giovedì 27 giugno 2013

“IL BUON (BEL) PASTORE ”

IL BUON (BEL) PASTORE

(2013)



Introduzione
Il Cristianesimo non è una mera dottrina, lo è anche, ma non in modo sostanziale, il Cristianesimo è una Persona, Cristo. E Cristo è il Buon Pastore par excellence, dunque lo scopo del Cristianesimo è “pastorale” in una dimensione sostanziale per cui: non si tratta di accessorio né di mere aggiunte strumentali. Lo scopo del Cristianesimo è la sequela Christi, la sequela del Pastore: pastori che diventano pastori. La conoscenza fondamentale non è mera ripetizione, ma piuttosto imitazione (imitatio Christi), non sola conoscenza “mentale”, ma esperienza di vita. La conoscenza del Cristianesimo è la salvezza.
In effetti, prima che il nome “Xristianòs” fosse udito per la prima volta ad Antiochia, i (futuri) “cristiani” erano detti: coloro i quali seguivano il Cammino, la Strada, la Via, che in greco è odòs (At., cap. XVIII). Non certo per caso o senza una ragione precisa che, dunque, Cristo stesso disse di Sé: Ego sum Via Veritas Vita, dove, solitamente, si sottolinea le ultima due parola, ma non certamente la prima… Il senso del Cristianesimo come cammino si è, in linea generale parlando, alquanto perduto negli ultimi tempi. Certo: “La Verità vi farà liberi”, recita la nota affermazione dell’Evangelo, ma se la Verità non sarà un concreto cammino, una “Via”, la Verità rimarrà sterile e non potrà, piaccia o non, andar oltre le affermazioni di principio.
Proprio partendo da tali assunti, non si può fare a meno di sottolineare la grande differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello dei coevi Rabbini, nel novero dei quali, nonostante l’autorevolezza e la “potenza” con la quale Cristo insegnava e dava “segni” (i “miracula”, le cose degne di ammirazione), Cristo non fu mai posto né mai si pose, salvo il titolo onorifico di “Maestro”, che, però, ci dobbiamo guardar bene d’interpretare nel senso del coevo Giudaismo.
Il “rabbi” si poneva sul mercato, per così dire, ed accettava discepoli, i quali stavano con lui allo scopo d’apprendere la Legge rivelata giudaica. Terminato l’insegnamento, terminava la relazione. Vi era una concorrenza nel seguire i “rabbìm” più autorevoli o famosi. Paolo sì che seguì l’insegnamento regolare e comune giudaico della sua epoca: fu, com’è noto, discepolo dell’importante rabbi Gamaliele. Per Cristo, non solo lo scopo dell’insegnamento non era quello di ben conoscere i meandri della Legge giudaica in se stessa, ma piuttosto era quello d’imitare Lui, ma lo stesso Gesù sceglieva i suoi discepoli. Non solo questo, ma Gesù distingueva tra l’insegnamento per la folla, e quello per i discepoli. All’interno di questo novero, si segnalano gli Apostoli. Di nuovo, si sottolinea la disparità e la differenza rispetto al coevo insegnamento rabbinico.
Sicuramente oltre alla Via ed alla Verità, la Vita (“eterna”) è il nocciolo dell’insegnamento di Gesù, la Vita “in se stessa” (zoè), e non la vita come manifestazioni biologiche (bìos). Qui l’insegnamento di Gesù opera una paradossale inversione: la Crux, in Giovanni - a differenza di Paolo – non è il luogo della “kènosis”, ma della “dôxa”, della Potenza-Gloria (kavòd) di Dio che “vince il mondo”, nella prospettiva giovannea.
Questa scena “finale”, sotto la Croce, ha la sua rilevanza, perché Gesù di nuovo inverte le prospettive: Egli prega per coloro i quali lo crocifiggono. Questa stessa inversione “apocalittica”, ovvero “rivelativa” e “rivelante”, si è però già mostrata quando Gesù aveva pregato per i suoi discepoli. Ora, all’epoca era totalmente impossibile che i discepoli pregassero per il loro maestro, era una cosa impossibile a concepirsi. Il contrario, al contrario, accadeva spesso.
Altra cosa da sottolinearsi è che l’ insegnamento di Gesù, il suo “stile”, ben lungi dall’essere “istituzionale” come all’epoca lo era quello dei rabbini, e come lo è oggi quello della Chiesa (come lo è quello di ogni chiesa religiosa), era di tipo che “chetonico”, cioè occasionale, non formale. Si nota, tuttavia, come Gesù ben conoscesse la Scrittura, che citava come un Libro materno, e su questo, da più parti, gli si riconosceva una grande autorità: questo è davvero molto importante da sottolinearsi.
Per sintetizzare: Cristo Gesù fu Maestro di Vita. Fu piuttosto Paolo ad introdurre le preoccupazioni dottrinali. Ma di cosa fu Maestro di Vita Cristo? Della “vita buona”? No, questo termine è insufficiente a denotare il Suo Magistero che fu anche l’opera di una vita. Egli fu, piuttosto, Maestro della Vita Nuova, sì, come la Vita Nova di Dante, un rivolgimento totale, un cambiamento completo di prospettive.
Per Lui i discepoli non sono allievi. Egli insegnava alla sequela, alla sequela di Lui stesso. Egli preparava a dare la propria vita per la Vita eterna.


Parola (e Nome). Tra i titoli di Cristo, il Buon (Bel) Pastore
Quello di “Buon (Bel) Pastore” è un Titolo cristico, un appellativo dato a Gesù Cristo, la cui origine è nella Bibbia veterotestametaria - già nella figura di Mosè vi è, in nuce, quella del Buon Pastore -, ma che, come Titolo applicato a Cristo stesso, acquista inevitabilmente una tutt’altra dimensione.
Nella religione giudaica, Dio crea il mondo con la Parola. La Parola si restringe al Nome di Dio, impronunciabile, che, tuttavia, diventa la pietra miliare di tutta una teoria del linguaggio1. Dio dona all’uomo il suo pneuma, la sua ruàch, il suo spirito, per cui è questo che lo rende “a Sua immagine” (tzelèm), e questo si manifesta nella capacità umana di usare il linguaggio, non con la creatività divina, e tuttavia l’uomo “partecipa” parzialmente di tale creatività, in modo riflesso.
Il Nome divino diventò impronunciabile anche per una serie di abusi magistici2, un abuso che vediamo ritornare, in epoca cristiana, nella costruzione del golem, quest’ultimo essendo dotato di sola “vitalità” legata al nephesh, “la” bìos, l’anima “vital-passionale”, non la “vitalità pura” della nishamàt chaym.
Nel Cristianesimo è Cristo che è la Parola di Dio (Lògos, Gv., Prologo). Egli è anche il Nome rivelato, e per questo i Titoli cristici hanno tanta importanza e non son casuali. Essi sono la rivelazione di aspetti dell’Unica Parola, “che creò il Cielo e la Terra”, il Logos-Cristo.
In altre parole: nel Cristianesimo la Parola di Dio, il Suo Nome si può dire, anzi, si deve dire, anzi nel “Suo Nome” ogni cosa fu fatta e si continua a fare, oltre il tempo, perché non vi fu mai un tempo in cui “non fu” o “non sia”.
Questo è il senso profondo del Vangelo di Giovanni, unito al tema di Cristo “che ha sconfitto il mondo”, recalcitrante ad ammettere questa rivelazione, impossibilitato ad accettare il “Nome Nuovo”, cui fa riferimento anche l’ Apocalisse, dello stesso Giovanni (secondo i dati tradizionali, posti in questione oggi, ma che, tuttavia, non son falsi, se si pensa che l’Apocalisse fosse parto della scuola giovannea).
Anche negli Atti è il “Nome” del Cristo che è il Salvatore, che è il Logos, che è la Parola di Dio: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At. 2, 36).
Ancora: “Il Signore Risorto è lo Spirito datore di vita” (1 Cor. 15, 45).
Ogni “Titolo cristico”, allora, è rivelazione di un aspetto della Parola-Logos, la qual è Cristo stesso. Il Buon Pastore rivela l’Amore del Padre, la sollecitudine verso tutte le creature.
Questa centralità della figura cristica è stato il senso, o un senso importante, del Vaticano II3. Diciamo che, negli ultimi tempi, la centralità della figura del Cristo è quasi passata in secondo piano, piuttosto è la Madonna che sta al centro della scena ecclesiale.
In tal senso, potremmo dire, a proposito del Vaticano II, che taluni nodi fondamentali non sono stati recepiti, o non assunti a dovere, o insufficientemente, in particolare proprio la centralità cristica, l’accento essendo stato posto, anche giustamente, di certo inevitabilmente, sulla presentazione al mondo e sulla necessaria revisione di certi aspetti datati. E tuttavia, non ci si può dimenticare di questo fatto:
«La Chiesa del tempo apostolico si valeva delle Scritture in modo cristocentrico. Si trattava di un elemento essenziale del suo modus vivendi, essendo quindi un elemento appartenente al depositum fidei. Nel tempo attuale, la ripresa e l’indagine a fondo – mediante lo studio del tema dell’ispirazione – della centralità del Cristo nella Sacra Scrittura sono requisiti necessari» 4.
Come si è appena detto, però, non sembra che tale tema sia stato sufficientemente recepito. E lo stesso autore appena citato lo afferma con chiarezza: “La ripresa dell’importanza di Cristo per l’insegnamento sul concetto teologico di ispirazione è stata solamente iniziata. C’è ancora tanto da fare in questo senso. Saranno mai sfruttate le prospettive che indicano il ruolo essenziale di Cristo in questo campo teologico? La risposta è ovviamente un’incognita”5.
Probabilmente questa sarà la frontiera appena immediata della ricerca teologica di qui a breve.


I due sensi del Buon Pastore
Si riflette molto poco sul fatto che, in greco, il “buon” Pastore è anche, allo tempo stesso, il “bel” Pastore perché in greco sono la stessa parola. Si dovrebbe sottolineare questo punto, che si perde nelle traduzioni. Qui “bello” non ha evidentemente che ben poco a spartire con le considerazioni estetiche, ma è la bellezza che rivela “il Volto del Padre” e, in tal senso, si fa simile alla bontà che è Amore.
Essa è la bellezza del “Vieni e seguimi” e dell’attività del Missionario6.
Tale bellezza è l’esternarsi, l’esprimersi della Misericordia di Cristo, che rivela il Volto del Padre7.
“Il Buon Pastore deve essere nell’intimità del mistero d’amore di Dio. La sua gioia è data dallo stupore della corrispondenza vitale con il suo Signore. Ma è così che gli uomini vedono la sincerità e la trasparenza della sua testimonianza”8.
Questo porta, tuttavia, una grave difficoltà, che è lo «spirito di autonomia che dirige la coscienza degli uomini, che deve incontrare. Adamo dal primo momento del suo esistere si allontana dalla presenza del suo Signore e afferma la sua qualità di essere libero. Solo l’inventiva di Dio è in grado di rintracciare l’uomo che si nasconde. (…) Eppure soltanto l’amore salva. (…) Si comprende, allora, che il posto del Buon Pastore è ai piedi della Croce. Il Cristo della Croce è il punto centrale in cui tutte le linee del mondo umano confluiscono, il punto su cui tutto precipita. Il punto che tutto raccoglie e che tiene insieme ogni cosa. Questo punto centrale, in quanto estrema profondità del dolore, è comprensione per ogni uomo e per ogni cosa dell’uomo, perché il dolore è purificazione, il dolore è espiazione, il dolore è liberazione. Ogni essere è connesso al Crocifisso, ogni essere è sorretto dal Crocifisso, ogni essere viene riempito di vita dal Crocifisso, ogni essere viene salvato dal Crocifisso: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv., 12-, 32). Il Buon Pastore è il crocifisso della storia, che rifonda per gli uomini mortali “la speranza piena d’immortalità”, perché egli è colui che ama e l’amore non viene mai crocifisso. Rimane vivo ed assoluto per donare la vita eterna ad ogni uomo»9.
In tal senso, quest’Amore che “non può esser crocifisso” è non solo “buono” di una bontà sovrumana e divina, ma rimane “bello”. Il Buon Pastore, assiso sulla Croce, non perde mai la sua bellezza (con buona pace di M. Gibson e di tutta una visione penitenzialistica…), perché non è un mero uomo posto sul supplizio della Croce, ma ben altro.
Il sacrificio ed il dolore, per il Buon pastore-Cristo, non sono mero dolore ma sono piuttosto l’essere innalzato, sono un evento di vittoria, sono il c capovolgimento della “logica” di questo mondo. In tal senso, la Croce è “buona” e “bella” al tempo stesso. Purtroppo gli uomini hanno troppo spesso visto in tutto ciò un mero fatto di dolore, del quale si son caricati, come se avessero potuto “aggiungere” al dolore di Gesù del proprio. Ogni dolore che l’uomo possa subire tutt’al più è “partecipazione” a quello del cristo, e non vi aggiunge nulla. Ed ogni dolore che diventi salvifico non lo è in quanto tale, ma solo, e soltanto, a misura che il Cristo v’intervenga e lo purifichi e lo assuma su di Sé, come il Buon pastore che va in cerca pure dell’ultima delle pecorelle, il che ha una logica del tutto paradossale. Quale pastore reale, concreto, storico, sacrificherebbe mai l’intero suo gregge per una misera pecorella?


Aspetti. Kènosis e Pax
Parlare di tutti gli aspetti del “Buon Pastore” è davvero difficile. Qui ci si concentrerà solo su due aspetti: la “kènosis” e la “Pax”, la Pax Christi, collegata direttamente alla figura del Buon Pastore.
In altre parole, gli aspetti del Buon pastore sono un’ulteriore specificazione del Titolo di Buon pastore, che, a sua volta, non è altro che la rivelazione di un lato, di una spetto del Logos-Cristo in “Sé Stesso”.
La scelta dei due aspetti nasce dal fatto che mi hanno più colpito, ed inoltre dal fatto che sembrano paradossali (sul lato missionario si è già detto, in estrema sintesi, nel capitolo immediatamente precedente).
La “kènosis” è la dimensione di allontanamento, il “diminuire” e l’allontanarsi che Dio fa per avvicinarsi all’uomo.
La “kènosis” è la Croce, essa è l’apparente “negarsi” di Dio che è la cagione della ricerca stessa, ed è la ragione profonda della vittoria di Cristo sul mondo. Proprio perché si abbassa Cristo è innalzato: paradosso incomprensibile al mondo con le sue logiche inverse, dove abbassare gli altri è al chiave di volta di ogni azione che ha successo.
In tal senso, tale dimensione “kenotica” richiede una libera risposta da parte umana, ed è la fede.
Punto decisivo è il render presente il tempo della salvezza avvenuto, non “da venire” chissà quanto, ma già presente. Certo imperfetta, incompleta, e tuttavia non falsa: è il tempo del già ma non ancora completo, il tempo delle primizie e non del raccolto. Ma le primizie avvengono forse in inverno o non è già primavera? Certo, ripetiamolo, non è il tempo del raccolto finale, il giugno dello spirito, ma è già qualcosa di vero, di attualmente prendete ed operante.
Ecco il senso pieno del Buon (Bel) Pastore, al di là ed alla radice di tanti aspetti e specificazioni ulteriori successive.
E che cosa va predicendo in effetti il Buon pastore?
Qual è l’essenza di ciò che annuncia, al di là dei tanti aspetti, ulteriori?
Il Buon Pastore predica la Pace. Questa è l’essenza vera ed imperitura di tutta la sua predicazione, anzi, l’essenza di ciò che è. Pace fra uomini in base alla Pace tra uomo e Dio, che è la struttura portante della successiva pace umana.
Non vi è, infatti, pace umana possibile senza una Pace con Dio: questo il Buon Pastore lo sa, nella sua stessa carne.
Questo perché “La pace è il Messia10, è la sua natura profonda, sostanziale.
Kènosis et Pax, un binomio inscindibile, come morte e risurrezione.
Proprio perché c’è stata la kènosis vi è la pace, e l’effetto della kènosis è la pace, così come la pace, per poter perdurare, richiamerà sempre la kenosis.
Ben lungi dall’essere un accessorio secondario, o una mera conseguenza incidentale ed accidentale, la Pax è la compagna necessaria della kènosis. La kènosis è la compagna necessaria della Pax.
In altre parole, non vi può essere l’una senza l’altra, in un’ottica autenticamente cristiana. La discesa e l’allontanamento son volti al ritrovamento di una Nuova Alleanza, che è, in se stessa, la Pace che promette, che è, in se stessa e sempre nel rispetto della libertà umana, la Pietra Miliare di tutto l’edificio successivo.



Bibliografia

Fonti
Scritturali
La Bibbia di Gerusalemme, Nuovo Testamento vol. XII, Lettere di San Paolo II Lettere cattoliche - Apocalisse, commento di Gianfranco Ravasi, Corriere della Sera, Milano 2006.

Libri
Andrade Alves C., Ispirazione e Verità. Genesi, sintesi e prospettive della dottrina sull’ispirazione biblica del Vaticano II (DV11), Armando Editore, Roma 2012.
Nogaro R., Il Buon Pastore. Note di spiritualità pastorale, Diocesi di Caserta, 2006-2007.
SCHOLEM G., Il Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi, Milano 2010.

NOTE

1 Cf. G. Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabalistica del linguaggio, Adelphi, Milano 2010.
2 Cf. Ibid, p. 35 e sgg.
3 Cf. C. Andrade Alves, Ispirazione e Verità. Genesi, sintesi e prospettive della dottrina sull’ispirazione biblica del Vaticano II (DV11), Armando Editore, Roma 2012.
4 Ibid., p. 388.
5 Ibid..
6 Cf. R. Nogaro, Il Buon Pastore. Note di spiritualità pastorale, Diocesi di Caserta, 2006-2007, p. 42 e sgg.
7 Cf. Ibid, p. 47 e sgg.
8 Ibid, p. 49.
9 Cf. Ibid, pp. 49-50.
10 Ibid, p. 32; corsivo di Nogaro.


[Andrea A. Ianniello] 

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