venerdì 22 maggio 2020

Conversazione con Paolo Broccoli (3). Sulla situazione attuale
















La nave scompare. Sipario”.
A. Jarry, Ubu, Adelphi Edizioni, Milano 1977 , p. 190, corsivi in originale.




«Voi avete messo il dito sul solo punto importante. La civiltà  è una congiura.
A che cosa servirebbe la vostra polizia se ogni criminale  trovasse un asilo dall’altra parte del distretto; o anche le vostre corti di giustizia, se altri tribunali non riconoscessero le vostre sentenza? La vita moderna è il patto non formulato fra quelli che possiedono per conservare le loro pretese[i]”.
J. Buchan (1910 ca.) in L. Pauwels– J. Bergier, Il mattino dei maghi Holmes, Oscar Mondadori, Milano 1979, p. 232, corsivi miei.




C’è una differenza sostanziale fra i morti in genere e i nostri morti, quelli che abbiamo conosciuto bene. Corrisponde esattamente alla differenza tra la massa e gli individui [corsivi miei][1]”.
E. Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi Edizioni, Milano 2017 , p. 73, corsivi miei indicati fra parentesi quadre.




«“I wicked problems”, in italiano “problemi perversi” o “maligni”, son problemi così complessi e contali e tante ramificazioni che non esiste neppure una definizione esatta del problema stesso; la vera natura del problema può essere compresa solo quando se ne trova la soluzione. Un esempio estremo è la previsione dei terremoti: nessuno è in grado di dire quale ne sarà l’epicentro, quando si verificherà o che conseguenze avrà».
N.d.T. in A. Jacobsen, Area 51. La verità senza censure, Edizioni Piemme, Milano 2012, p. 415, corsivi in originale[ii].























Introduzione


E ci vuole una “certa” attitudine mentale, quella consigliata nel passo citato (di Annie Jacobsen), per aver a che fare, in effetti, con quel che abbiamo di fronte: cioè un problema “maligno”, anche quasi “estremo”, e cioè che si svela e chiarisce solo e soltanto quando lo si affronta. E questa è, precisamente, la natura del problema di oggi[iii].
Veniamo quindi a tal wicked problem; e lo faremo per mezzo d’una conversazione.
Oggi torniamo, dunque, ad una conversazione, la terza, dopo le due precedenti, cf.
https://associazione-federicoii.blogspot.com/2019/08/conversazione-con-paolo-broccoli-su-due_4.html, quest’ultima intervista seguiva, poi, a sua volta, la prima: cf.

Lo schema è sempre lo stesso, così come le abbreviazioni usate: quella di P. Broccoli è “PB”, quelle gestore “AAI”. Le domande stavolta saranno tre: ad esse risponderà prima l’intervistato [PB] e, poi, risponderà il gestore [AAI].  
Dopo aver ringraziato Paolo Broccoli per la sua gentilezza, ed affermato che affronteremo un argomento complesso e dai moltiaspetti, semplificando inevitabilmente, entriamo, senz’altro indugio, in medias res.
Veniamo quindi alle domande.




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(τετρακτύς)







Domanda 1. Cosa ne pensi di questa “svolta”, o come la vuoi chiamare, che il mondo ha recentemente vissuto e che abbiamo visto? In effetti, tanti, però, sembra che non ne abbiano capito molto: per certi aspetti sembrerebbe sia stata subito rimossa o interpretata con occhi del passato.



[PB] Si tratta di una crisi strutturale, globale: è una crisi prima sistemica, e poi produttiva e dei servizi; per esempio, negli Usa ci son già 35 milioni di posti di lavoro persi. Non è solo il virus.
Per alcuni settori, poi, la crisi è anche più forte: il sistema culturale e del turismo, per fare un esempio. In America quello culturale, poi, è un sistema integrato vero e proprio, per esempio il cinema.
Due cose, però, voglio qui osservare: 1) si è verificata, e continua, una vera e proprio incapacità di capire la pandemia, da parte di tutti i governi, chi più chi meno: 2) si osserva poi una grave impreparazione a gestirne le conseguenze, una seconda impreparazione. E se viene un altro virus? Erano cose note, ma nessuno c’ha pensato davvero. E se ne viene un altro? Perché se ne parlava da tempo, e si dice anche che ce ne possono essere altri di virus, più o meno infettivi.
Dunque s’impone una deduzione: il sistema attuale non è in grado di affrontare le attuali e le future emergenze.
Vi sono altre cose d’aggiungere, riguardo ad alcune precedenti pandemie, che pure ci sono state: per esempio, l’Aids ancora fa circa 500 mila morti ogni anno. Il rischio del Sars-Cov-2 è oggi, si dice, strutturale …
Chiaramente ogni paese ha reagito a modo suo. Ma, ormai, i problemi sono politici, oltre che sanitari. Oltre ai morti, molti, è interessante come il sistema sociale, le relazioni lavorative e non solo, sia stato azzerato. La musica o lo sport, senza pubblico, che senso hanno? La Tv non può avere “vuoti”, e quindi nemmeno il sistema economico. La cosa che mi colpisce di più è che questo lascia intendere vi siano spazi per altri virus oggi sconosciuti. Tutta questa che viviamo è una vicenda ignota.
Interessante l’effetto generale: il sistema arranca. E, tranne casi rarissimi (Germania), nessuno ne concepiva neanche la possibilità. Che la pandemia sarebbe stata possibile era noto, ma nessuno, in realtà, se lo aspettava.
E qui saltano tutte le strutture rappresentative di un percorso organizzato che sia in grado di gestire il presente e controllare il futuro. “Il Comitato tecno scientifico ci dice cosa fare”, c’è chi lo fa bene, chi lo fa male: ma questo è, oggi; e i vari esperti si basano su dati scientifici: i morti sono un “danno collaterale”, e che i morti siano un “danno collaterale” oggi è considerato accettabile. Per la tecnica che i morti siano solo un “danno collaterale” è normale, ma contrasta col nostro presupposto. Il nostro presupposto, che ci ha accompagnato per decenni, si basa su due falsi: 1) la legge è uguale per tutti: 2) la salute per tutti.
Quando muore l’individuo, non muore l’individuo, muore lo stato. Questo perché uno dei due presupposti, detti qui sopra, viene rimesso in questione. Noi oggi abbiamo la prova provata che lo stato di diritto ha falle, è una costruzione incompleta o fallace. Questa è la “novità” dell’attuale situazione.



[AAI] Impreparazione a tutti i livelli, e, infatti, son possibili altri virus (cf. C. da Rold, Il prossimo virus in “Le Scienze” n°621, maggio 2020, pp. 26-33, dove, nella bibliografia, si parla anche dell’HIV; tra l’altro, l’articolo seguente, a firma di M. Sandal, tratta dei rischi da pandemia per virus da laboratorio, cf. ivi, pp. 34-39, nel novero dei quali il Sars-CoV-2 non è).
La cosa più tragica – ed insieme cinica, perché fa capire come funziona il mondo – è che i morti non siano altro che “un danno collaterale”[2] che viene accettato pacificamente, con questa o quella giustificazione. Tutto è mera “statistica”, insomma[3]. E i morti son sempre morti degli “altri”, come diceva Canetti, se non ci toccano “personalmente”; ma è impossibile che ci tocchino, tranne pochissimi: quelli, appunto, dei quali abbiamo una percezione individuale. In altre parole, sono “massa” e non “individui” distinti. E, in tal modo, cioè come massa amorfa, vengono percepiti e presto verranno dimenticati, se non ci sono delle ricorrenze pubbliche a ricordarli. Tra l’altro, sembra siano stati dimenticati con una rapidità incredibile.
Anche a me ha colpito la totale incapacità di capire cosa sia una pandemia, e questo non solo fra i governi – dei quali ho ben poca stima (e non parlo affatto solo del governo italiano, qualsiasi “partito” lo “gestisca”, ma dei governi del mondo, molti dei quali, per certi aspetti, han fatto peggio del governo italiano, e questo va detto), per cui ero assolutamente ben pronto ad accettare che i governi non ne capissero niente –, ma è l’incapacità di capire fra i “popoli” cosiddetti che è interessante come fenomeno di studio.
Dopo tante fole illuministiche, tra i “popoli” non si va oltre la ricerca dell’ “untore”, cioè; se uno si legge i resoconti delle vecchie epidemie, non si stupirà: basta far riferimento a Manzoni, nella letteratura italiana, ma ovviamente ci possono essere anche altri riferimenti. Quindi neanche questo mi ha stupito: le reazioni di massa sono quello che sono, e solo i perenni illusi dall’illuminismo e della “socialità” se ne possono stupire.
Eppure qualcosa di diverso c’è stato: la “pervasività” e la vera e propria “infodemia” sui social è stata la “novità”. Forse all’epidemia si può sfuggire, ma non all’ “infodemia”. Vi è un nuovo virus, dunque, un virus che ci accompagnerà a lungo: l’infodemia. Non si conoscono, al momento, vaccini al riguardo … E, mentre i virus, in ultima analisi, li fa la “natura”, i virus “infodemici” son come i virus digitali, sempre formati “a tavolino” da qualcuno, in laboratorio … Attenzione ad un punto, però, che va precisato: la realtà digitale simula quella biologica, non accade l’inverso, come invece appare da quasi tutti i “modelli scientifici” di oggi …
Ma torniamo a noi, dopo questa precisazione.
La “ricerca dell’untore” sembra essere divenuta il nuovo sport non nazionale, ma globale. I “popoli” e i loro poco brillanti rappresentanti si sono impegnati a fondo ad affondare in questa pseudo ricerca, anche, ma non solo, per far dimenticare le loro proprie colpe. Ma la cosa davvero più “divertente” – è un eufemismo – è che non riescano ad unirsi contro il nemico comune! Non è, dunque, solo per far dimenticare le proprie sottovalutazioni, ma è segno di una mentalità: infatti son pronti a sottovalutare ancora una volta qualsiasi nuovo pericolo che li prendesse di sorpresa. E’ che sono incapaci di mettersi assieme.
In altre parole, niente di veramente comune li lega.
Ti chiedi: e se viene un altro virus? Ah, boh, chissà come va!
Io facevo il caso di un “attacco UFO”, per dire il pericolo “senza nome” e senza volto, il vero “cigno nero” (l’epidemia non era una novità assoluta, ma è stata sorprendente nelle sue modalità, dunque si tratta di un “cigno bianco”, cioè non del tutto imprevedibile, il cigno nero essendo, invece, del tutto imprevedibile). Ho ricordato più volte, a tal proposito, il vecchio discorso di Reagan nel quale, proprio evocando un “attacco UFO”, aggiungeva poi che le differenze sarebbero state superata in nome del pericolo comune. Come no! L’abbiam visto a proposito di qualcosa di ben meno pericoloso del pericolo “senza nome”, del cigno nero di un “attacco UFO”! In ciò gli USA sono peggio di quanto si sarebbe potuto supporre: son ormai caratterizzati dalla totale rinuncia a qualsiasi ruolo complessivo per la mera, miope affermazione d’ “interessi nazionali”, perché questo ha significato la fine del NWO, del “Nuovo Ordine Mondiale” di Bush padre (1991), cosa da me detta “in tempi non sospetti”, come suol dirsi[4].
Il NWO – del quale tanti ancor oggi blaterano tanto senza capir niente – non era che l’ estensione del dominio del “patriziato USA” a tutto il mondo: tal progetto è fallito. Dice: eh, ma la Cina, la solita obiezione che fanno. Ma la Cina non ha le caratteristiche per poter svolgere un ruolo aggregante a livello globale, per sua natura e storia non è attrezzata: la Cina segue i suoi interessi “nazionali” come grande potenza, per questo è ben attrezzata. Stop. Non può fare altro.
Per la Cina l’interesse dell’ “umanità” non ha significato. Per “l’America” invece aveva “significato”, a parole, in modo ipocrita (nessun dubbio al riguardo), ma tale ipocrisia pure le impediva di degenerare come poi oggi è degenerata. Quindi per “l’America” è una caduta verticale, per la Cina è solo l’essere il paese che tutti già sapevano che fosse, e la Cina non ne ha fatto mai alcun “mistero” e continua a non farne alcun mistero. Le due cose non sono comparabili, dunque. Ed è altrettanto divertente che tale differenza non venga percepita. Insomma: i due paesi sono strutturalmente differenti, come mentalità prima che come “modo di vivere”, tra l’altro non sono nemmeno congruenti e non sanno neanche capirsi. La mediazione dovrebbe o potrebbe venire dall’Europa: e qui possiamo farci solo tante risate, l’Europina delle “piccole patrie”, dei micro nazionalismi non ha nessuna soluzione da proporre non dico ai “problemi del mondo”, ma neanche a questo problema qui, centrale, tuttavia, per le sorti dell’economia mondiale.
Dunque l’infodemia crescente, la manipolazione crescente della “pubblica” opinione, da un lato, e un “Nuovo Disordine Globale” – NWD –,  ben diverso qualitativamente dal vecchio disordine di prima della guerra fredda: ecco le due “novità” che abbiamo potuto veder svilupparsi sotto i nostri occhi.
In poche parole: siamo di fronte alla “nuova Babele”, direi di più: siamo di fonte al crollo dellaseconda Torre di Babeleche è la modernità “tarda”. Siamo di fronte ad un qualcosa di tale amplitudine, di tale grandezza: e nemmeno lo vedono! Non ne sono in grado! Ma dobbiamo dare alle cose il loro nome. In “italietta” manco si rendono conto che il loro modello è finito, il modello, e quindi che non si è trattato semplicemente di un “incidente di percorso”, un accidente senza causalità, un evento cosiddetto “imprevedibile”, un evento che intacca un modello in sé “sano”, quando è vero il contrario. In Italia – però accade in tutto il mondo, in tutto il mondo! – non si rendon conto come sia venuto giù tutto un modello, e stanno lì a bisticciare o a “dare le colpe”, che, poi, è il classico delle “destre”, cioè: si deve trovare il “capro espiatorio”, questo è il loro istinto, e non è cambiato, pur non essendoci alcun “fascismo”. Vi è liberismo, anzi, sono le ricette di un liberismo estremo quelle che propongono, figuriamoci se c’è il fascismo dell’intervento statale nell’economia!
Dunque cade la “seconda Torre di Babele”, che, però, è una costruzione malsana. Se ci leggiamo i passi dell’ Apocalisse di Giovanni, quelli relativi alla “caduta della Grande Prostituta”, e li paragoniamo ai passi biblici relativi alla “Torre di Babele”, saremo sorpresi – ma in realtà non sorprende: si tratta dello stesso modello – dal ritrovar echi dei secondi passi nei primi. Il sistema del mondo si è inceppato, si è bloccato: la “seconda Torre di Babele” ormai è “caduta”, che non vuol dire “sparita”, in quanto, quando cade una torre, in realtà ne restano larghi pezzi ancora in piedi, e tante macerie intorno. Ma questo è l’ “ordine di grandezza” dell’evento che abbiamo vissuto, e che abbiamo vissuto “alla cieca”, senza che vi fosse, né che vi sia, uno straccio di percezione – non parlo di comprensione: parlo di percezione – dell’ amplitudine, dell’ “ordine di grandezza” dell’evento che abbiamo vissuto. Cosa faranno i resti ancora in piedi? Ecco una domanda interessante. Vediamo che ognuno, in ordine sparso, cerca d’imporsi, ma in un disordine crescente.
La tua deduzione è, nella sostanza, corretta: “il sistema attuale non è in grado di affrontare le attuali e le future emergenze”. Sì, questa è la terza “novità”, e, fra tutte, forse la più inquietante ma, di certo, la più importante: viviamo in un sistema fallimentare, in un sistema che ha fallito alla prima prova davvero “globale”, per cui non ci si può più stupire che un tal sistema di relazioni internazionali sia stato fallimentare in tutti ed ogni quei problemi che avevano – e che continuano ad avere – una “caratura” globale, dalla fame all’inquinamento. 
Punto primo: con questa gente qui, non si risolverà mai nulla, salvo fare tonnellate di chiacchiere. Punto secondo: i “popoli” son felici solo di partecipare all’oceano delle chiacchiere inutili. “Parla che ti passa”. Ma il punto è che “non passa” proprio niente. “Non importa se il gatto sia bianco o nero se prende il topo”, amava dire Deng Xiaoping. E se il gatto non prende il topo? Che si fa? Noi viviamo in un sistema dove, per caratteri strutturali sistemici, per così dire, accade questo: che il gatto non può prendere il topo, non l’ha mai preso, e non lo prenderà mai. Tutto ciò la pandemia l’ha dimostrato, sotto i nostri occhi, e “al di là d’ogni ragionevole dubbio”. E ciò l’ha dimostrato in quello che, nel Calendario cinese, è “l’anno del Topo” … I topi tentano di fuggire dalla nave arenatasi su di una secca: ma intorno c’è solo l’oceano vuoto …
Dobbiamo fare i conti, quindi, con un sistema fallito, quel che io avevo chiamato: la “fine della Grande Prostituta”, e di cui ho sempre detto che non sarebbe stato quella serie di sciocchezze che si sentono dire, ma sarebbe stato l’ “arresto” del System, il suo collasso, e cioè quel che abbiamo visto (poi sarebbe ripreso, ma in forma diversa, cioè quel che stiamo appena cominciando ad intravedere).
Sia detto per inciso: sull’ Apocalisse di Giovanni continuano a dire tante sciocchezze, che non testimoniano altro se non della loro completa, e totale, incomprensione. Ma torniamo a noi.
Il rischio diventa, dunque, strutturale = il fallimento – ricordiamoci la parola: fallimento – di tutte le promesse della “modernità” dal XIX in poi, promesse già crollate dopo la Prima Guerra Mondiale – questo è il senso di quell’evento, tant’è che venne un certo Cancelliere (Hitler, che non è stato un “incidente di percorso” ma un esito sostanziale dell’Europa e della sua cultura, ed anche di questo s’è detto più volte, in questo blog) – ma che, poi, vennero “ristrutturate” dopo la Seconda Guerra Mondiale, e cioè la costruzione della “Grande Prostituta”, del “System” come lo chiamo. Quel mondo lì è crollato.
Ed è crollato per sempre, sotto i nostri occhi; ma quel che manca totalmente alla sensazione, al presentimento, all’impressione pubblica è proprio la percezione del crollo del vecchio sistema: anche questo è molto significativo. Perché il nuovo sistema è nato dalla strobilazione del vecchio e quest’ultimo era già in moto prima del collasso sistemico, e sta ora prendendo forza. E qui si vedono tante incomprensioni, anche da parte di crede di aver capito: non se n’escano con Stalin o Hitler: il nuovo sistema non è la Gestapo, please. Non ci vengano a dire siffatte assurdità: non è la replica la copia del 1984 di Orwell. Il suo controllo è “macchinico”, digitale, diffuso, e non è fatto da degli uomini. L’individuo ha un ruolo solo ancillare in un tal sistema di controllo basso, debole, ma diffuso, come le radiazioni elettromagnetiche del 5G: meno forti dei vecchi telefonini, ma ben più pervasive.
Proprio così funziona: diminuzione dell’ intensità – ed ecco che l’evocare Stalin o Hitler è solo dimostrare di non aver capito il “cambiamento” – a fronte di un accrescimento della pervasività, direi quasi capillare. E in sala comando non c’è nessuno, nel senso che se ci son troppi galli a cantare non fa né farà mai alba …
La presupposizione di porre una certa “individualità” in cima a tale “macchina celibe” non è altro che un calco dei regimi totalitari sorti in Europa negli anni Trenta del secolo scorso, ma siamo di fronte ad un fenomeno diverso nella sostanza, e cioè qualitativamente differente. Il tentativo, miope, di sostituire “l’anticristo” con un tale “capo in cima alla piramide del controllo” rivela un errore radicale, fondamentale. Non vedremo repliche di quel passato perché non ce ne possono essere: il cinema è in crisi, non si danno repliche. Tra l’altro, i virus in realtà non si riproducono: si replicano.
Questa pervasività capillare la vediamo in vari fenomeni, come anche (ma non solo) nelle propagande politiche oppure nelle “infodemie” sui social: da dove ci giriamo vediamo questo nuovo sistema, che funziona diversamente da quello precedente. Un sistema di flussi, la cui origine diventa complesso individuare, pur essendoci, ma i cui effetti sono come onde anomale. Tanti, troppi, per non dire quasi tutti, sono stati presi alla sprovvista da un tal gigantesco cambiamento. Soprattutto anche per la sua rapidità: due o tre mesi, cioè zero.
E il vecchio sistema si è dissolto. In due, tre mesi! Che il mondo moderno fosse, nella sostanza, finito è stato da me detto “in tempi non sospetti”, sei anni fa[5]. Ma la vicenda, ormai non più “moderna”, però, non è finita: che cosa, dunque, ci attende, ora?
Ma non si son dissolti né la Terra né gli uomini che la coprono coi loro folli passi. Di qui quest’ impressione di “continuità”, un’impressione depistante, però. Se tu assumi un veleno, non in un’unica soluzione, ma invece lo scaglioni, allora ti ritrovi avvelenato senz’accorgertene: così gli architetti del binario han proceduto, c’hanno quasi abituati ad un tal procedere.
In un tal nuovo sistema, qual è il ruolo dello stato di diritto, ti chiedi, dunque. Qui è l’emersione dei “due grandi falsi”, senza dubbio, son d’accordo, e che mettono in questione lo “stato di diritto” in modo più sostanziale, ben più profondo della sola crisi della rappresentanza – più volte ricordata in questo blog – la quale crisi della rappresentanza, di per se stessa, comunque rimane strutturale, irrisolvibile nel sistema vigente.
Ma qui si toccano strati più profondi ed essenziali.
Dici giustamente: “Quando muore l’individuo, non muore l’individuo, muore lo stato”. Verissimo, ma non vien percepito. La morte dell’individuo rimane individuale, non intacca i residui di stato. Questo perché alle promesse della modernità, evidentemente, nessuno più crede nel profondo, ma faranno di tutto per dire che “lo stato” (che c’è stato) risponda mantenendo la sua promessa. Lo stato non può farlo, ma non è questo il punto. Il populismo è accettare che non lo farà ed accettare che potrà farlo solo in parte, o a parole, purché gli si dica che lo si farà “in suo nome”, in nome del “popolo” cosiddetto. Questo richiamo dev’esserci, oggi, mancando il quale quand’anche si desse tutto, sarebbe dare nulla. Il che ci fa misurare con esattezza la deriva tremenda nella quale il sistema delle relazioni di rappresentanza vive ormai da tempo, e viveva già in uno stato tale “alle soglie” del Grande Blocco. Ecco perché i “piccoli Trump” monopolizzano la scena oscena della rappresentanza nel XXI sec.: essi s’impongono perché dicono che fanno ciò che tutti gli altri fanno – non c’è molta scelta –, ma lo fanno “in ‘tuo’ nome”, nel nome del “popolo”. Il che significa che i corpi intermedi son saltati, non da ieri; il che significa che le classi dirigenti globali, del mondo, sono alla frutta o anche al dolce …
Questa crisi è più profonda, quindi, perché non son toccati, negli sviluppi attuali, le sole modalità del “patto” fra “cittadini e stato”, ma l’ essenza dello stato tout court. Quello ricordato da Hegel, sì, lo “stato borghese” di Marx, quello che il XIX secolo ha tanto lungamente “partorito” e le cui radici ultime, in realtà – seppur in forme differenti –, rimontano al XVII sec. (come ricordato in un post precedente[6]). Insomma, il patto fondante, oggi, è rimesso in questione, nella sostanza. Lo stato di diritto – in realtà schiavo del sistema capitalistico, cosa che non ha mai esplicitato, pur essendo verissimonon è in grado di dare “a tutti” né giustizia né salute (dove per “tutti” si deve intendere: le classi medie, i son sempre stati esclusi anche in “Occidente”, sia detto chiaramente). Ma finché una tale “mancanza”, con tutte le sue conseguenze, accadeva “lì lontano” (i paesi del “Terzo Mondo” cosiddetto), poco importava: non si vedeva, dunque come non esistesse (certo, talvolta “forava” gli schermi: qualche lacrimuccia, e via, tutto come prima), ma ora succede nel centro dell’ex sistema: questa è una crisi profondissima delle basi, cioè della struttura portante.



Domanda 2. Il problema della “decisione”, problema che ci ha occupato lungamente in questo blog, e di cui, tra l’altro, si è detto tante volte sempre in questa sede. Te ne chiedo, però, alla luce (oscura) dei recenti eventi.



[PB] Abbiamo raggiunto il punto di caduta. Un riferimento storico, a tal proposito, va fatto: l’uomo ha pensato nel corso della sua storia ad una “età dell’oro”, possiamo far qui riferimento ad Esiodo, un’ “età in cui l’uomo è liberato dal dolore e dal lavoro”. Quest’idea è come un’ossessione per l’uomo: la ricerca di un mondo perfetto, però fondato sull’imperfezione. Questa spinta si è incarnata in modi assai diversi nel corso della storia, vediamo, tuttavia, come la si è vissuta nella modernità.
Nella modernità – fondata sull’ assenza del fondamento, di qualsiasi fondamento – si pretende di “fondare” l’agire umano, qualsiasi ed ogni agire umano. Nasce la vicenda dei grandi conflitti, a ripetizione. Ci troviamo, infatti, di fronte agli uomini, come “tipizzato” da Eschilo, per esempio; e gli uomini agiscono, sì, ma senza riflettere. La vicenda del virus, in tal senso, è stata la cartina di tornasole della politica che ha manifestato pienamente quanto da noi detto più volte: la politica è stata esautorata dalla decisione. In caso di crisi (“grave” cioè strutturale, fondamentale), “chi” o “cosa” decide? La politica non ha niente da dire in caso di emergenza vera (“sistemica”), se non “affidarsi a” qualcos’altro, oppure sognare impossibili “ritorni” all’età “delle nazioni” e del (cosiddetto) “popolo”. L’ “apocalisse” vera questo è, quando il sistema “gira da solo”, per così dire, in una situazione di emergenza continua o continuata.  Quest’ultima potrebbe anche divenire una nuova “normalità” …
Ora però, in una tale situazione – non perdiamo di vista il nostro punto centrale – si pone una questione che sembra ben poco presente nel “dibattito” dei nostri contemporanei, focalizzato com’è su cose, per carità, importanti, ma vi è ben altro in questione, si perde di vista il punto: Che cos’è – oggi – la capacità ordinatrice della politica? Perché questo è “il” problema che quest’emergenza Codiv19 ha fatto emergere in tutta la sua forza ed ampiezza.
Per provare a rispondere, dobbiamo, a mio avviso, porci una domanda fondamentale. La domanda è: Tì estì politikè, “che cos’è” la politica? La politica è: istituire un ordine permanente e sicuro alle molteplici forme del “fare” umano; è una prassi. Per esempio, Marx e la teoria della prassi: dal punto di vista filosofico, la sua era una teoria della prassi. La permanenza, con la modernità – che è una vicenda di grandi confitti, come ho detto – sparisce sempre di più. Ma cosa succede se non c’è manco più la sicurezza? E, si noti, come sia centrale oggi la sicurezza, come se tutta la politica vi si fosse rifugiata. Se manca pure la sicurezza, oltre la permanenza, la politica diviene un’altra cosa, quella che oggi è divenuta. Ma già Weber parlava della sostituzione che l’economia fa della politica. In tal caso, la politica è una “fabbrica”, è un’azienda che deve dare i benefici delle aziende, a cominciare delle aziende sanitarie, per fare un esempio relativo alla situazione di oggi.
Se viene meno il patto fra stato e cittadino, su cosa fondiamo noi questo rapporto fiduciario? Come può, allora, non essere in crisi la politica?
In quest’allontanamento fra cittadino e stato, si giunge ad ipotizzare il voto a distanza e la soppressione non dei “quadri intermedi” – cioè i partiti, già spariti da tempo – ma dello stesso voto in parlamento. Non si può fare altro se non recepire le decisioni degli esperti. Ma come tu rispondi ai vuoti decisionali che si generano inevitabilmente? Possibile che un governo democratico non risolva il problema delle mascherine per tre mesi? Tutte le decisioni assunte dal governo in queste circostanze, anche su vari problemi, sono basate su risorse non disponibili ma acquisite, e che pure si dovranno pagare.
L’elemento costitutivo del sistema è il consumo: se consumi produci, sennò no. Questo meccanismo fondante la stabilità del sistema è entrato in crisi.
Facciamo un esempio, l’industria dell’auto, che è sostanzialmente scomparsa: a marzo le immatricolazioni hanno registrato un -97%! Di fatto, non si sono vendute auto. Certo, che la ripresa sistemica può aumentare con la presenza di un vaccino, ma è il sistema che ha avuto una sorta di collasso. Il trasporto individuale è stato una colonna portante del sistema. Se manca o s’intacca fortemente, con che cosa lo sostituisci? Con il trasporto pubblico? Questa è una favola, perché il sistema non è costruito sul trasporto pubblica ma su quello privato.
Lasciamo le favole, riconosciamo che il problema ha l’enormità che ha, e torniamo alla domanda di prima, che rimane intatta:
Che cosa è in grado di produrre, oggi e per il futuro, il sistema politico? In presenza di conflitto con vari “immigrati” molti “stati sovrani”, fra loro in conflitto, cosa fanno? Un conflitto si mescola con un altro. E il conflitto più grave oggi è quello fra le economie di “capitalismo moderno” in fase matura (USA) ed economie emergenti (Cina), che si fa? Ricordo che in Cina vi son circa 800 milioni d’individui come forza lavoro, e intendo forza lavoro “attiva” …



[AAI] Sì, abbiamo raggiunto “il punto di caduta”, non v’è dubbio. Il fatto che sia stato raggiunto “a dosi omeopatiche”, fa sì che sia meno visibile di quanto sia, ma non ne altera la natura.
La modernità e “l’origine” intrattengono delle relazioni conflittuali, ma proprio sin dal principio della modernità stessa. Un’interrogazione riguardante “l’” origine, in sé, non può trovare riposo se non in una risposta che sia relativa, anch’essa, proprio a “l’” origine. Di qui la totale nullità di “‘tradizionalisti’ & Co.”, perché o sei in grado di riattualizzare “l’” origine, in , oppure il tuo richiamarti ad un passato – più o meno “mitizzato”, questo è relativo – non ti aiuterà in niente. 
In nessuna delle conflittualità da te ricordate vi è una soluzione, non se ne vede alcuna, quand’anche si prenda coscienza della presenza del conflitto e della sua natura strutturale: anche quest’ultima presa di coscienza è, in realtà, oggi molto ma molto problematica. Tutto vien visto come “lotta fra due tizi” o polemiche sui social. In una parola: tante chiacchiere ma nemmeno un lontano straccio di soluzione.
Se il “fondamento” è in questione, se esso è stato toccato – ed intaccato – ergo dovremmo porci le domande fondamentali.
Non se ne vede alcuna traccia di tutto ciò, su questo siamo d’accordissimo. Anche la tua descrizione dello stato attuale lo condivido, non vi è niente d’aggiungere. La domanda che ti poni, se cioè questo stato di crisi continuativo possa divenire la nuova “normalità”, è una domanda che i più attenti cominciano a porsi sempre di più.
Le risposte possono anche esserci, ma dubito siano gradevoli …



Domanda 3. Continuiamo con le nostre piccole, ma grandi questioni. Gli eventi non son conclusi, proprio per niente. E’ come se fosse stato sturato un tubo, bloccato da tanto tempo. In realtà, è stata colpita la vena giugulare del Sistema: il consumo, cioè la domanda[iv] Cosa ne pensi?



[PB] Questa vicenda, in effetti, è ancora in fieri. I suoi aspetti più devastanti hanno destrutturato tutto l’edificio su cui si sono costruite le identità e le relazioni fra gli stati negli ultimi 50 anni: proprio quest’ edificio di relazioni sta franando. Le grandi organizzazioni sovranazionali sono anch’esse in crisi, a cominciare dall’ONU. Il problema è, oggi, se esista ancora una prospettiva, cioè se esiste una prospettiva democratica reale (cioè che produca effetti), e se possa essere reputata fondativa di nuove norme, condizione cioè, quest’ultima, di comunità.
Il vero potere occulto lo si può vedere con una serie di domande:
Chi si deve contrastare? Chi ci può salvare? Qual è il sapere che produrrà “salvezza” in tutti i sensi? Nessuno. Noi abbiamo dato mandato alla tecnica di risolvere i nostri problemi in ogni senso e abbiamo rinunciato ad ogni trascendenza. La crisi del coronavirus ha mostrato apertamente il mondo dominato dal potere salvifico della tecnica e i suoi punti deboli.
Questo ci riporta ad una vecchia idea, quella della “mancata salvezza”, e quindi all’idea di “utopia”, che mi ricorda questa frase: “L’utopia è un miscuglio di razionalismo puerile ed angelismo secolarizzato” (Cioran). La tecnica è quest’utopia realizzata, con i suoi limiti, evidenti, e però ha messo in crisi sia la Chiesa cattolica che la politica, che non hanno una visione del futuro, dopo che la tecnica ne ha posto in crisi l’utopia, pur con le ingenuità segnalate da Cioran. In questo sistema, la storia dell’Occidente è solo un susseguirsi di fatti, non vi è alcun tèlos in essa. Dunque chiunque postuli un fine, un tèlos, della e nella storia, è fuori, è perdente. L’ultima utopia è stata quella di Marx: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Oggi solo un folle può dire: “Popoli unitevi”. Un esempio è la polemica di Trump con l’OMS o l’UE incapace di produrre una reazione unitaria. In realtà, non c’è stato alcun paese che abbia affrontato l’economia e la pandemia nello stesso modo: ognuno per i fatti suoi, e si continua così …
La vicenda più preoccupante – non perché il resto non lo sia! – è che sta venendo meno, pur se mai è stata davvero reale, una qualche forma di solidarietà europea nel conflitto in atto. Intendo nel conflitto tra i vari paesi riguardo all’ “emigrazione” e quello fra USA e Cina per l’economia globale, o ciò che ne resta. Stiamo perdendo capacità predittiva, non solo produttiva, e capacità organizzativa, oltre alla presenza di ù volontà politiche “varie” sottotraccia, cosicché i vecchi conflitti storici europei riappaiono e divengono “rivendicazioni” quotidiane: “noi siamo”, noi abbiamo o “ce la” facciamo. Sono rivendicazioni misere, molto lontane dalla realtà in atto.
Si ritorna al quesito iniziale: Perché stiamo perdendo la capacità di “riflettere”? Il che ci porta, di nuovo, come in una catena, verso un’altra domanda: Cos’è stata l’Europa?
Essa è stata la capacità di produrre cultura conflittuale; questo differenzia la civiltà europea da tutte le altre. Al fondo dell’agire umano c’è l’ agôn, il conflitto: questo viene dall’antica Grecia. E proprio a partire dalla Grecia, come ha dimostrato Colli, lo statuto del dialogo non è quello di un fatto pacifico, ma è quello di un conflitto. L’uomo moderno, però, ha definitivamente abbandonato l’ “utopia”, per cui si vede oggi o rabbia cieca oppure accettazione altrettanto cieca. Diceva Leopardi: “Il vero uccide la vita, l’oblio la salva”. Nietzsche scriveva “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, le questioni sull’ “infinito” e sul “nichilismo” si collegano. Ma il sistema oggi rifiuta ogni cosa che non può misurare. Ed ecco l’esigenza, mai così forte  come oggi: riflettere, un’esigenza che il sistema rifiuta, esso ha bisogno dell’immediatezza, del “tempo reale”. Non devi riflettere sembra essere il suo vero, unico comandamento. Dice Cacciari: pensiamoci. Ed oggi è l’ unico modo: pensarci, né paure o istituzioni, men che meno la tecnica. Ci riusciamo a farlo, a pensarci? Non lo so, ma presuppone che tu non rinunci a questa tua capacità. L’uomo è un essere “pensante”.
Come dice Cacciari: la gente sarà pagata meno e lavorerà di più.
In una tale situazione, vedo il seguente problema, che mi pare decisivo: non c’è più pensiero antagonista, realmente tale.



[AAI] Tra l’altro, una Cina messa all’angolo è pericolosa: ma un Trump questo vuole per poter dare la colpa di tutto alla Cina ed avere così un “cattivo” per potersi mantenere al comando nonostante gli errori macroscopici da lui commessi. E una Cina in crisi tende al nazionalismo: è la sua tendenza storica questa. Invece una vera colpa politica qualcuno ce l’ha: gli USA, che hanno mal gestito la situazione, ed hanno rinunciato ad un ruolo di leadership globale per seguire una via iper nazionalistica che non può che stimolare il nazionalismo altrui. E il nazionalismo cinese, come ben sa chi conosce la storia, è una brutta bestia davvero: nazionalismo, non “comunismo”, ora anche far capir questo agli occidentali di oggi è un’impresa di Sisifo … Dunque cosa vuoi salvare qui? Non capiscono l’ abc, figurati tutte le restanti lettere dell’alfabeto … Sarebbe stato intelligente – ma è impossibile anche solo pensarlo nell’attuale corrente – non rinfocolare il mai passato sentimento “etnicista” cinese (che noi chiamiamo “nazionale”, per la precisione non è proprio lo stesso), occorreva piuttosto annacquarlo. Consigliava Sun Tzu di non mettere mai all’angolo il proprio nemico, ma di lasciargli sempre una via d’uscita …
Aggiungerei un’altra cosa, però, come caratteristica di questi tempi: che è l’ incertezza la dimensione che sta contribuendo a minare il sistema. E, in realtà, è davvero una vicenda ignota, come dici, il che contribuisce non poco alla crisi sistemica. Nessuno sa dove si andrà.
Una crisi squisitamente “politica”, cioè una crisi di leadership globale, soprattutto da parte americana[7], si unisce con un fase d’incertezza sistemica, in un profondo sforzo di minare l’intera costruzione globale. La risposta è: “tornare all’epoca delle nazioni”, quando hai problemi che le nazioni non sono, per definizione, in grado di affrontare non fosse che per la “scala”, per “l’ordine di grandezza” (le “potenza di dieci”, si dice in matematica). Deduzione, facile: non si va molto lontano su tali cammini. La via di una iper digitalizzazione si ritrova, dunque, oggi con ancor meno alternative di quante già non ce ne fossero prima … Vale a dire: il sistema “precipita” in senso chimico.
A livello sistemico, manca una voce unitaria che possa dare sicurezza, cioè la seconda delle promesse della modernità.
Direi quindi che, più che l’ “esserci” heideggeriano, questa sia la stagione del “pensarci”! Vedo che questo “pensarci” viene molto preso in sordina: prevale l’irrealtà del “tempo reale”, prendi posizione, dici la tua, cose del genere, cioè “farsi arruolare”, come lo chiamo, e pure senza esser pagati …!

Veniamo alla questione del dialogo. Colli parlò anche di questo: dell’illusione dell’Occidente, ma soprattutto della modernità, che sta nell’aver voluto fare di uno strumento di dominio, la ragione greca, conflittuale, uno strumento costruttivo. Il dialogo era un mezzo per primeggiare nel conflitto (agôn, appunto), e di sottomettere gli avversari, ma non in modo diretto, per mezzo della violenza palese (Ares), in modo indiretto invece (come l’arco di Apollo che, nel famoso passo dell’ Iliade, sparge la peste nell’accampamento dei Greci, e cioè dei “fondatori” dell’ “Occidente”[8], passo estremamente significativo, e sul quale inviterei a meditare, in tempi di coronavirus, perché è come se la vicenda dell’Occidente fosse stata ricondotta alle sue origini).
Il dialogo, a parte che in vari contesti culturali non ha proprio per niente la stessa valenza, a parte questo, è una maschera della dominazione. In altre parole: non può essere lo strumento adatto per una “pacificazione delle opinioni”, che sarebbe solo la possibile anticamera per poi, effettivamente e non a chiacchiere, mettersi assieme contro un nemico comune, cosa quest’ultima che, come s’è visto, rimane impossibile oppure molto ma molto lontana.
Il resto sono considerazioni assai condivisibili. (La questione dell’utopia richiederebbe una trattazione specifica, e a parte: per far “presentire” come la penso, pongo una nota finale per chi vorrà fin lì avventurarsi, a suo rischio e pericolo …[v]).
Ti chiedevi se possa esistere oggi una prospettiva fondante il futuro e che abbia effetti, se possa esistere, in particolare, nei regimi democratici. Su questo, la mia risposta è chiara: no, non esiste.
Voglio solo notare qualcosa qua e là, per esempio l’affermazione di Cacciari che constata l’evidenza, che cioè, col telelavoro, la gente sarà pagata di meno e lavorerà di più. Ma questo è l’effetto di tutta la rivoluzione tecnologica che comincia dagli anni Settanta: ricordo gli scritti di Baudrillard di quel periodo, proprio relativi alla rivoluzione digitale ed alle sue conseguenze. Già in quell’epoca parlava della “fine del tempo libero” e dell’ indistinzione fra “lavoro” e “tempo libero” che ci sarebbe stata in futuro …[9] Ovviamente, “in futuro” per il tempo in cui Baudrillard scriveva, ma è il nostro presente
In pratica, oggi stiamo semplicemente “compiendo”, portando al suo compimento, ciò che chiamo “iper digitalizzazione”, cioè quanto era iniziato negli anni ’70, cioè la fase di ristrutturazione sistemica che ha mutato la “pelle” alla serpe del capitalismo.
Tutto nasce con la fine del Gold Exchange Standard e con la “libera” fluttuazione delle valute, in particolare del dollaro, e si rafforza con la digitalizzazione dell’economia: nasce la possibilità, da parte della finanza, di moltiplicare i suoi profitti a livelli esponenziali.
La crisi del ‘29 e la fine del Gold Exchange Standard sono le tappe miliari per la costruzione del System, che oggi è entrato in una fase critica. Se anche misuriamo non solo la moltiplicazione, folle, dei “prodotti” finanziari, ma pure l’impatto del sistema sulla natura della Terra, scopriremo che, dagli anni Settanta ad oggi, al 2020, si è fatto di più, e con livelli esplosivi, rispetto alla somma dei decenni precedenti.
Questo sistema, oggi, non funziona più o così bene come prima.
La sua trasformazione in un sistema di simulazione di massa continua, ma il punto è che non è in grado di poter mantenere le “promesse” fatte. E’ in grado di auto sostenersi, di replicarsi – come i virus: il paragone fra questo sistema e i virus è calzante davvero[10] –, ma non è in grado, altrettanto bene del sistema precedente, di “mantenere le promesse”, cioè si apre la frattura sul fronte del consenso … Questa è la nuova linea di “faglia” ed è su questo problema che interventi assai “particolari” – alcuni dei quali senz’altro “strani” – si effettueranno e potranno svilupparsi …
Detto tutto ciò, non posso che condividere la constatazione, di Paolo Broccoli, sulla mancanza, oggi, di un reale pensiero antagonista. Ve ne sono dei simulacri, delle false opposizioni. Io vedrei un grosso problema su questo fronte. Non è affatto impossibile che proprio questo fronte di un falso antagonismo sia quello che vedrà il suo massimo sviluppo nei prossimi anni.
Rimane, invece, fermo che sia necessario un reale pensiero antagonista: ma poderosi ostacoli si palesano all’ orizzonte.
La polemica di Trump sull’OMS è poca cosa, vi è di ben peggio: è recente la notizia che ha lasciato il Trattato internazionale “Open Skies”, che regola la trasparenza delle attività militari: un’altra spaccatura, che poi è l’unica e sola cosa che un Trump sa fare. Questo sono i “sovranisti”, sanno solo spaccare, e quest’individuo si manifesta per l’ennesima volta un agente del caos, un infiltrato che distrugge da dentro ciò che, a parole, dice di rafforzare. In nome del “Prima l’America” non sta facendo altro che indebolirne il ruolo di leadership, ovunque, dovunque: nulla di nuovo. In linea generale, quando si vuol lasciare qualcosa si dice di volersi “avvicinare” ad essa;  quando ci si vuole allontanare da qualcosa, si dice sempre che si vuole “ritornare alle origini”, ma occorre capirle queste origini! Chi sa della loro esistenza, sa pure come siano attingibili con estrema difficoltà: non basta strillare i propri “desiderata” per potervi tornare …
Il che ci porta direttamente all’ultima parte del tuo intervento: la necessità di un pensiero antagonista, termine che fa tornare in mente l’ agôn, il conflitto. Ma, se non c’è una diversa visione, che conflitto reale potrà mai esserci? Ci sarà solo rabbia o tentativi, appunto, di “tornare indietro” che, spesso nella storia, possono aprire la strada ai peggiori tradimenti. Oggi vediamo solo i figli dell’età del “consenso assoluto” che si sentono delusi del loro sistema, e per questo son arrabbiati. Mai gli passa per la testa che quel che vivono è l’esatta conseguenza di quelle “leggi del mercato” cui hanno sempre reso sentito e totale omaggio.
Dove vogliamo andare su queste basi? Dunque, sì, son d’accordo, ci vorrebbe un vero pensiero antagonista: ma la vedo molto difficile farlo concretamente!

E la deriva nata dalla crisi sistemica non è affatto finita, per niente! Siamo, infatti, non alla fine della Grande Crisi, riapertasi, ma solo alla fine dell’ inizio di tale Crisi, una crisi, poi, che segna il capitolo finale della “Crisi del mondo moderno” (per dirla con Guénon). Quel che si può dire, però, è che son d’accordo sulla necessità di un pensiero antagonista, nelle condizioni reali di oggi, non in quelle di ieri né in quelle di domani, con conseguente invito, non può esserci oggi qualcosa di più, a chi fosse interessato di volersi istradare su tal sentiero. Con una cautela, molto importante oggi: di stare attento rispetto a tutte le false vie che gli verranno presentate o promosse in ogni forma, fatta, misura, copertura, maschera.


PS. Attenzione: chi è parte di un pensiero realmente antagonista – e cioè per prima cosa vuole che ritorni l’ agonismo a livello sistemico – è sollevato dal dovere di rimetter in moto il sistema quando esso vada in panne, come oggi … Non si può certo chiedere a chi è contro il sistema di salvarlo! Anche se, chiaro, proprio chi è contro, avendo, per forza di cose, una visione “sistemica”, ti dirà, subito, qual è il nocciolo della questione: la domanda, la domanda globale, che s’incanala nel consumo; se non sostieni la domanda, come rimetti davvero in moto – e cioè in espansione: moto vuol dire sempre, in ogni caso, espansione, nel sistema capitalistico – il sistema? Tutte queste tonnellate di chiacchiere, di azioni, ma soprattutto di parole, parole, parole, e tuttavia non riescono mai a focalizzarsi sul punto decisivo! Uno spettacolo che farebbe ridere, se non intaccasse, ahi noi, “la carne e il sangue” di tanta, ma tanta, tanta gente.
Volendo porre nuovamente al centro un pensiero antagonista, rimarrebbe, tuttavia, il problemino, non da poco anch’esso, di come trarre profitto dalla crisi sistemica, dalla “situazione eccezionale”, dallo “stato di emergenza globale” che, più volte, si è annunciato in questo blog: e, ripeto, non è precisamente un problema semplice!
In ogni caso, di questo pensiero “antagonista” non ne vediamo ancor segno alcuno. Ma è verso uno stimolo per la sua rinascita che qui chiudiamo, pur ben consapevoli che uno stimolo in tal senso abbia oggi scarsissime possibilità di essere accolto. Diciamo che, in coscienza, ci si sente qui di fare appello a quest’ auspicio, chiamiamolo così: auspicio.



Nel ringraziare P. Broccoli, chiudiamo qui tale Conversazione.











[Andrea A. Ianniello]
















[1] Notevole come lo stesso autore, in un altro libro, sottolinei la differenza fra massa e individui rispetto alla vita ed alla morte: “Tre fenomeni importanti e ben noti all’umanità hanno come conclusioni dei mucchi di cadaveri. Assai affini tra loro, devono essere accuratamente distinti l’uno dall’altro. Sono la battaglia, il suicidio di massa, e l’epidemia. Nella battaglia l’obiettivo è costituito dal mucchio di cadaveri dei nemici. […] Nel suicidio di massa tale attività si rivolge contro la stessa propria gente. […] Nell’ epidemia si ha lo stesso risultato, il quale però non è deliberato (come nel suicidio di massa), e pare imposto dall’esterno da un potere sconosciuto. Passa quindi molto tempo prima che l’esito ultimo sia raggiunto, e quindi si vive tutti in un’uguale, terribile attesa, durante la quale si sciolgono i consueti vincoli degli uomini”, E. Canetti, Massa e potere, Adelphi Edizioni, Milano 1981 (edizione “Gli Adelphi” 2017), p. 331, corsivi in originale. Al contrario: “E’anche significativo che gli antenati di una singola generazione rimangono isolati. Essi son conosciuti come individui, e come tali venerati; solo quando molto tempo è trascorso, ricadono insieme nella massa. Il discendente ancora in vita è separato dalla massa dei suoi antenati proprio da coloro – il padre, il nonno – che vi si contrappongono quali individui singoli e ben definiti. La soddisfazione per essere ancora in vita che può penetrare la venerazione tributata dal figlio, è estremamente moderata e tenue. La situazione stessa impedisce a quella soddisfazione di agire sul figlio quale incentivo ad accrescere il numero dei morti. Il figlio è, a sua volta, destinato ad aumentare di un’unità il numero dei morti, e si augura che ciò non accada ancora per molto tempo. La situazione del sopravvivere è così privata di ogni carattere di massa. In tal contesto, la passione di sopravvivere sarebbe assurda e incomprensibile, e il sopravvivere è liberato da ogni tratto omicida. Il ricordo e il senso del proprio io sono intimamente congiunti. L’uno ha influenzato l’altro, e di ambedue si è palesato il meglio”, ivi, p. 328, corsivo in originale. Solo chi è ancora “individuo” ha morte “distinta” e fuoriesce dalla “massa”; pertanto, in tal senso, è altamente significativo come i “morti di Bergamo”, trasportati dai camion militari quella notte famosa, siano stati presto dimenticati ed obliati dalla “memoria collettiva”, nonostante tonnellate di chiacchiere, perché attesta – al di là di ogni ragionevole dubbio – quanto e come la società di oggi sia “massificata” in modo pressoché totale. Di qui la completa ottusità di chi continua nel ripetere vieti slogan “illuministici”, quando la pandemia ha risvegliato quel fondo nascosto che, in realtà, c’è sempre stato, solo coperto da superfetazioni “varie”, fondo che risorgeva, sempre, in tutte le epidemie storiche, se uno si studia le testimonianze del passato. E quest’epidemia non ha fatto eccezione alla faccia, per l’appunto, delle “fole” illuministiche, delle illusioni della ragione. E siamo solo all’inizio della fine: abbiamo visto la fine dell’inizio della fine, non la fine del processo di fine in se stesso.
Tornando alla questione “massa versus individui distinti”, questione, però, posta in relazione alla morte, è altrettanto interessante sottolineare come – nel romanzo Eaters of the Dead, di M. Crichton (divenuto “Il 13° Guerriero”, di J, McTiernan, del 1999) – la preghiera funebre finale dei Normanni, di fronte al “pericolo senza nome”, sfoci nell’appello a tutti i propri antenati, alla fine senza volto distinto, non più individui: decisamente l’ intreccio dei due aspetti, massa ed individuo, di fronte alla morte, diventa ben complesso e paradossale. Si noti che, in tale preghiera, prima gli antenati son citati come distinti, poi, alla fine, divengono indistinti, son “tutti” gli antenati, non più come individui percepiti. Tale preghiera è riportata su Wikipedia, cf.
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_13%C2%BA_guerriero.
Vi è su youtube la scena finale, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=UJhnkOvbEOk.
[2] “Mi ricordo d’aver visto alcuni giorni prima […] due enormi camion carichi sino all’altezza di un primo piano di stampelle di legno nuove neppure ancora verniciate. In quelle montagne di stampelle per gambe che non erano ancora state falciate, vi era un’ironia particolarmente cinica su tutte le illusioni in cui la gente si culla”, P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976, p. 61, corsivi in originale. Sono parole molto, molto ma molto, ma davvero molto calzanti in relazione a ciò che abbiamo appena vissuto. Le illusioni della gente, però, rimangono …    
[3] “Il caso nella nostra accezione di dispositivo aleatorio, di probabilità pura sottomessa alla legge delle probabilità (e non alla regola del gioco), questo caso moderno di concezione razionale: una specie di grande neutro aleatorio (G.N.A.), sintesi d’un universo fluttuante dominato dall’astrazione statistica, divinità sdinvinizzata, slegata e disinteressata: questo caso non esiste affatto nella sfera del gioco. Il gioco, anzi, esiste proprio per scongiurarlo. Il gioco d’azzardo nega ogni distribuzione aleatoria del mondo, vuole forzare quest’ordine neutro e ricreare al contrario degli obblighi, un ordine rituale di obblighi che dia scacco al mondo libero ed equivalente. […] Rimette sempre in questione la realtà del caso come legge oggettiva e le sostituisce un universo legato, […] agonistico, e non aleatorio”, J. Baudrillard, Della seduzione, Cappelli editore, Bologna 1980, p. 199, corsivi in originale. Questo vale per ogni cosa dove ci sia la statistica. Questo vale anche per le epidemie, dunque.
[4] Cf.
Mai avuto alcun dubbio che Trump vincesse: la “pancia” dell’America è con lui, ed il ventre dell’ “America”, un’ “ubuesca” gidouile, è davvero enorme. Direi di più, la pancia dell’America è Trump, quello è il volto vero dell’America, ed è sempre stato così. Quel che lo raffrenava era il dominio del patriziato USA. Dominio sconfitto con la fine dei Bush. Il NWO non era altro che il tentativo di dominio del globo da parte del patriziato USA, questo era. A tutti coloro i quali “godevano” di questa fine va sempre ricordato questo: che aver tanto combattuto i Bush voleva dire solo e soltanto avere i Trump. E’ una verità sgradevole. E non vuol dir che il patriziato USA fosse “buono”, ma solo che aveva un “progetto”, sbagliato senza dubbio, però un progetto. Ora tu ti puoi opporre ad un progetto politico, ma non ti puoi altrettanto facilmente opporre ad un’assenza di progettualità che però si sostiene con slogan e segue un nazionalismo becero ed ottuso sostenuto dalle classi medie impoverite.   
[7] Pochi anni fa uscì un numero di Limes: “Chi comanda il mondo”, n. 2/2017 (febbraio); avevano già un punto relativamente “critico” su Trump: la realtà è stata – ed è – molto peggiore …
[8] Ricordo quel detto di Aurobindo secondo il quale l’assedio di troia avrebbe dato origine all’ “Ellade”, quindi, dopo, al’ “Occidente”, aggiungerei. Senza Grecia niente Occidente, senza la vittoria sui Persiani, nemmeno ma già c’era, la vittoria dei Greci sui Persiani ha poi consentito alla Grecia d’espandersi, ma non è che l’aveva fatta nascere. Grecia vuol dire “agorà” ed “agorà” vuol dire: politica ed anche mercato. Poi, nel corso dei secoli, il mercato si sarebbe mangiato la politica. In Oriente, vi era il mercato, come vi è ancor oggi il “bazar”, ma esso non è legato alla “politèia”, permane una differenza, profonda. Nella Cina imperiale, il mercato era molto importante, ma ben distinto dallo yamen, il palazzo del mandarino. Il mandarino protegge il mercante, ma il mercante non ha nessuna influenza diretta sulle decisioni del mandarino: ecco la differenza, di nuovo, profonda. Nel corso dei secoli, il mercante avrebbe influenzato le decisioni, fino a prenderle lui direttamente: questo è l’Occidente moderno; e l’Occidente moderno è nato nel Medioevo. Chi non capisce questo punto specifico non capirà mai la vicenda dell’Occidente e della modernità, quest’ultima venendo dopo che il mercato aveva preso una sua indipendenza ed una sua influenza decisionali. Le strutture della modernità nascono quando lo “stato moderno” deve controllare il crescente potere dei “mercanti” – i “borghesi” – a fronte della crescente debolezza dell’aristocrazia fondiaria, di vecchio conio. In questo “vuoto”, nasce la modernità, oggi finita.
[9] Ma ecco un riferimento al libro in cui parlava del “tempo libero”, cf.
[10] Bisogna osservare come Baudrillard, “in tempi non sospetti” (negli anni Settanta), già parlasse di un sistema “molecolare”, criticando Foucault e la scuola “desiderante” nel senso che il modello di quest’ultima in realtà stava solo anticipando la mutazione sistemica, credendosi però “critica” verso quest’ultima (considerazioni validissime ancor oggi, mutatis mutandis, però cambiando di segno e rivolgendole alla destra “sovranista” che, di nuovo, si reputa “alternativa” quando invece si fa solo cieco strumento di una fase in cui l’intero sistema è in “debito di consenso”), cf. J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, Cappelli editrice, Bologna 1977 (si noti la data), testo da me citato in un vecchio post al riguardo del fascismo, che oggi non c’è, però abbiamo la destra, ma liberista, iper liberista, seguace del sistema, suo guardiano nel qual mentre mostra di esserne “critica”, ma lo è. scriveva: “Strana coincidenza, ovunque, degli schemi di desiderio e degli schemi di controllo. Spirale del potere, del desiderio e della molecola, che questa volta ci porta veramente verso la peripezia estrema del controllo assoluto. Attenzione al molecolare!”, ivi, p. 86. Oggi direi: Attenti al virale! Una sola nota, riguardo alla lunga, e per certi veri interessante Introduzione (alcuni suoi aspetti son datati, tuttavia), cioè quel passo dove Bellasi, autore dell’Introduzione, accosta Baudrillard a Lacan e poi dice: “So bene che l’accoppiamento con […] Lacan non farà piacere a Baudrillard; la sua avversione al pensiero psicanalitico è esplicita e più volte dichiarata, anche se […] non adeguatamente giustificata e approfondita, quanto lo sono invece le altre avversioni (tante, a dire il vero) che egli manifesta e argomento con estremo rigore. Ma l’accostamento pare almeno a me evidente”, ivi, p. 12. Non è per niente “evidente” l’accostamento, e l’ “avversione” di Baudrillard per la psicanalisi rimane forte. Vero è che non è altrettanto “ben argomentata” delle altre sue, molte, avversioni: vero. Ma ciò solo perché la psicanalisi ha un ruolo tutto sommato “minore” rispetto, per esempio, a Marx, un Marx non marxista, questo sì, ma che rimane un autore centrale, col quale sempre confrontarsi, “dialetticamente” starei per dire. Con la psicanalisi non accade altrettanto, è chiaro. Nonostante ciò, la critica, seppur episodica e meno argomentata, di Baudrillard alla psicanalisi ci sta: ed è quando lui affermava che è l’oblio della dimensione del “simbolico” quel che ha dato inizio alla psicanalisi stessa, ed è il suo errore metodologico a priori. Le altre, molte davvero, avversioni di Baudrillard erano il pensiero sociale, e socialista, non altrettanto il comunismo nella forma di stalinismo (attenzione a questo punto), o il fatto che i “media dicono il ‘vero’”, l’ “America” in quanto portatrice di un’ideologia (non l’America in quanto dimensione “primitivistica” del sociale moderno, dunque suo specchio “inverso”, suo “angelo di stucco”), soprattutto l’illuminismo (ma non Marx). In ogni caso, nella forma del pamphlet Baudrillard dava il meglio di sé. Questo su Foucault, come l’altro sulle “maggioranza silenziose” – fortunatamente riapparso l’anno scorso dopo un’eclissi che durava dal lontano 1978! – vanno letti. Purtroppo in Italia non si ha allo stesso modo il “gusto” del pamphlet: la nostra tendenza è, sempre, per una verbosità dispersiva eccessiva, la mentalità italiana trova difficoltà insormontabili nel venire, in breve, al punto e, se ci viene, allora è tropo schematica, quando invece la forma del pamphlet necessita di esser pimpanti, saltellanti, agili: venire al “dunque” però in forma piuttosto agile, soprattutto significativa. La penna dev svolazzare non esser piatta e senza brio.
Sulla critica di Baudrillard al “sociale”, cf.


[i] E per quanto tempo ancora potranno mantenere le loro pretese? Dal loro punto di vista: per sempre. Un diamante non è “per sempre” …?
[ii] Interessante quel che si legge nel libro citato a proposito di Bob Lazar: “Cerate di rivelare una storia simile e finirete in disgrazia come Bob Lazar. Ciò che era vero per i piloti del p-38 Lightning nel 1942 rimane valido ancor oggi. a nessuno piace esser preso per pazzo. «E’ difficile essere preso seriamente nella comunità scientifica quando sei noto come “il tizio dell’ufo”» ha affermato Bob Lazar nel 2010 per questo libro”, ivi, p. 442. Su Lazar, cf. “La verità su Bob Lazar”, a cura della redazione di “Shadows Of Your Mind” in “XTimes”, Anno XII, n°126, aprile 2019, pp. 10-22. Mi fa piacere che, ben vent’anni dopo, Lazar abbia ricevuto una valutazione più corretta: una compensazione solo parziale, ma è qualcosa. E’ sempre difficile la situazione, infatti, per chi si ritrova implicato in tali eventi, e parla. Nel “box” a p. 22, in ivi, vi è una breve intervista con G, Knapp. Alcuni estratti dell’intervista di Lazar con Knapp, del lontano 1989!, la si può leggere su di una pubblicazione: cf. “Dossier Ufo”, pubblicazione periodica Hobby&Work (Marchio della Tema Promozionale Gift agosto 2018, pp. 35-48. Vi sarebbe molto altro da dire, ma finiamo qui. Una sola ultima osservazione: sulla copertina di un numero della rivista in inglese “Shadows Of Your Mind” si legge di un articolo (che si trova in quel numero), a firma di P. Levenda, sì, quello da me recentemente citato, cf.
[iii] “In questo momento, nella storia umana, il problema di una saggezza superiore è diventato immensamente importante. Se vi si deve rispondere negativamente, le nostre chance di sopravvivenza come specie per di più di un centinaio di anni sono molto dubbie. Possiamo scorgere le difficoltà a venire per i prossimi venti o trent’anni [come poi è stato] ma, posto che possiamo valicarle [e non le abbiamo “valicate”], il ventunesimo secolo dell’Era Cristiana vedrà il trionfo dell’uomo sulla natura e una società mondiale che regolerà la vita umana in tal modo da eliminare la povertà, la guerra, la carestia, le malattie […]. Tali predizioni sono fatte in realtà fiduciosamente da esperti in «futurologia» [e sono state sbagliate]. Una predizione realistica, che tenga conto dei fatti fondamentali della natura umana conduce proprio alle conclusioni opposte. Ogni progresso tecnologico crea tre problemi per ognuno che ne risolve. Ogni aumento del potere dell’uomo sulla natura si risolve in una maggiore distruzione. La società umana non si sta muovendo verso la fratellanza dell’uomo, ma verso le peggiori manifestazioni dell’egoismo e dell’avidità [come poi è stato ed è]. Senza dubbio sopravvivremo al ventesimo secolo [come poi è stato]: ma se non vi saranno grandi cambiamenti [e non ce ne sono stati] pochi sopravviveranno al ventunesimo”, J. G. Bennett, I Maestri di saggezza, Edizioni Mediterranee, Roma 1999 (si ponga ben mente alla data: ventun anni fa, ma l’edizione originale inglese in realtà è del 1977), pp. 21.-22, corsivi miei, miei commenti fra parentesi quadre.
[iv]I fantasmi sono merci”, G. Anders, L’uomo è antiquato, Il Saggiatore, Milano 1963, p. 160, corsivi in originale. Dunque, le merci sono fantasmi … (e torniamo, per certi aspetti, a Marx). Quel che Anders chiamava “fantasmi” Baudrillard lo chiamava simulacri … “La massima che ci perseguita continuamente e che fa appello alla «parte migliore di noi», […] senz’ammettere contraddizioni, suona (o suonerebbe), se fosse formulata: «Impara ad aver bisogno di ciò che ti viene offerto!»”, ivi, p. 179, corsivi in originale. E, se hai definitivamente imparato “ad aver bisogno” di cose inutili, cioè che servono al System per poter funzionare, cosa fai se non puoi ottenere ciò cui sei stato condizionato a dover abbisognare (imperativo kantiano à rebours) …? Cos’accade? Accade che il System va in panne: oggi … “In California, nel 1941, il mero fatto di non possedere un’automobile, di poter cioè essere colto in flagrante delitto d’omissione d’acquisto, ossia in assenza di bisogno, mi mise nel seguente impiccio …”, ivi, p. 171, corsivi miei. Poi è divenuto così per il computer, poi per il telefonino, oggi per lo smartphone e domani qualcos’altro, ecc. ecc. Non importa cosa, importa il meccanismo. “Il primo assioma dell’ontologia economica: l’esemplare unico non è”, ivi, p. 176, corsivi in originale. “Il secondo assioma dell’ontologia economica: «Ciò che non si può utilizzare non è»”, ivi, p. 180, corsivi in originale. “La realtà consiste nella riproduzione delle sue riproduzioni”, ivi, p. 184, corsivi in originale. Si consideri che tali cose sono state scritte negli anni Sessanta del secolo scorso … “D’altro canto qualsiasi merce di massa è una copia, una copia del suo modello. E ogni modello è, a sua volta, modello soltanto delle sue riproduzioni; ed è un modello tanto migliore, quanto più grande è il numero delle sue copie,  ossia quanto maggiore è il successo della sua falsificazione in serie”, ivi, p. 214, nota finale n°45, corsivi miei. Qui – ma siamo negli anni Sessanta del secolo scorso – la percezione già c’è, ma non la radicalità della deduzione che ne avrebbe fatto Baudrillard: l’ “originale” non c’è più, c’è solo la copia di copie, in un mondo dominato dal Modello, cioè dal codice (informatico o genetico che sia).
Per finire, vorrei riportare una citazione riportata dallo stesso Anders, che ben “tipizza” la nostra, presente, situazione: “«Per il loro ultimo pasto i condannati a morte hanno libertà di scelta tra i fagioli serviti con lo zucchero o l’aceto.» Da un resoconto giornalistico”, ivi, p. 11, corsivi in originale. E: “Di cosa ti lamenti fratello, anche gli angeli mangiano fagioli. (ragazza dell'esercito di salvezza)”, cf.
https://it.wikiquote.org/wiki/Anche_gli_angeli_mangiano_fagioli.
E – per venire all’America “scassata” del film dal qual è stata presa la frase appena riportata – ben vi si adatta il ragtime, cf.
https://www.youtube.com/watch?v=n51d5hVmlIc; cf.
https://www.youtube.com/watch?v=Wnl4whTs_nw.
Su quell’America sgangherata, come l’Italia, del resto, che già era in nuce anni fa (non era per niente difficile il prevederlo …), cf.
https://www.lulu.com/it/it/shop/enrico-fortunia/il-codice-gargantua-ovvero-la-gallina-di-cioccolato/paperback/product-1rerdjkp.html.
[v] “L’utopia, diceva Julien Freund, «consiste nel credere che arriverà un giorno in cui l’uomo non avrà più bisogno di agire, né politicamente, né economicamente. Un giorno in cui potrà risparmiarsi di decidere e di scegliere perché le cose si regoleranno da sole». Lo stato politico pensato da Han Feizi risponde esattamente a quest’obiettivo. Il sovrano illuminato non agisce e nell’impero tutto si regola da solo, in maniera spontanea. Lo Han Feizi è una forma di utopia, che ha avuto il suo primo tentativo di realizzazione nell’impero di Qin. Ma il modo di operare impulsivo e violento di Qin Shihuangdi non si addiceva alla freddezza e al distacco preconizzato dal sovrano modello di Han Fei. […] Il sovrano di Han Fei […] è lontano dal mondo dispotico […], declassa il tiranno di Montesquieu da dominatore a manipolato [dal suo stesso potere]. L’assolutismo d Han Fei è un po’ come il despotismo democratico [quello che vediamo oggi!] intuito da Toqueville, nel quale l’uomo viene degradato senza però che sia intaccata la sua persona [corsivi miei: questo è il punto decisivo]: «il despotismo moderno degrada l’uomo senza torturarlo» [corsivi miei; questo è proprio quel che i neonati “cantori” della sedicente “libertà” non riescono a capire, per questo cercano gestapo o Stasi laddove non possono essercene, quid amano le catene della propria gabbia …]”, Postfazione di G. Kado in Han Feizi, Einaudi editore, Torino 2016, p. 318, corsivi in originale, miei corsivi indicati fra parentesi quadre. Dunque, per tornare a Foucault: “sorvegliare, ma non punire”, se non quel po’ che serva.
Interessante che Fei vuol dire: negazione.  








1 commento:

  1. Moltissime visualizzazioni di questo post.

    PS. Io spesso cancello dei post la cui visualizzazione risulta particolarmente bassa, Ecco perché spariscono. Talvolta li ripresento, ma, se vedo che le visualizzazioni rimangono basse, allora li cancello del tutto.






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