenomeni da lui non controllabili. Per questo
tali filosofie han successo, nella “nostra” epoca, perché rispondono ad un’esigenza
reale. Le religioni vi rispondono a
misura che sono anche filosofie non in quanto religioni di precettistica: sta qui il fallimento basilare del “revival” dell’Islamismo
politico[5].
Ma questo vale per qualsiasi
religione si riduca ad una precettistica, di un qualsiasi genere.
Non sono i “precetti”,
e men che meno le leggi …!!, che
mancano all’umanità, eppure non riesce a venir fuori dal suo “buco” … Il problema
sono le “correnti mentali” dominanti, peraltro abilmente sostenute da forze, queste
sì, non diciamo del tutto “occulte”,
ma, in parte, tali, e cioè nascoste … E qui, subito, appare “il”
problema: che personalità si segno, almeno apparentemente,
diverso, se non opposto, possano aver fatto parte di stesse organizzazioni
oppure siano state poste sotto l’influsso di dette organizzazioni. E, qui
giunti, tutto l’ “armamentario mentale” del cosiddetto “complottismo” falla miseramente,
il caso di al-Afghâni è uno, fra i tanti che si potrebbero fare. Ricordiamoci,
a questo punto, di quel video del recentemente scomparso M. Capuzzo Dolcetta
sulle “sette torri”, nel quale si vede uno yezidì del territorio iraniano,
intervistato brevemente da Capuzzo Dolcetta, far da custode ad una notissima antichità egizia: non
ragioniamo come gli “infedeli”, cioè per nazioni, please, non serve poi a molto. Ma non divaghiamo …
Andrea A.
Ianniello
Fondamentalmente
trattasi d’ indirizzare l’ attenzione (cf. W. W. Atkinson, La vostra ente e il modo di usarla,
Libreria Vecchia, Roma 1988 (su licenza della Casa Napoleoni 1986), p. 31 e
sgg.), e di manipolare le emozioni (ivi, p. 63 e sgg., si ricordi che già in
quell’epoca Atkinson (1862-1932) parlava di “Coscienza emotiva”, cf. ivi,
pp. 69-75, poi, di seguito, parla molto delle emozioni sociali e di quelle
religiose). “Non tutti i processi si svolgono nel capo del conscio. Dopo lunghi
anni di discussioni, si è appurato che gli ambiti di consapevolezza sono estremamente
limitati e che la maggior parte delle attività psichiche non si svolgono al suo
interno. Al di là e al di fuori del campo del conscio vi è il subcosciente,
immenso deposito della memoria che contiene una innumerevole quantità d’informazioni,
ottenute in un più o meno lontano passato, che saranno riportate alla luce da
un atto di volontà o da associazioni d’idee, tramite un processo mnemonico. In questa
regione subconscia la mente svolge gran parte delle sue attività e del suo
lavoro, qui albergano emozioni e sentimenti apparentemente indistinti, in
realtà solo momentaneamente sopiti, che spesso determinano quei vaghi sensi d’inquietudine
che, successivamente, una volta riportati al livello del conscio, si manifestano
in tutta la loro portata. Sempre in questa regione si forano idee e modi di
pensare che plasmeranno la personalità dell’individuo, formandogli questo o
quel carattere evidente. Nel subcosciente lavora l’immaginazione molto di
frequente, e ci stupisce sempre quando presenta i risultati della sua attività
al conscio, a lavoro già compiuto. I processi d’assimilazione ed elaborazione intellettuale
cui son abituati i lavoratori della mente, l’assorbimento del materiale grezzo,
la sua catalogazione ed il suo ordinamento, riproposti, poi, al momento
opportuno per l’uso necessario, sono funzioni tipiche dell’area dell’inconsapevole.
Si considera che almeno l’80% dei nostri processi psichici si svolga al di
fuori dell’attività del conscio” (ivi,
pp. 29-30). Ancora: “Esiste un’intima connessione fra lo studio dello stato di
coscienza e quello del processo mentale che chiamiamo attenzione’, altrimenti
definibile come ‘il concentrarsi della mente su di un fatto psichico’. Spesso ci
si riferisce all’attenzione come ad un ‘concentrarsi del conscio’, ma teorie
più ardite hanno prospettato la possibilità di considerare lo stesso stato di coscienza come risultato dell’attenzione, anziché essere quest’ultima un momento
del conscio. Non c’interessa addentrarci nel merito della polemica in questa
sede […]. Comunemente si è portati a credere che sentiamo con gli organi
sensoriali tutte le volte che si verifica un contatto di oggetti esterni con i
nervi dei rispettivi sensi. In realtà noi siamo coscienti di queste esperienze
sensoriali solo quando l’attenzione è rivolta, in grado maggiore o minore,
volontariamente o meno, all’oggetto in questione. Ciò significa che in molti
casi, nonostante esista uno stimolo
sensoriale trasmesso, la mente non lo registra coscientemente fino a quando l’ attenzione
non sia rivolta ad esso o per un atto di volontà o per un’azione riflessa” (ivi, p. 31, corsivi miei). Questo principio
è valido sempre … Ricordiamoci che
lo stesso Gurdjieff parlava dell’arte dell’ “invisibilità”, che non voleva dire
lo sparire fisicamente, ma il controllo dell’ attenzione
altrui (aweysha), per cui tu sei sempre “lì”, ma “è come se” non ci fossi,
in realtà stai “deviando” l’attenzione su “altro”, se vogliamo usar quest’eufemismo.
Or dunque, qualora si cominci così a pensare si vedrà quante cose, oggi, nel “nostro”
tempo e mondo presunti “illuminati”, vien deviato come attenzione, e quanto
quest’ultima sia manipolata, manipolata perché
manipolabile grazie ad una labilità presente nella mente umana tout court …
[2]
Cf. Addendum
alla nota 7 del post
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/ah-ah-ah-lor-signori-se-ne-son-accorti.html.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/ah-ah-ah-lor-signori-se-ne-son-accorti.html.
[3]
Cf. C. Lévy, Le filosofie
ellenistiche, Einaudi editore, Torino 2002, p. 217.
[4]
Ivi, p. 218. Ricordiamoci l’influsso, potente, che lo
stoicismo ebbe sul primo Cristianesimo, soprattutto per mezzo di Paolo, sul
quale cf. Anonimo, Epistolario
tra Seneca e San Paolo, a cura di M. Natali (ben fatto il suo Studio
introduttivo, che spiega bene come stanno le cose), Rusconi Libri, Milano 1995.
[5]
Tra l’altro, ieri han diffuso in TV un vecchio film, “Il vento e il leone” (1975), cf.
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_vento_e_il_leone,
dove il protagonista –
romanzato, ma effettivamente vissuto
(cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Mulay_Ahmad_al-Raysuni),
nel 1904, si lamentava del fatto che, in
quel momento, gli Occidentali erano forti, anche se sprecavano la loro forza,
mentre l’Islàm era debole. Di lì a poco, infatti, con la Rivoluzione iraniana ,
l’Islamismo politico metteva a segno un passo fondamentale per l’applicazione concreta della rinascita dell’Islamismo politico,
già rinato negli Anni 20 del secolo scorso, e le cui radici vanno sin ad
al-Afghâni, cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Jamal_al-Din_al-Afghani,
e ci si ricordi come, quest’ultimo, rifondatore dell’Islamismo politico,
afghano o persiano che fosse di nascita, fosse sia massone (del Grande Oriente
francese, insieme a tantissime personalità del mondo arabo …) sia emigrato in
Egitto, laddove mise i semi di ciò che, poi, sarebbe divenuta la “Fratellanza
Musulmana”, certe “correnti mentali”
hanno radici profonde … Su di lui, anche cf.
https://www.britannica.com/biography/Jamal-al-Din-al-Afghani.
Ricordiamoci
che, nella Guerra del Rif (1921-1925), si usarono le armi chimiche (cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Rif,
nota n. 8).
Ancora su al-Afghâni,
cf. R. Redaelli, Fondamentalismo
islamico, Giunti Editore, Firenze 2007, pp. 34-35, libro di dieci anni fa,
però ancora valido: nelle parti finali già s’intravedevano quei fenomeni oggi a
tutti noti. Sul jihàd, cf. D. Cook, Storia del jihad. Da Maometto ai giorni nostri, Einaudi editore,
Torino 2007, e rimane ancora interessante, soprattutto per la data di
pubblicazione, per cui permette di “fare il punto” della situazione prima dell’esplodere
dell’Islamismo politico “globale”, questo testo: B. Scarcia Amoretti, Tolleranza
e guerra santa nell’Islam,
Sansoni, Firenze 1974, dunque prima
anche del film su ricordato.
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