lunedì 3 giugno 2024

Reminder 21

 

 

 

 

 

 

«Non ragionate!»

Federico II [di Prussia] ai suoi soldati”.

P. VIRILIO,  Velocità e politica. Saggio di dromologia, Multhipla Edizioni, Milano 1981 (edizione originale francese: 1 9 7 7!), p. 69, corsivi in originale.

 

«Il rischio ma nel comfort!»

Maresciallo Göring”.

Ivi, p. , corsivi in originale. Pare detta oggi …! Il cosiddetto “rischio” nucleare, sì, ma nel comfort! La vita deve sembrare andare come al solito, solo i prezzi sempre più alti, però intanto il mondo deve passare, secondo “certe” forze,  dalla IIIª guerra mondiale “a pezzi” alla IVª con uso di nucleare, ma senza problemi, nel sostanziale (come si diceva in Impolitiche …) consenso … NO! Ni > sì, un “Iter” tanto noto.

E ricorrente …

 

«La sicurezza non si divide».”

M. Poniatowski, 4 marzo 1976”.

Ivi, p. 103, corsivi in originale. Pare detta oggi …!

 

«Potere fare un’insurrezione

proletaria a condizione che gli altri

diano l’ordine di non sparare,

se vi mettono avanti due battaglioni

di carri armati la rivoluzione proletaria

o niente sono la stessa cosa …»

André Malraux, Conversazioni”.

Ivi, p. 85, corsivi in originale. Ho già condiviso questa frase, posta, nel libro citato, in calce al capitolo significativamente intitolato: “La fine del proletariato” (ibid., grassetti in originale). Nel lontano 1 9 7 7 (data di pubblicazione originale del testo) questo ERA già CHIARISSIMO … Ma, dunque, a che gioco si gioca, davvero …?

Qual è la vera – VERA EH! – “posta in gioco”? Non certo quella che viene pubblicamente detta, sennò queste cose non avrebbero alcun senso ed avrebbero ragione quelli che dicono che siamo guidati da pazzi.  Direi piuttosto da pupazzi, che seguono delle “agende” stabilite altrove, da delle forze “altre” per così dire.

 

Lo scopo, la ragion d’essere del dispotismo illuminato sono la prosperità e la grandezza dello Stato. Ma come realizzare tutto ciò? […] Incrementando l’industria e il commercio? Sì, certo. Ma niente è più vantaggioso di una bella guerra, intrapresa a colpo sicuro […]. L’esercito è un investimento, dal quale Federico intende ricavare il più alto interesse. Nelle Memorie a valere per la storia della casa di Brandeburgo, il rimprovero essenziale che fa a suo padre è di non aver fatto fruttare per niente la forza che aveva creato”.

P. GAXOTTE, Federico II di Prussia, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1990, Saggio Introduttivo di Gaxotte, p. 97, corsivi in originale, grassetti miei.

 

Tutto ciò che abbiamo detto trova la sua giustificazione nell’esercito. Lo Stato brandeburghese-prussiano è costruito per l’esercito e in funzione di esso. Non è forse esagerato dire che è un esercito che possiede uno Stato e non uno Stato che ha un esercito. […] Il re è il primo tra gli ufficiali, come è primo tra i nobili. Indossa sempre l’uniforme, sebbene un tempo, da ragazzo, amasse tanto vestir bene, ora riesce con gran fatica, una o due volte l’anno, a togliersi di dosso la gli stivali e la divisa per assistere la ballo di Carnevale […] ma, alla fine, finirà per sopprimere la festa da ballo”.

Ivi, p. 93, corsivi e grassetti miei.

 

Le guerre civili in Russia, soprattutto la divisione di quella monarchia, sarebbe la cosa più favorevole che possa accadere per la Prussia e per tutte le potenze del Nord”.

Ivi, dal Testamento Politico di Federico II di Prussia, p. 339, grassetti miei.

Certe cose NON cambiano, NON è vero? …

 

Appunto Tamerlano rese possibile ai Russi di scuotere il giogo mongolico”.

H. LAMB, Tamerlano, Enrico dall’Oglio Editore, Milano 1962, p. 171, in nota.

 

Vitoldo fuggì a spron battuto con i superstiti nobili lituani, lasciando morti sul campo i due terzi dei suoi uomini. Tra i caduti v’erano il prode conte palatino di Cracovia e i prìncipi di Smolensk e di Galizia. L’inseguimento [da parte “tatara” o “tartara”, nota mia] fu condotto, con terribile accanimento [i “tartari” erano ben noti per questo, ma già gli Unni; nota mia]. Fino al Dnieper [oggi Dnipro]. Kiev dovette riconoscere la sovranità dei Tatari e pagar loro tributo [“riconoscere” la “sovranità”, in ancien régime, consisteva in sostanza nel pagare un tributo; nota mia]; né essi tornarono indietro prima di aver devastato le terre di Vitoldo fino ai confini con la Polonia.

Questa battaglia [cioè quella del duca Vitoldo di Lituania, con i cavalieri lituani e polacchi, allora il governante più potente dell’Europa orientale, che attaccò i “Tatari” e ne fu sconfitto; nota mia], che nei manuali di storia passa generalmente ignorata, produsse notevoli mutamenti nel corso delle vicende europee. La sconfitta dei Polacchi e dei Lituani eliminò i più grandi nemici dei Russi, i quali li temevano ancor più dei Tatari. Nella sua ritirata, inoltre, Vitoldo s’avventò sulla Prussia e sui Cavalieri Teutonici, spezzando per la prima volta — in unione con il re di Polonia — la loro potenza”.

Ivi, pp. 335, corsivi e grassetti miei. Per tornare la fatto che l’indebolimento della Russia è costante tendenza delle cosiddette “potenze del Nord”. Salvo i Cavalieri Teutonici, chiaro. Per cui dovremmo correggere: costante tendenza delle – cosiddette “potenze del Nord” qualora “nazionali”

 

«Il mondo — diceva Taragai a suo figlio — è un vaso d’oro pieno di scorpioni e serpenti. Io ne sono stanco»”.

Ivi, p. 22.

 

Per i suoi contemporanei, anche per i suoi nemici, Federico fu un principe col quale potevano conciliarsi le loro idee di grandezza: i suoi progetti avevano un andamento rettilineo. E contro un principe come lui, anche se se ne percepiscono gli errori, non si combatte con ogni mezzo né fino alla morte”.

E. JÜNGER, Il nodo di Gordio in E. Jünger – C. Schmitt, Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente ed Occidente nella storia del mondo, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 83-84. [1]

 

Siamo ormai entrati nella situazione prevista molto tempo fa da Toqueville. L’Oriente e l’Occidente hanno cominciato a  spartirsi il mondo: l’Oriente sotto l’egemonia della Russia. L’Occidente sotto quella degli Stati Uniti. L’uomo della strada durante le crisi non parla d’altro in tutto il mondo. […] Ci si aspetta l’ultima, apocalittica resa dei conti. Tuttavia, se guardiamo indietro ai millenni che ci stanno alle spalle, a tutte le tempeste sopportate dai popoli, pare strano che le frontiere non si siano spostate che di poco e che, sempre, si sia ristabilito l’equilibrio. […] Viene quindi naturale dubitare se si arriverà mai ad una fine, ad una decisione. Soprattutto, la violenza non sarebbe comunque sufficiente [ma è la via che hanno scelto …, nota mia]. Tuttavia non se ne può trarre un’argomentazione contro la profezia d’uno Stato mondiale. La cui necessità sembra diventare più urgente [vi sarebbe di che dirne, comunque questa posizione ricorda quella di A. Kojève, e rimane in realtà un’idea molto ma molto “novecentesca”]”.

Ivi, p. 124. Fa specie rileggersi oggi tali parole, del 1953 … [2]

 

«La sorpresa è l’essenza stessa della guerra».

Sun Tse”.

P. VIRILIO,  Velocità e politica. Saggio di dromologia, cit., p. 113, corsivi in originale.

 

 

 

 

 

Rileggersi tal testo (di Virilio), a tanti anni di distanza, è senza dubbio interessante. Nella parte finale, dopo aver studiato l’accelerazione della velocità come “chiave” del “dominio dell’Occidente”, alias “la diplomazia della cannoniere” , il mare, infatti, il “libero mare” della forza dell’ “Occidente” MODERNO è stato concausa e MARCHIO –, poi divenuta “contagio mondiale” da parte della “velocità dell’ ‘Occidente’”, parla della velocità e dell’uso del nucleare, apparentemente senza legami, ma invece con legami profondi. Senza dimenticarsi dei cambiamenti avvenuti grazie al processo di accelerazione continua. Ed ecco – appunto – la fine del proletariato e la trasformazione del “comunismo” in moto di massa, in moto **delle** masse (fatto consapevole in Mao!), in “velocità di moto” della massa. Logicamente per quanto lontana la cosa potesse apparire nel 1977, la cosa doveva condurci a questo. L’ “implosione” dell’ “America” – di cui si è detto qui su da tempo (ed **anche** se n’è detto in Impolitiche) – si è volta in esplosione globale: l’America ha portato il mondo all’esplosione. Peraltro, anche in fisica l’implosione genera un’onda esplosiva: è un fatto questo. Non credo, tuttavia, che abbiamo raggiunto ancora l’ “entità”, la potenza, della “forza-esplosiva-generata-da-implosione” che “certe” forze (per così dire “verdoline”, o, per dir meglio: “VERDASTRE” …) “desiderano” …

Vari segni concordi attestano – ma pure questo l’ho scritto – che “NON è ancora finita” … Ma torniamo a Virilio.

Dopo aver fatto questo studio sull’ “accelerazione” – cioè: velocità crescente – come fattore politico decisivo, Virilio parlava dello “stato d’emergenza” come stato perenne: in questo fu preveggente. Ma l’inseriva dentro quella che chiamava la lotta “guerra del tempo”, P. VIRILIO, Velocità e politica, cit., p. 101, grassetti in originale. Ricordava gli episodi vari, del 1962 e, meno noto, del 1967, quando, durante la Guerra dei Sei giorni, un incidente che implicò l’uso di caccia americani poteva indurre i russi a credere ai preparativi d’un attacco nucleare, ma la linea diretta fra Washington e Mosca evitò l’equivoco: ma oggi tale linea non c’è più! Son rimasti solo contatti ufficiosi. Mosca è stata espulsa dall’ “ordine legale (‘occidentale’)”, quella legge che si è proclamata “l’unica del mondo” dalla Guerra del Golfo (come ne scrisse Asor Rosa illo tempore, due più due fa quattro, tout se tient come dicono “lè fransè” …).

Ma ci son altri passi molto interessanti, che mi limiterò però qui solo a rievocare senza poterli approfondire – ché dovrei scrivere un piccola saggio o una recensione lunga del testo di Virilio –, eccoli: cf., ivi, p. 100; cf., ivi, p. 104 e pp. 105-106; tutti fenomeni che rientravano, sempre secondo l’autore citato, in questo: “Dallo stato di assedio nello spazio, allo stato d’urgenza della guerra del tempo non sarà alla fine necessario attendere che pochi decenni [ed è stato così!, nota mia], durante i quali l’era degli uomini di stato sparirà a vantaggio di quella, apolitica, dell’apparato statale. […] In questa fine di secolo [parole scritte nel **1 9 7 7**] il tempo del mondo finito si compie, e viviamo gli inizi di una paradossale miniaturizzazione dell’azione, che altri preferiscono battezzare automazione”, ivi, p. 110, grassetti in originale, corsivi miei. Ancora questi: cf., ivi, pp. 113-114.

Due passi li riporterò, invece, in maniera esplicita: “Due anni fa Alexandre Sanguinetti scriveva: «Diviene sempre più inconcepibile costruire dei bombardieri che costano, con i pezzi di ricambio, diversi miliardi di vecchi franchi ciascuno, per trasportare delle bombe capaci di distruggere una stazione di campagna. Il rapporto costo-efficacia non è assicurato». Questa logica della guerra pratica, per cui il costo delle prestazioni del vettore (aereo) porta automaticamente con sé l’estensione della sua capacità di distruzione, con l’esigenza del trasporto di un armamento nucleare tattico [NB], non è limitata all’aereo d’assalto, essa diviene anche la logica dell’apparato statale [NB]. Questa retroazione è la conseguenza della produzione dei mezzi di comunicazione della distruzione: il pericolo dell’armamento nucleare e del sistema di armi che esso suppone non è tanto che esso esploda, ma che esista ed imploda nelle mentalità”, ivi, p. 126, grassetti in originale. Ed È IMPLOSA “nelle mentalità”, è un fatto. Difatti: “disarmare oggi significherebbe prima di tutto decelerare, disarmare la corsa verso la fine. Qualunque trattato che non limitasse la velocità di questa corsa (la velocità dei mezzi di comunicazione della distruzione) non limiterebbe maggiormente gli armamenti strategici […]. Come scriveva il generale Fuller: «Quando i combattenti si lanciavano dei giavellotti, al velocità iniziale dell’arma era tale che ci si poteva accorgere della sua traiettoria e pararne gli effetti con lo scudo, ma quando il giavellotto fu sostituito dalla pallottola la sua velocità era così grande che la parata fu resa impossibile …»”, ivi, p. 116, grassetti in originale, corsivi miei. “I blocchi antagonisti possono abbastanza facilmente proscrivere la prospettiva di guerre batteriologiche, geodesiche, meteorologiche. In realtà ciò che è in causa attualmente [di nuovo lo è, lo è sempre stato in realtà; nota mia] […] non è più l’esplosivo ma il vettore, il vettore di trasporto nucleare, o più esattamente ancora le sue prestazioni. La ragione è semplice: laddove le deflagrazioni dell’esplosivo (molecolare o nucleare) contribuivano a rendere lo spazio inadatto all’esistenza, sono adesso quelle dell’implosivo (veicoli vettori) che riducono a nulla il tempo di agire e politicamente quello di decidere. Se più di trent’anni fa [scritto nel 1 9 7 7] l’esplosivo nucleare ultima il ciclo delle guerre dello spazio, in quest’ultima fine di secolo l’implosivo (al di là dei territori invasi politicamente ed economicamente) inaugura la guerra del tempo. […] Bisogna arrendersi all’evidenza: oggi la velocità è la guerra, l’ultima guerra”, ivi, p. 117, grassetti in originale, corsivi miei. E qui si capisce la ragione della “guerra in Ucraina”: il punto dirimente sta sempre nella velocità. La Nato ha necessità – secondo loro “vitale” – di porre armamenti nucleari in Ucraina per bloccare il vantaggio DI VELOCITÀ posseduto dai vettori nucleari “strategici” della Russia, così veloci che non possono esser fermati (lo dice la Nato stessa). Di conseguenza, ponendo armi nucleari direttamente a così breve distanza dalla Russia – ma è inevitabile che la Russia consideri ciò, a sua volta, un pericolo “vitale” –, ne annulla, per così dire, il vantaggio in termini di DI VELOCITÀ. Siamo sempre in quella che Virilio chiamava: “guerra del tempo”, la guerra, in poche parole, a chi è “più veloce”, la velocità essendo l’unica variabile che può assicurare una – illusoria, noi lo sappiamo, ma chi oggi è decisore apparente non lo sa o fa finta di non saperlo ed è convinto che sia possibile “vincere” in un conflitto nucleare – supremazia sull’avversario. Son convinti della proporzione o proporzionalità fra gli scopi – politici o para politici che essi siano – che intendono conseguire e i mezzi che vogliono usare: il nucleare cosiddetto “tattico”, e cioè reso più “buono” e più “ammansito”, ridotto di forza (illusione: una bomba nucleare “tattica” è più potente di quella di Hiroshima, che, al tempo, era “strategica”). Come diceva lo stesso Anders nel 1 9 6 3!, in tal caso non vi è alcuna proporzione fra mezzi e fini; non solo, ma la bomba nucleare NON È un “mezzo” (e qui siamo nel totalmente incomprensibile per i nostri contemporanei, né c’è modo di farglielo capire, diciamo “fattore ‘X’” per loro, chiamiamolo così e facciamo prima).

 

Come diceva Sun Tse: «le armi sono degli utensili di malaugurio», esse sono innanzitutto temute e temibili come minacce, e questo ancor prima d’essere impiegate. Il loro carattere “pericoloso” si scinde in tre componenti:

- la minaccia delle prestazioni al momento della loro invenzione […]

- la minaccia della loro utilizzazione contro il nemico

- l’effetto del loro impiego mortale  per le persone, distruttivo per i beni. Se queste due ultime componenti dell’arma sono sfortunatamente conosciute, e sperimentate da molto tempo, la prima invece, il malaugurio (logistico) dell’invenzione delle loro prestazioni, è generalmente meno percepito ed è tuttavia a questo livello che si pone al questione della dissuasione: si può persuadere un avversario dall’inventare nuove armi o dal perfezionarne le prestazioni? assolutamente no. […] La minaccia d’impiego (seconda componente) dell’arma nucleare, impedisce il terrore dell’utilizzazione effettiva (terza componente), ma perché la minaccia persista e permetta la strategia della dissuasione bisogna sviluppare il sistema di minaccia che caratterizza la prima componente […]. Si tratta, chiaramente, della sofisticazione perpetua dei mezzi di combattimento […]. Se le armi antiche dissuadevano dall’interrompere il movimento in corso, bisogna arrendersi all’evidenza, le nuove armi dissuadono dall’interrompere la corsa agli armamenti e in più esse esigono, nella loro logia tecnologica (dromocratica), lo sviluppo esponenziale non più del numero degli ordigni di distruzione, essendosi la loro potenza accresciuta […], ma delle loro prestazioni globali. […] L’equilibrio del terrore non è dunque che un’illusione allo stadio dell’industria delle guerra”, ivi, pp. 123-124, grassetti in originale.

 

Tutti questi passi danno l’idea – esplicita – che quel che certi ambienti han progettato decenni fa è alla base del nostro presente. E, senza una consapevolezza, esatta e precisa, di tali basi, la “critica” del presente non ha “mordente”, non interpella: “IS FUTILE”.

 

Per NON CONCLUDERE: “Dopo il tempo della relatività politica dello Stato, mezzo non conduttore, abbiamo l’assenza di tempo della politica della relatività. La scarica completa temuta da Clausewitz si realizza con lo stato di emergenza”, ivi, p. 127, grassetti in originale, corsivi miei. Ecco perché lo stato di emergenza perenne” fa parte della natura profonda del System attuale, che non poteva che andarci, la “pandemia” essendo stata una prova, che ha dato loro i risultati voluti, per poi passare alla guerra, e cioè IL VERO “stato di emergenza”, che si sta pure accrescendo peraltro. Han visto che le resistenze potevano esser manipolate ponendo uno spaventapasseri – i “vaccini”, per esempio – e quindi hanno capito che il cammino era dunque aperto: non vi sarebbero state resistenze reali, significative. Si poteva procedere. Ed hanno proceduto.

 

Penso che quel che scriveva – nel lontano 1977 – Virilio, come radicalità, superi di gran lunga qualsiasi cosa che possa leggersi e che sia scritta oggi, come se, all’inizio dell’epoca della “sicurezza ‘indivisibile’” e dell’assenza di margini di tempo decisionali, si potesse veder meglio e di più di quanto, definitivamente ormai entrati dentro una tale orrenda epoca, non ci sia più possibilità di “visione”. Ciò è, peraltro, molto comprensibile: le cose si susseguono sempre più spedite, rotolano giù, precipitano sulle teste, le pseudo decisioni sono già scritte, gli pseudo “no” fanno solo ridere, le cose avvengono, il meccanismo pseudo decisionale – come già ben aveva capito Anders (nel 1 9 6 3!) – impedisse d’impedire la deriva.

Nella quale siamo. Domandina: Stiamo andando vero la “scarica completa” di cui parlava Clausewitz? Ovvero si va verso la “Presa del potere da parte di Luigi XVI(Rossellini, 1966), ovviamente IN UN SENSO DEL TUTTO DIVERSO? Cioè si va dallo “stato d’emergenza” (perenne) allo “stato d’eccezione”?

Andrea A. Ianniello

 

 

 

[1] L’errore di Jünger – ma il testo originale suo è dell’ormai lontano (non poi così tanto …) 1953 – sta nel dire che Hitler era come “orientale”, come Tamerlano – non del tutto sbagliato, ma così si fa di Hitler – prodotto “finale” del “nichilismo realizzato” (cioè consapevole) dell’Occidente – un “orientale” così non facendo vedere dove quella deriva prende le sue radici – nel nichilismo occidentale, per cui è profondamente diverso anche se, questo è vero, ha delle similarità di “modalità” (nelle campagne orientali, appunto, in Russia, ma, con la Shoah, cambia qualitativamente tutto). Si è quindi esaurito, e Jünger a quel tempo, evidentemente, non lo vedeva, il cosiddetto “genio” occidentale “della legge e delle forme”, questo è – anzi: era! – secondo Berdjaev. Si può alterare la legge dall’interno. Si possono modificare le forme dall’interno senza obliterarle del tutto, anzi mantenendo certi aspetti di facciata: in tal modo il dominio non si vedrà tanto evidentemente (ma ciò non significa non vi sia, solo significa che si usano altri mezzi, tutto qui). Oggi la “libertà” è divenuta strumento di dominio. Una cosa che le “idee occidentali” non possono percepire; non è la “libertà” che si oppone all’alterazione della libertà stessa. E difatti, la “critica” fatta nel nome di “libertà, libertà” è, nella sua sostanza, debole. Prima cosa, sarebbe da capire la posta in gioco che, come si è detto, non è detta. “Personalmente” penso che non sia pubblicamente “dicibile” (non perché particolarmente “scandalosa” ma, invece, perché non avrebbe gran senso per il pubblico). Ecco perché non viene detta. Il “non ce lo dicono” dei “complottisti” fa solo ridere: perché, se fosse “detta”, il signor “complottista” crede davvero che lui la “capirebbe”? Ho qualche, serio, dubbio “a tal proposito” …

 

[2] Così termina(va) Jünger, illo tempore: “Alla distruzione di Gerusalemme ad opera d’un imperatore occidentale seguì la conquista di Roma da parte dell’Oriente, che ebbe poi la sua conclusione, quattrocento anni più tardi, con il concilio di Nicea. Dati di questo genere fanno fallire le previsioni che si ricavano dai calcoli relativi a rapporti di forza. Ci rimandano all’imponderabile, a quella sostanza che, in modo misterioso, mantiene in vita il mondo”, ivi, p. 126, grassetto mio. La questione “7 t.”, però, milita contro il “ristabilirsi dell’equilibrio” …

 

 

6 commenti:

  1. Riguardo la seconda nota, apparentemente off topic: Jünger si esprime così forse perchè in Costantino sembrano convergere tutti i poteri e i "titoli" sia da una parte che dall'altra (?). Proprio riguardo ai titoli, mi ricordo di aver letto quasi sicuramente sul blog di un imperatore bizantino che "cedette le chiavi del Pantheon" al vescovo di Roma, a proposito della "legittimità" del suo titolo, ma mi sfugge proprio il nome. Puoi farmelo presente, se ti sovviene? Se invece l'ho letto altrove, pazienza...

    (P.S.: Da adesso userò un altro nome sul blog. Quello presente è già troppo in uso in altre sedi. Sarò immediatamente riconoscibile dall'avatar)

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    1. Per prima cosa: hai scelto un bel nome … (“nomen omen” …) … Poi quell’imperatore si chiamava Foca(s) [Phòkas] – ci metto la “esse” a “Foca(s)” perché sennò è omofono all’animale (la foca, per l’appunto) –, purtroppo la lingua italiana semplifica sin troppo (ha perso tutte, ma dico tutte, le desinenze consonantiche del latino: complimenti …!) ed è sin troppo povera foneticamente: il risultato è che ci son tanti omofoni, ed inutili. Fu dato il Pantheon in “gestione” (si direbbe **oggi**!) al vescovo di Roma, al papa, come “praefectus urbis” e questo perché ormai Costantinopoli, sotto la cui formale sovranità Roma era restata, diversamente dalla gran parte del resto d’Italia, Costantinopoli era troppo lontana e non poteva più direttamente “gestire” il “demanio” cioè il patrimonio pubblico. L’essere “praefectus urbis” costituì il nucleo del successivo “potere dei papi” ed il “segno” di questo ruolo è quella donazione, che rende legittimo, su base imperiale, il ruolo del papa, ruolo che poi si accrescerà moltissimo, vero, ma il nucleo è quello. Ci saranno poi tante vicissitudini, ma il nucleo è quello.. ed è per questo che il Pantheon, trasformato in chiesa, praticamente rimane come l’edificio che ha mantenuto una continuità piena con l’antica Roma, credo sia tra i pochissimi. Ha subito piccoli cambiamenti nel corso della storia, ma credo sia l’edificio che possa vantare la più lunga continuità da quel tempo.








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    2. Cf.
      https://associazionefederigoiisvevia.wordpress.com/2024/06/04/e-k-b-e-ein-kleiner-beaubourg-effekt/






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  2. Loro vogliono mettere testate nucleari in ucraina, e i russi minacciano di farlo a cuba ... Perora è solo minaccia.

    Ma oggi nulla è più solo una “minaccia” ...









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    1. Si tratta della “guerra del tempo” che continua: con le atomiche in ucraina annullano il vantaggio dei vettori russi, ma, se i russi mettono vettori nucleari a cuba, annullerebbero quel vantaggio nucleare - eventuale - che il far entrate la ucraina nella Nato comporterebbe.
      Naturalmente, per me queste sono cose del tutto sbagliate alla radice, ma è solo la mia opinione, anche se penso che anche altri vedano la dissennatezza di questa politica. In più, però, in questa deriva vedo la totale “débacle” umana.
      Inoltre questi non han capito chi è stato Hitler, per questo vi è la stucchevole “reductio ad Hitlerum” di cui vien “gratificato” chiunque si opponga agli Usa. Ma, piaccia o non, Hitler è stato una cosa diversa. Ed anche la “Shoah” - piaccia o non - in realtà non trova paragoni con altre, ben note manifestazioni della ferocia umana, che nella storia si è vista tante, ma tante volte peraltro. Invece la Shoah si è vista una volta sola.





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  3. Lea rmi nucleari in Ucraina per ovviare ai vettori russi troppo veloci - la guerar del tempo - ed ecco che la Russia fa esercitazioni a Cuba - semrpe fatte però in questo contetso è diverso - per dire: se armi nucleari poste in Ucraina (la vera intenzioen della Nato, cioè americana, poiché la cosiddetta Euiopa vale zero), armi a Cuba. Si annulla così il vantaggio che armi nucleari poste in Ucraina darebbero alla Nato (vale a dire alla parrte americana, poiché Europa = 0).
    La guerra del tempo (Virilio) continua.







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