lunedì 22 febbraio 2021

Una nota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una piccola osservazione. Sempre in G. Galli, “Hitler e la cultura occulta”, RCS Libri, Milano 2013, si parla – nel cap. 15, pp. 185-201 – della relazione fra Jünger e Gurdjieff per la salvezza di Parigi dalla distruzione pianificata da Hitler. Ora, si sa di molti viaggi di Gurdjieff a Vichy: e qui si potrebbe aprire una “parente” – diceva qualcuno) – su questi temi, la Francia occupata e le relazioni con i nazisti, molto più diffuse di quel che non si creda, ecc. ecc. (il libro di Mackness e Patton, più volte ricordato, ne parla), ma **non è** importante qui (anche se, sul testo di Mackness e Patton si vedrà di tornarci su).

Tali visite sono testimoniate dai giovani che facevano da suoi – di G. – “aiuti”, sia F. Peters che N. Stjernvall, quest’ultimo essendo una figlio naturale dello stesso Gurdjieff (avrebbe poi adottato il cognome del suo padre adottivo, un discepolo di Gurdjieff, il dottor de Stjernvall). Essi, pur non divenendo mai effettivamente “discepoli”, tuttavia ne trassero giovamento ed impararono qualcosa, soprattutto in relazione al “ricordo di sé (stessi)”, che, però, traduce solo in parte la frase russa da cui deriva l’espressione. Ebbene, qui è importante capir bene i tempi: tali viaggi erano per andare a “svagarsi” – si sa dello humour, a volte molto pesante, anche “piccante”, di Gurdjieff, come si sa delle sue “allegre” tavolate “rabelesiane”, sempre con un significato, tuttavia –; e si sa come di tanto in tanto, anche in relazione alle sue gravi preoccupazioni, avesse l’esigenza di “cambiare aria”[1]. Vichy, nessun dubbio, era una località termale piuttosto nota. Dunque nessun problema. Ora, però, de Stjernvall testimonia di un episodio particolare: “Un giorno, mentre Valia e io discutevamo come al solito in cucina, G. I. [Gurdjieff, chiamato “alla russa” con il nome e il paronimico] ci comunicò che ci avrebbe portato a Vichy. Ovvero, ci offriva qualche giorno di vacanza, facendoci cambiare aria. Con mio stupore, eravamo solo in tre alla partenza, G. I. al volante, Valia al suo fianco e io dietro. Gurdjieff aveva una straordinaria memoria visiva e si orientava molto bene se si trattava di luoghi o città che aveva attraversato altre volte. Arrivammo a Vichy senza incidenti e Gurdjieff ci depositò davanti all’hotel che aveva scelto per noi, avendo egli deciso d’installarsi altrove. Vichy non era affatto grande. Per divertimento, Valia e io andavamo alle terme e c’introfulavamo fra gli ospiti delle cure. Eravamo seduti su una panchina pubblica a chiacchierare allegramente e a scherzare, non ci annoiavamo. In quel momento, vedemmo passare G. I. con l’aria piuttosto accigliata, le mani nel soprabito leggero, il cappello floscio in testa. Ci lanciò uno sguardo strano e non si fermò per niente, si astenne da qualsiasi commento. Si annoiava proprio, era chiaro! Ci domandavamo, Valia e io, che cos’avesse spinto George Ivanovich a venire fin lì e a imporsi un soggiorno così scialbo e inutile. Ancor adesso non l’ho ben capito!”, N. de Stjernvall, Daddy Gurdjieff. Alcuni ricordi inediti, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, pp. 62-63, mie osservazioni fra parentesi quadre[2]. Si notino le circostanze del viaggetto: a sorpresa e con solo i due attendenti alla cucina. Vi era, evidentemente, un altro scopo oltre al solo “svagarsi un po’” …

Attenzione che l’episodio è avvenuto dopo quello ricordato da Peters, in quanto l’andare a Vichy, ricordato da quest’ultimo, accadde nel tempo del Prieuré, fine anni Venti (il Prieuré fu poi gradualmente chiuso dal 1931 al 1933, in corrispondenza con la fine dell’opera “pubblica” di Gurdjieff e l’inizio della divulgazione della sua opera di scrittore, che già era iniziata prima, in parte: e si tratta di quei cambiamenti, ricollegabili all’elezione di Hitler, che G. Galli ricorda nel testo citato qui sopra). De Stjernvall, infatti, dice con chiarezza: “Quando arrivai da lui per la prima volta nel 1937, non persi certo tempo nel familiarizzare con quella casa”, ivi, p. 51, corsivo mio. Si tratta dell’appartamento a rue des Colonels Renard, Parigi[3].

Dunque che cos’era, in effetti, andato a fare Gurdjieff a Vichy quella volta? Quel che de Stjernvall considera solo un effetto della “noia” non potrebbe, al contrario, esser l’effetto di contatti che non avevano dato il loro esito?

Si potrebbe anche ipotizzare che Gurdjieff avesse dei contatti, al momento relativamente poco importanti, ma che poi si sarebbero dimostrati più importanti nel momento in cui si trattava di evitare che Parigi fosse – inutilmente, peraltro – distrutta. E qui, sulla salvezza di Parigi, la sua relazione, probabilmente indiretta, con Jünger (che conosceva Gurdjieff e il suo “lavoro”, come si po’ leggere in Avvicinamenti) non è un’ipotesi peregrina.

 

 

 

 

 

Andrea A. Ianniello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cf. F. Peters, La Rasatura del Prato e la Costruzione di Sé (Alla scuola d Gurdjieff), L’Ottava Edizioni, Milano 1986, pp. 157-170, dove si parla del viaggio a Vichy, ma siamo nei tempi del Prieuré, frequentato da Peters dal 1924 al 1928. Lo stesso Peters, tra l’altro, attesta che Gurdjieff frequentava anche altre località termali, come Evian.

[2] Tra l’altro, de Stjernvall riporta l’episodio ricordato anche dallo stesso Peters: gli orecchini che Gurdjeff fece restituire ad una donna del suo seguito – la madre di de Stjernvall, in realtà – la quale glieli aveva prestati nella lunga fuga ed avventurosa fuga per il Caucaso, scappando dalle conseguenze della rivoluzione russa: cf. ivi, pp. 29-40. Questa fuga è ricordata nelle pagine finali, cf. ivi, pp. 60-95. Interessante una sorta d’Appendice, dove de Stjernvall traduce i ricordi che sua madre aveva di Rasputin, e la predizione – poi dimostratasi vera –, da parte di quest’ultimo, sul atto che la madre di de Stjernvall avrebbe avuto un figlio, da lei tanto desiderato. Questo resoconto è molto interessante, poiché ci fa vedere Raspùtin – accento sulla “u” – com’era davvero, da parte d’un testimone oculare, mentre noi abbiamo molto materiale di seconda mano. In una nota, al testo di sua madre, de Stjernvall scrive: “Grigori Novikh era il suo vero nome. Era stato soprannominato Rasputin per via dei suoi costumi dissoluti. Rasputin deriva dalle parole russe rasputzvo (depravazione, lussuria) e rasputnik (libertino, vizioso). Aveva davvero meritato il suo soprannome!”, ivi, p. 101, corsivi in originale.

[3] Per delle immagini, cf.

http://www.4c.com.br/gurdjieff_maps_photos.htm.

 

 

 

 

 

 

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