In una recente
pubblicazione – del maggio scorso –, tra l’altro giustamente, si afferma che “fino alla fine dell’Ottocento (Karl
Marx, lo ricordo, morì nel 1883) l’interesse per il marxismo – fatte salve
naturalmente le vicende del socialismo […] – non andò mai […] oltre l’ambito
delle teorie e della storia economica”[1].
Ed è importante ricordarlo: si può
dire, insomma, che Marx è ritornato nel suo alveo originale oggi. In effetti, “La
terribile frattura rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale e l’annuncio di
una nuova epoca storica che sembrò implicito nella rivoluzione leninista
dell’Ottobre 1917 cambiarono tutto”[2].
Per finire: “L’età d’oro dell’ engagement
a sinistra degli intellettuali e della spinta egemonica del marxismo in campo
culturale fu il ventennio 1935-1956”[3].
Si tratta, ormai, di qualche annetto fa … Tanto anti marxismo, che ha stagnato
in Italia ben oltre i limiti, si riassume nel detto: “uccidere un uomo morto”,
il massimo del coraggio …
Detto tutto ciò,
veniamo alla “natura” del “Capitale”. Ribadirò qui qualcosa che si è già detto,
però en passant, nei post “lunghi”, e di “orientamento”, che iniziano da
una certa data di due anni fa e terminano con aprile di questo presente anno.
Dice Baudrillard –
giustamente, peraltro – che il Capitale è una sfida “all’ordine simbolico delle
cose”, ed è cioè qualcosa di profondamente
antinaturale.
Distinguendo l’ordine
dei simulacri, questo stesso autore suggerisce che la prima fase dei tempi
moderni – quella rinascimental barocca – poneva un interrogativo alla “naturalità”
ben più radicale dell’epoca “materialistica”, del secondo ordine dei simulacri:
l’epoca di Marx, dominata dalla produzione. La nostra epoca è quella del terzo
ordine, quello del codice, che recupera il “falso radicale” degli automi
barocchi, inquietanti – e del magismo dell’epoca che rifletteva il gioco delle
apparenze, del vero e del falso indistinguibili – con, in più, tutta la potenza diffusiva ed “uniformizzante”
sviluppata nella lunga epoca del
secondo ordine. Il difetto di basi di Marx è che lui scambiò questa seconda
fase con il capitalismo “di per sé”, sbagliando fortemente. Era solo una “fase”,
non era la “natura” del capitale,
che è, per sua stessa natura, antinaturale.
E tuttavia, Marx
discretamente “intravide”, pur mai
traendone le deduzione che, a quel punto, s’ imponevano, quando capì – ed è una teoria “eretica”, di fronte all’economia
“classica”, basata sul “principio di realtà cosiddetto – che la merce è un “fantasma”.
Ora si sa bene che Marx
era figlio di un “converso”, un ebreo convertito al Cristianesimo, per ragioni
d’interesse, in buona sostanza. Il che non
può significare che Marx non sapesse nulla del folklore ebraico.
Nel folklore ebraico
non esiste il “fantasma”, ma esiste il dybbuk,
il qual è, a sua volta, un morto che “ritorna”,
in una parola: un le revenant.
Il che, a sua volta,
implica che: la “natura” del Capitale è l’accumulo e stoccaggio di materiale morto, che viene rimessa in circolo, ma con
una finalità ben diversa da quella che avevano quando era viva quello stesso
materiale. Per questo non po’ durare per sempre.
A quest’ “ordine”
mondiale à rebours, a questa crescita
divenuta “escrescenza”[4],
deve succedere la piena evocatio di “certe”
potenze del sotterra, proprio perché
lo stoccaggio non può essere
infinito.
Andrea A.
Ianniello
[1]
Prefazione di Ernesto Galli della Loggia in Karl
Marx. Vivo o morto?, a cura di A. Carioti, Storie Solferino. I libri del
Corriere della Sera, n. 1, RCS Media Group, Milano 2018, p. 7.
[2]
Ivi, p. 9.
[3]
Ivi, p. 11, corsivo in originale.
[4]
Cf.
J. Baudrillard, “Dalla crescita all’escrescenza” in L’Illustrazione italiana, anno III n. 2, agosto-settembre 1983.
J. Baudrillard, “Dalla crescita all’escrescenza” in L’Illustrazione italiana, anno III n. 2, agosto-settembre 1983.
Nessun commento:
Posta un commento