martedì 9 maggio 2017

La copertina di una vecchia “Dissertatio” sull’ “ager Falernus”






In relazione all’ ager Falernus, un territorio che ebbe sempre strette relazioni con Roma antica, la copertina della vecchia Dissertatio de Agro et Vino Falerno di Carlo Federico Weber[1], merita un ricordo[2]




Copertina della Dissertatio già citata[3]






[1] C. F. Weber, Dissertatio de Agro et Vino Falerno, a cura di U. Zannini, traduzione di F. Tommasino, Nota storica di G. Guadagno, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli 1990, con il contributo del Comune di Falciano, di Aurunca S.p.a. Concessionaria Fiat Sessa Aurunca, L.I. Grouping S.p.a. Calcestruzzi Massicana Falciano del Massico, organizzazione Archeoclub Italia c/o Zannini Ugo Falciano del Massico (CE). Karl Friedrich Weber (1794-1861) fu ordinario di filologia classico e direttore del Seminario di Marburg. L’Università di Marburg esiste tuttora ed è molto nota per la medicina. E in quest’Università vi è stata la prima cattedra di chimica del mondo.
[2] Tra l’altro, le pagine iniziali, relative all’etimo di “Falerno”, sono interessanti. Si può ricollegare questo termine di “Falerno” con Tiferno, Titerno, Literno.
[3] Cf. nota 1, qui sopra. A tal proposito, tuttavia, può essere interessante riportare un passo dalla Nota storica di G. Guadagno, quando tratta della fase di spopolamento della fine dell’Impero romano. “Infatti di fronte ai centri campani che sempre più appaiono come borghi in lento spopolamento, a Forumpopilii, il centro egemone dell’ ager Falernus, per porre la dedica ad un cittadino benemerito ci si preoccupa ancora di scegliere ‘il luogo più frequentato della città’ (CIL, X 4725); da questo benemerito, C. Minucio Aeterius senior, inizia l’ascesa sociale della famiglia che si completa tre generazioni dopo quando un altro Minucius Aeterius nel 367 risulta aver raggiunto un elevato grado nella burocrazia imperiale perché in urbe sacra administrationem administravit: era stato cioè ‘Prefetto dell’Urbe’ (CIL, X 4724 = Diehl 97). La molla dell’ascesa sociale è probabilmente da individuare in attività collegata colla produzione o commercializzazione del vino: non per nulla al personaggio del 367 la dedica è posta dai centonarii, di cui è patrono, commercianti o produttori di centones, vesti d’infima qualità per le classi povere e quasi emblema della condizione servile, a dimostrarci quale peso nella ‘bilancia economica’ locale abbia ancora nella seconda metà del IV sec. la struttura servile nella produzione latifondista. In effetti anche se si notano fenomeni di ridimensionamento agrario, documentati dalle ville che man, mano vengono meno, sono state individuate aree di produzione di anfore che restano vitali fino al V o VI sec., malgrado l’introduzione ormai da tempo del barile per il trasporto del vino, sia pure notevolmente ridotte di numero rispetto alle aree precedenti, a documentarci al continuità della produzione vinicola nella zona, che non viene meno neanche nel periodo buio dell’Alto-Medioevo. Infatti, mentre nella documentazione altomedioevale sia nella Campania longobarda, quanto nelle aree sottoposte al controllo dei Greci neapolitani e caietani frequentissima è l’espressione pecia terre vitata et arbustata, […] appezzamenti […] destinati ad una coltura mista, con aratorio delimitato da alberi e viti coniugate ad essi, nella aree corrispondenti all’antica regio Falerna si riscontra una significativa presenza di vinea, appezzamenti destinati esclusivamente alla coltura della vite” (ivi, pp. 166-167).
Su Forum Popilii, cf. U. Zannini, I Fora in Italia e gli esempi campani di Forum Popilii e Forum Claudii, Vozza Editore, Caserta-Casolla 2009.
Sui centonarii vi è un interessante studio, in relazione, però, ad Aquileia, cf.
http://www.academia.edu/7853594/Un_vestiarius_centonarius_ad_Aquileia_sulla_genuinit%C3%A0_di_CIL_V_50_in_Aquileia_Nostra_74_2003_coll._301-314.
Anche questo studio può esser utile, cf.
http://www.worldcat.org/title/collegia-centonariorum-the-guilds-of-textile-dealers-in-the-roman-west/oclc/607555126. 






6 commenti:

  1. A che significati rimandano Tiferno, Titerno e Literno? Anche dalle mie parti c'è un paese che si chiama Falerna.

    RispondiElimina

  2. Vi è l’ipotesi dell’origine etrusca del nome “falernus”, che l’autore appena citato non condivide, e poi vi è quella più linguistica, dove la finale “-rn-us” deriverebbe da una forma in “-in-(x)”, da “falerin” si avrebbe la forma aggettivale “falernus” et similia. In realtà, non si sa bene da dove derivino questi nomi in “-r(x)n-us”, dove qui (x) = una vocale prima presente, poi sparita per contrazione vocalica, per l’appunto. A parte la non comprovata origine etrusca, sembrerebbe che - **nonostante le uve del “falerno” siano di **chiara** origine greca** - la radice in questione non sia indoeuropea comunque (l’etrusco non è una lingua indoeuropea, per quanto mescolata con molti influsso, però, indoeuropei: al momento, non si riesce ad “infilare” l’etrusco in una categoria linguistica, ne sono state proposte tante, le più svariate, rientra nelle poche lingua la cui appartenenza filologica “familiale” non è chiara; azzardo una congettura: e se fosse che sia una lingua costruita “a posteriori”, tra l’altro gli Etruschi eran caratterizzati da una forte dualità tra la classe dirigente e il popolo, proprio come ci si aspetterebbe se la classe dominante fosse stata d’origine non autoctona italica; la stele di Lemno costituisce ancora un supporto a quest’origine pre-ellenica, e dunque legata ai “Pelasgi”, i “popoli del Mare” cosiddetti, anche se ultimamente si è affacciata la tesi secondo cui l’etrusco sarebbe un “relitto” dell’indoeuropeo anatolico più antico …). Falerna – interessante, che si trova in parte su di una serie di resti di “falesia” … -, provincia di Chathanzharho, non di Cosenza tuttavia, tra l’altro feudo dei d’Aquino parrebbe, e c’è la polemica se Thomas Aquinas fosse nato in prov. CE o prov. CS. La cito solo “en passant” ma non certo “en Marche”, forse “en (Champ de) Mars”, **mai** “en masse” … Fa parte della cosiddetta “costa dei Feaci”, che supporterebbe l’origine greca – ma forse pre-ellenica, non indoeuropea – della radice “falernus” e di molte che hanno la terminazione in “-rn-us”, per esempio “Volturnus”, “-rn-us”, ma Volturnus è tipicamente d’origine etrusca, la stessa radice di “Vultur”, avvoltoio, in italiano. Quanto a “Capu” è radice etrusca, ellenizzata in “Capys” [“y = ü”, **non** “u”], la “-s” in etrusco definiva il genitivo – per le parole che avevano il nom., qualora terminasse con una vocale. Probabilmente, dunque, trattasi di una radice greca, **forse** - forse - preindoeuropea. Probabilmente indoeuropei – “Sabelli” – e “mediterranei” si fusero in questi territori, com’è ipotesi di un vetusti libro, cf. G. TOMMASINO, “Aurunci Patres”, con prefazione di Pietro Fedele, Gubbio – Tipografie Eugubina 1942-XXI, ristampa anastatica a cura di “Civiltà Aurunca”, Marina di Minturno (LT) 1986, Nota introduttiva (per la ristampa anastatica) di Franco Compasso, p. 56.

    RispondiElimina

  3. Secondo il mito, fu lo stesso Bacchus a donar il Falerno ad una agricoltore del monte Massico, perché si era trovato bene con quest’ultimo. E’ la terra degli “ausòni” – “àusoni”, come piace dir a molti, “grecheggiando” -, ovvero gli “Aurunci”, “aus-“ > “aur-“ in larino, per il fenomenod etto “rotacismo”, il passaggio della “s” intervocalica in “r”, desinenza “-arum” od “-orum” era “-asom” od “-osom” in origine, il passaggio alla “u-v” derivò probabilmente da influsso etrusco, in antico era piuttosto “o-os”. Come in greco. Da “aus-aur” > “aura”, quindi luce, luce del sole probabilmente, ma “origine-oriente” lontanamente fa riferimento a questa radice. Dunque l’Italia era la “terra della luce” per i coloni greci … ma non sta ad … Occidente?? Problemino eh, che potrebbe trovare varie soluzioni …
    Tornando a noi, altro nome dell’Italia antica era “Oenotria” ovvero “Oinotrìa”, la “Fòinos” = “òinos” = vino, la “terra del vino”, come ancor appare i certe parti del Sud, in particolare della prov. BN dove si ritrova, tra l’altro, Castel Venere, il comune con la massima densità di terreno coltivato ad uva = terreno coltivabile **diviso** quello coltivato con uva. Castel Venere è la patria di San Barbato, che convertì i Longobardi al Cristianesimo, tra l’altro. In Italia l’uva cresceva benissimo, dunque, acclimatandocisi molto bene. L’Italia del Sud è interessante, enologicamente, in quanto ha preservato molti ceppi di uva d’origine greca. Sembrerebbe, però, che l’origine dell’uva stessa sia dal Caucaso. Tra l’altro, han tentato di recuperare il vino della Cappadocia, probabilmente molto “originario”, anche se non ne ho bevuto mai alcuna bottiglia; poi non so, con la temperie che c’è oggi in Turchia, quanto successo possa dunque avere un’operazione del genere, per quanto interessante sia essa dal punto di vista “filologico” enologico …
    Venere, forse la relazione è luce > Venere, tra l’altro centrale per la mitologia romana. La luce del tramonto, o che si vede al tramonto …




    RispondiElimina
  4. Poffarbacco, quante belle storie sulla nostra terra! Eppure intesi sempre che il nostro posto maxime sfigatus est...

    Quindi in Italia più di 3000 anni fa s'incontrarono flussi portatrici di resti della tradizione atlantidea, provenienti da ovest, e i greci provenienti da est. Potrebbe allora essere che le terre del Sud abbiano conservato questa caratteristica, cioè di essere terra di incontro tra civilità? Sembra una caratteristica che spesso si è ripresentata poi nella storia.

    A poche centinaia di metri da dove ho casa a Cosenza infatti inizia la "terra degli Enotri", non sapevo tuttavia che anche con questo nome s'intendevano le terre italiche. Eh sì, per i Greci l'Occidente doveva destare una nostalgia "mitica" come invece l'Oriente per gli Scandinavi...

    RispondiElimina
  5. Beh in sfigâ videtur continuationem ... sin fine ... Beh un certo legame, quello di far da “tramite” o “ponte” si è mantenuta, da quei lontani tempi, ripetendosi, di volta in volta, qualora la situazione generale lo permetta, ovviamente, e, di questi tempi, il Tempus non permette molto ....

    Esatto “Oenotria” era un terra mythica, per i Greci, la Terra dell’Uva e, dunque, del Vinum, liquido che, ricordiamocene, aveva un senso **sacrale** all’inizio, “sostituto” (in sensu Guénonis) del “Soma” originario nel culto dionisiaco, e **non** solo.

    Come poi spesso è successo, e come amo dire, “l’estetica ha sostituito il sacro”, ovvero l’estetica conserva una “traccia” del “sacer” originario.

    RispondiElimina