In relazione al precedente post (cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2017/05/la-copertina-di-una-vecchia-dissertatio.html), vi è un passo dal Maestro e Margherita, di Bulgàkov, dedicato al “Falernum”, cf.
http://cr.middlebury.edu/public/russian/bulgakov/public_html/C30.html#anchor215862.
Anche questo link sembrerebbe poter essere interessante, sempre in relazione al Maestro e Margherita, cf.
http://cr.middlebury.edu/public/russian/bulgakov/public_html/Yeshua.html.
Quest’ultimo link ne porta ad un altro, sul Vangelo di Nicodemo o Atti di Pilato, vecchia traduzione in inglese del 1924, a sua volta scannerizzata e poi posta sul web nel 1995, cf.
http://cr.middlebury.edu/public/russian/bulgakov/public_html/Nicodemus.html.
Mel Maestro e Margherita si parla pure di Azazèl, uno degli “angeli caduti” del Libro di Henoch, cf.
http://cr.middlebury.edu/public/russian/bulgakov/public_html/Azazello.html.
Di Azazèl parlasi nel cap. VIII del Libro di Henoch, cf.
http://www.sacred-texts.com/bib/boe/boe011.htm.
Interessante quel’ Appendice al Libro di Henoch, cf.
http://www.sacred-texts.com/bib/boe/boe112.htm.
In Levitico 16, 8, si parla del “capro espiatorio”, ovvero di Azazèl.
Interessante ancora, per finire, che Bulgàkov
volesse all’inizio riportare il famoso detto di Mefistofele - nel Faust di Goethe
-, in tedesco, cf.
http://cr.middlebury.edu/public/russian/bulgakov/public_html/Cepig.html.
“Io mi son parte di quella possanza che vuole continuamente il male, e continuamente produce il bene”, cf.
https://it.wikiquote.org/wiki/Johann_Wolfgang_von_Goethe.
Anche se, poi, sembra che originariamente fosse solo questa: “Sono lo spirito che nega continuamente” (ivi), che poi **è** il “diavolo”, diàbolos, quello che divide in due, il contrario di “symbolo”, symbolos, che riunisce le due parti in cui si divideva un contratto.
Quest’altra frase, poi, è interessante: “Non cercare di analizzare questo destino unico al mondo: l’esistenza consiste nel vedere, non fosse che per un istante” (ivi), che poi ha questa variante: “Non fissarti nel destino individuale. Esistere è un dovere, durasse un secondo” (ivi).
Mai frase, forse, fu più attuale ... Mai epoca fu più fissata sul destino individuale …
In relazione al significato alchemico del Faust di Goethe, cf.
http://www.levity.com/alchemy/faust.html.
Le lampade che mai non cessavano di ardere …
Di esse si parlò sia quando Enrico VIII “sequestrò”
a favore della Corona i monasteri anglosassoni, e si dice si ritrovò una di
queste lampade, sia in relazione a Don Raimondo Di Sangro, che vi scrisse su
una Dissertation, in francese,
secondo l’uso dell’epoca.
Ecco cosa ne pensavano i neo-rosacroce, cf.
http://www.levity.com/alchemy/westcott.html.
Di Don Raimondo va sottolineato come, nella Lettera apologetica, egli decifrasse – per quanto la cosa sia oggi
controversa - i famosi “quipu”, le cordicelle usate dagli Inka per comunicare
al di là delle differenze di lingua[1].
[1]
Cf. A. M. Rao, “La massoneria nel Regno di Napoli”, in Storia d’Italia Annali 21, La massoneria, a cura di G. M.
Cazzaniga, Einaudi, Torino 2006, p. 518. Vi son vari riferimenti a Don Raimondo
Di Sangro, ed anche a Carlo di Borbone Farnese (all’epoca futuro Carlo III di
Spagna, Carlo VII di Napoli e Sicilia, Carlo I di Parma e Piacenza), la cui
tardiva condanna della massoneria da qualcuno viene interpretata come un
necessario avallo delle intenzioni dell’allora pontefice Benedetto XIV (il
bolognese Prospero Lambertini, 1675-1758), che emise una seconda, ferma
condanna della massoneria tout court
nella bolla Provida romanorum pontificum
(1751), ma pure una manovra di “occultamento” che doveva salvare talune
strutture massoniche stesse: “Il 9 gennaio 1751, da quanto risulta dall’Archivio
Generale di Simancas, è Tanucci che informa il principe Corsini che padre Pepe
era andato dal re [Carlo di Borbone] per parlargli dei Liberi Muratori, i quali
si erano talmente diffusi a Napoli ‘che formavano già la loggia più numerosa d’Italia,
trovandosi alla sua guida il principe di
San Severo [Don Raimondo Di Sangro], che aveva persuaso l’arcivescovo
Bolenos [confessore del re di Napoli] de l’invalidità delle censure
[pontificie] contro l’associazione massonica’ e insieme si affermava che aveva
giustificato come innocente dinanzi al Consglio segreto del re, mostrandogli i
suoi ‘statuti innocenti’. Roma si allarmò” (J. A. Ferrer Benimeli, “Origini, motivazioni ed effetti della
condanna vaticana”, in ivi, p. 156,
corsivi miei). Il 20 gennaio 1752, genetliaco di Carlo di Borbone Farnese, fu posta
la prima pietra della Reggia di Caserta: ‘Per l'occasione il monarca fece
perimetrare il futuro palazzo schierando quattro file di soldati che rimasero
impalati per tutta la durata della cerimonia. Insieme alla prima pietra fu
sepolta nelle fondamenta anche una frase del Vanvitelli: “Questa casa duri, e con essa la stirpe borbonica, finché questa costruzione
non torni al cielo con violenza”’ (cf.
http://www.napoliexperience.com/sito/palazzi-reali/reggia-di-caserta,
corsivi in originale).
In una recente
trasmissione su La7, M. Cacciari ha parlato dei “due lati” della massoneria, la
cui conoscenza è necessaria per chi voglia conoscere i più importanti filosofi
del Settecento e fra Settecento ed Ottocento e gran parte del Risorgimento
italiano; la trasmissione presentava l’ultimo libro di F. de Bortoli, Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant’anni di giornalismo,
La Nave di Teseo, Milano 2017. Ovviamente, vi è accordo sulla debolezza dei
poteri ex “forti” di oggi, e sull’essersi tutto ridotto a una serie di
ambizioni individuali o di gruppi senz’alcuna visione. Ma, tornando all’origine
della massoneria: “Non ho conoscenza d’importanti novità; e perciò mi tengo
fermo all’ipotesi generale, la quale data la diffusione della libera muratorìa
nella Penisola italiana e nei suoi Stati con la guerra di Successione austriaca
1740-48. Né contraddicono a quella datazione i casi locali di Napoli e di
Toscana, di Toscana soprattutto con la vicenda di Tommaso Crudeli […] che
avrebbe portato alla De eminenti, l’enciclica
papale del ’38 [In eminenti, aprile
1738, bolla di Clemente XII, cf. http://www.papalencyclicals.net/Clem12/c12inemengl.htm].
E di Napoli, della Napoli ‘graziata’ dall’esito ambiguo della battaglia di
Velletri (1744) [cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Velletri_(1744)],
ove si radicherà in quegli anni grazie a Raimondo Di Sangro e a Gazzola il mito di Federico II di Prussia” (G. Giarrizzo, “La massoneria lombarda dalle origini al periodo
napoleonico”, in Storia d’Italia, La massoneria, cit., p. 357, corsivi
miei). Tornando alle relazioni “ambigue” fra il principe di Sansevero e Carlo
di Borbone Farnese, “Romani peraltro cita (p. xiv
[V. Romani, “Opere per società” nel Settecento italiano, Vecchiarelli, Manziana
1992]) uno dei documenti consegnati da Raimondo
Di Sangro a Carlo III dopo l’enciclica antimassonica del 1751”
(F. Fedi, “Comunicazione
letteraria e ‘generi massonici’ nel Settecento italiano”, in La massoneria, cit., p. 63, n. 34,
corsivi miei). Interessante: “fa da Venezia […] che Robert d’Arcy, conte di
Holderness, portò a Napoli Le comte de
Gabalis ou Entretine sur les sciences secrete (1670) per consegnarlo a
Raimondo Di Sangro, dalla cui tipografia il testo rosacrociano uscì nel ’51,
con la falsa indicazione di Londra e unitamente al Riccio rapito di Pope […]. Anche il percorso del Comte, tuttavia, no marca che un piccolo
segmento nella rete ben più vasta […] di […] editori massoni sparsi nella
penisola. Figure, si badi, raramente
rivestite di un ruolo duplice, come nel caso illustre di Raimondo Di Sangro,
nobile di alto lignaggio, filosofo, scienziato, abile organizzatore culturale
ma anche fondatore ‘in proprio’ di una tipografia. Si può ipotizzare, invece,
che il modello più diffuso fosse quello ‘collettivo’, disegnato da una cerchia
di savants locali e stranieri, legati
a un editore di fiducia” (ivi, p. 63,
corsivi miei).
Sul legame tra
Federico II Hohenzollern (di Prussia) con Raimondo Di Sangro: si sa che quest’ultimo
scrisse un volume sugli “Esercizj Militari”, come si scriveva all’epoca: “L’opera
ebbe molta fortuna anche all’estero e Federico II il Grande di Prussia, da
competente, qual era nell’arte della guerra, inviava, da Potsdam, una lettera
al nobiluomo partenopeo [sì “napoletano” nel senso di apparenterete al Regno di Napoli, ma non “partenopeo” nel senso di nativo della città di Napoli, in quanto Raimondo Di Sangro era nato a
Torremaggiore, (FG)], in cui, tra l’altro, gli riconosceva una perizia […]
superiore a quella dei generali teutonici” (Appendice biografica in Anonimo, Breve Nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero D.
Raimondo Di Sangro nella città di Napoli, a cura di A. Crocco, Ni.Sa.
Editore Milano-Napoli, s.d., p. 49). Di Carlo di Borbone dice: “Amico del de’
Sangro [il cognome a varie forme], lo colmò di onori, maggiormente
invogliandolo verso gli studi preferiti” (ivi,
p. 33, in nota).
[1]
Cf. A. M. Rao, “La massoneria nel Regno di Napoli”, in Storia d’Italia Annali 21, La massoneria, a cura di G. M.
Cazzaniga, Einaudi, Torino 2006, p. 518. Vi son vari riferimenti a Don Raimondo
Di Sangro, ed anche a Carlo di Borbone Farnese (all’epoca futuro Carlo III di
Spagna, Carlo VII di Napoli e Sicilia, Carlo I di Parma e Piacenza), la cui
tardiva condanna della massoneria da qualcuno viene interpretata come un
necessario avallo delle intenzioni dell’allora pontefice Benedetto XIV (il
bolognese Prospero Lambertini, 1675-1758), che emise una seconda, ferma
condanna della massoneria tout court
nella bolla Provida romanorum pontificum
(1751), ma pure una manovra di “occultamento” che doveva salvare talune
strutture massoniche stesse: “Il 9 gennaio 1751, da quanto risulta dall’Archivio
Generale di Simancas, è Tanucci che informa il principe Corsini che padre Pepe
era andato dal re [Carlo di Borbone] per parlargli dei Liberi Muratori, i quali
si erano talmente diffusi a Napoli ‘che formavano già la loggia più numerosa d’Italia,
trovandosi alla sua guida il principe di
San Severo [Don Raimondo Di Sangro], che aveva persuaso l’arcivescovo
Bolenos [confessore del re di Napoli] de l’invalidità delle censure
[pontificie] contro l’associazione massonica’ e insieme si affermava che aveva
giustificato come innocente dinanzi al Consglio segreto del re, mostrandogli i
suoi ‘statuti innocenti’. Roma si allarmò” (J. A. Ferrer Benimeli, “Origini, motivazioni ed effetti della
condanna vaticana”, in ivi, p. 156,
corsivi miei). Il 20 gennaio 1752, genetliaco di Carlo di Borbone Farnese, fu posta
la prima pietra della Reggia di Caserta: ‘Per l'occasione il monarca fece
perimetrare il futuro palazzo schierando quattro file di soldati che rimasero
impalati per tutta la durata della cerimonia. Insieme alla prima pietra fu
sepolta nelle fondamenta anche una frase del Vanvitelli: “Questa casa duri, e con essa la stirpe borbonica, finché questa costruzione
non torni al cielo con violenza”’ (cf.
http://www.napoliexperience.com/sito/palazzi-reali/reggia-di-caserta,
corsivi in originale).
In una recente
trasmissione su La7, M. Cacciari ha parlato dei “due lati” della massoneria, la
cui conoscenza è necessaria per chi voglia conoscere i più importanti filosofi
del Settecento e fra Settecento ed Ottocento e gran parte del Risorgimento
italiano; la trasmissione presentava l’ultimo libro di F. de Bortoli, Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant’anni di giornalismo,
La Nave di Teseo, Milano 2017. Ovviamente, vi è accordo sulla debolezza dei
poteri ex “forti” di oggi, e sull’essersi tutto ridotto a una serie di
ambizioni individuali o di gruppi senz’alcuna visione. Ma, tornando all’origine
della massoneria: “Non ho conoscenza d’importanti novità; e perciò mi tengo
fermo all’ipotesi generale, la quale data la diffusione della libera muratorìa
nella Penisola italiana e nei suoi Stati con la guerra di Successione austriaca
1740-48. Né contraddicono a quella datazione i casi locali di Napoli e di
Toscana, di Toscana soprattutto con la vicenda di Tommaso Crudeli […] che
avrebbe portato alla De eminenti, l’enciclica
papale del ’38 [In eminenti, aprile
1738, bolla di Clemente XII, cf. http://www.papalencyclicals.net/Clem12/c12inemengl.htm].
E di Napoli, della Napoli ‘graziata’ dall’esito ambiguo della battaglia di
Velletri (1744) [cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Velletri_(1744)],
ove si radicherà in quegli anni grazie a Raimondo Di Sangro e a Gazzola il mito di Federico II di Prussia” (G. Giarrizzo, “La massoneria lombarda dalle origini al periodo
napoleonico”, in Storia d’Italia, La massoneria, cit., p. 357, corsivi
miei). Tornando alle relazioni “ambigue” fra il principe di Sansevero e Carlo
di Borbone Farnese, “Romani peraltro cita (p. xiv
[V. Romani, “Opere per società” nel Settecento italiano, Vecchiarelli, Manziana
1992]) uno dei documenti consegnati da Raimondo
Di Sangro a Carlo III dopo l’enciclica antimassonica del 1751”
(F. Fedi, “Comunicazione
letteraria e ‘generi massonici’ nel Settecento italiano”, in La massoneria, cit., p. 63, n. 34,
corsivi miei). Interessante: “fa da Venezia […] che Robert d’Arcy, conte di
Holderness, portò a Napoli Le comte de
Gabalis ou Entretine sur les sciences secrete (1670) per consegnarlo a
Raimondo Di Sangro, dalla cui tipografia il testo rosacrociano uscì nel ’51,
con la falsa indicazione di Londra e unitamente al Riccio rapito di Pope […]. Anche il percorso del Comte, tuttavia, no marca che un piccolo
segmento nella rete ben più vasta […] di […] editori massoni sparsi nella
penisola. Figure, si badi, raramente
rivestite di un ruolo duplice, come nel caso illustre di Raimondo Di Sangro,
nobile di alto lignaggio, filosofo, scienziato, abile organizzatore culturale
ma anche fondatore ‘in proprio’ di una tipografia. Si può ipotizzare, invece,
che il modello più diffuso fosse quello ‘collettivo’, disegnato da una cerchia
di savants locali e stranieri, legati
a un editore di fiducia” (ivi, p. 63,
corsivi miei).
Sul legame tra
Federico II Hohenzollern (di Prussia) con Raimondo Di Sangro: si sa che quest’ultimo
scrisse un volume sugli “Esercizj Militari”, come si scriveva all’epoca: “L’opera
ebbe molta fortuna anche all’estero e Federico II il Grande di Prussia, da
competente, qual era nell’arte della guerra, inviava, da Potsdam, una lettera
al nobiluomo partenopeo [sì “napoletano” nel senso di apparenterete al Regno di Napoli, ma non “partenopeo” nel senso di nativo della città di Napoli, in quanto Raimondo Di Sangro era nato a
Torremaggiore, (FG)], in cui, tra l’altro, gli riconosceva una perizia […]
superiore a quella dei generali teutonici” (Appendice biografica in Anonimo, Breve Nota di quel che si vede in casa del principe di Sansevero D.
Raimondo Di Sangro nella città di Napoli, a cura di A. Crocco, Ni.Sa.
Editore Milano-Napoli, s.d., p. 49). Di Carlo di Borbone dice: “Amico del de’
Sangro [il cognome a varie forme], lo colmò di onori, maggiormente
invogliandolo verso gli studi preferiti” (ivi,
p. 33, in nota).
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