Crisi
asiatica ed etica confuciana
“Democrazia: estendere a tutti il privilegio
di
accedere a cose che non sussistono più”.
R.
Calasso: La
Rovina di Kasch,
(Adelphi
1983, p. 394)
La
crisi asiatica non contraddice lo spostarsi della “corrente-guida”
della storia d’oggi verso il Pacifico. Personalmente, difatti, ho
sempre sostenuto1
che la corrente si stava sempre più trasferendo lì nel
bene come nel male.
L’attuale crisi asiatica [1998],
che s’inscrive nella contesa mondiale in atto, ha fatto diminuire
il tasso di crescita dell’Asia Orientale. Tuttavia, non
può cambiar la corrente. Pertanto, di fatto, ha contribuito a che
tale corrente si trasformi potenzialmente
in un fatto distruttivo.
(…)
Difatti, la scelta di non svalutare lo yuan
è, in effetti, molto rischiosa, perché, per essere portata ad
effetto, richiederebbe un elevato tasso di crescita necessario per
riassorbire tutti coloro che saranno inevitabilmente licenziati nella
fase di passaggio2.
Quel
che qui c’interessa è qualcos’altro: da un lato una più
approfondita comprensione del legame
che questa crisi ha con il background
culturale asiatico, che l’Asia Orientale è stata capace di riusare
in una cultura mista di moderno e tradizionale; dall’altro: il
legame
fra tale crisi e l’attuale fase del sistema-mondo. Quest’ultimo
punto è decisivo
per il sistema-mondo stesso, e le trasformazioni profonde,
radicali,
durature,
irreversibili
che tale sistema inevitabilmente
subirà. Pertanto, la crisi asiatica è un evento d’importanza
potenzialmente decisiva per il futuro del sistema-mondo.
Venendo
al primo punto, è chiaro che in Asia Orientale c’erano problemi,
acuiti
dal passaggio di Hong Kong al governo di Beijing. Problemi
soprattutto d’ordine finanziario, rimbalzati in Giappone3.
L’errore è stato far precipitare
la crisi.
Lo
scopo dichiarato non
è
lo scopo reale. Le terapie per uscire dalla crisi? Quelle del
FMI. Un
solo
modello dev’essere: così la pensano al FMI, e così la pensano le
forze che tramite di esso, solo punta dell’iceberg, s’esprimono.
Questo
ci porta fatalmente a porre la seguente questione: c’è
inevitabilmente l’influsso dell’etica (neo)confuciana4
sullo sviluppo del capitalismo in Asia Orientale. Ma quali sono i
rapporti fra il Neoconfucianesimo (frutto maturo della cultura
dell’area sinica) e l’Occidente moderno,
in particolare fra lo spirito del frutto maturo e lo “spirito”
del capitalismo (secondo la nota espressione weberiana)?
Nel
complesso, Weber ha ragione al
fondo
delle sue argomentazioni. In apparenza, ci sono stati (ed ancora ci
sono) dei problemi riguardo quel che sostiene Weber, ma la vasta eco
del suo famoso studio L’Etica
Protestante e lo spirito del capitalismo
è il segno che fece in realtà centro. La serie di polemiche
suscitate da quel libro è in larga misura dovuta a malintesi, in
gran parte non voluti, ma in certa misura dovuti a malafede: perché
non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Difatti, Weber non
ha mai
voluto sostenere che il Protestantesimo “genera” il capitalismo.
Ha voluto affermare che, oltre a tutta
una serie di fattori storici ed economici, vi è un “qualcosa”
che manca, che non può essere spiegato se
non
con fattori culturali,
fattori che il Protestantesimo fornisce.
Perché
ho sostenuto che al
fondo
Weber ha ragione? Perché non m’interessano le statistiche: una
grande idea non è questione di statistiche. Per le grandi idee vale
lo stesso che per il vero amore: prima c’è l’innamoramento, poi
c’è la fase in cui si vedono i limiti; infine, si torna indietro
all’amore, ma conoscendo quei limiti. Allora si ama di un amore
vero: sai cosa quella persona ti può dare e soprattutto cosa non
ti può dare5.
Ritmo: yang-yin-yang.
Così è per le idee: assolutamente lo
stesso.
Quando un’idea è accettata dopo
che ne hai visto i limiti, allora e solo allora a comprenderla
veramente, vale a dire fa parte di te. Così è per tutte
le grandi idee, senza
eccezione.
Dev’essere però una grande idea; quella di Weber è stata tale6.
Per le cose che non faranno mai parte di te vale l’opposto ritmo:
yin-yang-yin7.
Per
Weber “il problema in ultima analisi non
è quel dispiegamento dell’attività capitalistica in quanto tale
che ha luogo ovunque e muta di forma: del tipo dell’avventuriero o
del capitalismo mercantile o di quello dedito alla guerra, alla
politica, all’amministrazione e alle loro prospettive di guadagno.
E’ invece la genesi del capitalismo dell’impresa
borghese,
con la sua organizzazione razionale del lavoro
libero.
O, in termini di storia delle civiltà: è la genesi della borghesia
occidentale e della sua natura peculiare (…). Poiché ‘borghesi’
nel senso di membri del relativo ceto o stato ci furono già prima
che si sviluppasse il capitalismo specificamente occidentale,
peraltro soltanto
in Occidente. Ora il capitalismo occidentale specificamente moderno
evidentemente è condizionato in larga misura anche dallo sviluppo di
possibilità tecniche
(…), il quale solo in Occidente fu usato al
servizio
del capitalismo” (Introd. di M. Weber a Sociologia
delle Religioni,
NOTA PRELIMINARE a: L’Etica
Protestante e lo spirito del capitalismo,
Rizzoli BUR 1991, pp. 44-45). Tale uso non solo non è finito, ma è
stato e rimane la chiave
del dominio capitalistico.
Ciò
che si può concepire sarà sempre di più di ciò che si può
realizzare. Ciò che si può realizzare in generale sarà sempre di
più di ciò che si può realizzare in una situazione particolare.
Situazioni diverse richiedono soluzioni diverse. Non solo un tipo di
tecnica è possibile, ma quella realizzata dal capitalismo (in un
insieme unico
composto di tre parti: la scienza-tecnica-capitalismo) è quella che
ha contribuito ad alterare gli equilibri naturali sul pianeta Terra
fino al punto di rottura cui siamo giunti.
Affinché
l’attività capitalistica del tipo specificamente moderno,
non quella generica, si sviluppi è necessario che i “freni”
siano tolti, e tale potenza sia scatenata. Perché ciò sia ottenuto,
i grandi sistemi “imperiali”, le grandi strutture tradizionali
(non
“tradizionalistiche”), le cui basi cioè non
erano nell’economico ma in sistemi spirituali
e religiosi,
dovevano cadere o farsi da parte. Il caso della Cina è un esempio
preclaro del primo tipo; quello del Giappone del secondo tipo.
In
Cina si scelse di resistere alla modernizzazione; questo per molti
motivi, fra i quali la scarsa presenza di borghesia nel senso di
“abitante delle città”. Il Giappone guidato dai Samurai e con
una forte presenza di “borghesi”8
scelse di farsi da parte alleandosi con il nemico per poi batterlo.
Dal punto di vista militare, la cosa è finita nel ’45. Dal punto
di vista culturale, invece, il Giappone ha fatto da “oca di guida”
per tutta l’Asia Orientale: cultura mista moderna e tradizionale è
stata la via scelta da tutti
i paesi dell’area. Tutto ciò non può spiegarsi se non con
l’influsso di un’etica comune a tutta l’area: quella
(neo)confuciana.
Ma
com’è, si chiedono alcuni, che tale sistema, dopo aver fatto da
base ai “freni” dei sistemi tradizionali, spinga e favorisca il
capitalismo poi?
Lo
studio dell’epoca Meiji sarebbe utile a tal proposito, ma uno
studio sotto un punto di vista tutta diversa da quelle sinora
compiute. In ogni caso, non
ci darebbe risposte definitive. E già, perché il punto-chiave è il
seguente: cos’è
che ha fatto sì che l’etica (neo)confuciana operasse quel
passaggio che si è detto sopra? Non c’è ignoto per nulla
l’insieme delle particolarità che ogni parte dell’Asia Orientale
ha di proprio aggiunto a tale sistema di riferimento etico, per farne
venir fuori qualcosa di diverso dal Confucianesimo delle origini
eppur inestricabilmente legato a quest’ultimo (il Giappone, con la
sua insularità, è un esempio evidente di tale particolarismo
culturale, che però nulla
toglie alla sua appartenenza in pieno alla cultura dell’Asia
Orientale). Epperò, tutto ciò non è sufficiente. Ci dev’essere
qualcosa nel fondo
(neo)confuciano che permette a quest’etica di favorire il
capitalismo. Cosa c’è nello spirito
del (neo)confucianesimo che permette a quest’ultimo di legarsi allo
“spirito” del capitalismo, anche in senso aggressivo e
competitivo rispetto al capitalismo, però in ogni caso entrandoci in
diretto
contatto? E’ qui che la questione che ci si poneva riguardo ai
rapporti fra lo spirito (neo)confuciano e lo “spirito” del
capitalismo può spiegare anche altre cose.
La
chiave ce la dà Weber quando parla di “’ascesi’ esclusivamente
intramondana
del capitalismo” (ibid., p. 126). La parola intramondano
è il punto-chiave: un aggettivo sul quale non si è meditato a
sufficienza. Ora, rifacciamoci “ad una distinzione tipicamente
cinese: quella esistente fra le dottrine del ju-shih
[rushi],
cioè le dottrine
intramondane
(esattamente: ‘d’entrata nel mondo’) e le dottrine del
ch’u-shih
[chushi],
cioè le dottrine
estramondane
(esattamente: ‘d’uscita dal mondo’); tale distinzione segna il
confine tra il Taoismo e il Buddhismo da una parte, e il
Confucianesimo dall’altra” (Tchao Yun-Koen: Il
Confucianesimo,
Rizzoli 1984, p. 8, corsivi miei). Per altro verso, però, Confucianesimo e Taoismo
si uniscono contro il Buddhismo a causa della loro comune matrice.
Anche
il Confucianesimo propone una sua forma di “ascesi” intramondana.
Questo è il punto-chiave.
Tuttavia,
ci son due
rilevanti differenze rispetto all’Occidente moderno che van
sottolineate. Weber nell’Etica
porta il caso di B: Franklin, non certo scelto a caso. E dice: “Anche
quello di Franklin è un utilitarismo. Ma il pathos etico della
predica ai giovani commercianti è innegabile, è il suo tratto
caratteristico (…). L’incuria nell’uso del denaro (…) è
anche un difetto etico”
(ibid.). Ma di un’etica che religiosa, sacra “nel caso di
Franklin non
lo è più”
(ibid.). E’ una “razionalizzazione” (Weber), cioè una discesa
dal campo più nettamente religioso a quello etico: una
desacralizzazione. Tutto ciò non è avvenuto allo stesso modo in
Asia Orientale perché da un lato il Confucianesimo è un’etica
sacra,
quindi la dimensione etica, seppur religiosamente
fondata, è in primo piano; dall’altro, perché nella cultura
dell’Asia Orientale non c’è mai stato né razionalismo né
modernità. Si tratta di prodotti d’importazione che s’è tentato
d’ibridare con più o meno successo.
Pertanto,
quando si è rotto (in Cina) o si è alterato (in Giappone) il quadro
tradizionale
culturale, l’etica (neo)confuciana, compressa,
è stata la base
per la risposta all’Occidente, necessariamente ibridandosi con
talune caratteristiche che l’Occidente moderno recava con sé. Con
la rottura o il cambiamento radicale di quel quadro, l’aspetto di
sacertà si è specializzato, ma non
è sparito del tutto: non c’è stato un taglio così netto come
nella modernità occidentale. Ecco la prima differenza.
La
seconda differenza è decisiva per il nostro discorso. Mentre l’etica
protestante è individualistica,
quella confuciana, pur non
essendo collettivistica, considera la società sacra (per lo meno
come tendenza). Detto altrimenti: se l’“ascesi” intra-mondana
che aveva come retroterra l’etica protestante aveva come scopo
l’accrescimento etico
delle ricchezze del singolo, l’“ascesi” intra-mondana
che ha come base l’etica (neo)confuciana (non
più sacra, ma neppure del tutto desacralizzata) ha come scopo
l’accrescimento etico
delle ricchezze e dell’importanza del gruppo, ergo
della società. Ora, tale corrente si pone accanto a quella
capitalistica, vi si mescola per lo scopo che ho detto qui sopra. Se
tale corrente viene bloccata nel suo processo d’ascesa non
per questo sparisce, ma in
ogni caso
non può non creare degli effetti, perché la forza è stata
richiamata.
E
così torniamo al punto di partenza del nostro discorso.
A
buon intenditor…
Decemberwolf
10/03/1998 – 11/04/1998 A.D.
NOTE
1
E la Cina è sempre stata il punto d’emersione
decisivo della
corrente (cfr. il mio breve scritto In
memoriam Deng Xiaoping), Febbraio 1997).
2
Difatti, la scelta di non svalutare implica una
serie di riforme strutturali, sulle quali l’attuale premier Zhu
Rongji si gioca la sua partita vitale. Tant’è che Zhu Rongji non
è sponsorizzato da nessuna corrente politica: o la va o la spacca.
Certo è che la fazione conservatrice ha in ogni caso assunto sempre
più potere ultimamente. [Nota aggiunta (Dicembre 2002): pare che
sia “andata” bene a Zhu Rongji, ce l’ha fatta, almeno in
parte]
3
Da qui possono rimbalzare pesantemente negli
USA, che, per parte loro, stanno scaricando molti debiti sull’Europa
dell’EURO. L’Europa così rischia grosso: pagare i debiti degli
USA più quelli del Giappone (che quest’ultimo ha passato agli
USA). Così, il terzo tentativo della Germania d’egemonizzare
l’Europa sta nuovamente indebolendo l’Europa. [Ora tutti sanno
che è così, all’epoca era cosa poco gradita il dirlo…!
(Febbraio 2007)]
E’
necessaria una bilancia
in Europa. La Francia l’ha fornita di solito, ma essa pare oggi
non più capace di una visione lucida. Perché? “Destra”,
“sinistra”, “socialdemocrazia”, “razzismo”,
“nazionalismo”: il pensiero della classe dirigente francese è
ancora incrostato da tali obsoleti marchingegni mentali.
Ma quale
altra classe dirigente n’è immune? Nessuna.
A conti fatti siamo guidati da persone che non sono quelle
apparenti. D’altra parte, solo il liberarsi da tali obsoleti
rottami dev’essere il primo
passo. Quanto a chi scrive,
non li ha mai fatti propri.
Cioè: non che egli non li conosca, e bene,
ma essi non guidano il suo agire perché non ne monopolizzano il
pensiero.
4
Scrivo “etica (neo)confuciana” e non
semplicemente “confuciana” perché il Confucianesimo, unendosi
con le altre componenti della società e della cultura siniche,
ha generato il Neoconfucianesimo, che non è
l’allontanamento o, peggio, il “tradimento” del
Confucianesimo, ma il frutto maturo e la sintesi finale
dell’intera cultura
sinica. E ciò, finalmente,
si è cominciato a vedere in modo sempre più chiaro
anche in Occidente.
5
Di conseguenza, la gran parte delle persone non
ama mai veramente perché all’innamoramento segue la delusione,
seguita da un altro innamoramento cui fa séguito un altro
innamoramento, e così via. Precisamente lo
stesso è per le idee: la gran parte delle
persone non ha idee perché ne ha troppe. Ora segue questa, ora
segue quella, sballottati come foglie al vento.
6
Weber ha scritto molte cose, eppure L’Etica
è pubblicata e ripubblicata. La sua fortuna è immensa: uno dei
libri-chiave del secolo. Col tempo è migliorata,
come i buoni vini rossi, ha in pratica perso quei motivi polemici ma
datati (la polemica con Marx), che in realtà non sono decisivi.
7
Questi ritmi non
sono la triade logica di Hegel. Son ritmi essenziali, attinenti alla
natura (xing, hsing)
delle cose, non a costruzioni razionali. Questo è un punto molto
importante, decisivo.
8
Il termine borghese (=abitante di città, e solo
di città) non esisteva in cinese: vi è stato inserito su influsso
dell’Occidente moderno. In giapponese invece vi è prima
dell’incontro-scontro con la modernità: chônin.
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