“La nave scompare. Sipario”.
A. Jarry, Ubu, Adelphi Edizioni, Milano 1977
, p. 190, corsivi in originale.
“«Voi avete
messo il dito sul solo punto importante.
La civiltà è una congiura.
A che cosa servirebbe la vostra polizia se ogni criminale trovasse un asilo dall’altra parte del
distretto; o anche le vostre corti di giustizia, se altri tribunali non riconoscessero
le vostre sentenza? La vita moderna è il
patto non formulato fra quelli che possiedono per conservare le loro pretese.»[i]”.
J. Buchan (1910 ca.)
in L. Pauwels– J. Bergier, Il
mattino dei maghi Holmes, Oscar Mondadori, Milano 1979, p. 232, corsivi miei.
“C’è una
differenza sostanziale fra i morti in genere e i nostri morti, quelli che abbiamo conosciuto bene. Corrisponde esattamente alla differenza tra
la massa e gli individui [corsivi miei][1]”.
E. Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi
Edizioni, Milano 2017 , p. 73, corsivi miei indicati fra parentesi quadre.
«“I wicked problems”, in italiano “problemi
perversi” o “maligni”, son problemi così complessi e contali e tante
ramificazioni che non esiste neppure una definizione esatta del problema
stesso; la vera natura del problema può essere compresa solo quando se ne trova
la soluzione. Un esempio estremo è la previsione dei terremoti: nessuno è in
grado di dire quale ne sarà l’epicentro, quando si verificherà o che
conseguenze avrà».
N.d.T. in A. Jacobsen, Area 51. La verità senza censure, Edizioni
Piemme, Milano 2012, p. 415, corsivi
in originale[ii].
Introduzione
E ci vuole una “certa” attitudine
mentale, quella consigliata nel passo citato (di Annie Jacobsen), per aver a
che fare, in effetti, con quel che abbiamo di fronte: cioè un problema
“maligno”, anche quasi “estremo”, e cioè che si svela e chiarisce solo e soltanto
quando lo si affronta. E questa è,
precisamente, la natura del problema
di oggi[iii].
Veniamo quindi a tal wicked problem; e lo faremo per mezzo
d’una conversazione.
Oggi torniamo, dunque,
ad una conversazione, la terza, dopo le due precedenti, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/08/conversazione-con-paolo-broccoli-su-due_4.html,
quest’ultima intervista seguiva, poi, a sua volta, la prima: cf.
Lo schema è sempre lo
stesso, così come le abbreviazioni usate: quella di P. Broccoli è “PB”, quelle
gestore “AAI”. Le domande stavolta saranno tre:
ad esse risponderà prima
l’intervistato [PB] e, poi, risponderà il gestore [AAI].
Dopo aver ringraziato
Paolo Broccoli per la sua gentilezza, ed affermato che affronteremo un argomento complesso e dai moltiaspetti, semplificando inevitabilmente, entriamo, senz’altro indugio, in medias res.
Veniamo quindi alle
domande.
*
**
***
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(τετρακτύς)
Domanda
1. Cosa ne pensi di questa “svolta”, o come la vuoi chiamare, che il mondo ha
recentemente vissuto e che abbiamo visto? In effetti, tanti, però, sembra che
non ne abbiano capito molto: per certi aspetti sembrerebbe sia stata subito rimossa
o interpretata con occhi del passato.
[PB] Si tratta di una
crisi strutturale, globale: è una crisi prima sistemica, e poi produttiva e dei servizi; per esempio, negli Usa
ci son già 35 milioni di posti di lavoro persi. Non è solo il virus.
Per alcuni settori,
poi, la crisi è anche più forte: il sistema culturale e del turismo, per fare
un esempio. In America quello culturale, poi, è un sistema integrato vero e
proprio, per esempio il cinema.
Due cose, però, voglio qui
osservare: 1) si è verificata, e continua, una vera e proprio incapacità di
capire la pandemia, da parte di tutti i governi, chi più chi meno: 2) si
osserva poi una grave impreparazione a gestirne le conseguenze, una seconda
impreparazione. E se viene un altro virus? Erano cose note, ma nessuno c’ha pensato davvero. E se ne viene un altro? Perché
se ne parlava da tempo, e si dice anche che ce ne possono essere altri di virus,
più o meno infettivi.
Dunque s’impone una
deduzione: il sistema attuale non è in
grado di affrontare le attuali e le future emergenze.
Vi sono altre cose
d’aggiungere, riguardo ad alcune precedenti pandemie, che pure ci sono state:
per esempio, l’Aids ancora fa circa 500 mila morti ogni anno. Il rischio del
Sars-Cov-2 è oggi, si dice, strutturale …
Chiaramente ogni paese ha
reagito a modo suo. Ma, ormai, i problemi sono politici, oltre che sanitari. Oltre ai morti, molti, è interessante
come il sistema sociale, le relazioni lavorative e non solo, sia stato azzerato. La musica o lo sport, senza
pubblico, che senso hanno? La Tv non può avere “vuoti”, e quindi nemmeno il sistema economico. La cosa
che mi colpisce di più è che questo lascia intendere vi siano spazi per altri
virus oggi sconosciuti. Tutta questa che
viviamo è una vicenda ignota.
Interessante l’effetto
generale: il sistema arranca. E, tranne casi rarissimi (Germania), nessuno ne
concepiva neanche la possibilità. Che la pandemia sarebbe stata possibile era
noto, ma nessuno, in realtà, se lo
aspettava.
E qui saltano tutte le strutture rappresentative di un percorso organizzato che sia in grado di gestire il presente e controllare il futuro. “Il Comitato tecno scientifico ci dice cosa fare”, c’è
chi lo fa bene, chi lo fa male: ma questo è, oggi; e i vari esperti si basano
su dati scientifici: i morti sono un “danno collaterale”, e che i morti siano
un “danno collaterale” oggi è considerato accettabile. Per la tecnica che i
morti siano solo un “danno collaterale” è normale,
ma contrasta col nostro presupposto. Il
nostro presupposto, che ci ha accompagnato per decenni, si basa su due falsi: 1) la legge è uguale per
tutti: 2) la salute per tutti.
Quando
muore l’individuo, non muore l’individuo, muore lo stato.
Questo perché uno dei due presupposti, detti qui sopra, viene rimesso in
questione. Noi oggi abbiamo la prova provata che lo stato di diritto ha falle,
è una costruzione incompleta o fallace. Questa
è la “novità” dell’attuale situazione.
[AAI] Impreparazione a
tutti i livelli, e, infatti, son possibili altri virus (cf. C. da Rold, Il prossimo virus in “Le Scienze” n°621,
maggio 2020, pp. 26-33, dove, nella bibliografia, si parla anche dell’HIV; tra
l’altro, l’articolo seguente, a firma di M. Sandal,
tratta dei rischi da pandemia per virus da laboratorio, cf. ivi, pp. 34-39, nel
novero dei quali il Sars-CoV-2 non è).
La cosa più tragica –
ed insieme cinica, perché fa capire come funziona il mondo – è che i morti non
siano altro che “un danno collaterale”[2] che viene
accettato pacificamente, con questa o quella giustificazione. Tutto è mera
“statistica”, insomma[3]. E i
morti son sempre morti degli “altri”, come diceva Canetti, se non ci
toccano “personalmente”; ma è impossibile che ci tocchino, tranne pochissimi: quelli, appunto, dei quali
abbiamo una percezione individuale. In altre parole, sono
“massa” e non “individui” distinti. E, in tal modo, cioè come massa amorfa,
vengono percepiti e presto verranno dimenticati, se non ci sono delle
ricorrenze pubbliche a ricordarli. Tra l’altro, sembra siano stati dimenticati
con una rapidità incredibile.
Anche a me ha colpito
la totale incapacità di capire cosa sia una pandemia, e questo non solo fra i
governi – dei quali ho ben poca stima (e non parlo affatto solo del governo
italiano, qualsiasi “partito” lo “gestisca”, ma dei governi del mondo, molti
dei quali, per certi aspetti, han fatto peggio del governo italiano, e questo
va detto), per cui ero assolutamente ben pronto ad accettare che i governi non
ne capissero niente –, ma è l’incapacità di capire fra i “popoli” cosiddetti
che è interessante come fenomeno di studio.
Dopo tante fole
illuministiche, tra i “popoli” non si va oltre la ricerca dell’ “untore”, cioè;
se uno si legge i resoconti delle vecchie epidemie, non si stupirà: basta far
riferimento a Manzoni, nella letteratura italiana, ma ovviamente ci possono
essere anche altri riferimenti. Quindi neanche questo mi ha stupito: le
reazioni di massa sono quello che sono, e solo i perenni illusi
dall’illuminismo e della “socialità” se ne possono stupire.
Eppure qualcosa di
diverso c’è stato: la “pervasività” e la vera e propria “infodemia” sui social
è stata la “novità”. Forse all’epidemia si può sfuggire, ma non all’ “infodemia”. Vi è un nuovo
virus, dunque, un virus che ci accompagnerà a lungo: l’infodemia. Non si
conoscono, al momento, vaccini al riguardo … E, mentre i virus, in ultima
analisi, li fa la “natura”, i virus “infodemici” son come i virus digitali,
sempre formati “a tavolino” da qualcuno, in laboratorio … Attenzione ad un
punto, però, che va precisato: la realtà
digitale simula quella biologica, non accade l’inverso, come invece appare
da quasi tutti i “modelli scientifici” di oggi …
Ma torniamo a noi, dopo
questa precisazione.
La “ricerca
dell’untore” sembra essere divenuta il nuovo sport non nazionale, ma globale.
I “popoli” e i loro poco brillanti rappresentanti si sono impegnati a fondo ad
affondare in questa pseudo ricerca, anche, ma non
solo, per far dimenticare le loro proprie colpe. Ma la cosa davvero più “divertente”
– è un eufemismo – è che non riescano
ad unirsi contro il nemico comune! Non è, dunque, solo per far dimenticare le
proprie sottovalutazioni, ma è segno di una mentalità: infatti son pronti a
sottovalutare ancora una volta qualsiasi nuovo pericolo che li prendesse di
sorpresa. E’ che sono incapaci di mettersi assieme.
In altre parole, niente di veramente comune li lega.
Ti chiedi: e se viene
un altro virus? Ah, boh, chissà come va!
Io facevo il caso di un
“attacco UFO”, per dire il pericolo “senza nome” e senza volto, il vero
“cigno nero” (l’epidemia non era una
novità assoluta, ma è stata sorprendente nelle sue modalità, dunque si tratta di un “cigno bianco”, cioè non del tutto imprevedibile, il cigno nero essendo, invece, del tutto imprevedibile). Ho ricordato più volte, a tal proposito, il vecchio
discorso di Reagan nel quale, proprio evocando un “attacco UFO”, aggiungeva poi
che le differenze sarebbero state superata in nome del pericolo comune. Come
no! L’abbiam visto a proposito di qualcosa di ben meno pericoloso del pericolo “senza
nome”, del cigno nero di un “attacco
UFO”! In ciò gli USA sono peggio di quanto si sarebbe potuto supporre: son
ormai caratterizzati dalla totale rinuncia
a qualsiasi ruolo complessivo per la mera, miope
affermazione d’ “interessi nazionali”, perché questo ha significato la fine del NWO, del “Nuovo Ordine Mondiale”
di Bush padre (1991), cosa da me
detta “in tempi non sospetti”, come suol dirsi[4].
Il NWO – del quale
tanti ancor oggi blaterano tanto senza capir niente – non era che l’ estensione del dominio del “patriziato
USA” a tutto il mondo: tal progetto è fallito.
Dice: eh, ma la Cina, la solita obiezione che fanno. Ma la Cina non ha le
caratteristiche per poter svolgere un ruolo aggregante a livello globale, per
sua natura e storia non è attrezzata:
la Cina segue i suoi interessi “nazionali” come grande potenza, per questo è ben attrezzata. Stop. Non può fare altro.
Per la Cina l’interesse
dell’ “umanità” non ha significato.
Per “l’America” invece aveva
“significato”, a parole, in modo ipocrita (nessun dubbio al riguardo), ma tale ipocrisia pure le impediva di degenerare
come poi oggi è degenerata. Quindi
per “l’America” è una caduta verticale,
per la Cina è solo l’essere il paese che tutti già sapevano che fosse, e la Cina non ne ha fatto mai alcun “mistero” e
continua a non farne alcun mistero. Le
due cose non sono comparabili, dunque. Ed è altrettanto divertente che
tale differenza non venga percepita. Insomma: i due paesi sono strutturalmente
differenti, come mentalità prima che come “modo di vivere”, tra l’altro non sono
nemmeno congruenti e non sanno neanche capirsi. La mediazione dovrebbe o
potrebbe venire dall’Europa: e qui possiamo farci solo tante risate, l’Europina
delle “piccole patrie”, dei micro nazionalismi non ha nessuna soluzione da
proporre non dico ai “problemi del mondo”, ma neanche a questo problema qui,
centrale, tuttavia, per le sorti dell’economia mondiale.
Dunque l’infodemia
crescente, la manipolazione crescente
della “pubblica” opinione, da un lato, e un “Nuovo Disordine Globale” – NWD –, ben diverso qualitativamente dal vecchio disordine di prima della guerra fredda: ecco le due “novità” che abbiamo potuto veder svilupparsi sotto i nostri occhi.
In poche parole: siamo
di fronte alla “nuova Babele”, direi di più: siamo di fonte al crollo della “seconda
Torre di Babele” che è la modernità “tarda”. Siamo di fronte ad un qualcosa di tale
amplitudine, di tale grandezza: e nemmeno lo vedono! Non ne sono in grado! Ma dobbiamo dare
alle cose il loro nome. In “italietta” manco si rendono conto che il loro modello
è finito, il modello, e quindi che non si è trattato semplicemente di un “incidente
di percorso”, un accidente senza causalità, un evento cosiddetto
“imprevedibile”, un evento che intacca un modello in sé “sano”, quando è vero
il contrario. In Italia – però accade in tutto il mondo, in tutto il mondo! – non
si rendon conto come sia venuto giù tutto un modello, e stanno lì a bisticciare
o a “dare le colpe”, che, poi, è il classico delle “destre”, cioè: si deve trovare
il “capro espiatorio”, questo è il loro istinto, e non è cambiato, pur non
essendoci alcun “fascismo”. Vi è liberismo, anzi, sono le ricette di un
liberismo estremo quelle che propongono, figuriamoci se c’è il fascismo
dell’intervento statale nell’economia!
Dunque cade la “seconda
Torre di Babele”, che, però, è una costruzione malsana. Se ci leggiamo i passi
dell’ Apocalisse di Giovanni, quelli
relativi alla “caduta della Grande Prostituta”, e li paragoniamo ai passi
biblici relativi alla “Torre di Babele”, saremo sorpresi – ma in realtà non
sorprende: si tratta dello stesso modello
– dal ritrovar echi dei secondi passi nei primi. Il sistema del mondo si è
inceppato, si è bloccato: la “seconda
Torre di Babele” ormai è “caduta”, che non
vuol dire “sparita”, in quanto, quando cade una torre, in realtà ne restano
larghi pezzi ancora in piedi, e tante macerie intorno. Ma questo è l’
“ordine di grandezza” dell’evento che abbiamo vissuto, e che abbiamo vissuto “alla
cieca”, senza che vi fosse, né che vi sia, uno straccio di percezione – non
parlo di comprensione: parlo di percezione
– dell’ amplitudine, dell’ “ordine
di grandezza” dell’evento che
abbiamo vissuto. Cosa faranno i resti ancora in piedi? Ecco una domanda
interessante. Vediamo che ognuno, in ordine sparso, cerca d’imporsi, ma in un
disordine crescente.
La tua deduzione è,
nella sostanza, corretta: “il sistema
attuale non è in grado di affrontare le attuali e le future emergenze”. Sì,
questa è la terza “novità”, e, fra tutte, forse la più inquietante ma, di
certo, la più importante: viviamo in un sistema fallimentare, in un sistema che ha fallito alla prima prova
davvero “globale”, per cui non ci si può più stupire che un tal sistema di
relazioni internazionali sia stato fallimentare in tutti ed ogni quei problemi
che avevano – e che continuano ad avere
– una “caratura” globale, dalla fame all’inquinamento.
Punto primo: con questa
gente qui, non si risolverà mai
nulla, salvo fare tonnellate di chiacchiere. Punto secondo: i “popoli” son
felici solo di partecipare all’oceano delle chiacchiere inutili. “Parla che ti
passa”. Ma il punto è che “non passa” proprio niente. “Non importa se il gatto
sia bianco o nero se prende il topo”, amava dire Deng Xiaoping. E se il gatto
non prende il topo? Che si fa? Noi viviamo in un sistema dove, per caratteri
strutturali sistemici, per così dire, accade questo: che il gatto non può prendere il topo, non l’ha mai preso, e non lo prenderà mai. Tutto ciò la pandemia l’ha
dimostrato, sotto i nostri occhi, e “al di là d’ogni ragionevole dubbio”. E ciò
l’ha dimostrato in quello che, nel Calendario cinese, è “l’anno del Topo” … I
topi tentano di fuggire dalla nave arenatasi su di una secca: ma intorno c’è
solo l’oceano vuoto …
Dobbiamo fare i conti,
quindi, con un sistema fallito, quel
che io avevo chiamato: la “fine della Grande Prostituta”, e di cui ho sempre detto che non sarebbe stato quella serie di sciocchezze che si sentono dire,
ma sarebbe stato l’ “arresto” del System, il suo collasso, e cioè quel che
abbiamo visto (poi sarebbe ripreso, ma in forma
diversa, cioè quel che stiamo appena cominciando
ad intravedere).
Sia detto per inciso:
sull’ Apocalisse di Giovanni
continuano a dire tante sciocchezze, che non testimoniano altro se non della
loro completa, e totale, incomprensione.
Ma torniamo a noi.
Il rischio diventa,
dunque, strutturale = il fallimento –
ricordiamoci la parola: fallimento –
di tutte le promesse della
“modernità” dal XIX in poi, promesse già
crollate dopo la Prima Guerra Mondiale – questo è il senso di quell’evento, tant’è che venne un certo Cancelliere
(Hitler, che non è stato un “incidente
di percorso” ma un esito sostanziale
dell’Europa e della sua cultura, ed
anche di questo s’è detto più volte, in questo blog) – ma che, poi, vennero
“ristrutturate” dopo la Seconda Guerra Mondiale, e cioè la costruzione della
“Grande Prostituta”, del “System” come lo chiamo. Quel mondo lì è crollato.
Ed è crollato per sempre, sotto i nostri occhi; ma quel
che manca totalmente alla sensazione, al presentimento, all’impressione pubblica è proprio la percezione del crollo del vecchio sistema: anche questo è molto significativo.
Perché il nuovo sistema è nato dalla strobilazione del vecchio e quest’ultimo
era già in moto prima del collasso
sistemico, e sta ora prendendo forza. E qui si vedono tante incomprensioni, anche
da parte di crede di aver capito: non se n’escano con Stalin o Hitler: il
nuovo sistema non è la Gestapo, please. Non ci vengano a dire siffatte assurdità: non è né la replica né la copia del 1984
di Orwell. Il suo controllo è “macchinico”, digitale, diffuso, e non è fatto da
degli uomini. L’individuo ha un ruolo solo ancillare
in un tal sistema di controllo basso, debole, ma diffuso, come le radiazioni elettromagnetiche del 5G: meno forti
dei vecchi telefonini, ma ben più pervasive.
Proprio così funziona:
diminuzione dell’ intensità – ed ecco
che l’evocare Stalin o Hitler è solo dimostrare di non aver capito il “cambiamento” – a fronte di un accrescimento della pervasività, direi quasi capillare. E in
sala comando non c’è nessuno, nel senso che se ci son troppi galli a cantare
non fa né farà mai alba …
La presupposizione di
porre una certa “individualità” in cima a tale “macchina celibe” non è altro
che un calco dei regimi totalitari
sorti in Europa negli anni Trenta del secolo scorso, ma siamo di fronte ad un
fenomeno diverso nella sostanza, e cioè qualitativamente
differente. Il tentativo, miope, di sostituire “l’anticristo” con un tale “capo
in cima alla piramide del controllo” rivela un errore radicale, fondamentale. Non
vedremo repliche di quel passato perché non ce ne possono essere: il cinema è
in crisi, non si danno repliche. Tra l’altro, i virus in realtà non si riproducono: si replicano.
Questa pervasività
capillare la vediamo in vari fenomeni, come anche (ma non solo) nelle propagande politiche oppure nelle “infodemie”
sui social: da dove ci giriamo vediamo questo nuovo
sistema, che funziona diversamente da
quello precedente. Un sistema di flussi, la cui origine diventa complesso
individuare, pur essendoci, ma i cui effetti sono come onde anomale. Tanti,
troppi, per non dire quasi tutti, sono stati presi alla sprovvista da un tal
gigantesco cambiamento.
Soprattutto anche per la sua rapidità: due o tre mesi, cioè zero.
E il vecchio sistema si è dissolto. In due, tre mesi! Che il
mondo moderno fosse, nella sostanza, finito è stato da me detto “in tempi non
sospetti”, sei anni fa[5]. Ma la
vicenda, ormai non più “moderna”, però, non è finita: che cosa, dunque, ci
attende, ora?
Ma non si son dissolti
né la Terra né gli uomini che la coprono coi loro folli passi. Di qui quest’ impressione di “continuità”, un’impressione depistante, però. Se tu assumi un veleno, non in un’unica
soluzione, ma invece lo scaglioni, allora ti ritrovi avvelenato senz’accorgertene:
così gli architetti del binario han proceduto, c’hanno quasi abituati ad un tal
procedere.
In un tal nuovo
sistema, qual è il ruolo dello stato di diritto, ti chiedi, dunque. Qui è
l’emersione dei “due grandi falsi”, senza dubbio, son d’accordo, e che mettono
in questione lo “stato di diritto” in modo più sostanziale, ben più profondo della sola crisi della
rappresentanza – più volte ricordata in questo blog – la quale crisi della
rappresentanza, di per se stessa, comunque rimane strutturale, irrisolvibile
nel sistema vigente.
Ma qui si toccano
strati più profondi ed essenziali.
Dici giustamente: “Quando muore l’individuo, non muore
l’individuo, muore lo stato”. Verissimo,
ma non vien percepito. La morte dell’individuo rimane individuale, non intacca
i residui di stato. Questo perché alle promesse della modernità, evidentemente,
nessuno più crede nel profondo, ma faranno di tutto per dire che “lo stato”
(che c’è stato) risponda mantenendo la sua promessa. Lo stato non può farlo, ma
non è questo il punto. Il populismo è accettare che non lo farà ed accettare
che potrà farlo solo in parte, o a parole, purché
gli si dica che lo si farà “in suo nome”, in nome del “popolo” cosiddetto. Questo richiamo dev’esserci, oggi,
mancando il quale quand’anche si desse tutto, sarebbe dare nulla. Il che ci fa
misurare con esattezza la deriva tremenda nella quale il sistema delle
relazioni di rappresentanza vive ormai da tempo, e viveva già in uno stato tale
“alle soglie” del Grande Blocco. Ecco
perché i “piccoli Trump” monopolizzano la scena oscena della rappresentanza nel
XXI sec.: essi s’impongono perché dicono che fanno ciò che tutti gli altri
fanno – non c’è molta scelta –, ma lo fanno “in ‘tuo’ nome”, nel nome del
“popolo”. Il che significa che i corpi intermedi son saltati, non da ieri; il
che significa che le classi dirigenti globali, del mondo, sono alla frutta o anche
al dolce …
Questa crisi è più
profonda, quindi, perché non son toccati, negli sviluppi attuali, le sole modalità del “patto” fra “cittadini e
stato”, ma l’ essenza dello stato tout court. Quello ricordato da Hegel,
sì, lo “stato borghese” di Marx, quello che il XIX secolo ha tanto lungamente
“partorito” e le cui radici ultime, in realtà – seppur in forme differenti –,
rimontano al XVII sec. (come
ricordato in un post precedente[6]). Insomma,
il patto fondante, oggi, è rimesso
in questione, nella sostanza. Lo
stato di diritto – in realtà schiavo del sistema capitalistico, cosa che non ha
mai esplicitato, pur essendo verissimo
– non è in grado di dare “a tutti”
né giustizia né salute (dove per “tutti” si deve intendere: le classi medie, i
son sempre stati esclusi anche in “Occidente”, sia detto chiaramente). Ma
finché una tale “mancanza”, con tutte le sue conseguenze, accadeva “lì lontano” (i paesi del “Terzo Mondo”
cosiddetto), poco importava: non si vedeva, dunque come non esistesse (certo,
talvolta “forava” gli schermi: qualche lacrimuccia, e via, tutto come prima), ma
ora succede nel centro dell’ex
sistema: questa è una crisi profondissima delle basi,
cioè della struttura portante.
Domanda
2. Il problema della “decisione”, problema che ci ha occupato lungamente in questo
blog, e di cui, tra l’altro, si è detto tante volte sempre in questa sede. Te
ne chiedo, però, alla luce (oscura)
dei recenti eventi.
[PB] Abbiamo raggiunto il punto di caduta.
Un riferimento storico, a tal proposito, va fatto: l’uomo ha pensato nel corso
della sua storia ad una “età dell’oro”, possiamo far qui riferimento ad Esiodo,
un’ “età in cui l’uomo è liberato dal dolore e dal lavoro”. Quest’idea è come
un’ossessione per l’uomo: la ricerca di un mondo perfetto, però fondato
sull’imperfezione. Questa spinta si è incarnata in modi assai diversi nel corso
della storia, vediamo, tuttavia, come la si è vissuta nella modernità.
Nella modernità –
fondata sull’ assenza del fondamento, di qualsiasi fondamento – si pretende di “fondare” l’agire umano,
qualsiasi ed ogni agire umano. Nasce la vicenda dei grandi conflitti, a ripetizione. Ci
troviamo, infatti, di fronte agli uomini, come “tipizzato” da Eschilo, per
esempio; e gli uomini agiscono, sì, ma senza
riflettere. La vicenda del virus, in tal senso, è stata la cartina di tornasole della politica che
ha manifestato pienamente quanto da noi detto più volte: la politica è stata esautorata dalla decisione. In caso di
crisi (“grave” cioè strutturale, fondamentale), “chi” o “cosa”
decide? La politica non ha niente da dire in caso di emergenza vera
(“sistemica”), se non “affidarsi a” qualcos’altro, oppure sognare impossibili
“ritorni” all’età “delle nazioni” e del (cosiddetto) “popolo”. L’ “apocalisse”
vera questo è, quando il sistema “gira da solo”, per così dire, in una
situazione di emergenza continua o continuata. Quest’ultima potrebbe anche divenire una nuova
“normalità” …
Ora però, in una tale
situazione – non perdiamo di vista il nostro punto centrale – si pone una
questione che sembra ben poco presente nel “dibattito” dei nostri
contemporanei, focalizzato com’è su cose, per carità, importanti, ma vi è ben
altro in questione, si perde di vista il punto: Che cos’è – oggi – la capacità ordinatrice della
politica? Perché questo è “il” problema che quest’emergenza Codiv19
ha fatto emergere in tutta la sua
forza ed ampiezza.
Per provare a
rispondere, dobbiamo, a mio avviso, porci una domanda fondamentale. La domanda
è: Tì estì politikè, “che cos’è” la
politica? La politica è: istituire un ordine permanente e sicuro alle molteplici forme del “fare” umano; è una prassi. Per
esempio, Marx e la teoria della prassi: dal punto di vista filosofico, la sua era una teoria della prassi. La permanenza, con
la modernità – che è una vicenda di grandi confitti, come ho detto – sparisce
sempre di più. Ma cosa succede se non c’è manco più la sicurezza? E, si noti,
come sia centrale oggi la sicurezza, come se tutta la politica vi si fosse
rifugiata. Se manca pure la sicurezza,
oltre la permanenza, la politica diviene un’altra cosa, quella che oggi è divenuta.
Ma già Weber parlava della sostituzione che l’economia fa della politica. In
tal caso, la politica è una “fabbrica”, è un’azienda che deve dare i benefici
delle aziende, a cominciare delle aziende sanitarie, per fare un esempio
relativo alla situazione di oggi.
Se
viene meno il patto fra stato e cittadino, su cosa fondiamo noi questo rapporto
fiduciario? Come può, allora, non essere in crisi la politica?
In quest’allontanamento
fra cittadino e stato, si giunge ad ipotizzare il voto a distanza e la
soppressione non dei “quadri intermedi” – cioè i partiti, già spariti da tempo
– ma dello stesso voto in parlamento. Non si può fare altro se non recepire le
decisioni degli esperti. Ma come tu rispondi ai vuoti decisionali che si
generano inevitabilmente? Possibile che un governo democratico non risolva il
problema delle mascherine per tre mesi? Tutte le decisioni assunte dal governo
in queste circostanze, anche su vari problemi, sono basate su risorse non
disponibili ma acquisite, e che pure si dovranno pagare.
L’elemento costitutivo
del sistema è il consumo: se
consumi produci, sennò no. Questo meccanismo fondante la stabilità del sistema è
entrato in crisi.
Facciamo un esempio,
l’industria dell’auto, che è sostanzialmente scomparsa: a marzo le
immatricolazioni hanno registrato un -97%! Di fatto, non si sono vendute auto.
Certo, che la ripresa sistemica può aumentare con la presenza di un vaccino, ma
è il sistema che ha avuto una sorta di collasso. Il trasporto individuale è stato una colonna portante del sistema. Se manca o s’intacca
fortemente, con che cosa lo sostituisci? Con il trasporto pubblico? Questa è
una favola, perché il sistema non è
costruito sul trasporto pubblica ma su quello privato.
Lasciamo le favole,
riconosciamo che il problema ha l’enormità che ha, e torniamo alla domanda di
prima, che rimane intatta:
Che cosa è in grado di
produrre, oggi e per il futuro, il sistema politico? In presenza
di conflitto con vari “immigrati” molti “stati sovrani”, fra loro in conflitto,
cosa fanno? Un conflitto si mescola con un altro. E il conflitto più grave oggi
è quello fra le economie di “capitalismo moderno” in fase matura (USA) ed
economie emergenti (Cina), che si fa? Ricordo che in Cina vi son circa 800
milioni d’individui come forza lavoro, e intendo forza lavoro “attiva” …
[AAI] Sì, abbiamo
raggiunto “il punto di caduta”, non v’è dubbio. Il fatto che sia stato
raggiunto “a dosi omeopatiche”, fa sì che sia meno visibile di quanto sia, ma
non ne altera la natura.
La modernità e
“l’origine” intrattengono delle relazioni conflittuali, ma proprio sin dal
principio della modernità stessa. Un’interrogazione riguardante “l’” origine, in sé, non può trovare riposo se non in una risposta che sia
relativa, anch’essa, proprio a “l’”
origine. Di qui la totale nullità di “‘tradizionalisti’ & Co.”, perché o
sei in grado di riattualizzare “l’”
origine, in sé, oppure il tuo
richiamarti ad un passato – più o meno “mitizzato”, questo è relativo – non ti
aiuterà in niente.
In nessuna delle
conflittualità da te ricordate vi è una soluzione, non se ne vede alcuna, quand’anche
si prenda coscienza della presenza del conflitto e della sua natura
strutturale: anche quest’ultima presa di coscienza è, in realtà, oggi molto ma
molto problematica. Tutto vien visto come “lotta fra due tizi” o polemiche sui
social. In una parola: tante chiacchiere ma nemmeno un lontano straccio di
soluzione.
Se il “fondamento” è in
questione, se esso è stato toccato –
ed intaccato – ergo dovremmo porci le domande fondamentali.
Non se ne vede alcuna
traccia di tutto ciò, su questo siamo d’accordissimo. Anche la tua descrizione
dello stato attuale lo condivido, non vi è niente d’aggiungere. La domanda che
ti poni, se cioè questo stato di crisi continuativo possa divenire la nuova
“normalità”, è una domanda che i più attenti cominciano a porsi sempre di più.
Le risposte possono
anche esserci, ma dubito siano gradevoli …
Domanda
3. Continuiamo con le nostre piccole, ma grandi questioni. Gli eventi non son conclusi, proprio per niente. E’ come se fosse
stato sturato un tubo, bloccato da tanto tempo. In realtà, è stata colpita la
vena giugulare del Sistema: il consumo,
cioè la domanda …[iv]
Cosa ne pensi?
[PB] Questa vicenda, in
effetti, è ancora in fieri. I suoi
aspetti più devastanti hanno destrutturato
tutto l’edificio su cui si sono
costruite le identità e le relazioni fra gli stati negli ultimi 50 anni:
proprio quest’ edificio di relazioni
sta franando. Le grandi
organizzazioni sovranazionali sono anch’esse
in crisi, a cominciare dall’ONU. Il problema è, oggi, se esista ancora una prospettiva, cioè se esiste una
prospettiva democratica reale (cioè
che produca effetti), e se possa
essere reputata fondativa di nuove
norme, condizione cioè, quest’ultima, di comunità.
Il vero potere occulto
lo si può vedere con una serie di domande:
Chi si deve
contrastare? Chi ci può salvare? Qual è il sapere
che produrrà “salvezza” in tutti i sensi? Nessuno.
Noi abbiamo dato mandato alla tecnica
di risolvere i nostri problemi in ogni
senso e abbiamo rinunciato ad ogni
trascendenza. La crisi del coronavirus ha mostrato apertamente il mondo dominato dal potere salvifico della tecnica e
i suoi punti deboli.
Questo ci riporta ad
una vecchia idea, quella della “mancata salvezza”, e quindi all’idea di
“utopia”, che mi ricorda questa frase: “L’utopia è un miscuglio di razionalismo
puerile ed angelismo secolarizzato” (Cioran). La tecnica è quest’utopia
realizzata, con i suoi limiti, evidenti, e però ha messo in crisi sia la Chiesa
cattolica che la politica, che non hanno una visione del futuro, dopo che la tecnica ne ha posto in crisi l’utopia, pur con
le ingenuità segnalate da Cioran. In questo sistema, la storia dell’Occidente è
solo un susseguirsi di fatti, non vi
è alcun tèlos in essa. Dunque
chiunque postuli un fine, un tèlos, della
e nella storia, è fuori, è
perdente. L’ultima utopia è stata quella di Marx: “Proletari di tutto il mondo
unitevi”. Oggi solo un folle può dire: “Popoli unitevi”. Un esempio è la
polemica di Trump con l’OMS o l’UE incapace di produrre una reazione unitaria.
In realtà, non c’è stato alcun paese che abbia affrontato l’economia e la
pandemia nello stesso modo: ognuno per i
fatti suoi, e si continua così
…
La vicenda più
preoccupante – non perché il resto non lo
sia! – è che sta venendo meno, pur se mai
è stata davvero reale, una qualche forma di solidarietà europea nel conflitto
in atto. Intendo nel conflitto tra
i vari paesi riguardo all’ “emigrazione” e quello fra USA e Cina per l’economia
globale, o ciò che ne resta. Stiamo perdendo capacità predittiva, non solo
produttiva, e capacità organizzativa, oltre alla presenza di ù volontà
politiche “varie” sottotraccia, cosicché i vecchi conflitti storici europei riappaiono e divengono
“rivendicazioni” quotidiane: “noi siamo”, noi abbiamo o “ce la” facciamo. Sono
rivendicazioni misere, molto lontane
dalla realtà in atto.
Si ritorna al quesito
iniziale: Perché stiamo perdendo la capacità di “riflettere”? Il che ci porta,
di nuovo, come in una catena, verso un’altra domanda: Cos’è stata l’Europa?
Essa è stata la
capacità di produrre cultura conflittuale;
questo differenzia la civiltà europea da tutte le altre. Al fondo dell’agire
umano c’è l’ agôn, il conflitto:
questo viene dall’antica Grecia. E proprio a partire dalla Grecia, come ha
dimostrato Colli, lo statuto del
dialogo non è quello di un fatto
pacifico, ma è quello di un conflitto.
L’uomo moderno, però, ha definitivamente abbandonato l’ “utopia”, per cui si
vede oggi o rabbia cieca oppure accettazione altrettanto cieca. Diceva
Leopardi: “Il vero uccide la vita, l’oblio la salva”. Nietzsche scriveva “Sull’utilità
e il danno della storia per la vita”, le questioni sull’ “infinito” e sul
“nichilismo” si collegano. Ma il sistema oggi rifiuta ogni cosa che non può
misurare. Ed ecco l’esigenza, mai così forte
come oggi: riflettere,
un’esigenza che il sistema rifiuta,
esso ha bisogno dell’immediatezza, del “tempo reale”. Non devi riflettere sembra essere il suo vero, unico
comandamento. Dice Cacciari: pensiamoci. Ed oggi è l’ unico modo: pensarci, né paure o istituzioni, men che meno la
tecnica. Ci riusciamo a farlo, a pensarci?
Non lo so, ma presuppone che tu non rinunci a questa tua capacità. L’uomo
è un essere “pensante”.
Come dice Cacciari: la
gente sarà pagata meno e lavorerà di più.
In una tale situazione,
vedo il seguente problema, che mi pare decisivo:
non c’è più pensiero antagonista, realmente tale.
[AAI] Tra l’altro, una
Cina messa all’angolo è pericolosa: ma un Trump questo vuole per poter dare la
colpa di tutto alla Cina ed avere così un “cattivo” per potersi mantenere al
comando nonostante gli errori macroscopici da lui commessi. E una Cina in crisi
tende al nazionalismo: è la sua tendenza storica questa. Invece una vera colpa politica qualcuno ce l’ha: gli USA, che
hanno mal gestito la situazione, ed hanno rinunciato ad un ruolo di leadership globale
per seguire una via iper nazionalistica che non può che stimolare il
nazionalismo altrui. E il nazionalismo cinese, come ben sa chi conosce la
storia, è una brutta bestia davvero:
nazionalismo, non “comunismo”, ora anche far capir questo agli occidentali di
oggi è un’impresa di Sisifo … Dunque cosa vuoi salvare qui? Non capiscono l’ abc, figurati tutte le restanti lettere
dell’alfabeto … Sarebbe stato intelligente – ma è impossibile anche solo
pensarlo nell’attuale corrente – non rinfocolare il mai passato sentimento “etnicista” cinese (che noi chiamiamo “nazionale”, per la
precisione non è proprio lo
stesso), occorreva piuttosto annacquarlo. Consigliava Sun Tzu di non mettere
mai all’angolo il proprio nemico, ma di lasciargli sempre una via d’uscita …
Aggiungerei un’altra
cosa, però, come caratteristica di questi tempi: che è l’ incertezza la dimensione che sta contribuendo a minare il sistema.
E, in realtà, è davvero una vicenda
ignota, come dici, il che contribuisce non
poco alla crisi sistemica. Nessuno sa dove si andrà.
Una crisi squisitamente
“politica”, cioè una crisi di leadership globale, soprattutto da parte
americana[7], si
unisce con un fase d’incertezza sistemica, in un profondo sforzo di minare
l’intera costruzione globale. La risposta è: “tornare all’epoca delle nazioni”,
quando hai problemi che le nazioni non sono, per definizione, in grado di
affrontare non fosse che per la “scala”, per “l’ordine di grandezza” (le
“potenza di dieci”, si dice in matematica). Deduzione, facile: non si va molto
lontano su tali cammini. La via di una iper digitalizzazione si ritrova, dunque,
oggi con ancor meno alternative di quante già non ce ne fossero prima … Vale a
dire: il sistema “precipita” in senso chimico.
A livello sistemico,
manca una voce unitaria che possa dare sicurezza,
cioè la seconda delle promesse della
modernità.
Direi quindi che, più
che l’ “esserci” heideggeriano, questa sia la stagione del “pensarci”! Vedo che
questo “pensarci” viene molto preso in sordina: prevale l’irrealtà del “tempo
reale”, prendi posizione, dici la tua, cose del genere, cioè “farsi arruolare”,
come lo chiamo, e pure senza esser pagati …!
Veniamo alla questione
del dialogo. Colli parlò anche di questo: dell’illusione dell’Occidente, ma
soprattutto della modernità, che sta nell’aver voluto fare di uno strumento di
dominio, la ragione greca, conflittuale,
uno strumento costruttivo. Il dialogo era un mezzo per primeggiare nel
conflitto (agôn, appunto), e di
sottomettere gli avversari, ma non in modo diretto, per mezzo della violenza
palese (Ares), in modo indiretto
invece (come l’arco di Apollo che, nel famoso passo dell’ Iliade, sparge la peste nell’accampamento dei Greci, e cioè dei
“fondatori” dell’ “Occidente”[8],
passo estremamente significativo, e sul quale inviterei a meditare, in tempi di coronavirus, perché è come se la
vicenda dell’Occidente fosse stata ricondotta
alle sue origini).
Il dialogo, a parte che
in vari contesti culturali non ha proprio per niente la stessa valenza, a parte
questo, è una maschera della dominazione. In altre parole: non può essere lo
strumento adatto per una “pacificazione delle opinioni”, che sarebbe solo la
possibile anticamera per poi, effettivamente e non a chiacchiere, mettersi
assieme contro un nemico comune, cosa quest’ultima che, come s’è visto, rimane
impossibile oppure molto ma molto lontana.
Il resto sono
considerazioni assai condivisibili. (La questione dell’utopia richiederebbe una
trattazione specifica, e a parte: per far “presentire” come la penso, pongo una
nota finale per chi vorrà fin lì avventurarsi, a suo rischio e pericolo …[v]).
Ti chiedevi se possa esistere oggi una prospettiva
fondante il futuro e che abbia effetti, se possa esistere, in particolare, nei
regimi democratici. Su questo, la mia risposta è chiara: no, non
esiste.
Voglio solo notare
qualcosa qua e là, per esempio l’affermazione di Cacciari che constata
l’evidenza, che cioè, col telelavoro, la gente sarà pagata di meno e lavorerà
di più. Ma questo è l’effetto di tutta la rivoluzione tecnologica che comincia
dagli anni Settanta: ricordo gli scritti di Baudrillard di quel periodo,
proprio relativi alla rivoluzione digitale ed alle sue conseguenze. Già in
quell’epoca parlava della “fine del tempo libero” e dell’ indistinzione fra “lavoro” e “tempo libero” che ci sarebbe stata in
futuro …[9]
Ovviamente, “in futuro” per il tempo in cui Baudrillard scriveva, ma è il nostro presente …
In pratica, oggi stiamo
semplicemente “compiendo”, portando al suo compimento,
ciò che chiamo “iper digitalizzazione”, cioè quanto era iniziato negli anni
’70, cioè la fase di ristrutturazione sistemica
che ha mutato la “pelle” alla serpe del capitalismo.
Tutto nasce con la fine
del Gold Exchange Standard e con la “libera” fluttuazione delle valute, in
particolare del dollaro, e si rafforza con la digitalizzazione dell’economia: nasce la possibilità, da parte
della finanza, di moltiplicare i suoi profitti a livelli esponenziali.
La
crisi del ‘29 e la fine del Gold Exchange Standard sono le tappe miliari per la
costruzione del System, che oggi è entrato in una fase
critica. Se anche misuriamo non solo la moltiplicazione, folle, dei “prodotti”
finanziari, ma pure l’impatto del sistema sulla natura della Terra, scopriremo
che, dagli anni Settanta ad oggi, al 2020, si è fatto di più, e con livelli esplosivi, rispetto alla somma dei decenni precedenti.
Questo sistema, oggi,
non funziona più o così bene come prima.
La sua trasformazione
in un sistema di simulazione di massa continua, ma il punto è che non è in
grado di poter mantenere le “promesse” fatte. E’ in grado di auto sostenersi,
di replicarsi – come i virus: il
paragone fra questo sistema e i virus è calzante
davvero[10] –, ma non è in grado, altrettanto bene del sistema precedente, di “mantenere le promesse”,
cioè si apre la frattura sul fronte del consenso
… Questa è la nuova linea di “faglia” ed è su questo problema che interventi
assai “particolari” – alcuni dei quali senz’altro “strani” – si effettueranno e potranno svilupparsi …
Detto tutto ciò, non
posso che condividere la constatazione, di Paolo Broccoli, sulla mancanza,
oggi, di un reale pensiero antagonista. Ve ne sono dei simulacri, delle false
opposizioni. Io vedrei un grosso problema su questo fronte. Non è affatto
impossibile che proprio questo fronte di un falso antagonismo sia quello che
vedrà il suo massimo sviluppo nei prossimi anni.
Rimane, invece, fermo
che sia necessario un reale pensiero antagonista: ma poderosi ostacoli si palesano all’ orizzonte.
La polemica di Trump
sull’OMS è poca cosa, vi è di ben peggio: è recente la notizia che ha lasciato
il Trattato internazionale “Open Skies”, che regola la trasparenza delle
attività militari: un’altra spaccatura, che poi è l’unica e sola cosa che un Trump
sa fare. Questo sono i “sovranisti”, sanno solo spaccare, e quest’individuo si
manifesta per l’ennesima volta un agente del caos, un infiltrato che distrugge
da dentro ciò che, a parole, dice di rafforzare. In nome del “Prima l’America”
non sta facendo altro che indebolirne il ruolo di leadership, ovunque,
dovunque: nulla di nuovo. In linea generale, quando si vuol lasciare qualcosa
si dice di volersi “avvicinare” ad essa;
quando ci si vuole allontanare da qualcosa, si dice sempre che si vuole “ritornare
alle origini”, ma occorre capirle queste origini! Chi sa della loro esistenza,
sa pure come siano attingibili con estrema difficoltà: non basta strillare i
propri “desiderata” per potervi tornare …
Il che ci porta
direttamente all’ultima parte del tuo intervento: la necessità di un pensiero
antagonista, termine che fa tornare in mente l’ agôn, il conflitto. Ma,
se non c’è una diversa visione, che conflitto reale potrà mai esserci? Ci sarà solo rabbia o tentativi, appunto,
di “tornare indietro” che, spesso nella storia, possono aprire la strada ai peggiori tradimenti. Oggi vediamo solo
i figli dell’età del “consenso assoluto” che si sentono delusi del loro
sistema, e per questo son arrabbiati. Mai gli passa per la testa che quel che
vivono è l’esatta conseguenza di quelle “leggi del mercato” cui hanno sempre
reso sentito e totale omaggio.
Dove vogliamo andare su
queste basi? Dunque, sì, son d’accordo, ci vorrebbe un vero pensiero
antagonista: ma la vedo molto difficile
farlo concretamente!
E la deriva nata dalla
crisi sistemica non è affatto finita, per niente! Siamo, infatti, non alla fine della Grande Crisi,
riapertasi, ma solo alla fine dell’ inizio di tale Crisi, una crisi, poi,
che segna il capitolo finale della “Crisi del mondo moderno” (per dirla con Guénon).
Quel che si può dire, però, è che son d’accordo sulla necessità di un pensiero
antagonista, nelle condizioni reali di
oggi, non in quelle di ieri
né in quelle di domani, con conseguente invito, non può esserci oggi qualcosa
di più, a chi fosse interessato di volersi istradare su tal sentiero. Con una
cautela, molto importante oggi: di stare attento rispetto a tutte le false vie che gli verranno presentate o
promosse in ogni forma, fatta, misura, copertura, maschera.
PS.
Attenzione: chi è parte di un pensiero realmente antagonista – e cioè per prima
cosa vuole che ritorni l’ agonismo a
livello sistemico – è sollevato dal dovere di rimetter in moto
il sistema quando esso vada in panne, come oggi … Non si può certo chiedere a
chi è contro il sistema di salvarlo! Anche se, chiaro, proprio chi è contro,
avendo, per forza di cose, una visione “sistemica”, ti dirà, subito, qual è il
nocciolo della questione: la domanda, la domanda globale, che s’incanala nel
consumo; se non sostieni la domanda, come rimetti davvero in moto – e cioè in espansione: moto vuol dire sempre, in
ogni caso, espansione, nel sistema
capitalistico – il sistema? Tutte queste tonnellate di chiacchiere, di azioni, ma
soprattutto di parole, parole, parole, e tuttavia non riescono mai a
focalizzarsi sul punto decisivo! Uno spettacolo che farebbe ridere, se non
intaccasse, ahi noi, “la carne e il sangue” di tanta, ma tanta, tanta gente.
Volendo porre
nuovamente al centro un pensiero antagonista, rimarrebbe, tuttavia, il
problemino, non da poco anch’esso, di come
trarre profitto dalla crisi sistemica, dalla “situazione eccezionale”, dallo
“stato di emergenza globale” che, più volte, si è annunciato in questo blog: e,
ripeto, non è precisamente un
problema semplice!
In ogni caso, di questo
pensiero “antagonista” non ne vediamo ancor segno alcuno. Ma è verso uno
stimolo per la sua rinascita che qui chiudiamo, pur ben consapevoli che uno
stimolo in tal senso abbia oggi scarsissime possibilità di essere accolto.
Diciamo che, in coscienza, ci si sente qui di fare appello a quest’ auspicio, chiamiamolo così: auspicio.
Nel ringraziare P.
Broccoli, chiudiamo qui tale Conversazione.
[Andrea A. Ianniello]
[1]
Notevole come lo stesso autore, in un altro libro, sottolinei la differenza fra
massa e individui rispetto alla vita ed alla morte: “Tre fenomeni importanti e
ben noti all’umanità hanno come conclusioni dei mucchi di cadaveri. Assai
affini tra loro, devono essere accuratamente distinti l’uno dall’altro. Sono la
battaglia, il suicidio di massa, e l’epidemia. Nella battaglia l’obiettivo è costituito dal mucchio di cadaveri dei
nemici. […] Nel suicidio di massa
tale attività si rivolge contro la stessa propria gente. […] Nell’ epidemia si ha lo stesso risultato, il
quale però non è deliberato (come nel suicidio di massa), e pare imposto
dall’esterno da un potere sconosciuto. Passa quindi molto tempo prima che
l’esito ultimo sia raggiunto, e quindi si vive tutti in un’uguale, terribile
attesa, durante la quale si sciolgono i consueti vincoli degli uomini”, E. Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano 1981 (edizione “Gli
Adelphi” 2017), p. 331, corsivi in
originale. Al contrario: “E’anche significativo che gli antenati di una singola
generazione rimangono isolati. Essi
son conosciuti come individui, e come tali venerati; solo quando molto tempo è
trascorso, ricadono insieme nella massa. Il discendente ancora in vita è
separato dalla massa dei suoi antenati proprio da coloro – il padre, il nonno –
che vi si contrappongono quali individui singoli e ben definiti. La
soddisfazione per essere ancora in vita che può penetrare la venerazione
tributata dal figlio, è estremamente moderata e tenue. La situazione stessa
impedisce a quella soddisfazione di agire sul figlio quale incentivo ad
accrescere il numero dei morti. Il figlio è, a sua volta, destinato ad
aumentare di un’unità il numero dei morti, e si augura che ciò non accada
ancora per molto tempo. La situazione del sopravvivere è così privata di ogni
carattere di massa. In tal contesto, la passione di sopravvivere sarebbe
assurda e incomprensibile, e il sopravvivere è liberato da ogni tratto omicida.
Il ricordo e il senso del proprio io sono intimamente congiunti. L’uno ha
influenzato l’altro, e di ambedue si è palesato il meglio”, ivi, p. 328, corsivo in originale. Solo
chi è ancora “individuo” ha morte “distinta” e fuoriesce dalla “massa”;
pertanto, in tal senso, è altamente
significativo come i “morti di Bergamo”, trasportati dai camion militari quella
notte famosa, siano stati presto dimenticati ed obliati dalla “memoria
collettiva”, nonostante tonnellate di
chiacchiere, perché attesta – al di là di ogni ragionevole dubbio – quanto e
come la società di oggi sia “massificata” in modo pressoché totale. Di qui la completa ottusità di
chi continua nel ripetere vieti slogan “illuministici”, quando la pandemia ha
risvegliato quel fondo nascosto che, in realtà, c’è sempre stato, solo coperto
da superfetazioni “varie”, fondo che risorgeva, sempre, in tutte le epidemie
storiche, se uno si studia le testimonianze del passato. E quest’epidemia non
ha fatto eccezione alla faccia, per l’appunto, delle “fole” illuministiche,
delle illusioni della ragione. E siamo solo all’inizio della fine: abbiamo
visto la fine dell’inizio della fine, non la fine del processo di fine in se
stesso.
Tornando alla
questione “massa versus individui
distinti”, questione, però, posta in relazione alla morte, è altrettanto
interessante sottolineare come – nel romanzo Eaters of the Dead, di M. Crichton (divenuto “Il 13° Guerriero”, di
J, McTiernan, del 1999) – la
preghiera funebre finale dei
Normanni, di fronte al “pericolo senza nome”, sfoci nell’appello a tutti i
propri antenati, alla fine senza volto distinto, non più individui: decisamente
l’ intreccio dei due aspetti, massa
ed individuo, di fronte alla morte, diventa ben complesso e paradossale. Si
noti che, in tale preghiera, prima
gli antenati son citati come distinti, poi, alla fine, divengono indistinti, son “tutti” gli antenati,
non più come individui percepiti. Tale preghiera è riportata su Wikipedia, cf.
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_13%C2%BA_guerriero.
Vi è su youtube
la scena finale, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=UJhnkOvbEOk.
[2]
“Mi ricordo d’aver visto alcuni giorni prima […] due enormi camion carichi sino
all’altezza di un primo piano di stampelle di legno nuove neppure ancora
verniciate. In quelle montagne di stampelle per
gambe che non erano ancora state falciate, vi era un’ironia particolarmente
cinica su tutte le illusioni in cui la gente si culla”, P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Casa Editrice Astrolabio,
Roma 1976, p. 61, corsivi in
originale. Sono parole molto, molto ma
molto, ma davvero molto calzanti
in relazione a ciò che abbiamo appena vissuto. Le illusioni della gente, però,
rimangono …
[3]
“Il caso nella nostra accezione di dispositivo aleatorio, di probabilità pura
sottomessa alla legge delle
probabilità (e non alla regola del
gioco), questo caso moderno di concezione razionale: una specie di grande
neutro aleatorio (G.N.A.), sintesi d’un universo fluttuante dominato
dall’astrazione statistica, divinità sdinvinizzata, slegata e disinteressata:
questo caso non esiste affatto nella sfera del gioco. Il gioco, anzi, esiste
proprio per scongiurarlo. Il gioco d’azzardo nega ogni distribuzione aleatoria
del mondo, vuole forzare quest’ordine neutro e ricreare al contrario degli
obblighi, un ordine rituale di obblighi che dia scacco al mondo libero ed
equivalente. […] Rimette sempre in questione la realtà del caso come legge oggettiva e le sostituisce un universo
legato, […] agonistico, e non aleatorio”, J. Baudrillard,
Della seduzione, Cappelli editore,
Bologna 1980, p. 199, corsivi in
originale. Questo vale per ogni cosa dove ci sia la statistica. Questo vale
anche per le epidemie, dunque.
[4]
Cf.
Mai avuto alcun
dubbio che Trump vincesse: la “pancia” dell’America è con lui, ed il ventre
dell’ “America”, un’ “ubuesca” gidouile,
è davvero enorme. Direi di più, la pancia dell’America è Trump, quello è il volto vero
dell’America, ed è sempre stato così. Quel che lo raffrenava era il dominio del
patriziato USA. Dominio sconfitto con la fine dei Bush. Il NWO non era altro
che il tentativo di dominio del globo da parte del patriziato USA, questo era.
A tutti coloro i quali “godevano” di questa fine va sempre ricordato questo:
che aver tanto combattuto i Bush voleva dire solo e soltanto avere i Trump. E’
una verità sgradevole. E non vuol dir che il patriziato USA fosse “buono”, ma
solo che aveva un “progetto”, sbagliato senza dubbio, però un progetto. Ora tu ti
puoi opporre ad un progetto politico,
ma non ti puoi altrettanto facilmente opporre ad un’assenza di progettualità
che però si sostiene con slogan e segue un nazionalismo becero ed ottuso sostenuto
dalle classi medie impoverite.
[6]
Cf.
[7]
Pochi anni fa uscì un numero di Limes:
“Chi comanda il mondo”, n. 2/2017 (febbraio); avevano già un punto relativamente “critico” su Trump: la
realtà è stata – ed è – molto
peggiore …
[8]
Ricordo quel detto di Aurobindo secondo il quale l’assedio di troia avrebbe
dato origine all’ “Ellade”, quindi, dopo, al’ “Occidente”, aggiungerei. Senza
Grecia niente Occidente, senza la vittoria sui Persiani, nemmeno ma già c’era,
la vittoria dei Greci sui Persiani ha poi consentito alla Grecia d’espandersi,
ma non è che l’aveva fatta nascere. Grecia vuol dire “agorà” ed “agorà” vuol
dire: politica ed anche mercato. Poi, nel corso dei secoli, il mercato si
sarebbe mangiato la politica. In Oriente, vi era il mercato, come vi è ancor
oggi il “bazar”, ma esso non è legato alla “politèia”, permane una differenza, profonda. Nella Cina imperiale, il
mercato era molto importante, ma ben
distinto dallo yamen, il
palazzo del mandarino. Il mandarino protegge il mercante, ma il mercante non ha
nessuna influenza diretta sulle decisioni del mandarino: ecco la differenza, di
nuovo, profonda. Nel corso dei
secoli, il mercante avrebbe influenzato le decisioni, fino a prenderle lui direttamente: questo è l’Occidente moderno; e l’Occidente moderno è nato nel Medioevo. Chi non capisce questo punto specifico non capirà mai la
vicenda dell’Occidente e della modernità, quest’ultima venendo dopo che il mercato aveva preso una sua indipendenza
ed una sua influenza decisionali. Le
strutture della modernità nascono quando lo “stato moderno” deve controllare il
crescente potere dei “mercanti” – i
“borghesi” – a fronte della crescente debolezza dell’aristocrazia fondiaria, di
vecchio conio. In questo “vuoto”, nasce la modernità, oggi finita.
[9]
Ma ecco un riferimento al libro in cui parlava del “tempo libero”, cf.
[10]
Bisogna osservare come Baudrillard, “in tempi non sospetti” (negli anni Settanta), già parlasse di un sistema “molecolare”,
criticando Foucault e la scuola “desiderante” nel senso che il modello di quest’ultima
in realtà stava solo anticipando la
mutazione sistemica, credendosi però “critica”
verso quest’ultima (considerazioni validissime
ancor oggi, mutatis mutandis, però
cambiando di segno e rivolgendole alla destra “sovranista” che, di nuovo, si
reputa “alternativa” quando invece si fa
solo cieco strumento di una fase in cui l’intero sistema è in “debito di consenso”),
cf. J. Baudrillard, Dimenticare
Foucault, Cappelli editrice, Bologna 1977
(si noti la data), testo da me citato in un vecchio post al riguardo del
fascismo, che oggi non c’è, però abbiamo la destra, ma liberista, iper
liberista, seguace del sistema, suo guardiano nel qual mentre mostra di esserne
“critica”, ma lo è. scriveva: “Strana coincidenza, ovunque, degli schemi di
desiderio e degli schemi di controllo. Spirale del potere, del desiderio e
della molecola, che questa volta ci porta veramente verso la peripezia estrema del
controllo assoluto. Attenzione al molecolare!”, ivi, p. 86. Oggi direi: Attenti al virale! Una sola nota, riguardo
alla lunga, e per certi veri interessante Introduzione (alcuni suoi aspetti son
datati, tuttavia), cioè quel passo dove Bellasi, autore dell’Introduzione, accosta
Baudrillard a Lacan e poi dice: “So bene che l’accoppiamento con […] Lacan non
farà piacere a Baudrillard; la sua avversione al pensiero psicanalitico è
esplicita e più volte dichiarata, anche se […] non adeguatamente giustificata e
approfondita, quanto lo sono invece le altre avversioni (tante, a dire il vero)
che egli manifesta e argomento con estremo rigore. Ma l’accostamento pare
almeno a me evidente”, ivi, p. 12.
Non è per niente “evidente” l’accostamento, e l’ “avversione” di Baudrillard per
la psicanalisi rimane forte. Vero è che non è altrettanto “ben argomentata”
delle altre sue, molte, avversioni: vero. Ma ciò solo perché la psicanalisi ha
un ruolo tutto sommato “minore” rispetto, per esempio, a Marx, un Marx non marxista, questo sì, ma che rimane
un autore centrale, col quale sempre
confrontarsi, “dialetticamente” starei per dire. Con la psicanalisi non accade altrettanto, è chiaro. Nonostante
ciò, la critica, seppur episodica e meno argomentata, di Baudrillard alla
psicanalisi ci sta: ed è quando lui affermava che è l’oblio della dimensione
del “simbolico” quel che ha dato inizio alla psicanalisi stessa, ed è il suo
errore metodologico a priori. Le altre,
molte davvero, avversioni di Baudrillard erano il pensiero sociale, e
socialista, non altrettanto il comunismo nella forma di stalinismo (attenzione
a questo punto), o il fatto che i “media dicono il ‘vero’”, l’ “America” in
quanto portatrice di un’ideologia (non l’America in quanto dimensione “primitivistica”
del sociale moderno, dunque suo specchio “inverso”, suo “angelo di stucco”), soprattutto l’illuminismo (ma non Marx). In ogni caso, nella forma del
pamphlet Baudrillard dava il meglio
di sé. Questo su Foucault, come l’altro sulle “maggioranza silenziose” –
fortunatamente riapparso l’anno scorso dopo un’eclissi che durava dal lontano 1978! – vanno letti. Purtroppo in Italia non si ha allo stesso modo
il “gusto” del pamphlet: la nostra tendenza è, sempre, per una verbosità dispersiva
eccessiva, la mentalità italiana trova difficoltà insormontabili nel venire, in
breve, al punto e, se ci viene, allora è tropo schematica, quando invece la
forma del pamphlet necessita di esser
pimpanti, saltellanti, agili: venire al “dunque” però in forma piuttosto agile,
soprattutto significativa. La penna dev svolazzare non esser piatta e senza
brio.
Sulla critica di
Baudrillard al “sociale”, cf.
[i]
E per quanto tempo ancora potranno mantenere le loro pretese? Dal loro punto di
vista: per sempre. Un diamante non
è “per sempre” …?
[ii]
Interessante quel che si legge nel libro citato a proposito di Bob Lazar: “Cerate
di rivelare una storia simile e finirete in disgrazia come Bob Lazar. Ciò che
era vero per i piloti del p-38
Lightning nel 1942 rimane valido ancor oggi. a nessuno piace esser preso per
pazzo. «E’ difficile essere preso seriamente nella comunità scientifica quando
sei noto come “il tizio dell’ufo”»
ha affermato Bob Lazar nel 2010 per questo libro”, ivi, p. 442. Su Lazar, cf.
“La verità su Bob Lazar”, a cura della redazione di “Shadows Of Your Mind” in “XTimes”,
Anno XII, n°126, aprile 2019, pp.
10-22. Mi fa piacere che, ben vent’anni dopo, Lazar abbia ricevuto una
valutazione più corretta: una compensazione solo parziale, ma è qualcosa. E’
sempre difficile la situazione, infatti, per chi si ritrova implicato in tali
eventi, e parla. Nel “box” a p. 22, in ivi,
vi è una breve intervista con G, Knapp. Alcuni estratti dell’intervista di
Lazar con Knapp, del lontano 1989!, la
si può leggere su di una pubblicazione: cf.
“Dossier Ufo”, pubblicazione periodica Hobby&Work (Marchio della Tema
Promozionale Gift agosto 2018, pp.
35-48. Vi sarebbe molto altro da dire, ma finiamo qui. Una sola ultima
osservazione: sulla copertina di un numero della rivista in inglese “Shadows Of
Your Mind” si legge di un articolo (che si trova in quel numero), a firma di P.
Levenda, sì, quello da me recentemente citato, cf.
[iii] “In
questo momento, nella storia umana, il problema di una saggezza superiore è
diventato immensamente importante. Se vi si deve rispondere negativamente, le
nostre chance di sopravvivenza come specie per di più di un centinaio di anni sono molto
dubbie. Possiamo scorgere le
difficoltà a venire per i prossimi venti o trent’anni [come
poi è stato] ma, posto che possiamo valicarle [e
non le abbiamo “valicate”], il ventunesimo secolo dell’Era Cristiana
vedrà il trionfo dell’uomo sulla natura e una società mondiale che regolerà la
vita umana in tal modo da eliminare la povertà, la guerra, la carestia, le
malattie […]. Tali predizioni sono fatte in realtà fiduciosamente da esperti in
«futurologia» [e sono state
sbagliate]. Una predizione realistica,
che tenga conto dei fatti fondamentali della natura umana
conduce proprio alle conclusioni opposte. Ogni progresso tecnologico crea tre problemi per ognuno che ne risolve.
Ogni aumento del potere dell’uomo sulla
natura si risolve in una maggiore distruzione. La società umana non si sta muovendo verso la fratellanza dell’uomo,
ma verso le peggiori manifestazioni
dell’egoismo e dell’avidità [come poi è stato ed è]. Senza
dubbio sopravvivremo al ventesimo secolo [come poi è stato]: ma se non vi saranno grandi cambiamenti [e non ce ne sono stati] pochi sopravviveranno al ventunesimo”,
J. G. Bennett, I Maestri di saggezza, Edizioni
Mediterranee, Roma 1999 (si ponga
ben mente alla data: ventun anni fa,
ma l’edizione originale inglese in realtà è del 1977), pp. 21.-22, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
[iv] “I fantasmi sono merci”, G. Anders, L’uomo è antiquato, Il Saggiatore, Milano 1963, p. 160, corsivi in originale. Dunque, le merci sono fantasmi … (e torniamo, per certi aspetti, a Marx).
Quel che Anders chiamava “fantasmi”
Baudrillard lo chiamava simulacri … “La
massima che ci perseguita continuamente e che fa appello alla «parte migliore
di noi», […] senz’ammettere contraddizioni, suona (o suonerebbe), se fosse
formulata: «Impara ad aver bisogno di ciò
che ti viene offerto!»”, ivi, p.
179, corsivi in originale. E, se hai definitivamente imparato “ad aver bisogno”
di cose inutili, cioè che servono al System per poter funzionare, cosa fai se
non puoi ottenere ciò cui sei stato condizionato a dover abbisognare (imperativo kantiano à rebours) …? Cos’accade? Accade che il System va in panne: oggi … “In California, nel 1941, il
mero fatto di non possedere un’automobile, di poter cioè essere colto in
flagrante delitto d’omissione d’acquisto, ossia in assenza di bisogno, mi mise nel seguente impiccio …”, ivi, p. 171, corsivi miei. Poi è
divenuto così per il computer, poi
per il telefonino, oggi per lo smartphone e domani qualcos’altro, ecc.
ecc. Non importa cosa, importa il meccanismo. “Il primo assioma dell’ontologia economica: l’esemplare unico non è”,
ivi, p. 176, corsivi in originale. “Il
secondo assioma dell’ontologia economica: «Ciò che non si può utilizzare non è»”, ivi, p. 180, corsivi in originale. “La realtà consiste nella riproduzione delle sue riproduzioni”, ivi, p. 184, corsivi in originale. Si
consideri che tali cose sono state scritte negli anni Sessanta del secolo scorso … “D’altro canto qualsiasi merce di massa è una copia, una copia del suo modello. E
ogni modello è, a sua volta, modello
soltanto delle sue riproduzioni; ed è un modello tanto migliore, quanto più grande è il numero delle sue copie, ossia quanto
maggiore è il successo della sua falsificazione in serie”, ivi, p. 214, nota finale n°45, corsivi
miei. Qui – ma siamo negli anni Sessanta del secolo scorso – la percezione già
c’è, ma non la radicalità della deduzione che ne avrebbe fatto Baudrillard: l’
“originale” non c’è più, c’è solo la copia di copie, in un mondo dominato dal Modello, cioè dal codice (informatico o genetico che sia).
Per finire, vorrei riportare
una citazione riportata dallo stesso Anders, che ben “tipizza” la nostra,
presente, situazione: “«Per il loro
ultimo pasto i condannati a morte hanno libertà di scelta tra i fagioli serviti
con lo zucchero o l’aceto.» Da un resoconto giornalistico”, ivi, p. 11, corsivi in originale. E: “Di
cosa ti lamenti fratello, anche gli angeli mangiano fagioli. (ragazza dell'esercito di salvezza)”, cf.
https://it.wikiquote.org/wiki/Anche_gli_angeli_mangiano_fagioli.
E – per venire all’America
“scassata” del film dal qual è stata presa la frase appena riportata – ben vi
si adatta il ragtime, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=n51d5hVmlIc; cf.
https://www.youtube.com/watch?v=Wnl4whTs_nw.
Su quell’America sgangherata,
come l’Italia, del resto, che già era in
nuce anni fa (non era per niente
difficile il prevederlo …), cf.
https://www.lulu.com/it/it/shop/enrico-fortunia/il-codice-gargantua-ovvero-la-gallina-di-cioccolato/paperback/product-1rerdjkp.html.
[v]
“L’utopia,
diceva Julien Freund, «consiste nel credere che arriverà un giorno in cui l’uomo
non avrà più bisogno di agire, né politicamente, né economicamente. Un giorno
in cui potrà risparmiarsi di decidere e di scegliere perché le cose si
regoleranno da sole». Lo stato politico pensato da Han Feizi risponde
esattamente a quest’obiettivo. Il sovrano illuminato non agisce e nell’impero
tutto si regola da solo, in maniera spontanea. Lo Han Feizi è una forma di utopia, che ha avuto il suo primo
tentativo di realizzazione nell’impero di Qin. Ma il modo di operare impulsivo e
violento di Qin Shihuangdi non si addiceva alla freddezza e al distacco
preconizzato dal sovrano modello di Han Fei. […] Il sovrano di Han Fei […] è
lontano dal mondo dispotico […], declassa il tiranno di Montesquieu da
dominatore a manipolato [dal suo stesso potere]. L’assolutismo
d Han Fei è un po’ come il despotismo democratico [quello
che vediamo oggi!]
intuito da Toqueville, nel quale l’uomo
viene degradato senza però che sia intaccata la sua persona [corsivi
miei: questo è il punto decisivo]: «il despotismo moderno degrada l’uomo senza
torturarlo» [corsivi miei; questo è proprio quel che
i neonati “cantori” della sedicente “libertà” non riescono a capire, per questo cercano gestapo o Stasi laddove
non possono essercene, quid amano le catene della propria gabbia …]”, Postfazione
di G. Kado in Han Feizi, Einaudi editore, Torino 2016, p. 318, corsivi in originale, miei corsivi indicati fra
parentesi quadre. Dunque, per tornare a Foucault: “sorvegliare, ma non punire”, se non quel po’ che serva.
Interessante che Fei vuol dire: negazione.
Moltissime visualizzazioni di questo post.
RispondiEliminaPS. Io spesso cancello dei post la cui visualizzazione risulta particolarmente bassa, Ecco perché spariscono. Talvolta li ripresento, ma, se vedo che le visualizzazioni rimangono basse, allora li cancello del tutto.