Oggi
è in vigore l’idea che basti dedicarsi alla risoluzione dei problemi
“concreti”, senza una visione più generale, e si avrà per questo successo, quando
i fatti stan qui a dimostrare che è impossibile
risolvere un problema “pratico” senza una visione più generale che dia senso. “Senso” vuol dire “significato”,
ma vuol dire anche “direzione”: senza una direzione ci si agita, ma non si risolve.
E “risolvere” significa sciogliere.
Mancando “la”
- o “una” - visione, la politica non esiste
più.
Si
agisce, ma non si sa perché.
Si
vuol fare, ma senza un progetto.
Si
giunge così al punto - solo in apparenza
paradossale - che, tanto più si agisce, tanto peggiore diventa la situazione.
E’ come un gatto che tenti di suonare un pianoforte - venendone fuori solo note
dissonanti e senza un filo conduttore -, è come uno che toccasse un complicato
apparato elettrico senza sapere cosa toccare, e spesso fa più danni che altro.
Questa
cecità non si vede solo nelle cose “macroscopiche”, ma pure in nelle piccole
cose delle amministrazioni locali.
Questa
cecità è una caratteristica unica, distintiva e fondante la nostra epoca, fra tutte le altre.
In
un tal ambito di considerazioni, Caserta emerge come una palude particolarmente fangosa e dispersiva.
Nomen omen. Casa più hirt, “herd” nell’inglese attuale, gregge: la “casa del gregge”. Ce ne sono
molte di “case del gregge” in Italia - Caserta, Caserte o Casirte, nome di
evidente origine longobarda - che dunque, con il termine “erto”, non ha proprio
niente a che fare- più “casa”, che indicava un piccolo insediamento, poco più -
o meno - di un “villaggio”; ma solo
a Caserta questa “località” diventa una città … Ma lo è mai diventata? Davvero?
... Ecco il punto nodale.
Poi
chiaramente, la “città” è stata attirata inevitabilmente nell’orbita della
grande città vicina, in tal caso Napoli, ma pure questo è “niente di nuovo
sotto al sole”, si conosce, infatti, il caso “classico” delle cosiddette “città
satelliti”, per fare un esempio Versailles, in relazione a Parigi: la cosa non
è poi tanto diversa. La differenza - vera - sta nel fatto che Versailles ha una
sua “identità”, specifica, nonostante sia una “città satellite”;
anzi, le città satelliti beneficiano
della vicinanza di un grosso centro a patto di saper gestire la relazione, come
Caserta, invece, non è mai e poi mai
riuscita a fare.
Per
fare un esempio, che la sede della Provincia di “Terra di Lavoro” sia stata
storicamente spostata da Capua a Santa Maria Capva Vetere, per poi trovare il
suo stabile centro a Caserta non ha niente a che spartire con l’importanza
storica di Caserta ma con la sua posizione ottima da punto di vista degli assi
viari. D’altro canto, se ci sta una Reggia, se sopra in collina vi è un
castello e la Torre federiciana si deve ad una cosa sola: alla posizione strategica, fra tre assi: verso Napoli e il Sud; verso Roma e il Nord; e verso
Benevento e la zona interna. Né Capua né Santa Maria potevano coprire l’asse
interno. Ora, ciò detto, anche qui vale la stessa cosa: Caserta non è mai e poi mai riuscita davvero a
usare questo suo “vantaggio posizionale” che, negli scacchi, è decisivo, e
consente ad un pedone di poter bloccare un Re, la pezzo di minor valore di
poter bloccare quello di valore maggiore: è la posizione, il vantaggio e
svantaggio posizionale, che rende ciò possibile.
Manca
un piano generale, una visione - inevitabilmente fondata sul passato e sulla
storia - poiché si nega la storia di questa città (o quasi città, o semi città).
E finché questo non cambierà, tutto il resto sarà solo un enorme, inutile oltre
che ridicolo, accumulo di bla bla bla. Caserta ricorda molto più certi paesoni
che un capoluogo di Provincia che abbia un suo pedigree, nonostante sia la città delle cacche di cane, quasi a
misura di cane. Tu eviti una cacca di cane e ti reputi fortunato ma,
evitandola, ecco che cadi su di un’altra cacca di cane.
La
deriva era inevitabile, una volta che l’unica vera produzione era diventata, ormai,
soltanto l’edilizia, e non appena la situazione economica, pur senza risolversi
- non può, perché ha delle cause strutturali ben più forti e globali -, si è un
po’ rimessa finalmente, imperterriti e senza nessun problema, si è tornati
all’edilizia senza un piano. Senza un piano, spianata, nel senso che si spiana.
Come
al malato di cirrosi epatica basta l’ombra dell’alcol per ubriacarsi, così al
malato di cirrosi epatica mentale, basta un accenno di denaro che ombreggia per
l’ aër, ed ecco che ti costruiscono
qualche palazzone.
Tutto
questo in una situazione in cui né Caserta né la Campania “stanno da sole”, come
vuole il diffuso pregiudizio che, tanto più si “globalizza”, tanto più ci si
rinchiude nel localismo più becero ed asfittico, come se ciò risolvesse qualche
problema.
Viviamo
l’epoca dell’avvenuto passaggio dalle democrazie in crisi alle oligarchie dominanti.
Tanto
vale, come Caligola e il cavallo, eleggere il cane come governante: di certo
hanno più “diritti” i cani, sono meglio trattati degli uomini. Così, nelle
minute delle dichiarazioni al Parlamento, leggeremo tanti “bau bau” e “whoof
whoof” …
Non
sia mai che si abbia un certo controllo del territorio, ma no! Certo, se non si
paga l’immondizia o si passa con il rosso, ecco che la presenza dello “Stato”
diverrà evidentissima per il normale cittadino pagante.
A
questo è ridotto lo Stato, ormai (anzi, or sempre), ad un collettore d’imposte incapace
di fornire quegli stessi servizi per i quali richiede ed impone spietatamente le sue imposte - nomen omen -, e del tutto incapace sia
di controllare il territorio sia di garantire la pubblica salute, ambedue, ed è
bene ricordarlo, impegni precisi e
costituzionali.
Ma
non accade nulla, di fronte a decennali manchevolezze: It’s democracy baby!
Questo
in una situazione economica mondiale che è stato detto più volte sarebbe andata
a finire malaccio; ed è stato detto da fonti autorevoli, non dai “complottisti”
- l’era dei “complottisti” è terminata,
ora che persino Draghi ha pubblicamente parlato di forze che “complottano” per
tenere l’inflazione artificialmente
bassa (cfr. http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/02/04/draghi-inflazione-bce-non-si-arrende_01d040c4-27f0-451e-8c21-0355609a9fb9.html) -. Notizia,
quest’ultima, dell’Ansa, sia ben chiaro.
La
realtà vera è che costoro, tutti - favorevoli
alla svolta fatta negli anni passati, o apparenti “protestanti” contro di essa,
di solito per dei motivi che dimostrano che non hanno capito il bel resto di
nulla!! -, non hanno la benché minima idea di “che cos’è la ‘decadenza’” - ma davvero “che cos’è” -, che cosa implica,
quali sono i suoi segni determinanti.
Facciamo
un esempio. Roma e i mattoni: “Fin da età tardo antica si erano manifestate,
nell’ambito dei modi di costruire, alcune tendenze che, a partire dal V secolo,
divengono evidenti nella nostra documentazione archeologica: un generale abbassamento qualitativo
nella regolarità e nella cura degli apparecchi murari e, in
particolare, una crescente differenziazione
delle tecniche di costruzione a seconda del tipo di struttura e del livello
sociale ed economico dei destinatari, insieme a una diffusione della
pratica del reimpiego dei materiali. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, si
può dire che, praticamente, a partire dal V secolo, tutti i materiali impiegati
nell’edilizia sono di riutilizzo. La grande produzione laterizia, ancora in piena attività nel IV secolo, sembra fortemente ridimensionata già nel
corso del V secolo. A partire dall’età gota, le figline producono esclusivamente
tegole di copertura, materiale evidentemente assai più difficile da
riutilizzare […]. Un passo dalle Variae
di Cassiodoro c’informa che i produttori dovevano fornire ogni anno 10.000
tegole per la manutenzione degli edifici di Roma. E’ probabile che a questa fornitura
si riferiscano le tegole bollate con il nome di Teodorico e la scritta ‘bono Romae’ o ‘felix Roma’ […]. Dalla metà del VI secolo la produzione laterizia
deve essersi ridotta fin quasi ad esaurirsi del tutto. Le sporadiche tegole con
bolli papali sono […] da riportare a limitate produzioni connesse con
specifiche iniziative edilizie promosse dai pontefici, come nel caso dell’unica
tegola con bollo di Giovanni VII […], ritrovata nell’ Atrium Vestae, presso la pendice del Palatino dove il papa aveva
fatto edificare il nuovo Patriarchio. A
parte questi laterizi di copertura, la totalità
del materiale laterizio e lapideo impiegato nelle costruzioni, per tutto il
periodo preso in esame, è di reimpiego.
I mattoni erano recuperati scalpellando le cortine di edifici di età imperiale;
a quest’attività è dovuto l’aspetto di molti monumenti a Roma, come ad esempio
le terme di Caracalla, le cui superfici murarie appaiono ridotte al solo nucleo
cementizio [che stava dentro la copertura in mattoni, nota mia] per l’asportazione
totale delle cortine” (1).
Dunque
la “frattura” fra “evo antico” ed “evo medio” in Italia non avvenne affatto con la falsamente
fatidica data del 476, ma, come si conviene negli studi di archeologia
cristiana, con Gregorio Magno (540 ca.-604), e fu compiuta, nel senso di
completata effettivamente, solo con il VII-VIII secolo (2). “L’VIII secolo
segna, anche in questo campo, un momento
di svolta, con l’introduzione e la diffusione di nuovi modi di costruire,
che indicano profonde trasformazioni nell’organizzazione del
lavoro, e con l’affermarsi di una ancor
più netta distinzione tra le strutture dell’edilizia di committenza alta, pubblica e aristocratica, e quelle relative
all’edilizia abitativa e popolare” (3).
Ancora:
“Si è già detto che una delle caratteristiche dell’edilizia altomedievale è
costituita dalla netta distinzione tra l’edilizia di committenza alta, pontificia
e aristocratica, da quella di livello basso. Finora sono molto pochi gli esempi
noti di strutture di questo tipo: il principale nucleo messo in luce è
costituito dalle domus terranee del
Foro di Cesare” (4). Si tratta, in sostanza, di edilizia di sussistenza o “spontanea”,
come suol dirsi, ed è interessantissimo vederle. “In definitiva, le innovazioni
che si possono individuare nei modi di costruire che abbiamo analizzato,
rispetto alle tecniche edilizie tradizionali [romane antiche, fino al VII sec.],
sia nell’edilizia di committenza aristocratica che in quella popolare, a
partire dalla metà dell’VIII secolo, mostrano una tendenza uniforme verso una riduzione della complessità delle
operazioni di cantiere e, in particolare, di tutte quelle operazioni che richiedono competenze specialistiche, in perfetta coerenza con le trasformazioni della
struttura economica della società
che sono state analizzate precedentemente” (5).
Facciamo
un breve riepilogo delle “trasformazioni della società” di cui si è, assai
brevemente, appena detto. La semplificazione di tutto, l’impoverimento dei
pubblici erari, la spaccatura fra
due gruppi ben distinti, e che si allontanano sempre di più. Quest’ultimo fenomeno,
iniziato già con la fine dell’Impero,
si accresce con l’Alto Medioevo.
Notiamo
che oggi abbiamo dei fenomeni molto simili.
Per esempio, un indicatore serio e sicuro è quello dato dalla salute del
sistema viario e dei trasporti, che è sempre la “cartina di tornasole” dello stato
di salute del pubblico erario, per la semplice ragione che richiede grossi
investimenti che non torneranno mai indietro, e vanno fatti in deficit. Al massimo puoi tentare un
pareggio di bilancio - sempre molto difficile -, ma è quasi impossibile che tu
possa raggiungere un avanzo di bilancio.
Di
conseguenza, lo stato di salute del sistema viario e dei trasporti postula uno
stato di salute del pubblico erario. Ovvero che non vi sia una crisi fiscale in
atto. Precisiamo che gli stati altomedioevali e della fine dell’evo antico
erano in stato di crisi fiscale perenne. Come noi oggi …
E
di costruzioni di sussistenza - o “spontanee” - ve ne sono, e tante, solo non
viste o non riconosciute come tali, dal reimpiego di case altrui, alle
catapecchie d’immigranti o di zingari, all’occupazione delle case e via
dicendo. Se potessimo vedere la tendopoli di Calais, per esempio, scopriremmo
che erano più dignitose le casupole
del Foro di Cesare in epoca altomedioevale. La realtà è che questi dati sono
espulsi dal quadro e rubricati nella categoria, tanto grossa quanto informe, del
fenomeno della cosiddetta “immigrazione” o dei “profughi”. Ora, non è che
questi fatti non ci siano. Ma non è che le cause di questi fatti siano diverse
da quelle che vi erano allora, e cioè una spaccatura tremenda fra le categorie
più elevate della società e tutto il
resto, vale a dire quel tema, di cui si è parlato in decenni passati - senza,
però, mai arrivare al fondo delle
questioni -, della “sparizione delle classi medie”.
Tutto
questo vi è Oggi. Tutto questo è Intorno a noi. E non
da ieri. Oggi stiamo assistendo alle battute finali del fenomeno. E tuttavia vi è stata tutta una lunga fase - indimenticabile - di totale
assoluto compiacimento della e nella situazione che, inevitabilmente, necessariamente,
doveva portare a tutto ciò.
Alla
domanda: “E perché non ce ne accorgiamo? Perché manca una più generale ‘presa’
di coscienza? Forse depistaggi vari? Come la cosiddetta ‘emigrazione’ o ‘immigrazione’
di massa?”, a tale domanda occorre - senza dubbio - poter rispondere. Direi,
anzi, occorre dover rispondere,
perché non è “un” interrogativo,
quanto “l’” interrogativo.
La
risposta a questa importante questione non può essere che articolata.
In
primo luogo, non è affatto detto che un
fenomeno storico sia percepito per ciò che davvero è dai suoi contemporanei:
la storia sta lì a dimostrarcelo molte volte. In una parola: vivere qualcosa e comprendere che cosa si sta vivendo son
due cose molto lontane (probabilmente Gurdjieff avrebbe fatto molti e
tanti rilievi su questo “fatto psicologico”, però verissimo, e caratteristico
della natura umana).
In
secondo luogo, e in questo con grandissima differenza rispetto alla totale
nullità delle classi “dirigenti” (o “digerenti”) del momento attuale, gli
antichi Romani - la loro classe dirigente, ma dirigente davvero - era ben
consapevole della crisi. Addirittura lo stesso Polibio (206 a.C. ca.-124 a.C.),
storico di origine greca che (sconfitto) fu portato a Roma come precettore e
che, proveniente dalla classe dirigente greca, ebbe contatti direttamente con
il “gotha” dell’aristocrazia romana della sua epoca - in particolare gli
Scipioni -, Polibio ne parlava diffusamente, chiedendosi le cause di questo
fenomeno futuro, che lui però vedeva come inevitabile. Vi è quella famosa
visione, che narra proprio Polibio - non casualmente -, di Scipione Emiliano il
quale, nel vedere la fine di Cartagine nella Terza Guerra Punica (Assedio di
Cartagine, 146 a.C.), vide, intravide, intuì che anche Roma un giorno sarebbe
caduta e sarebbe finita. Questo tema, dopo la fase di espansione augustea e
seguente, con la crisi del III secolo ritornò in auge, come dimostra S.
Mazzarino nel suo libro sulla fine del mondo antico, ripubblicato da Bollati Boringhieri
nel 2008 e che fortunosamente acquistai qualche mese fa, in una visita alla Piazza
michelangiolesca anti stante i Musei Capitolini (che non visitai per mancanza
di tempo), nella libreria dei Musei, che dà sulla monumentale Piazza.
La
classe dirigente romana era ben
consapevole della crisi, ne dibatteva le cause. Vi erano spaccature sul come uscirne, sul come comportarsi con i
cristiani e su tante altre cose: ma non
sul fatto che la crisi vi era. Questo,
poi, li ha aiutati? Basta sapere che si è in crisi per uscirne? Nient’affatto!
Nient’affatto proprio! Dunque, anche nel nostro caso, mica è detto che, avendone
una maggiore più diffusa percezione generale, la crisi possa essere risolta. Non è per nulla detto.
In
terzo luogo, però, se - con la domanda di sopra - si vuol mettere l’accento sul
fatto che, oggi, vi è una particolare cecità
e quasi una rimozione del problema, allora la risposta va data. E la risposta è molto semplice: la tecnologia. La chiave di volta della cecità è la tecnologia ed il
suo continuo sviluppo in pochi, determinati
campi, scelti non casualmente. La
tecnologia continua a svilupparsi - sempre in quelle poche ben determinate direzioni
-, ergo, sembrano pensare i nostri contemporanei,
anche il resto della società si “sviluppa”, ed è solo una serie di “errori” di
previsione economica che ha generato questo stato. Per i “complottisti”, poi,
sono i “cattivoni di Wall Street” - anche loro con l’acqua alla gola e che non
sanno che pesci pigliare - ad avere la colpa, sono le “banche”, o “panche”, che
dir si voglia … Ma non è affatto così. Anzi, vi è stato un punto in cui lo sviluppo
tecnologico ha iniziato a “mangiarsi” le società e ad indebolirne lo sviluppo
economico, che pure aveva tanto contribuito, in una fase precedente - oggi super
passata -, a rafforzare. Questo punto l’abbiamo
superato, e da un bel po’ di tempo. Quindi è la tecnologia che dà questa
falsa impressione, che, col suo sviluppo continuo, vela lo sguardo e non consente
di vedere le strade in stato pietoso, i sistemi pubblici - anche per quel che
riguarda gli acquedotti per fare un altro esempio, fra i tanti possibili - allo
sbando, il clima in stato di dissoluzione crescente, ecc. ecc.
Come reagisce
chi detiene il potere a questi fenomeni. La reazione di chi ha in mano il
controllo - ed una delle “novità” dei “nostri” tempi è che chi abbia il
controllo molto spesso non coincida affatto con i governati apparenti
- è questa: Accentrare. Accentrar le
decisioni.
E
ancor Accentrar ed Accentrare.
Questo
è. Come Giustiniano. Con lui termina quella corrente, nata da Diocleziano, con Giustiniano
I raggiunge l’acme della sua forza, in altre parole con lui si raggiunse il massimo
accentramento decisionale possibile, possibile in una determinata, storica e
concreta situazione.
Chiaro
che, in una tale atmosfera “mentale”, i piccoli centri contino quanto il due di
briscola. Soprattutto i “nostri” cari borghesi napoletano-casertani, sempre
vissuti delle piccole cose date dalle pubbliche amministrazioni, e che ha
sempre difettato di un progetto di più larga estensione, contentandosi di
vivere delle prebende statali e dei loro effetti sulla società, siano
totalmente privi di difese a fronte di una svolta tanto repentina e decisiva,
soprattutto irreversibile. Ed “irreversibile”
vuol dire che non è possibile tornare
indietro. Non è possibile, in alcun modo, tornare allo stato precedente.
Cercano
e chiedono dalla pubblica mano quei sostegni cui sono stati abituati, ma la
pubblica mano non è più in grado di erogarli e non c’è niente da fare finché la
crisi fiscale degli stati sia risolta, sempre che sia possibile farlo, perché
la storia c’insegna che le crisi fiscali abbattono
gli stati, li mettono a terra.
Non
essendoci alcun piano per fronteggiare davvero i problemi, non essendoci alcuna
visione né comprensione né consapevolezza dei problemi reali sul campo, il
tutto si riduce a tonnellate di bla bla bla, a Caserta esattamente come
altrove.
Né
si può dire che non si sapesse che sarebbe successo: diciamo che il “grande
pubblico”, o il pubblico “generalista” e la gran parte della cosiddetta “intellighenzia”,
non n’era - ma non n’è ancora - consapevole; non se ne deduce che “nessuno”
poteva saperlo o vederlo, cosa non vera.
Che cos’è una
crisi sistemica.
“Non si tratta semplicemente di un ulteriore conflitto tra gruppi, poiché esso
ha implicazioni sull’intera organizzazione della vita sociale. Non è cioè qualcosa
che potrà essere ‘risolto’ con quel genere di compromesso sociale che differisce
la soluzione. O meglio, potrebbe essere
risolto in questo modo qualora la stabilità del sistema-mondo fosse diversa”
(6). “Una crisi sistemica può essere descritta come una situazione nella quale
il sistema ha raggiunto un punto di biforcazione, o il primo di successivi
punti di biforcazione. Quando i sistemi giungono a trovarsi lontani dai punti
di equilibrio, essi raggiungono punti di biforcazione, dove diventano possibili
molteplici soluzioni all’instabilità” (7). Più sono le biforcazioni e più il
sistema diventa instabile, finché non ha altra possibilità che mutare
completamente, in quanto non sa più gestire la quantità di contraddizioni che
si sono andate accumulando. “Di fatto, possiamo rappresentare la prima
biforcazione come l’effetto della rivoluzione mondiale del 1968, protrattasi
fino ad includere la cosiddetta fine del comunismo nel 1989, la seconda
biforcazione” (8). E d’allora in poi, dopo quel momento, tutta una serie di “biforcazioni”
sono state espulse quasi blindando la “globalizzazione”, finché un’atra serie
di biforcazioni è riapparsa, con il 2001 - ed i noti eventi -, il 2003 e la
Seconda Guerra in Iraq, poi il 2008 e la crisi della Lehman Brothers, e tutta
la serie di risposte che hanno reso sempre più instabile il sistema, poi al
crisi siriana e la Guerra Mondiale del Medio Oriente. Come si vede, le
biforcazioni si accrescono, e la situazione economica mondiale diventa sempre
più instabile - unita con una caratteristica instabilità climatica, veramente unica e particolare -. Ora, nelle
pagine finali dello studio appena citato, l’autore sostiene che vi son tre vie
possibili, allo stato del sistema-mondo in crisi totale, che tende allo “stato
caotico” dei sistemi complessi.
Va
precisato che sono teorizzazioni: non esiste un modello “unico” ed ogni modello
storico appare concretamente misto con caratteristiche di altri sistemi, per
cui potremmo chiederci, correttamente, quale dei tre verrà a predominare, con
tutte le varianti del caso e le particolarità storiche specifiche. La prima
via è quella di una sorta di neo-feudalesimo, che vediamo applicato in Europa a
partire dal 2008 ed anni seguenti; la seconda è una sorta di fascismo
democratico, che poi è la via proposta dai vari “populismi” ed in auge, in
parte, in paesi come la Cina, ma non scevra di mescolanze varie; la terza è una
radicale decentralizzazione (9).
Si
chiedeva Wallerstein: “Esistono ancora altre possibilità? Naturalmente sì. Ciò che è importante riconoscere è che tutte e tre le opzioni storiche son davvero
davanti a noi, e la scelta dipenderà
dal nostro agire collettivo mondiale nei prossimi cinquant’anni. Quale che
sia l’opzione scelta, essa non sarà la fine della storia” (10). Dei cinquant’anni
dal 2000 ben 16 ne son passati, e sembra che sia la “soluzione” neo-feudale che
quella populistico-fascistoide siano, sin ora, le più “gettonate”, quella di
una radicale redistribuzione e radicale decentramento - due cose legate direttamente - sia ben meno presente.
Ma
non vi sono solo le decisioni umane, vi è anche la dimensione “extra-umana”,
che la modernità tanto avversa, e che tanto le repelle fortemente. Tuttavia
esiste. Di conseguenza, potrebbe davvero essere la “fine della storia”,
potrebbe - davvero - aversi una riemersione del “mitico” nella storia, come già
successo nella storia, per l’appunto (11).
A.
Ianniello
NOTE A PIE’
PAGINA
(1) R.
Santangeli Valenzani, Tecniche edilizie, in R. Meneghini - R.
Santangeli Valenzani, Roma nell’alto Medioevo. Topografia e urbanistica
della città dal V al X secolo, Libreria
dello Stato, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2004, pp. 133-134,
corsivi miei. Uno studio online su questi temi, di A. Augenti, si trova al
seguente link: http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/viewFile/51/354.
(2) E’
stato suggerito, come date di riferimento del passaggio fra “evo antico” ed “evo
medio”, da un lato la peste di Giustiniano (541-542, Giustiniano I regnò dal 527
al 565), e dall’altro la Grande Peste del secolo XIV. Sostanzialmente l’idea è
giusta, ma con l’aggiunta che la Grande Peste Trecentesca terminò un qualcosa
senza dare immediatamente inizio al “Rinascimento”, categoria quest’ultima piuttosto
debole, meglio dire Umanesimo probabilmente. Si precisa che Gregorio Magno era
ancora praefectus urbis (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-gregorio-i_%28Enciclopedia_dei_Papi%29/).
(3) R.
Santangeli Valenzani, Tecniche edilizie, in R. Meneghini - R.
Santangeli Valenzani, op. cit., p. 135, corsivi miei.
(4) Ivi, p. 140. Sui Fori, dove si trovano queste case, vi è
quest’interessante Bibliografia, al link: http://www.mercatiditraiano.it/servizi_scientifici/bibliografia.
(5) Ivi, pp. 140-141,
corsivi miei.
(6) T.
K. Hopkins - I. Wallerstein, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2025,
Asterios Editore, Trieste 1997, p. 292, corsivi miei. Secondo i due autori, la “crisi
sistemica” termina nel 2025, con la fine del sistema che sopravvive - male - oggi.
(7) I.
Wallerstein, Capitalismo storico e civiltà capitalistica,
Asterios Editore, Trieste 2000, p. 123.
(8) Ivi, p. 124.
(9) Ivi, p. 129.
(10) Ivi, pp. 129-130, corsivi
miei.
(11) Sempre,
tuttavia, parlando d’influssi non-umani (apaurusheya),
sia consentito di terminar così:
“Tutti e cinque restarono per tre giorni senza mangiare e
senza bere. assorti in una perfetta concentrazione di pensiero, desiderando,
senza frammischiarvi nessun’altra idea, la felicità di tutti gli esseri, dal
dio più alto all’insetto più fragile. Più, quando furono usciti dalla
meditazione, Gesar pronunciò ad alta voce i seguenti voti:
‘Che fra le montagne, le une non siano alte e le altre basse;
Che fra
gli uomini, gli
uni non sino più potenti e gli altri privi di potere;
Che i
beni non abbondino nelle mani degli uni e manchino in quelle degli altri;
Che l’alto
paese non sia accidentato [letteralmente: non
abbia valli e non abbia alture];
Che la
pianura non sia uniformemente piatta;
Che
tutti gli uomini siano felici!’.
Dugmo [la consorte di Gesar] rispose:
‘Se nell’alto paese non vi fossero né montagne, né vallate,
le greggi non troverebbero riparo;
Se la pianura non fosse tutta piatta, si presterebbe male ad
essere seminata;
Se gli uomini fossero uguali, essendo tutti uguali ai capi,
le cose andrebbero male [letteralmente; non andrebbe bene];
Che la felicità si sparga sul Tibet!’.
‘Voi non mi avete capito’, disse gravemente Gesar. ‘Le mie parole sono state pronunciate troppo
presto. Tornerò per ripeterle’.
Poi, Dugmo e i suoi compagni, vestiti in abiti di seta e
rimanendo in piedi, allineati gli uni accanto agli altri, cantarono l’inno
della prosperità (tachi, scritto krachi) […]. Gesar, pensoso, li
guardava: ‘Non ci è possibile’, riprese l’eroe, ‘entrare in un paradiso con i
nostri corpi di carne. Domani separeremo da essi lo spirito con il rito pho lang’.
Tutti e cinque s’immobilizzarono di nuovo in una
concentrazione perfetta di pensiero. Il mattino seguente comparvero, prima dell’aurora,
numerose divinità trasportate da un arcobaleno bianco […].
Il primo raggio di sole lanciò un raggio di luce oltre le
montagne lontane. Senza un sol gesto, senza sollevare le palpebre abbassate,
Gesar e i suoi compagni gridarono l’ hik
dal suono penetrante, poi il phat
grave, e sulla terrazza rocciosa della montagna bianca, non vi furono altro che
cinque abiti vuoti circondati da un’aureola di luce” (A. David-Néel - Lama Yongden, Vita sovrumana di Gesar
di Ling, Edizioni mediterranee, Roma 1990, pp. 331-333, corsivi miei).
---------------------
*****
NOTE FINALI
Incontro alla
libreria Feltrinelli, 1 settembre, organizzato da “Liberalibri”
(http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/incontro-alla-libreria-feltrinelli-1.html)
“Federico II a
Caserta”
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015_10_01_archive.html
Sull’etimo di
“Caserta”
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/10/sulletimo-di-caserta.html
Che alla base
della democrazia vi è una scelta “razionale” è falso
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/che-alla-base-della-democrazia-vi-e-una.html
Grandissima
deriva e confusione fra democrazia e pluralismo
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/01/grandissima-deriva-e-confusione-fra.html
Frase di René
Guénon sulla democrazia
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/frase-di-rene-guenon-sulla-democrazia.html
Scampoli del
mondo antico, “I cavalieri
selvaggi” (“The
Horsemen”, “Orgullo de estirpe”)
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/scampoli-del-monto-antico-i-cavalieri.html
TO BE OR NOT TO BE....NOT TO BE - Arnold
Schwarzenegger -
https://www.youtube.com/watch?v=RS81SCTw1JE
The Jimi Hendrix Experience - All Along The Watchtower (Official Audio) -
https://www.youtube.com/watch?v=TLV4_xaYynY
Animated “This Was Their Finest Hour…” speech by Winston Churchill
https://www.youtube.com/watch?v=Z9amZ8McoBA
The Doors - Riders On the Storm [Remastered HQ] -
https://www.youtube.com/watch?v=DED812HKWyM
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/02/link-allintervista-bernard-mcguinn.html
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