“Questa è l’informazione: non un modo di comunicazione e di senso, ma una sorta di emulsione incessante, d’input-output e di reazioni a catena comandate, esattamente come nelle camere atomiche di simulazione”.
J. BAUDRILLARD, All’ombra della maggioranza silenziose, Cappelli editore, Bologna 1978, p. 20, corsivi miei.
“Oggi bisogna produrre i consumatori, bisogna produrre la stessa domanda, e questa produzione è infinitamente più costosa di quella delle merci”.
Ivi, p. 32 (si noti: frasi del 1978 …!), corsivi miei.
“Se attualmente tutti i lavori si allineano su un’unica definizione, è su quella del lavoro-servizio, su questa categoria bastarda, arcaica, non analizzata, e non su quella classica, e supposta universale, del lavoro salariato proletario”.
ID, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, p. 20 (tutto ciò È AVVENUTO, è il NOSTRO PRESENTE, non vien visto, non viene percepito come una cambiamento qualitativo – cioè di “modello” – per cui si continua a ragionare come se si fosse in un’altra epoca, effetto di straniamento peraltro tipico della “nostra” epoca, quella dell’ IRREALE tempo “REALE”, che non è altro che un tempo digitale, cioè accrescimento dell’effetto di ASSENZA di SENSO che il profluvio d’ “informazioni” genera inevitabilmente).
Proseguiamo questa discussione, che si è sinora sviluppata fra post e commenti, discussione “sparsa”, cioè, ma è proprio come vogliono sia il mezzo usato sia i “nostri” pseudo magnifici tempi.
Direi poi questo: secondo Vallée un’azione di tal genere (il “rinforzo”) – che lui studiava al riguardo del fenomeno UFO – può esercitarsi dentro una società **SE e solo SE** essa – quest’azione cioè – può fornire di sé delle immagini sempre cangianti, cioè, in poche parole, quasi essere “camaleontico”, cangiante, mutevole. **Come questo genere di movimenti** … La loro natura mutevole, “camaleontica” (per così dire) non è, dunque, un fenomeno casuale, passeggero, e “poi” diverrà un movimento “comune” (nel qual caso perderebbe immediatamente la sua capacità d’influire, “riassestandosi” nell’ambito dei cosiddetti “populismi” che, una volta giunti al comando in qualche modo, sempre in qualche modo tendono a riallinearsi); no: la sua natura cangiante, mutevole, dispersa, plurale, ne fa parte in maniera sostanziale, caratteristica, costitutiva. Per questo esercita un influsso nella società in genere. Questa natura camaleontica – che però ne attesta l’origine, per chi ha occhi per vedere – la si è cominciata a vedere nell’arena sociale con i cosiddetti “gilè jeune” (so che è “jaune” …), cioè un primo fenomeno che veniva fuori dal tipico populismo, populismo che **NON È** un “incidente di percorso” della democrazia quanto una sua **modalità perenne** di degenerescenza, e ciò va ricordato sempre (una democrazia “acefala” tende, per contrasto, a generare fenomeni “populisti”). Quindi è in Francia che si è verificata tale liaison dangereuse: di lì si è di seguito diffusa, ed è poi esplosa nei vari movimenti “anti” qualcosa e “no qualcosa”, che oggi **predominano**, di fatto – di qui un cambiamento notevole del cosiddetto “paesaggio sociale” –, e son quasi l’ unico fattore di **pseudo** dissenso.
Non è dissenso reale per due motivi: 1) il meccanismo fondante risulta simile a quello del capitale, l’ “autoreferenzialità” di base (A=A, “il vaccino viene dal diavolo ‘dunque’ il diavolo è dietro il vaccino” (se non si dice di più, che il diavolo “‘è’ il vaccino”); 2) agisce “cyberneticamente” nel senso della regolazione sistemica, poiché il consenso diventa inevitabile, a questo punto, rispetto all’ inconsistenza delle obiezioni fatte da costoro e rispetto al fatto che il “no” viene prima di ogni altra cosa, quindi **NON È** modificabile (in pratica: è un no “a prescindere”). A questo punto è difficile che chiunque abbia un briciolo di buon senso possa evitare di schierarsi col sistema. Quest’ultimo ha “necessità di” un “sì” e un “no” – e ben lo capì Baudrillard alla fine degli anni **Settanta** del secolo **scorso** –, cioè **deve**, avere un “SÌ” e un “NO”, sennò s’inceppa. Il problema del “System”, allora – di nuovo: come ben capì Baudrillard alla fine degli anni **Settanta** del secolo **scorso** –, è che qualsiasi cosa tu dica, e soprattutto quando tu creda di “opporti”, sei al massimo dentro le logiche fondanti del Sistema stesso, al quale *credi* di opporti perché “dici no”, “no” del qual esso ha necessità. Infatti, per il sistema – di nuovo: come ben capì Baudrillard alla fine degli anni **Settanta** del secolo **scorso** –, è il “sì ‘a prescindere’” che lo rende “superfluo” perché ne mostra la sostanziale falsità, la sua natura costitutivamente “autoreferenziale”. Ne mina le basi, cioè ne mina il senso, quindi mostrando l’ assenza di senso alla sua radice; attenzione che “l’assenza di senso” **NON È** il “dissenso”, attenzione a questo punto preciso. (“Questioncella” minima, solo a margine del discorso: ma è possibile un effettivo “dissenso” nel mondo d’oggi? Così, una semplice domandina … ma riprendiamo il filo …)
Pensare al “dissenso” vuol dire, precisamente ed esattamente, non aver compreso i cambiamenti qualitativi avvenuti con la “mutazione sistemica” solo cominciata con gli anni Settanta – con la fine degli stessi, per la precisione – cambiamenti che oggi si van compiendo. Pensare al “dissenso” vuol dire, precisamente ed esattamente, l’esser rimasti al sec. XX. Se non, peggio ancora, al XIX! Ma, si sa, dal punto di vista delle “posizioni”, il XXI secolo sembra più l’anagramma degenerato del XIX che il superamento effettivo del XX!
Per questo – per il “sì ‘a prescindere’” – lo stesso sociologo francese studiava le “maggioranze silenziose” che, col loro “sì amorfo”, davano lo scacco al sistema mostrandone la totale “mancanza di senso”. La completa, totale autoreferenzialità, cioè la completa, totale assenza di un qualcosa d’ “Altro” che ne facesse come da contrappeso, dunque la natura costitutivamente distruttrice d’ogni società e della “natura” stessa, qualunque cosa vogliasi qua intender per “natura”. I “principî cardine” systemici, eccoli: A=A, la base, l’ “autoreferenzialtà radicale”; A>B>A …, l’effettività pratica, il costrutto concreto, il residuo fisso (venefico: ferroso, corrosivo, rugginoso) …
Il punto è sempre lo stesso: in tutti costoro, che – a loro dire – si “oppongono”, **manca totalmente** all’appello tutta la serie di analisi fatte tra i Settanta e gli Ottanta del secolo scorso, e cioè **nella fase** di trasformazione – del modello!, DEL MODELLO! – del sistema capitalistico, che avvenne in quegli anni, quando il sistema rischiò d’incepparsi a causa della crisi petrolifera e della fine del “Gold Exchange Standard”, ovvero di due momenti “topici” della “regressive sorti e (ben poco) ‘magnifiche’” del sistema capitalistico nella **civiltà capitalistica** sul pianeta Terra nei secc. XX° e XXI° A. D.
Questi son i termini reali del problema. E, come s’è detto varie volte, l’anno scorso il sistema – tutto – rischiò di nuovo d’incepparsi, come avvenne anche nel 2008, ma per cause differenti. Quando il sistema corre il rischio d’incepparsi reagisce con l’ inflazione, guarda caso con l’aumento dei prezzi dei beni per la produzione, sia d’energia – in primis – sia poi di ogn’altro bene scambiabile (parola chiave), in secundis.
Tutto ciò deriva da com’esso funziona, e nessuno sulla faccia del pianeta Terra oggi può impedirlo, può solo calmierarlo, e ciò si è fatto e si continuerà, senza dubbio, a fare (calmierare, intendo, senza poter intervenire sui fattori fondanti).
Tutto ciò con la “libertà e democrazia” c’entra “come il cavolo a merenda” ed è stupefacente vedere quanto sia zero compreso il meccanismo fondante di ciò grazie a cui viviamo, prendiamo lo stipendio – chi lo ha – e andiamo a “fare la spesa” le mattine di sabato e a “mangiarci qualcosa” le sere, non necessariamente del sabato, ritrovandoci della “liquidità” in tasca, ch’essa sia “cartacea” o “virtuale” **NON** fa differenza, da tal punto di vista (da degli altri punti di vista, invece, **FA** differenza …).
Ma tutto ciò è arcinoto, e perfettamente comprensibile, tra l’altro.
Per tornare a noi, ecco perché il sistema necessita del “NO”: se non c’è lo **DEVE** provocare, se invece nasce da sé – come accade spessissimo per legge di natura – deve però “rinforzarlo”; ne ha l’ assoluta necessità, non ne può fare a meno, detto in altri termini. Il che significa che il sistema è “dialettico”, NON È “lineare”, cosa quest’ultima pochissimo capita, fra i pochi ci fu Anthony C. Sutton, ma fu “arruolato” fra i “complott®isti” per cui le sue intuizioni si sono perse per strada, ahi noi.
Di più: secondo Baudrillard il sistema oggi si basa sul “codice”: “SÌ” e “NO” **simulati** ci vogliono, son necessari al suo funzionamento. Di qui la sua idea – e non è proprio il caso qui di soffermarsi a commentarla – della “revulsione” sistemica per “eccesso di conformismo” – accompagnato dall’ ironia e dal non credere nelle sue basi – piuttosto che per mezzo d’una “resistenza esteriore”, che viene a far parte di quello stesso sistema cibernetico di autoregolazione sistemica per mezzo del “SÌ” e del “NO”, però codificati.
Per non concludere, riporto di seguito un passo da un vecchio libro degli anni Settanta del secolo scorso. Una precisazione, però, prima. Se le analisi di Baudrillard sono tornate d’interesse – non quelle di Foucault, che rappresentava il passato già quando apparvero (la “biopolitica” è una “biopsia” della politia, apparente critica, come smascherava Baudrillard già, sempre, negli anni Settanta, che però sussumeva le categorie che credeva di criticare, divenendo lo specchio di una trasformazione sociale allora al suo inizio, piuttosto che di una sua radicale critica) –, se le analisi di Baudrillard sono tornate d’interesse, si diceva, è per una “circostanza” particolarmente degna d’attenzione: all’epoca (negli anni Settanta del secolo scorso) era in nuce la trasformazione sistemica, che oggi si va concludendo. E’ come se le cose si vedessero meglio quando stanno per arrivare come quando stanno per passare, mentre, all’interno dell’evento del loro sviluppo, non riesci a dartene le giuste fattezze, ti sfugge il loro senso vero.
Ma veniamo a questo testo, quasi “archeologico”, dunque.
«Nel parlare di questo movimento, uno degli errori più gravi e ricorrenti è quello di affidarsi a delle comode affermazioni sulla “disgregazione” [poi sostituita da “crisi” ed oggi da “transizione” …!, nominalismo degenere! …] e sull’ “irrazionalismo”. E sono affermazioni da più parti convergenti. Una vasta campagna ideologica è stata condotta sulla scorta di questi termini [non molto sembrerebbe cambiato, parrebbe …], ottenendo già due risultati: che tali categorie penetrassero pari pari nel vocabolario sinistra anche rivoluzionaria [sinistra “anche” rivoluzionaria che al tempo esisteva e che non esiste da tempo più, quanto alla “penetrazione” di tali “categorie” nella “sinistra”, diciamo ch’è cosa strafatta da molto, moltissimo tempo] e che si ribaltassero radicalmente i termini del discorso, così che l’antica domanda del buon senso rivoluzionario venisse dimenticata: disgregazione rispetto a quale aggregazione? Irrazionalità rispetto a quale razionalità? Non è possibile affrontare le complesse questioni in discussione senza rispondere a queste domande […] Un esempio significativo dei guasti provocati dalla leggerezza con cui questi termini sono stati usati è quello relativo al giudizio sulle manifestazioni di violenza [ma guarda un po’, ma guarda!, che ricorrenze storiche!]. E’ questa una delle principali pezze d’appoggio che i contabili della “disgregazione” credono di avere; si citano gli episodi di “vandalismo” e di “teppismo”, gli “espropri” e i “saccheggi” per suffragare l’immagine di settori di movimento inconsulti ed “imbarbariti”. Ma è necessario — anche se impopolare — innanzitutto domandarsi: se si considera irrazionalista la rottura d’una vetrina, è forse razionale la “non rottura” di una vetrina? Se si considera irrazionalista la distruzione di un’automobile, è forse razionale la “non rottura” di un’automobile? Il senso di queste domande non è provocatorio. Al contrario. Si vuole affermare, in sostanza che la connotazione in negativo (ir-razionale) o viene fatta in relazione al suo significato positivo (razionale) o non ha alcun significato [infatti non ne ha]. Se pertanto questi gesti definitivi come irrazionali (rottura della vetrina, distruzione dell’automobile [peraltro si noti che la stragrande maggioranza dei movimenti di cosiddetta “protesta”, oggi, presentano, seppur da parte di frange (ma pure all’epoca mica tutti si comportavano così!) tali comportamenti]) vengono intesi come la negazione di un universo positivo/razionale, coerenza vuole che si assuma come proprio quell’universo e se ne esaltino i valori [e ciò È STATO FATTO POI, e proprio da parte delle “sinistre”, per cui l’incoerenza che lamentavano gli autori citati all’epoca, oggi non c’è più] […]. Un tale procedimento logico va applicato a tutti gli altri fenomeni, comportamenti e gesti che il movimento (o un suo settore) esprime […] per ricondurre l’analisi e il dibattuto ai loro nodi reali, che […] sono: la rottura della vetrina, la distruzione dell’automobile sono o no utili al movimento? [secondo gli autori non lo erano, come nemmeno lo sono ai “no qualcosa”, ma è altro discorso, che qui non interessa] […] Il che non riduce […] la portata teorica e politica della questione (mortificandola a semplice calcolo delle opportunità e delle convenienze) ma […] la restituisce al suo referente originario: le ragioni individuali e collettive della lotta [di nuovo: questo, sì, che c’interessa qui, cioè le ragioni – soprattutto “collettive” – di tale opposizione, al di là delle giustificazioni “camaleontiche” ch’essa si dà, che son pretesti, cioè di cosa siano signum tali “movimenti” sociali, rinforzati, peraltro: ECCO “IL” punto]», G. LERNER – L. MANCONI – M. SINIBALDI, Uno strano movimento di strani studenti. Composizione, politica e cultura dei non garantiti, Feltrinelli (opuscoli marxisti, 24), Milano 1978, pp. 58-59, corsivi miei, mie osservazioni fra parentesi quadre. Interessante, prima cosa, che si parlasse – già in quel tempo – dei “non garantiti”, categoria che oggi, però, può solo molto ma molto in parte spiegare i movimenti “camaleontici”, come li chiamo.
Da tutto ciò si vuol qui trarne una conclusione, inevitabilmente provvisoria, perché “l’implosione continua”, ed anzi, tanto più il virus diverrà meno “aggressivo” (wild), tanto più le cose si metteranno nella crisi sostanziale del modello “sociale”, crisi che, nata da tempo, il virus ha molto amplificato, divenendone anche, però – intendo: il virus –, a sua volta, un “calmiere”.
La conclusione si è che la “biopolitica” è una parodia d’analisi, è il proseguimento dell’ INCOMPRENSIONE che si verificò, fra i Settanta e gli Ottanta, della fase di mutazione di MODELLO che all’epoca cominciava; si PROSEGUE nell’ INCOMPRENSIONE, il che ha del significativo: l’immagine conta più della critica, è un fatto, che conferma la deriva, però. La “biopolitica” perpetuava la vecchia idea “panottica” del potere occhiuto e che “vuole la ‘schiavitù’ dell’ ‘individuo’” (individuo presupposto autosufficiente e causa sui, l’ individuo come un’ “unità chiusa”, come “Das Volk” nel Terzo Reich: va specificato poiché «Das Volk» era un giornale del partito socialdemocratico tedesco, questo per dire che il “populismo” non è affatto solo “di destra”), quando l’idea di fondo del “nuovo” modello di controllo è proprio la produzione individualizzata del controllo e NON uno “stato forte” – NOVECENTESCO! – stato che, INEVITABILMENTE “ACCENTRATORE”, “panotticamente” IMPONE un UNICO MODELLO, cosa oggi non possibile, vista la fine del New World Order, per cui una parodia d’unità potrà venir solo da una valuta digitale, contro “tradizionalmente” connotata (quanto meno, così la pensava Guénon). Ma qui, oggi, ben lungi da un “panottico” (per tornare al punto), vi è l’ “inoculazione” del controllo, che, dunque, non può più seguire il vecchio modello dello “statone cattivone” che “intruppa malevolmente” i, supposti, sempre “buoni”, cosiddetti “liberi” individui autodeterminantesi. Questo modello qui non c’è più: prima il crollo del nazismo e poi la pseudo “fine del comunismo” hanno segnato la fine di un tal modello, per sempre, ma non la fine di ogni forma d’autoritarismo. E qui vi è il – classico peraltro – malinteso perenne del democratismo, che non è altro che una forma del malinteso del “sociale” in quanto tale: la fine dei totalitarismi novecenteschi non si equivale, puramente e semplicemente, alla “vittoria dei sistemi democratici **liberali**”, perché: “Ciò che i politici, socialisti o meno, non capiscono è che una massa o un individuo possono opporsi alla libertà, o al liberalismo, con la stessa forza, la stessa veemenza con cui si opporrebbero all’oppressione — perché l’ essenziale è il rifiuto del fatto che gli altri pensino per voi [questo è “il” punto, il rifiuto, ma non lo capiscono proprio: non possono], elaborino per voi, tramino per la vostra felicità. Non c’è mai valore assoluto in politica”, J. BAUDRILLARD, La sinistra divina, Feltrinelli, Milano 1986, p. 80, corsivi miei. Questo “rifiuto”, però, viene usato per la stabilità sistemica, come s’è detto: ciò è inevitabile poiché i portatori dell’ “opposizione” non son portatori di una logica diversa da quella sistemica, quand’è vero, anzi, l’opposto. Il modello portato avanti da tali “oppositori” è la parodia dei totalitarismi novecenteschi (e qui sovviene la ben nota frase di Marx ne Il 18 brumaio di Luigi Napoleone), ed allora viene a sorgere la questione se costoro non sono usati per “altro”, in prima battuta per la stabilità sistemica, ma, in seconda battuta, per il minare gli stati nazionali residuali sul pianeta, e in particolare in Europa (e negli USA). Nel qual caso, il fattore di stabilizzazione sistemica agisce come fattore di destabilizzazione dei vecchi stati nazionali, che costoro – a parole – dicono di voler “difendere”. In vista di “altro”, che ha ben poco a che vedere con la “politica”, in realtà.
Ma concludiamo sulla “biopolitica”, cosiddetta. Dietro questo genere d’errori, sulla cosiddetta “biopolitica” e sul paventare il ritorno ai totalitarismi novecenteschi (ma in salsa digitale), c’è tutta l’incomprensione della “nascita dello stato moderno”, del processo di accentramento che l’ha prodotto, e del “perché” della sua crisi, che non inizia certo dal virus!, che però questo stesso virus ha portato ad un “climax”. Ma se non hai capito che cos’è uno stato “moderno”, significa che non hai capito che cos’ era stato uno stato “medioevale” …
@i
PS. Un’altra considerazione qui: è interessante notare come oggi sia così difficile fare previsioni, di un tipo qualsiasi.
Gente abituata a vivere nella “bolla tecnologica” ed dunque a fare previsioni un po’ su tutto, ecco che, improvvisamente, si ritrova a non poterne fare se non di minime! Non solo: ma la tecnologia si **aggiunge** a tali fattori per rendere le previsioni **ancor più complicate**! La “nemesi della modernità” sta qui, altro che “decisione”! La causa dell’aggiungersi della tecnologia digitale a questa già difficile situazione sta proprio nel fatto che la tecnologia tende ad intaccare la coesione sociale, quindi a produrre un estremo individualismo del quale i “no qualcosa” sono i diretti figli e la conseguenza più immediata.
Si tratta della “crisi sistemica” di cui parlavano, nel lontano **1995**, Wallerstein e Hopkins, **più volte** ricordati su questo blog. E’ crisi “systemica” perché pone sotto attacco la “ragion d’essere” del sistema come tale, NON È, dunque, una crisi di quelle ricorrenti, e dovute al funzionamento stesso del sistema capitalistico, per cui tal genere di crisi è, in poche parole, ineliminabile dal sistema stesso.
La difficoltà decisionale, dunque, vi è oggi sostanziale, non episodica; quindi essa **ECCEDE** la **FORMA** del governo (anche “democratico liberale” od altro genere), per costituire una tendenza consolidata, caratteristica del “nostro” tempo. Si tratta di arrivare a ciò che, qualche anno fa, si chiamava “PUNTO d’ INDECIDIBILITÀ”, cioè quando, *qualsiasi sia* la decisione presa (qualunque sia), essa (“decisione”) non intacca i fenomeni IN ATTO, fenomeni che diventano pienamente, irreversibilmente **inerziali**, dunque non più governabili per mezzo di decisioni. La pandemia senza dubbio ha dato una grossa mano a questo processo – in atto però già da tempo –, tuttavia essa pandemia ne costituisce al tempo stesso anche una sorta di “calmiere”, imponendo un tema unico, di fatto e non in teoria.
Il problema nasce quando, nel bene o nel male, tutto ciò scemerà, in un modo nell’altro che sia, ed il paesaggio “modificato” verrà, finalmente, fuori. Si può, a questo punto, formulare l’ ipotesi che: “il punto d’indecidibilità” non sia più lontano, a quel punto giunti …
Ora dire “punto d’indecidibilità” e dire “crisi finale (del sistema) della Grande Prostituta” vuol dire affermare la stessa cosa da due punti di vista, il primo, però, quello del “raggiungimento” del “punto d’indecidibilità”, consente una cosa interessante: consente di monitorare il processo; ecco la cosa interessante, in senso pratico.
Baudrillard parlava di società “calde” di società “fredde”; quella digitale è FREDDA. Ed anche la “PROTESTA” digitale lo è. Essa “rompe vetrine”, in sostanza: quel fatto che, negli anni Settanta, “non era utile al ‘movimento’” (si noti come la retorica “movimentistica” sia divenuta quella “di riferimento”), oggi sembra una conseguenza inevitabile di vari movimenti accomunati solo dal “no”. Un tal genere di protesta può solo servire ad “altro”, allora.
Ma occorre qui precisare – a chiare lettere – che coloro i quali credono che il digitale – senza dubbio autore di una frammentazione sociale che è stata una fase, in via di completamento, del tutto necessaria per “il fine”, nondimeno NON È il “fine” di tutto questo movimento. La tecnologia digitale NON È l’A.
Senza dubbio, essa è stata necessaria – nonché occorre che continui ad esserlo – per la frammentazione, quasi “polverizzazione” (cf. R. GUÉNON, Il Regno della Quantità) della società, ma NON per l’ effettiva “trasformazione”, come lo stesso Guénon chiariva senz’ombra d’alcun genere di benché “MINI minimo” dubbio, punto mai compreso da tantissimi che han letto il testo dello stesso autore, testo il cui titolo si è appena qui sopra ricordato. La cecità “è grande sotto il Cielo”, soprattutto da parte dei sedicenti “tradizionalisti” così tremendamente lontani dalla “tradizione” quanto più son legati alle sue apparenze o forme di tipo esteriore … Ma su tal punto, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/03/due-precisazioni_5.html.
Cf.
RispondiEliminahttps://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/04/il-crollo-delle-democrazie.html
Ripubblicazioni, 9bis. “Da tempo siamo nell’assenza del ‘PROJECTUM’” (post ormai del LONTANO 2016!!
Cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2016/03/gia-da-tempo-siamo-nellassenza-del.html
Interessante che si riportino delle frasi di Cacciari ormai di molti anni fa (anni Ottanta del secolo scorso), con anche ciò che non condivido affatto delle critiche “cacciariane”, cioè: che senso ha criticare un fatto strutturale, un epilogo logico e fondamentale, ineliminabile, della politica moderna, volendo rimanere all’interno di quello stesso quadro che ha generato la crisi stessa?
Nessun senso.
Nessun senso poiché l’epoca di “razionalizzazione e di secolarizzazione del Politico” (Cacciari) È FINITA.
PER SEMPRE.
Di conseguenza – ed è la deduzione importante – NON VI È PIU’ “KATÈCHON” …
Siam in un diverso scenario (e non voglio usar “nuovo”, termine che, nella mentalità moderna, si equivale a “buono”, quando non è affatto sicuro che sia così: diciamo soltanto “diverso”, “differente”).
Come non vi è più “katèchôn”, allo stesso modo si è nella “perdita totale della ‘Traditio’”, che è quella famosa parola che tanti “tradizionalisti” amano usare.
Ecco “DUO SIGNA” di non piccola importanza (chi ha orecchie per intendere, intenda …).
Interessanti anche i due link ai quali dava "illo tempore” accesso il primo link di qui sopra: cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/para-docks.html,
cf.
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/03/lo-stato-di-emergenza-virilio-ma-globale.html.
Interessante già in quel tempo parlassi di “stato d’emergenza globale”, che alcuni vorrebbero affrontare usando strumenti analitici incredibilmente rozzi.
Anzi è peggio: spuntati …
In ogni caso, rimane centrale il punto: uno “stato d’emergenza globale” si può trasformare in uno “stato d’ **eccezione** globale”?
E se sì, in quali termini, con quali modalità (reali, concrete, niente isterismi da destra religiosa, please, a furia di “attendere” l’ **idea** che si son fatti dell’ “A.” non arriverà mai nulla, e, se mai arriverà, sarà in forme che non si aspetteranno mai, poiché cercano il martedì di mercoledì, sbagliato alla radice.
Questa è la questione.
Sul cosiddetto “green pass” davvero si è data un’enfasi eccessiva, ed esso è divenuto come il centro di tutta l’attenzione – peraltro enfatizzando (col meccanismo del “rinforzo”) – la sua importanza e l’importanza di chi vi “resisteva” (è “finita la libertà”, ed ogni altra affermazione fuori misura). Questo dimostra come il sistema che c’è oggi **necessiti** di un “no” (peraltro assai mal argomentato, ma **non ha proprio alcuna importanza “l’argomentazione”**, basta un pretesto, uno qualsiasi), **necessiti** di un “no” per la sua regolazione interna, perché – se ci fosse solo “sì” – si mostrerebbe, apertamente, la sua – del sistema – incapacità di risolvere un problema qualsiasi: sa solo porre pezze. L’incapacità del capitale di gestire la cosa pubblica è clamorosamente chiara ed evidente, infatti.
RispondiEliminaOggi difatti: “Governare vuol dire dare segni attendibili di credibilità”.
J. BAUDRILLARD, “L’America”, Feltrinelli Editore, Milano 1988, p. 88.
Un vecchio link, cf.
RispondiEliminahttps://associazione-federicoii.blogspot.com/2017/08/b-telesio.html
Anche cf.
Eliminahttps://associazione-federicoii.blogspot.com/2021/09/repetita-juvant-n2-errori-di-assenza-di.html
La realtà è che questo sistema è **irriformabile** . . . E si serve di tutti questi “no qualcosa” per mascherare la propria impotenza.
RispondiEliminaMa tutto ciò fu analizzato da Baudrillard ma **tanti** e **tanti** anni fa!
Là sta la cosa incredibile!
La conoscenza - *qualsiasi tipo* di essa, eh – per sua natura, non è democratica, poiché non si basa sulle opinioni (la differenza fra “doxa”, opinione, ed “epistème”, conoscenza, è già in Platone). Il mondo contemporaneo occidentale si è ritrovato in questo “clash” tra l’opinione – fra la doxacrazia” occidentale – e la conoscenza, per quanto probabilistica (e per nulla “cartesiana”), dunque piena di “buchi”, della scienza medica contemporanea. E la crisi **di modello** si è accresciuta.
RispondiEliminaCf.
RispondiEliminahttps://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2021/12/la-storia-moderna-offre-...-cancellato-del-2017-.pdf.
1.
RispondiEliminaBlog **dedicato a** “Federico II Hohenstaufen”8 dicembre 2021 01:52
La realtà è che questo sistema è **irriformabile** . . . E si serve di tutti questi “no qualcosa” per mascherare la propria impotenza.
Ma tutto ciò fu analizzato da Baudrillard ma **tanti** e **tanti** anni fa!
Là sta la cosa incredibile!