lunedì 7 ottobre 2013

“CACCIARI ALLA CATTEDRALE DI CASERTA”



CACCIARI ALLA CATTEDRALE DI CASERTA”


Non siate sicuri che il grande disordine non possa
ritornare in Cina”.
(M. Sotgiu, La coda del drago. Vita di Deng
Xiaoping, Baldini&Castoldi 1994, p. 101)

Segni connotati in senso escatologico percorrono
anche l’intero regno di Giustiniano”.
(Da. M. Meier, Giustiniano, il Mulino –
Universale Paperback, 2007, p. 25)

L’essere vissuta in un mondo in disfacimento 
mi aveva fatto capire l’importanza del Princeps” 
(Marguerite Yourcenar, Taccuini di Appunti, in: 
Memorie di Adriano, Einaudi, Torino 1988, p. 286).  



Il 4 ottobre, festa di San Francesco, si è svolta la “lectio magistralis” di M. Cacciari nella cattedrale di Caserta, inizio dell’anno accademico del locale Istituto di Scienze Religiose, con la presentazione di don Nicola Lombardi, rettore dell’Istituto, del vescovo di Aversa, Msgr. Spinillo, che ha svolto l’introduzione all’incontro, e la conclusione, “a braccio”, svolta dal vescovo emerito di Caserta, Msgr. Raffaele Nogaro. Il momento non poteva essere più significativo, sia per la ricorrenza, S. Francesco protettore d’Italia, sia per i noti eventi del giorno prima. Dopo il minuto di silenzio per i fatti del giorno prima, Spinillo inizia nella sua breve introduzione, dove sostanzialmente sostiene la visione “classica” ecclesiale del tema, per cui il “tempo apocalittico” - che è il tema della conferenza di Cacciari – è in ogni momento tale, è ogni tempo della vita e della Chiesa, così come è il tempo di ogni vera ricerca della verità, ovvero ciò che cerca il filosofo. Il tempo apocalittico è il “tempo forte”, delle scelte, e dell’incontro con Cristo, concetto ribadito dallo stesso Nogaro al termine dell’incontro, dove Nogaro si è anche spinto su considerazioni su temi spinosi come il dolore nella storia e la potenza della preghiera, come la relazione con Dio e la visione finale che prende la forma della “morte”, ovvero l’incontro “definitivo”, la nostra “piccola apocalisse”, il nostro disvelamento finale personale.
Cacciari si ritrova sostanzialmente nella visione classica del “tempo apocalittico”, espressa da Spinillo, ma v’introduce delle sfumature ed una visione “laica”. Lo “snodo” cruciale della visione di Cacciari è la differenza e la consonanza fra le “apocalissi giudaiche” e quelle “cristiane”: si tratta di un “genere letterario”, quello apocalittico, caratteristico di una certa epoca, e che va calato – per il “sitz im leben” - nella sua epoca: la crisi del giudaismo dei secoli immediatamente precedenti e seguenti a Gesù; dunque vi è contenuta anche la tematica del messianismo, dove le due diverse visioni apocalittiche, quella giudaica e quella cristiana, inevitabilmente divergeranno, pur partendo da una base comune, da un “sentire” profondamente consonante. La consonanza sta nella visione del mondo, nella centralità della “anomìa” ed “apoleìa1, la dissoluzione e la devastazione, l’esplosione delle contraddizioni del mondo sociale, termini che pure hanno un ruolo certamente ben reale, secondo Cacciari, tuttavia parziale. Quel che è l’essenza è la visione del divenire storico: questo è il punto decisivo. Nella visione apocalittica vi son due punti caratterizzanti, sia per quella giudaica, sia per quella cristiana: 1) vi è un fine nella storia, un “tèlos”, e questo era qualcosa di lontano dalla mentalità cosiddetta “pagana”, diciamo “ellena”, dei primi secoli prima e dopo Cristo; 2) la storia, ma proprio tutta la storia, non è altro che l’esprimersi del demoniaco nell’uomo, è tutta un “peggior andare”, con la differenza che, sin “dal principio”, vi è una “dimora” per i “giusti”, nonostante il male dominante, sconquassante la Terra tutta. Dunque, dice Cacciari, questo pessimismo di fondo di ribalta in un ottimismo di base. Direbbe Tolkien, che trattasi di una “eucatastrofe”, un rivolgimento improvviso sì, ma positivo. Ed allora, ciò che conta non è più “quando” avviene la “catastrofe buona”, l’irruzione immediata del Divino nella storia, fatto che pone termine alla storia stessa (si ponga bene a mente questo fatto), ma il fatto che “l’Ora” - di cui si dice, con accenti assai diversi, sia nel Vangelo di Giovanni che nell’ Apocalisse di Giovanni – è in ogni ora. In pratica, la vera “apocalisse” è questo rivolgimento interiore che fa sì che tutta la vita la si veda nell’approssimarsi “all’Ora” ultima, al fine “ultimo” - “tòn èschaton” – della storia, che è, nel Cristianesimo, il Cristo, la Parusia.
Rimane da dire che questo rivolgimento interiore come può divenire un fatto sociale, collettivo, senza una tensione verso il “fine ultimo”? E come questo può questo avvenire senza che ci si chieda il “quando”? Dovremmo gettare secoli di tradizione alle ortiche, assurdo. Pur considerando non “gesuano” (cioè non detto direttamente da Gesù ma, quindi, già opera della tradizione2) il passo del “discorso apocalittico” di Mt 24 (e passi simili della tradizione sinottica), perché, secondo Cacciari, la stessa questione del “quando” non interessava Gesù, Cacciari, pur asserendo questo, non considera uno scandalo il chiedersi il quando. Si tratta per lui di un qualcosa di “accessorio” sì, ma non illegittimo: il che è un “unicum”, come posizione, in ambito “laico”, almeno a mia conoscenza. In ambito “laico” prevale il disinnesco di questo tema, per mezzo della sua condanna senz’appello con metodi altamente “razionali”: chi si chiede il “quando” è uno stolto (se questo è “razionale”...). Per Cacciari, al contrario, la cosa è legittima, ma è accessoria rispetto al nucleo fondamentale della concezione apocalittica, che è l’essere “prossimo”, “l’approssimarsi” al vivere ogni ora come fosse “l’Ora”. Solo questo disinnesca la contraddizione della visione apocalittica: “alla fine” ci sarà l’ “apokàlypsis”, che significa non disastro, ma “dis-velamento”: e ci sarà rivelato il fine ultimo. Ma se è Cristo questo fine, noi non lo conosciamo già? Come la mettiamo? Solo l’attenzione all’Ora, la centralità dell’Ora, secondo Cacciari, riesce a disinnescare la contraddizione e tenere assieme l’ Apocalisse di Giovanni con il “discorso apocalittico” di Matteo 24, che si chiede il quando.
Se questa è la visione apocalittica, la differenza tra l’apocalittica giudaica e quella cristiana si opera su di un punto decisivo: s’è già detto del legame forte tra l’apocalittica giudaica e la figura del Messia. Nelle apocalissi giudaiche il Messia deve ancora venire, egli non sarà il “disvelamento finale”, ma sarà il suo annuncio, mentre nel Cristianesimo il Messia è già venuto. Era semplicemente inevitabile che questo imponesse una riconsiderazione, anche, se non soprattutto, in ambito apocalittico.
Nota a margine, rispetto a ciò che dice Cacciari. Se la storia è un male, allora la storia della Chiesa? Cosa pensarne? Risulta chiaro ed evidente il potenziale sommovimento che l’ Apocalisse di Giovanni, ma tutto il genere apocalittico, ha per le autorità costituite, anche, per non dire soprattutto, per quelle religiose. Così, non è un caso che gli unici due libri apocalittici canonici, il Libro di Daniele – Antico Testamento – e l’ Apocalisse di Giovanni – Nuovo Testamento – siano stati quelli che con più difficoltà sono entrati nel Canone, non senza lunghe, complicate discussioni, vincendo fortissime resistenze all’interno della Chiesa cristiana e del Giudaismo, per Daniele.
Riprendiamo il discorso di Cacciari. Lui dice che – per la mediazione di Gioacchino da Fiore – tutta la teologia politica moderna (ed il suo ultimo libro, presentato nel corso della “lectio”, è di teologia politica in effetti) condivide con la visione apocalittica l’idea di “tèlos”, il “fine ultimo” della storia, ma ne è la secolarizzazione: si accoglie il fine ultimo ma lo si umanizza, non è più l’emersione del Divino nella storia, ma si mantiene comunque l’idea di un fine. Non più così oggi, dopo la fine delle grandi narrazioni ideologiche politiche moderne, oggi non vi è “progresso” ma solo un procedere, senza un fine ben preciso, e l’ansia del “quando” apocalittico, dice Cacciari, diventa la mania della previsione a breve, dai sondaggi ad ogni altra manifestazione di questa mania. Tutto ciò, paradossalmente, segna la nostra totale incapacità di decidere, il perenne “rimandare” che è la “cifra”, per nulla nascosta, caratteristica dei nostri tempi. Questo perché non vi è alcun fine, tutto è in un tempo dilatato, dove le date non hanno senso: non vi una fine al tempo radicalmente senza nessun fine. Su questo ha senza dubbio ragione. Eh beh, ma serve a ben poco lamentarsene: questi i tempi e le genti, cui non pareva felicità bastevole crogiolarsi nel loro “raggiunto stato” di supposta perfezione e compiacersi della fine di ogni fine politico. Poi, è venuto il pagamento, e qualcosa mi dice che non abbiamo ancora finito di pagare... Nulla in questi anni è stato più stucchevole, più immondamente superficiale di questa sicumera da pancia soddisfatta, e del compiacimento generalizzato dello pseudo-paradiso tecnologicamente realizzato.
Vi è un punto che Cacciari non tratta: facendo riferimento al Libro di Daniele, che poi è il riferimento del Giovanni dell’ Apocalisse, ed alle figure della “bestie”, il potere politico solo umano che è potenzialmente contro Dio – però tale potere demoniaco ha effettivamente successo nella storia (cosa che, nella visione apocalittica, conferma che la storia è, in se stessa, demoniaca: questa è la vera visione apocalittica) – si vede che il simbolismo è discendente. Dalla testa d’oro, che è Nabucodonosor, dunque Babilonia (ed è chiaro che il riferimento, nell’ Apocalisse di Giovanni, alla Grande Prostituta di Babilonia si rifà direttamente a Daniele) si giunge all’oggi, dove predomina un misto di ferro ed argilla: la massima forza e la massima fragilità presenti assieme, direi che una migliore metafora dello strapotere ed insieme della totale impotenza ed incapacità di decisione del nostro mondo “tecnologicamente” realizzato non la si poteva trovare.
In tutto ciò, vi è la tematica della teologia politica, che Cacciari tratta estesamente nel suo libro sul “katèchon”, ciò che trattiene, secondo l’Apostolo Paolo, l’Anticristo dal mostrarsi perché l’Anticristo è già presente, “sin dall’inizio”: sin dalla presenza del Cristo quest’ombra, nascosta, attraversa, secondo Paolo, tutta la storia umana in se stessa, e sono quelle “venature” di visione apocalittica che attraversano le Epistole paoline. Nella storia si sono sprecate le accuse di “anticristo” a destra e a manca, il Papa dice a Lutero di essere l’Anticristo, Lutero lo “gratifica” dello stesso aggettivo senza peli sulla lingua: ed era solo l’inizio dell’abuso di tale termine, applicato a qualsiasi dittatore o a “chi-non-mi-piace”. Ma se questo fosse tutto, la storia umana è già demoniaca di per sé, che bisogno, infatti, vi sarebbe dell’Anticristo allora? Domanda retorica. Vi è qualcosa d’altro, di qualitativamente diverso, in tutto questo tema.
Ecco, il sentire generale dei primi secoli del Cristianesimo sostiene che è l’Impero – romano – l’ostacolo (il famoso katèchon) al manifestarsi del potere, ora nascosto ancora, dell’Anticristo. Occorre dunque “acquistare” l’Impero – che è un “estratto distillato” del demoniaco della storia umana, con i suoi aruspici, il suo sacrificio all’ Imperator – per “giocarlo” sul palcoscenico della storia contro il demoniaco presente sin dall’inizio, sin dall’inizio, radicalmente, nella storia umana. Di questo Cacciari non sembra particolarmente consapevole nel suo ultimo libro: è indubbiamente una contraddizione che ha attraversato tutta la storia del Cristianesimo; tale contraddizione appare, in questi ultimi tempi, terminata nel senso che l’assenza di un fine, di prospettive – di questo, al contrario, Cacciari appare invece ben consapevole e v’insiste su – rende ogni potere “imperiale” semplicemente impossibile. In base a quale fine, infatti, fermare il caos? L’ultimo potere imperiale è stato la Russia sovietica, perché non si dà potere imperiale senza un fine superiore che si dice di voler realizzare, per falso che sia. L’ultimo “gran vecchio” della Cina è stato Deng Xiaoping, e quindi dopo nessun “impero”, solo tecnocrati: quando scomparve, taluno disse che con lui era sparito “l’ultimo imperatore”, non ci sarebbe stato più “uno”, alla fine, a decidere, ma dei gruppi; ecco la ragione della citazione iniziale. Quanto all’America, alle presidenze “imperiali” di Bush padre e di R. Reagan e, in parte, di Clinton, son successe quelle di Bush figlio e di Obama che, per vie diverse ed anche opposte, non sono per nulla “imperiali”, totalmente incapaci come sono di combattere il “piccolo caos” della storia.
Non vi è più alcun impero, oggi, nonostante quel che ne pensino taluni; forse vi è imperialismo, ma non più “imperium” nel senso di ciò che ferma il caos. Né si sente necessità di impero; se così fosse, questo sarebbe qualcosa di decisivo. Nessuno si opporrà più al grande caos, al grande disordine, e non certo solo in Cina, ma nel mondo, tutto. Decidere sarà sempre più difficile. Trattare i problemi sempre più esaurirà le energie, senza che alcuna vera soluzione sia trovata, ed elefanti partoriranno sempre topolini. “La novità passerà per miracolo”, avrebbe detto un cronista medioevale. Ma non lo sarà, aggiungeremmo noi, di questo tempo.
Di piccolo caos in piccolo caos, infine si arriverà al Grande Caos.
Trovo infine sottovalutato, da Cacciari, il tema della dissoluzione, che lui dice essere accessorio al tema apocalittico: non son d’accordo; come trovo sottovalutato quello del carattere profondamente, irrecuperabilmente maledetto, ed irreversibilmente discensivo della storia umana, tutta: ma questi son due anelli fondamentali ed irrinunciabili della visione apocalittica, che, per questo, non coincide con quella della “Ecclesia militans” e della “Ecclesia triumphans”. Di qui tutti i problemi che la storia ci ricorda riguardo alla concreta accettazione, da parte delle autorità costituite, sia religiose sia laiche, della visione apocalittica: non si può espellere questo “datum” dall’equazione generale.
Rimane che il nostro è il tempo del rimando definitivo, dove rimandare ad un domani che mai sorgerà è il tema di un oggi perenne: in questo “schiacciamento temporale”, è come se i circuiti cronologici della storia si fossero fusi. Ora, in questo schiacciamento temporale si deve vedere il profumo dell’Ora? Domanda complessa, dai molti risvolti e dalle tante conseguenze, domanda impossibile a rispondersi in due parole.
Ma rimane questo tema, pressante, del nostro presente e del nostro futuro prossimo: chi si opporrà al “Gran Caos” che cresce? Chi si opporrà all’impossibile decidere? E, soprattutto, come opporsi, se opporsi ha un senso ancora, se l’orizzonte-senza-nessun-orizzonte di un presente dilatato senza fine non debba essere l’unico orizzonte possibile? A me pare che Cacciari, nel suo libro, più suggerisca di vivere nelle tempeste artificialmente generate (alla “Truman Show”) tentando di salvare il salvabile, piuttosto che “cercare” di “opporsi” e quindi pensare a “come” opporsi. Tuttavia, tutta la tradizione apocalittica considera questo “opporsi” la sua essenza. Anche qui vi sarebbe da riflettere.
Anche qui vi son contraddizioni che attendono scioglimenti e soluzioni, che non siano dis-soluzioni.
La visione apocalittica, per non concludere, su temi che richiederebbero ben altri spazi e tempi, è una visione radicale, tremendamente radicale. E le chiese, le filosofie, gli stati, non han potuto se non tentare di disinnescarla, ma permane, sullo sfondo della storia, quando quest’ultima s’inceppa, a risvegliare gli animi dei tiepidi.



Note.
1 Precisamente significa “fallimento definitivo” e rovina finale. Ovviamente della storia.
2 Non sarebbe parte di ciò che si usa chiamare gli “ipsissima verba Jesu”, le parole pronunciate da Gesù, lui même.




Riferimenti.
Una passata discussione di Cacciari, con temi, a suo modo, analoghi: “Cacciari all’Auditorium della Provincia di Caserta” (2010)
Si tratta di uno scritto di tre anni fa, “au lendemain”, al limitare, ai confini, dell’estensione della Grande Crisi l’anno successivo (2011), in Italia. Interessante riandarci su col pensiero, alla luce di quest’ultimo intervento di Cacciari stesso. Che cos’è cambiato? Quali processi si sono acuiti? Temi davvero molto interessanti. 

Per quel che mi riguarda, l’autore di tale filmato (“Finis Gloriæ Mundi”), anche leggendo il link del 2010 su Cacciari (“Cacciari all’Auditorium della Provincia di Caserta” (2010)), mi chiese di collaborare e di cercare citazioni per il suo video, citazioni di Berdjaev (citato nel link su Cacciari del 2010) e di Bulgàkov, Il maestro e Margherita.
Forse un po’ troppo lungo, ma vi si dice: “Verrà un tempo della Verità e Giustizia” …. 




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